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DANTESCA (ABA BCB CDC...)
Rime replicate hanno la forma ABC ABC riscontrabili nei PIEDI DELLA
CANZONE o NELLE TERZINE DEL SONETTO
Rime invertite ABC CBA
Ritmica: in quanto la ripetizione di segmenti sonori in posizioni chiave è
3. un elemento rilevante del ritmo del testo. Questa funzione si può dire
anche associativa in quanto la ripetizione dei suoni associa tra loro due o
più parole ponendoli in una relazione. Il modo in cui questa relazione si
stabilisce è un tratto importante della forma stilistica di ogni poesia in
rima e dello stile dell'autore: è sempre significativo il rapporto tra la
→
somiglianza delle parole in rima e la loro maggiore o minore diversità di
senso, la loro diversa funzione nel contesto, la prevedibilità o meno
dell'accostamento.
Tipologicamente si oppone la rima facile alla rima difficile(“cara”).
→
Facile è la rima per la quale sono disponibili nella lingua molte parole,
difficile è la rima per la quale poche sono le parole disponibili.
Altri tipi di rime:
Rima derivativa quando di due parole che rimano una deriva dall'altra
– →
(degna:disdegna)
(considerate rime facili)Rima desinenziale mentire:dire
– →
Rima suffissale per cui tutti gli avverbi in “-
→
mente” rimano tra loro
Rima equivoca parole omofone di senso diverso (Es. minor parte:si
– →2
parte)(l'uso sistematico di tale rima è tipico della tradizione duecentesca
dei Siciliani, di Guittone, di Monte Andrea)
Rima equivoca contraffatta Rima equivoca , nella quale però uno dei
– →
due omofoni è ottenuto sommando due parole in un solo gruppo fonetico
(Es. Petrarca: m'ai:mai) Antonio da Tempo chiama questo tipo di
equivocazione equivocus compositus.
Rima identica una parola rima solo con se stessa (Es. Divina
– →
Commedia, “Cristo” rima solo con se stesso)
Rima aretina (Guittoniana) nella poesia antica, estensione della rima
– →
siciliana: rima di (i) con (e) aperta oltre che con la (e) chiusa, e di (u)
con (o) aperta oltre che con (o) chiusa.
Rima bolognese fenomeno analogo alla rima siciliana, motivato dalla
– →
fonetica bolognese: es Lume:nome perché in bolognese lume suona lome
Rima caudata Negli schemi che comprendono all'interno o alla fine
– →
della strofa, versi minori detti code, la rima di questi versi tra loro. Lo
stesso nome di può dare alla rima del verso breve del serventese
caudato, che anticipa la rima dei versi lunghi della strofa successiva.
Rima ciclica Lo schema di rime per cui le rime ruotano nelle diverse
– →
posizioni della strofa da una strofa all'altra. Sono forme di rima ciclica la
retrogradazione incrociata della sestina lirica e lo schema della canzone
ciclica.
Rima composta Forma di rima ottenuta sommando sotto un solo
– →
accento (anche modificando l'accentazione normale) più elementi
lessicali in fine di verso. Es non chi ha, da pronuncia nòncia, in rima con
oncia e sconcia (Inferno)
Rima continuata Sequenza di versi tutti sulla stessa rima AAAA... può
– →
dar luogo a una strofa monorima o a una lassa.
Rima costante Negli schemi strofici in cui le rime sono innovate di
– →
strofa in strofa, una rima che invece si mantiene costante. Tipiche delle
ballate e delle laudi x aaax bbbx...
Rima estrampa (o dissoluta) termine provenzale: indica una rima
– →
irrelata entro una stanza di canzone (non rima con nessun verso nella
stessa stanza), ma che trova corrispondenza nelle altre stanze nella
stessa posizione (Es. rimano tra loro i sesti versi di tutte le stanze), o in
posizioni diverse (es. nella Sestina lirica)
Rima francese la rima, esistente nella poesia italiana antica, di (a) con
– →
(e), quando entrambe siano seguite da una nasale, seguita a sua volta
da un'altra consonante (es. anza:enza)
Rima inclusiva una rima tra due parole, una delle quali è inclusa
– →
foneticamente nell'altra, anche in assenza di rapporti di derivazione. (es.
arme:aitarme = armi:difendermi)
Rima ipèrmetra Rima di una parola sdrucciola con una piana, che
– →
sarebbe perfetta sopprimento l'ultima sillaba della parola sdrucciola
(L'ipermetria, la sillaba in più, riguarda solo la rima, non il verso, per la
misura del quale conta la posizione dell'ultimo accento, che non muta,
Es. amico:canicola Montale)
Rima irrelata la terminazione di un verso che non rima con altri nel
– →
testo. Il concetto di rima irrelata ha senso solo all'interno di schemi in cui
almeno una parte degli altri versi siano in rima.
Rima per l'occhio L'identità grafica, ma non fonetica della parte finale
– →
di due versi. Es. mondo: comandò
Rima piana una rima in cui la vocale tonica è seguita da una sola
– →
sillaba atona. Normalmente si identifica con una parola piana, ma può
risultare anche da una rima composta o per l'occhio.
Rima retrogradata schema per cui le rime di una strofa riprendono le
– →
rime della precedente all'inverso, e così di nuovo nella successiva. Forma
di retrogradazione semplice è quella delle terzine del sonetto CDE EDC
(rima invertita) si dice retrogradato, ma con retrogradazione incrociata lo
schema della Sestina lirica.
