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Come hanno fatto i duchi di Ferrara a perdere il dominio: l’hanno perso sopraffatti da casi
straordinari, per coalizioni politiche molto più potenti di loro. Il Principe nuovo da un lato istituisce il
governo nuovo (percepito come oltraggio) quello ereditario non colpisce la popolazione. Nell’istituire
lo stato nuovo c’è sempre la violenza e Macchiavelli la registra con serenità. Anziché graduare la
violenza nel tempo, viene percepita di più, se si fa tutta insieme dopo un po’ viene dimenticata.
Vizi: termine che vuol dire inefficacia nell’azione politica. “Se non ci sono vizi particolari” azioni di
governo che lo rendono orgoglioso, forse allude agli Antonini che istituiscono il principato ereditario
con Marco Aurelio e Commodo: Antonini tutti filosofi e buoni fino alla depravazione di Commodo.
Quando un dominio è antico (dura nel tempo) e continuato il desiderio di innovare viene meno.
Quando si cambia un qualcosa l’effetto è come l’addentellato (una specie di sporgenza nel muro che
serviva per costruire accanto un muro per farlo reggere si attaccava a questi denti e il muro diveniva
più solido e si poteva costruire accanto un altro muro) e si arriva ad un ciclo continuo. L’animo umano
è conservatore e quando ci si stabilizza non si vuole cambiare più. Questo capitolo due parla di
principati ereditari, l’argomento che gli interessa meno.
Virtù: efficacia dell’azione politica.
- Cap. III: Ma avversativo con ingresso in medias res vuole indicare il passaggio alla materia più
importante, poiché parlerà del principato nuovo. Il principe ereditario, il modo in cui va istruito
scolasticamente e politicamente è oggetto di una trattazione di un’opera di questi anni “Institutio
principi cristiani” di Erasmo da Rotterdam che pubblica e stampa nel 1516, fu stampato a Venezia nel
1518 e a Firenze nel 1519. Erasmo ricevette una laura honoris causa a Torino e passò poi nel 1505 a
Firenze, viene accolto con tutti gli onori, fa una conferenza pubblica negli Orti Oricellari e
probabilmente Macchiavelli era presente in quel momento a sentirlo, essendo un funzionario statale
(dato che la conferenza era rivolta a personaggi illustri e letterati). Erasmo parla di repubbliche e
principati (possono essere elettivi e ereditari), la situazione consueta era del principato ereditario e
parla per questo di esso, parlando anche dell’educazione del figlio (Erasmo parla di tutto ciò di cui
Macchiavelli non parla poiché Erasmo viveva dall’Imperatore di Asburgo non contemplando rovesci
del potere, mentre Macchiavelli in un’Italia instabile interessa un principe nuovo che metta equilibrio
nella penisola).
- Cap. XV : la divisione in due parti non implica la ripresa in tempi successivi, ma alla cesura corrisponde
le fila del discorso lasciato in sospeso. Ragioni di elogio e biasimo dei principi. Amici: uomini notabili
dello stato. I sudditi: quelli di rango inferiore. Ho il timore di essere considerato presuntuoso perché
mi allontano nel trattare l’argomento dagli ordini degli altri. Raffinatezza retorica inusuale. Parla in
modo nuovo di un argomento già toccato. Nel proemio l’autore dice di parlare in modo nuovo
(Alberti: non si dicono più cose in modo nuovo, ma in modo diverso) e originale. Giustifica questa sua
affermazione dicendo che avevano l’intenzione di scrivere qualcosa di utili a chi capisce quello che
dice, preferisce andar dietro alla realtà dei fatti piuttosto che all’immaginazione della cosa, parlerà
di un principe che può essere. Riparla ora di Repubbliche e Principati che nessuno ha mai visto nella
realtà. C’è una tale differenza tra il comportamento della realtà quotidiana e politica da come
sarebbe teoricamente giusto vivere che chi abbandona il modo reale di vivere a favore dell’ideale
impara non la sua durata, ma la propria rovina. Macchiavelli tocca la natura umana non solo politica
(il vivere diverso dal come si dovrebbe vivere) in questo capitolo: Macchiavelli ha l’idea della morale
molto spregiudicata. Non separa l’etica della politica perché l’etica non esiste per lui. Non si agisce
in base a principi ma in base alla necessità. Questa verità effettuale è contrapposta all’utopismo.
Tutti gli uomini, in particolare i principi (sono un sottoinsieme non diverso perché sono posti più alti
e quindi più in vista) si attribuiscono qualità lodevoli o biasimevoli (pensiero che nasce da Seneca nel
De Clementia ed è un pensiero che ritroviamo nel libro di Erasmo, ma lo tratta diversamente: poiché
i principi sono più in vista hanno più responsabilità e deve essere un modello). Non si dovrebbe
parlare solo di distinzioni nette tra buoni e cattivi. Effeminato e pusillanime (rinvia a categorie
deteriori) feroce e animoso (non è esattamente l’opposto positivo ma è un estremo opposto, la virtù
sarebbe mediana). Sa bene che uno direbbe che si trova bene con un Principe dalle qualità solo
positive: ma dato che le qualità buone non possono rispettarsi tutte per la natura dell’uomo è
necessario essere tanto saggio da riuscire a fuggire la cattiva fama derivante da solo quei vizi che gli
toglierebbero lo stato e gli nuocciono in politica e da quei vizi che non producono rovina in politica
guardarsi se possibile, ma non potendo si possono lasciar andare. Alcune cose che sembrano virtù
possono essere deleterie in politica, mentre alcuni vizi permettono il mantenimento del potere.
