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B
corrispondo agli a capo NON | DICE | RE IL| LA SE | CRITA | A B OCE
La seconda delle due B è soprascritta e pare aggiunta, probabilmente nell’intento di conferire un
effetto di accentuazione o forse una connotazione coloristica attraverso la notazione del
raddoppiamento fonosintattico.
A differenza dell’Indovinello veronese, l’articolo pare qui utilizzato in maniera simile all’uso
moderno; in secrita è utilizzata la grafia -i- per [e], soluzione grafica arcaica; sono invece del
romanesco antico la forma dicere e la presenza della velare sorda in secrita; l’imperativo ha la
forma moderna romanza e italiana con NON + infinito.
Dall’Italia – Formule volgari dei Placiti campani
Con questo nome si indicano congiuntamente quattro formule testimoniali, ossia di testimonianza
giurata, espresse in volgare, tra loro molto simili.
Queste quattro formule compaiono ciascuna all’interno di altrettanti ampi documenti latini degli
anni 960-963, provenienti da località oggi in provincia di Caserta, ossia da una zona abbastanza
circoscritta della Campania.
Le formule volgari costituiscono il cuore del documento. È in assoluto rilevante che i personaggi
che testimoniano non sono affatto degli illetterati, ma chierici e notai: l’impiego del volgare nelle
formule non è legato individualmente alle loro persone e sembra piuttosto riflettere un uso che
privilegia l’evidenza comunicativa.
Alla nozione di documento legale, ossia di strumento notarile e giuridico, si accompagna quella di
formalità, fattore importante di garanzia e veridicità degli atti.
Alcuni fatti linguistici salienti: innanzitutto conviene isolare una componente latina, riconoscibile
quantomeno a livello morfologico; tratti distintivi dell’area italiana sono la conservazione
generalizzata delle vocali finali latine, la presenza di geminate; tra gli elementi tipici della regione e
comuni ad altri dialetti meridionali italiani si indicano il betacismo, l’assenza di dittongamento
spontanea e anche metafonetica e la coniugazione ko.
Dall’Italia – Il Conto navale pisano
Il Conto navale pisano è un elenco di spese sostenute per l’allestimento di una o più navi. Si tratta
della prima documentazione scritta di una certa estensione nella quale sia utilizzata la varietà
toscana, poi destinata a fornire la base dell’italiano moderno attraverso il modello letterario
fiorentino.
Il testo è ricco di tecnicismi anche altamente specializzati. L’appartenenza al tipo linguistico italiano
e specificamente toscano è garantita da:
• la conservazione sistematica delle vocali di uscita latine, adattate alla fonetica romanza
• la conservazione di geminate
• la conservazione di occlusive intervocaliche
• i plurali senza -s
• le preposizioni di e la forma del prefisso dis-, la preposizione in
• l’evoluzione del suffisso latino –ARU(M) come -aio e di ERIU(M) come -(i)eio
• conservazione di au davanti a l (tratto antico pisano, lucchese e pistoiese)
Dall’Italia – La Formula di confessione umbra
Si tratta di un testo liturgico-devozionale, risalente agli ultimi anni del XI secolo. I suoi connotati
linguistici sono ancora quelli di un testo di transizione è un volgare che di fronte al latino via in
uno stato di soggezione, non solo metaforica.
La base italiana si individua in fenomeno già rilevati nella carta pisana.
Dalla Penisola Iberica – La “Noticia de kesos” castigliana
Si tratta di una Lista di formaggi. Il documento, databile a poco prima dell’anno 1000, ha carattere
pratico e attesta un uso ormai corrente del volgare per registrazioni a scopo utilitario lo si può
accostare al Conto navale pisano, posteriore di circa un secolo.
Ci ritroviamo in una fase di riorganizzazione del sistema grafico latino e di definizione della
modalità di indicazione di occlusive velari e affricate dentali; altra irregolarità riguarda la notazione
delle labiali.
La mancata registrazioni di fenomeni che al tempo dovevano essere prodotti ormai può essere
spiegata con la resistenza dello scritto rispetto all’indicazione di aspetti innovativi per i quali non
disponeva di segni codificati.
Dalla Penisola Iberica – La “Notìcia de fiadores” portoghese
Per completare il colpo d’occhio sull’area iberica si presenta il più antico testo conosciuto scritto il
portoghese, datato 1175 (quindi più tardo rispetto agli altri). Si tratta di un’annotazione riportante
un elenco di personaggi che si impegnano a fornire una garanzia in denaro a metà strada della
formalità delle forme giuridiche e le scritture di carattere pratico.
Gli elementi volgari sono ancora minimi i primi documenti portoghesi dotati di una certa
complessità sono databili a partire dal XIII secolo.
Dai Grigioni
In uno spazio bianco contenente il De officiis di Cicerone, sono state inserite diverse scritte
avventizie da parte di più scriventi grosso modo contemporanei tra loro e databili al periodo tra X e
XI secolo: assieme ad alcuni versetti dei Vangeli, compare una brevissima annotazione in volgare
romanzo alpino. La postilla, interpretata come una semplice prova di penna, è per noi enigmatica
l’interpretazione più probabile è quella di un detto grigionese, ma per trovare un testo in volgare
romanzo alpino di una certa estensione, bisogna scendere fino alla fine del XI e l’inizio del XII
secolo.
