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A lungo, per la maggior parte degli autori la lingua scritta è stata in sostanza una lingua morta,
oggetto di interventi normativi contrastanti e di applicazione non sempre facile. Questo carattere
intrinseco della storia linguistica italiana spiega la notevole frequenza delle revisioni linguistiche e
la ricerca di consulenze e aiuti (Ariosto con Bembo, i travagli di Svevo, ecc.).
La quantità dei testimoni conservati dipende da un intreccio di circostanze che occorre volta a volta
valutare: il successo non contrastato ha avuto a volte conseguenze nefaste, perché la circolazione
presso lettori avidi ne ha provocato un rapido deperimento ed una perdita quasi totale. È bene
insomma ricordare che manoscritti e stampe superstiti di solito testimoniano solo in parte quale fu
la diffusione reale dell’opera.
Rispetto all’originale perduto, i testimoni sono talvolta anche molto tardi, come succede nella
filologia classica. Occorre anche guardarsi da giudizi aprioristici basati sull’aspetto esteriore dei
codici o sulla scorrevolezza del testo.
Errori e varianti
L’atto manuale della scrittura è soggetto a diverse forme di imperfezione: le parole possono essere
trascritte in modo imperfetto per errori di aplografia (riduzione), dittografia (aggiunta di sillaba),
omissione di segni diacritici. Tra le varie alterazioni possibili, alcune sono evidenti di per sé, e
hanno manifesti caratteri di errore, altre sono subdole, perché dotate di senso e si inseriscono
comunque bene nel contesto, assumendo un’aria di autenticità.
Si può dunque concludere che le tradizioni a testimone unico comportano il rischio che passino più
che mai inosservate alterazioni di copista la cui erroneità non sia patente.
La qualità della copia è spesso condizionata in modo decisivo dal tipo di scrittura dell’antigrafo, dal
rapporto tra la lingua del copista e quella del testo, da elementi imponderabili (la qualità della
penna, la luce, ecc.).
Si possono riconoscere errore puramente ottici (errori paleografici), consistenti nella confusione di
segni diversi, ma di foggia simile (mia, ima, una, uua oppure fra e, c, t fra f ed s di forma lunga). Al
fraintendimento ottico si aggiungono, confondendosi, componenti di tipo psicologico, come la
lettura sintetica, lo scambio tra parole che iniziano allo stesso modo (omeoarchia). Trascrivendo in
tal modo si tende di solito a banalizzare: perciò, dovendo scegliere tra più lezioni equivalenti
attestate nella tradizione, si preferirà considerare originaria la lectio difficilior.
Un altro tipo frequente di errore legato alla meccanica della lettura-trascrizione è dovuto per
omoteleuto: spesso dunque l’editore, dovendo scegliere tra una lezione più lunga ed una più breve,
entrambe accettabili, troverà un argomento a favore in quella più lunga.
Immaginando di scindere l’atto di copiare in fasi successive, tra la percezione visiva delle lettere
scritte sul modello e la loro riproduzione manuale, c’è una zona intermedia dove avviene la
memorizzazione e l’autodettatura: ciò comporta una pronuncia interiore nella quale il copista
introduce proprie abitudini foniche, causa di errore. È noto infatti che i testi italiani antichi trascritti
fuori dalla zona di provenienza sono spesso ricoperti di una patina dialettale estranea all’originale.
Altri errori frequenti sono quelli connessi con elementi del sistema abbreviativo, come il titulus che
spesso viene dimenticato o aggiunto a sproposito.
Se dalla prima copia se ne trae una seconda, da questa una terza e così via, il numero delle
alterazioni cresce (talvolta ci si può avvicinare alla proporzione geometrica). Ma molti errori veri e
propri possono essere corretti da qualsiasi copista. La correzione ha ovviamente gradi diversi di
sicurezza e in alcuni casi più impegnativi, non di rado i copisti hanno sostituito errore ad errore.
Un errore può essere poligenetico se è prodotto indipendentemente presso copisti diversi in
differenti condizioni di spazio e tempo; all’opposto è monogenetico l’errore che, ricorrendo identico
in due o più copie della stessa opera, ha caratteri tali da rendere inverosimile l’ipotesi che un copista
lo abbia compiuto indipendentemente dall’altro. L’errore monogenetico mette dunque in relazione
sicura i testimoni nei quali compare.
Dimostrare con sicurezza che errori presenti nella tradizione risalgono all’originale perduto è in
linea di massima molto difficile, perché gli errori poligenetici in quanto tali non necessitano di
un’unica fonte, mentre gli errori monogenetici a loro volta sono troppo vistosi per pensare che li
abbia compiuti l’autore: meglio dunque essere prudenti e assumere, in linea di massima, che
l’originale fosse privo di errori (tuttavia l’esperienza concreta degli originali conservati mostra che
gli errori d’autore esistono).
È dubbio come convenga regolarsi di fronte ad alterazioni che coinvolgono il senso, come i
cosiddetti errori polari: pare preferibile conservare il testo così com’è ed affidare a una nota la
discussione e l’interpretazione dell’errore frequente è l’errore d’autore in presenza di parole
tecniche, o comunque non usuali.
