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Sotto questo nome consideriamo un’opera composta dopo il 1230 la cui paternità in taluni
manoscritti è attribuita a Luce de Gat che firma solennemente il prologo.
Numerosi esemplari recano nell’epilogo un altro nome, quello di Hélie de Boron.
Se la domanda su chi sia l’autore del romanzo è destinata a rimanere inevasa, tuttavia estremamente
interessante si rivela una riflessione sui progetti autoriali che si nascondono dietro a questi nomi.
Riprendendo un topos consolidato già nella narrativa in versi, Luce indica la fonte in un libro latino,
che lui, natio dell’Inghilterra, ha scelto di trasporre in francese. Si tratta dunque di uno scrittore che
sceglie di attribuire a sé quelle che saranno le caratteristiche dei suoi personaggi. Sdoppiandosi
nell’epilogo in un altro autore, Hélie de Boron, il misterioso autore vuole attribuire al testo un
duplice statuto: quello di testo amoroso e quello di testo “sacro” e vero.
Il verso, con il suo potere evocativo e la sua capacità di essere attraversato da molti sensi, cede il
posto alla prosa portatrice di verità, insieme alla sua aspirazione al dominio sullo scibile, ottenuta
anche grazie alla pratica dell’entrelacement. Ecco allora che Tristano viene inserito a pieno diritto
all’interno dell’universo arturiano e diventa amico e rivale dell’altro cavaliere innamorato per
eccellenza, Lancillotto, e la sua personale vicenda si snoda e si intreccia a quella della Queste del
Graal. La leggenda tristaniana partecipa dunque a quel vasto fenomeno di formazione dei grandi
cicli arturiani. Indicativo in questa direzione è ancora il prologo.
Il Lancelot rappresenta la falsa riga sulla quale proiettare e riscrivere la storia tristaniana che, pur
mantenendo lo schema narrativo di fondo, viene profondamente alterata nell’equilibrio delle parti: il
vincolo indissolubile fra amore ed avventura si rompe, lasciando che nel tessuto compatto della
storia si ritagli uno spazio autonomo il gusto dell’impresa eccezionale. Emblematico in questa
direzione è sempre il prologo del romanzo, dove l’accostamento di Tristano ai più grandi cavalieri
del tempo di Artù implica una volontà di riproporre lo spazio d’elezione del mondo arturiano
attraverso un altro protagonista, appunto Tristano.
Ma se accanto ai personaggi del ciclo di Lancelot affiorano precisi riferimenti ai protagonisti dei
romanzi in versi non solo tristaniani, a cominciare da quelli di Chrétien de Troyes, al centro
troneggia re Artù, e il reame di Logres il regno arturiano si contrappone a quello di re Marco,
dipinto come un re violento ed ingiusto.
Si viene così a delineare una geografia narrativa distribuita in tre regni distinti: il reame di Logres,
regno di Artù, la Cornovaglia dove risiede la corte di re Marco e la Bretagna, dove risiede re Hoel,
padre di Isotta dalle bianche mani e di Caerdino.
Il Tristan en prose conosce i romanzi in versi di Thomas e Béroul di cui recupera i tratti funzionali
alla sua particolare rilettura, ma lo sforzo di armonizzare operata all’interno di un diverso tessuto
narrativo li rende spesso irriconoscibili.
La prima parte del poema è assente in molti testimoni. Si tratta di un’assenza che non inficia la
coerenza della narrazione, dal momento che questi paragrafi iniziali rispondono piuttosto
all’obiettivo di inserire la vicenda all’interno della storia della cristianità.
Nella sua particolarità, il lungo prologo offre una serie di motivi che diverranno la cifra dell’interno
poema: Ancora una volta la tempesta, con la sua forza travolgente, si impone come motivo fisso
1. della storia: numerose tempeste segnano la vita di Chelinde, scandendo il suo passaggio da
un marito all’altro; la tempesta conduce Tristano, diretto in Irlanda, alla corte di Artù; una
tempesta scoppia mentre Tristano conduce Isotta alla corte di re Marco.
Un gioco di annunci e predizioni percorre l’intero poema, fungendo anche da connettivo nel
2. labirintico intreccio di vicende e personaggi che si muovono in tempi e spazi diversi lo
spazio onirico è veicolo di predizioni e spazio foriero di cupi presagi.
Sin dal principio la storia si configura come segnata da sanguinose faide familiari: l’odio la
3. rivalità e l’invidia serpeggiano costantemente nella corte
Soprattutto l’amore tragico e dolente di Thomas, e quello più ambiguo di Béroul sono
4. sostituiti da una serie di passioni funeste che coinvolgono non solo i protagonisti, ma tutti
gli attori della vicenda i germi della crisi del mondo arturiano si innestano nel Roman de
Tristan proprio attraverso la potenza distruttrice dell’amore, e in particolare della passione
adultera, che specularmente a quanto avviene per il triangolo Tristano, Isotta, re Marco,
coinvolge re Artù, Ginevra e Lancillotto. Amori trasgressivi che vanno ad innestarsi nel
tessuto più profondo dei legami di fedeltà e si incrociano a un altro elemento potenzialmente
portatore di crisi: l’assenza sia per re Artù che per re Marco di legittimi eredi.