Rima sdrucciola Una rima in cui la vocale tonica è seguita da due
– →
sillabe atone, si identifica normalmente con una parola sdrucciola. Da
Chiabrera in poi esiste l'uso di considerare i versi sdruccioli come se di
fatto rimassero tutti tra loro.
Rima siciliana propriamente, rima di (e) chiusa con (i) e di (o) chiusa
– →
con (u) motivata dalla fonetica siciliana. Il termine si usa anche più in
generale per ogni rima di (e) con (i) e di (o) con (u). un'estensione è la
rima guittoniana.
Rima tronca Una rima in cui la vocale tonica appartiene alla sillaba
– →
finale del verso, normalmente si identifica con una parola tronca. (per
ragioni storiche distinzione tra rime tronche in vocale “artù” e tronche in
consonante “amor” queste ultime tipiche dal '500 all'800
→
Isosillabismo = il principio per cui i versi si equivagono se hanno lo stesso
numero di sillabe. Nella poesia italiana e romanza l'isosillabismo consiste
nell'identità di posizione dell'ultima sillaba tonica: due versi hanno stessa
misura (sono lo stesso verso) se hanno l'ultima sillaba tonica nella stessa
posizione.
Anisosillabismo = oscillazione nella misura sillabica dei versi (in genere di una
sillaba,al max 2 in più o in meno rispetto alla misura di base)propria di certi
tipi di versificazione, cm quella giullaresca o delle laudi.In qst tipi di
versificazione,versi ke differiscono tra loro x tale oscillazione si considerano
varianti dello stesso verso(8nari e 9nari come varianti dell'otto-novenario)
Classificazione dei versi:
Endecasillabo: verso che ha come ultima sillaba tonica la 10°. È il verso
• più importante nella tradizione poetica italiana. Nella forma normale della
poesia italiana (“endecasillabo canonico”) ha tonica almeno o la 4°(tipo a
maiore) o la 6° sillaba (tipo a minore) (la 4° e la 6° possono essere
entrambe toniche ma non entrambe atone).
Nei versi con accento sulla 4° e non sulla 6° è normale che un
→
secondo accento cada sull'8°.
Forme non canoniche con la 4° e 6° sillaba atone si trovano nella poesia
delle origini; nella poesia del '300 '400 sono rare. Dopo la definitiva
codificazione di Bembo tali forme non canoniche riemergono nella poesia
del 1900 dove si usa un verso sul quale hanno influito l'endecasillabo e il
verso libero.
Endecasillabo falecio verso latino, usato in particolare da Catullo, detto
→
anche solo endecasillabo o falecio. Rolli (1700) porta al successo il suo
verso costituito da un doppio quinario sdrucciolo + piano, che equivale a
un endecasillabo perché ha nel totale l'accento sulla decima:
endecasillabo rolliano. Non è però una forma canonica dell'endecasillabo
italiano.
Endecasillabo a Maiore ha accento principale sulla 6° sillaba, il ritmo
→
iniziale del verso corrisponde a quello di un settenario. Prima parte
maggiore della seconda. (2°-6°-10° oppure 3°-6°-10°)
Endecasillabo a Minore ha accento principale sulla 4° sillaba, il ritmo
→
iniziale del verso corrisponde a quello di un quinario. (i due schemi più
comuni sono quelli con accenti su: 4°-8°-10° e quello su 4°-7°-10°. il
più frequente è il primo tipo)
Endecasillabo sciolto forma metrica di tutti endecasillabi senza rima, in
→
uso in Italia a partire dal 1500. le terminazioni identiche cadono a
sufficiente distanza per non generare rima.
Decasillabo: verso la cui ultima sillaba tonica sia la 9°. accenti fissi sulla
• 3°, 6°, 9°. Questo tipo che si può dire canonico è rimasto legato all'uso
di Manzoni Es. nel “Conte di Carmagnola” → S'ode a destra uno squillo di tromba
Novenario: verso la cui ultima sillaba tonica sia l'8°. Verso non molto
• coltivato nella tradizione italiana fino al 1800, il novenario si è affermato
in quel secolo nella forma con accenti fissi sulla 2°,5°,8°.
Ottonario: ultima sillaba tonica sia la 7°. il tipo canonico ha accenti fissi
• sulla 3°,7°.
Settenario: ultima sillaba tonica sia la 6°. Prima di quest'ultima, il verso
• contiene di norma almeno un altro accento, ma in posizione del tutto
libera. Il settenario può essere sentito come parte (primo emistichio a
maiore o secondo emistichio a minore) dell'endecasillabo.
Senario: ultima sillaba tonica sia la 5°. forma canonica ha accenti fissi di
• 2°, 5°.
Quinario: ultima sillaba tonica sia la 4°. il primo accento può cadere sulla
• 1° o sulla 2°, eccezionalmente può cadere sulla 3°.
Quadrisillabo (o quaternario): ultima sillaba tonica sia la 3°. Di solito tale
• verso è usato in combinazione con altri versi.
Trisillabo: ultima sillaba tonica sia la 2°.
• Doppio quinario: si distingue dal decasillabo per la costanza della
• divisione tra primo e secondo emistichio e dell'accento sulla 4° sillaba.
Doppio senario: fa parte del repertorio di versi fortemente ritmici cari alla
• poesia romantica. Es primo coro