Altri errori legati alla cultura dell’autore dipendono dalle sue fonti, dai libri che cita, da inesattezze
nel tradurre, ecc. Tutto ciò va scrupolosamente conservato ed accompagnato da note esplicative:
correggere vorrebbe dire falsificare.
A criteri conservativi occorre attenersi anche di fronte a citazioni fatte a memoria e quindi
approssimative, come spesso capita nei carteggi.
Varianti d’autore
Uno scrittore che introduca modifiche nel testo di una sua opera della quale già sono state tratte
copie dà luogo ad una tradizione che conserva, oltre alla prima, la seconda fase con varianti
d’autore.
In filologia italiana abbondano, soprattutto nell’età moderna, attestazioni originali, spesso autografe,
delle modifiche subite da un testo a seguito del lavoro di lima o dei radicali ripensamenti dell’autore
esempio nella Vita Nova XXXIV: la presenza di entrambi i cominciamenti nella tradizione è un
incentivo alla ricerca di altre tracce superstiti di varianti d’autore.
Per l’importanza dello scrittore e la densità semantica della documentazione reggono il confronto i
Canti leopardiani: di molti si conservano gli autografi che testimoniano stadi successivi del lavoro.
Se nel caso di Leopardi è stato lo stesso autore a rimettere le cose a posto, in altri sta al filologo
recuperare una ultima libera volontà dell’autore diversa dalla “correzione coatta” presente
nell’originale. Talvolta però l’autore, di fronte alle pretese della censura, non procede passivamente
e contro voglia alla correzione, ma reagisce in modo creativo dando luogo ad un non occasionale
riferimento (Manzoni nell’Adelchi).
Il rifacimento può anche riguardare non limitati segmenti, ma l’intera opera con radicali
modificazioni tali da portare ad un testo nuovo ed autonomo. Ciò ha evidenti riflessi sul piano
filologico dove all’edizione testo + varianti si oppone l’edizione di testi separati.
Più complessa è la situazione con testi medievali per i quali il rifacimento può essere collaborazione
autorizzata e stimolata.
Inserzioni di parti non originale nel corpo del testo sono invece le cosiddette interpolazioni, la cui
natura è spesso incerta fra rifacimento, falsificazione, glossa esplicativa.
Autenticità, attribuzione, datazione
Negli ultimi decenni soprattutto quattro questioni di autenticità hanno richiamato l’attenzione degli
studiosi per l’importanza dei testi che vi erano coinvolti: l’iscrizione ferrarese del 1135, il carteggio
poetico fra Dante e Boccaccio, il Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua e tre abbozzi
dell’Infinito (questi sicuramente falsi).
Smascherare falsari, eliminare testi spuri è evidentemente operazione preliminare a qualsiasi ricerca
e non solo nel campo degli studi letterari.
Problemi di attribuzione sono all’ordine del giorno, soprattutto con i poeti antichi. Le vicissitudini
della tradizione manoscritta riguardano non solo il testo, ma anche le rubriche contenenti il nome
dell’autore: per esempio basta che un copista ne abbia omessa erroneamente una, perché il relativo
componimento assuma paternità indicata dalla rubrica precedente.
Quanto ai problemi di datazione, l’esame della scrittura costituisce spesso una fase rivelatrice della
ricerca: nel caso di codici antichi la perizia paleografica procede di pari passo con l’esame del
colorito linguistico, della filigrana, della rilegatura, ma spesso occorre accontentarsi di un modesto
grado di approssimazione. A più precise ipotesi si arriva ovviamente quando si ha a che fare con
manoscritti provenienti da centri scrittori ben documentati.
Una perizia linguistica è di solito utile al fine di localizzare piuttosto che di datare un testo.
Pur con queste riserve, fondandosi su testi di carattere documentario, verosimilmente non lontani
dall’uso vivo, si possono fissare, accanto a coordinate geografiche, anche alcune coordinate
cronologiche.
Accanto a singoli fenomeni la cui presenza o assenza risulta significativa dal punto di vista
cronologico, esistono modificazioni macroscopiche dell’assetto linguistico territoriale che
consentono un primo orientamento. A stringenti approssimazioni si arriva però solo quando è
possibile trovare uno o più precisi punti di riferimento cronologico.
In mancanza di meglio ci si accontenta di conoscere la data della morte di uno scritture per fissare
se non altro il termine ante quem delle sue opere. Tuttavia, soprattutto per la letteratura antica,
mancano spesso elementi risolutori ed è forte la tentazione di immaginare una più o meno lunga
preistoria, un’originale insomma molto anteriore alla data del più antico testimone.
Ad un testimone datato si fa certo buona accoglienza, ma è meglio non fidarsene ad occhi chiusi.
Capita infatti che un copista trascriva col testo anche la data che si trova all’inizio o alla fine del suo
antigrafo. Prudenza occorre anche con le stampe per le quali falsi luoghi, ma anche false date
abbondano nei periodi di repressione censoria.
La data pone infine problemi quando è espressa in uno “stile” nel quale l’anno non inizia col primo
di gennaio.
A tali peculiarità bisogna prestare attenzione, perché trascurandole capita di incorrere in equivoci o
di lasciarsi sfuggire preziosi indizi.
Storia della tradizione
I testimoni sono strumenti per arrivare alla conoscenza dell’opera tramandata così come fu<