I Giuramenti di Strasburgo
Con questo testo, sensibilmente più antico degli ultimi esaminati, si registra un salto qualitativo
epocale rispetto da un lato alla documentazione d’incerta classificazione tra latino e volgare,
dall’altro all’insieme di testi preso in esame o segnalato nelle pagine precedenti, costituito dalle
prime timide apparizioni di scritture volgari, occasionali, poco strutturate.
Col nome di Giuramento di Strasburgo si designa una duplice formula di giuramento in lingue
volgari, in romanzo e in germanico, contenuta nella Storia dei figli di Ludovico il Pio scritta da
Nithard.
Passaggio essenziale verso il trattato di Verdun fu un incontro, avvenuto a Strasburgo il 14 febbraio
842, tra i due fratelli Carlo e Ludovico e i rispettivi eserciti, nel corso del quale vennero scambiati
mutui impegni di fedeltà; i due sovrani giurarono ciascuno nella lingua dell’altro e quindi fedeli ed
eserciti ripeterono ciascuno nella propria lingua il medesimo giuramento.
La decisione di Nithard di riportare entrambe le formule nelle lingue in cui vennero pronunciate è
del tutto eccezionale si rispetto alla storiografia del tempo, sia anche rispetto alle fonti giuridiche
carolingie il fatto decisivo non è quindi l’avvenimento in sé, ma il fatto che Nithard abbia riportato
il testo nelle due relazioni volgari, contravvenendo in maniera flagrante alla convenzione letteraria e
storiografica dell’utilizzazione di un’unica lingua nella narrazione. La scelta mimetica di Nithard
intende presumibilmente sottolineare l’importanza dell’avvenimento anche attraverso la
componente linguistica: l’annotazione che ciascuno dei due s’impegnò giurando nella propria
lingua indica lo sviluppo di un’identità etnico-linguistica che potremmo cominciare a classificare
come nazionale.
Le ragioni dell’importanza attribuita ai Giuramenti nell’ambito della linguistica storica romanza
sono evidenti: nella cronaca si esplicita che il doppio giuramento volgare venne pronunciato in
“lingua romana”; la precisione assoluta nella datazione crono topica conferisce al reperto
un’evidenza simbolica cui può essere comparata solo quella dei Placiti campani; l’ampiezza, la
solennità e la complessità del dettato dimostrano un’acquisita coscienza delle possibilità espressive
della lingua corrente.
Tutto ciò ha da sempre indotto gli studiosi a vedere nei Giuramenti di Strasburgo l’atto ufficiale di
nascita delle lingue romanze come strumento espressivo evoluto.
Il documento presenta comunque dei dati contradditori: in primo luogo non sorprende che si avverta
l’influsso di una tradizione latina di cancelleria tale impronta è avvertibile anche nell’ordine delle
parole e in aspetti conservativi come la resistenza all’introduzione di articoli. L’impronta latina è da
interpretare come il risultato di una ben comprensibile volontà di conferire al testo del giuramento
in volgare una solennità formale adatta all’occasione e che evidentemente non era associata, nella
sensibilità del tempo, alla “semplice” espressione in “lingua romana”.
È parimenti probabile che anche l’assetto grafico sia debitore a tradizioni ortografiche pre-caroline,
ossia relative a latino “scorretto” e che vengono estese qui al volgare sulla base dell’opposizione
alle regole del latino carolingio riformato.
In altri aspetti anche dell’assetto grafico scorgiamo indubitabili tratti omogenei che sono invece
riconducibili ad una cultura grafica volgare e che, pur sempre attraverso il filtro della scrittura, ci
fanno intravedere una lingua ormai decisamente gallo-romanza.
Il più antico testo letterario francese: la Sequenza o Cantilena di Santa Eulalia
Il testo è conservato in un manoscritto di Valenciennes: si tratta di un codice in pergamena di 143
fogli, assegnabile al IX secolo e proveniente dal fondo librario di un monastero benedettino
limitrofo. Il codice contiene la traduzione latina dei Sermoni teologici di San Gregorio di Naziano.
Alla fine del codice vennero operate alcune aggiunte di testi brevi, quelli che qui interessano, da
parte di tre diverse mani tutte attribuibili su base paleografica alla fine dello stesso IX secolo. Si
tratta in tutto di quattro componimenti sul recto venne trascritta una sequenza latina dedicata a
Santa Eulalia, sul verso venne in seguito trascritta la sequenza volgare, che ricalca l’assetto metrico
del testo latino. Nello spazio disponibile in fondo inizia la trascrizione del Rithmus teutonicus de
piae memoriae Hluduuico Rege filio Hluduuici aeque regis, completata poi su due fogli ulteriori
appositamente aggiunti alla fine del codice. Sempre sui medesimi fogli, un terzo trascrittore
aggiunse un’altra sequenza latina.
È altamente significativo che i due testi volgari, l’uno romanzo e l’altro tedesco, siano trascritti
dalla stessa mano e siano conservati congiuntamente in un codice proveniente da una regione di
confine fra i due domini linguistici.
La sequenza è un tipo di componimento della tradizione latina alto-medievale.
Si può senz’altro affermare che l’Eulalia, primo testo letterario romanzo, fa uso di una forma
precipuamente latina, non desueta, ma di str