La trama: Eliabel, sorella di re Marco, sposa Meliadus, ma nel corso di una partita di caccia questi
scompare, rapito da una fata. Eliabel disperata e sperduta nel bosco, dà alla luce un bambino che
chiama Tristano poiché figlio del dolore, e muore. Merlino riesce ad impedire ai due baroni di
ucciderlo e lo affida a Governale. Una volta cresciuto, Tristano si reca in Cornovaglia alla corte di
Marco, dove si attira l’odio dei baroni per il suo grande valore, ulteriormente aumentato dopo la
vittoria sul Moroldo, che gli lascia però una profonda ferita dell’odore insopportabile: a causa di
questa verità viene condotto alla corte del re Anguin, e curato dalla figlia di costui, Isotta la bionda.
Tornato in Cornovaglia cominciano i conflitti con Marco, geloso del suo valore con le armi e del
suo successo in amore. Per sbarazzarsi di lui lo invia in Irlanda perché chieda per conto suo la mano
di Isotta, ma una tempesta sbalza i due alla corte di Artù, dove Tristano ottiene la mano di Isotta.
Mentre i due veleggiano verso Tintagel bevono il filtro d’amore che la madre di Isotta aveva
destinato alla figlia e al re Marco, e si innamorano. Tornati alla corte di re Marco, si celebra il
matrimonio: Brangania sostituisce Isotta la prima notte di nozze, ma questa timorosa di essere
smascherata, ordina di farla uccidere da due servi, che presi da pietà l’abbandonano nella foresta
legata ad un albero, dove sarà rapita da Palamedes e liberata infine da Tristano. Intanto re Marco si
rode per la fama del nipote, e una volta scoperti i due amanti riescono a cavarsela, Tristano saltando
dalla finestra di una cappella e Isotta salvata dal rifugio dei lebbrosi da Trsitano, aiutato da
Governale. I due amanti si rifugiano nella foresta di Morois, finché Marco non convince Isotta a
tornare di nuovo a corte, mentre Tristano viene ferito da una freccia avvelenata, curato da Isotta
dalle bianche mani, figlia di re Hoel, che gli viene offerta in sposa ma con cui non riesce a
consumare il matrimonio. Nel frattempo Caerdino è preso da folle amore per Isotta.
Caerdino è senza dubbio uno dei personaggi più complessi ed interessanti della storia, perché a lui
ed alle sue parole sembrano affidati i germi del subbio sulla validità del costume cavalleresco con le
sue regole, svelandone in fondo la frivola inutilità quando è in gioco la vita di un uomo o i suoi
sentimenti combattere per combattere non ha senso, e Caerdino per fuggire a questa scelta non
esita a rinnegare il suo amore. Quello che lo condurrà alla scelta del suicidio sarà non solo
l’umiliazione del rifiuto da parte dell’amata, quanto l’accusa di essere un povero folle.
Intanto Tristano, rifugiatosi nella foresta del Morois, è ridotto ad una condizione di abbruttimento
che lo rende simile ad una bestia fuori di senno. Ormai sfigurato dalla durezza della vita condotta
insieme ai pastori che lo maltrattano, egli appare irriconoscibile. La follia sembra aver cancellato la
sua identità di cavaliere e di amante. La perdita di senno e ragione conduce Tristano a compiere
azioni violente, ma anche a cercare rifugio in luoghi accoglienti, come presso un saggio eremita,
figura ricorrente nell’universo tristaniano. A questo punto re Marco parte alla ricerca del folle, e
giunto presso i pastori chiede loro se abbiamo notizie di Tristano: questi, non sapendo chi hanno di
fronte, rispondono che Tristano si è allontanato dalla Cornovaglia a causa della “follia” di re Marco,
che non ancora pago di questo riferimento, continua ad incalzare chiedendo cosa si dica su Tristano
e Isotta, e a questo punto sulle sue spalle cade l’accusa di fingere, per codardia, di ignorare la verità.
Condotto infine Tristano da re Marco, egli viene battuto poiché non è riconosciuto da nessuno se
non dall’amato cane Husdent.
Marco costringe Tristano ad allontanarsi per sempre dalla corte, ed egli viene messo su un vascello,
accompagnato da Dinadan (come si scoprirà in seguito). Giunto al regno di re Artù egli si scontra
con Lancillotto, senza sapere che si tratti di lui, e alla fine dello scontro si assiste ad un serrato
dialogo dei due cavalieri, che si riconoscono come “fratelli carnali” nell’abbraccio fra Lancillotto
e Tristano si condensa uno dei significati sottesi al testo: rappresentare un Tristano grande come il
migliore dei cavalieri arturiani, sia nelle armi sia nella scelta di mettere a repentaglio, per amore,
qualsiasi aspetto della propria vita (ovviamente il confronto fra i due personaggi suggerisce anche
l’instaurarsi di ulteriori relazioni fra il Roman de Tristan e il Roman de Lancelot in effetti
l’incontro con Lancillotto segna l’ingresso di Tristano alla corte di Artù). Se all’inizio Lancillotto si
configura per Tristano come modello da emulare, gli eventi successivi segneranno la consacrazione
definitiva di Tristano come il più grande dei cavalieri e Isotta come la più bella e amabile donna.
In questo insistere sull’assoluta grandezza della coppia si ribadisce l’aspirazione del romanzo a
porsi come storia totale, vera “opera mondo”, dove l’universo in cui agiscono i protagonisti
sintetizza il tutto e lo ingloba dentro sé, dalla varietà delle avventure fino ai molti modi di concepire
la vita, l’amore, ecc.
Siamo giunti intano ad un luogo significativo del testo: gli amanti vengono condotti da Lancillotto
in un castello di sua proprietà e, sottolineando la complicità fra amanti adulteri, questi esorta
Tristano a non rivelare a nessuno la presenza di Isotta, se non alla regina.
Per contraltare, la gioia d’amore pare negata ai molti individui che agiscono intorno alla coppia
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