12/10/2018
- Cap. XV: introduce la seconda parte (non ancora concepita nel 1513) dell’opuscolo, ha parlato delle
cose preannunciate nell’indice iniziale e a Vettori. Ora parla di politica interna. Macchiavelli mette al
centro la dichiarazione di originalità perché Livio nelle Storie esordisce con un proemio (che manca
in Macchiavelli all’inizio), ma quando inizia a parlare delle guerre puniche confeziona un nuovo
proemio interno. Il Principe non è stato mai concepito come scritto umanistico ma come parere
(seppur non richiesto) politico. Polemica contro gli scritti utopistici (Utopia di Tommaso Moro
probabilmente non è stato mai letto da Macchiavelli, descriveva uno stato ideale). “Molti hanno
immaginato repubbliche e principati…descritto comportamenti del principe non reali tra gli uomini”:
la polemica, essendo generica può coinvolgere chiunque, da Platone a Seneca (De Clementia),
l’Istitutio principis da Petrarca ai scrittori encomiastici rinascimentali (per ingraziarsi il principe si
riferiscono a determinati comportamenti). Petrarca che fa l’elogio a Roberto D’Angiò che poi
incoronerà Petrarca dell’alloro poetico (in un periodo poco attivo per la sua produzione letteraria).
Al re di Napoli, 100 anni più tardi Giovanni Pontano dedica una istitutio principis dove spiega come il
principe buono deve comportarsi accompagnando con elogio. La letteratura politica aveva avuto
delle inflazioni, gli umanisti Leon Battista Alberti e Poggio Bracciolini criticavano il potere, dicendo
che esso rende malvagi (Poggio estende il discorso anche alle repubbliche) e l’uomo finirà per
comportarsi nel peggiore dei modi. Poggio Bracciolini ne “L’infelicità dei principi” spiega che non è
mai esistito un principe buono: in cima alla lista ci mette Augusto ed elenca tutti i suoi misfatti.
Macchiavelli sa che Platone aveva scritto riguardo alle repubbliche (siamo certi che lo conosceva), il
De Repubblica di Cicerone non era ancora tornato alla luce. Macchiavelli esprime una polemica viva:
ce l’ha con la letteratura utopistica in termini vibranti (non si indigna, ma ce l’ha con qualcosa che si
legge correntemente): l’elenco delle virtù e dei vizi del principe di Macchiavelli fa comprendere come
lui crede che bisogna che coesistano sia vizi che virtù, non potendo l’uomo essere inattaccabile e per
l’ambiguità di alcune virtù che sono in realtà vizi. L’elenco non è quindi unidirezionale e un elenco
doppio: la cosa esiste nel “Libricino del principe cristiano” di Erasmus da Rotterdam del 1516
(Svizzera, anche se poi uno dei più venduti in tutta Europa, in Italia dalla tipografia Giunti, seguiti ad
Aldo Manuzio) fa elenchi ripresi da Giulio Pollùce uno sulle virtù del principe e l’altro sui vizi dei
tiranni. Erasmo avrà una polemica con Lutero sulla questione del libero arbitrio e ciò provocherà
un’ostilità verso Erasmo nei paesi appena riformati. Di lì a poco Erasmo finirà all’indice dei libri
proibiti e diverrà prima malvisto in area riformata, poi rientra nei libri proibiti nell’area cattolica (che
invece si leggevano in area riformata). A volte troviamo inventariati alla morte di un letterato i libri
posseduti in biblioteca (es. Poggio Bracciolini), altre volte non è notarile (es. Petrarca, elenco dei libri
Peculiares ovvero preferiti, quando era ancora abbastanza giovane). Riesce difficile che un uomo
interessato alla politica , versato nelle lettere, nella Firenze del Rinascimento, in contatto con famiglie
regnanti, che ha conosciuto Erasmo da Rotterdam, polemizzi prima della stesura del Principe.
Macchiavelli ha voluto polemizzare con Erasmo? Essendo un personaggio estremamente noto è
probabilissimo, avrebbe senso (non è una prova oggettiva). Il capitolo XV è uno dei pochi
capitoli(insieme al capitolo 26, esortazione a riconquistare l’Italia e non aveva senso se pensiamo al
dedicatario) non presenti in quel plagio traduzione del Principe di Macchiavelli da Nifo “De regnandi
peritia” con data di stampa nel 23. Nifo non mette il cap.15 non perché era un po’ scomodo (il 18
era ben più pesante, come l’8 che era l’elogio di Agatocle e Oliverotto da Fermo che conquistano il
potere con lo spargimento di sangue, eppure tutti questi non sono stati eliminati da Nifo),
probabilmente invece non l’aveva trovato perché nella data d’acquisizione del manoscritto di Roma,
il capitolo 15 non era presente: era stato sicuramente scritto alla fine il 26 (per l’esortatio), il 15
invece forse poiché si voleva fermare al 7 con il capitolo del Valentino, il capitolo 8 sulla violenza e il
9 sul principato civile (conquistato in modo pacifico), nel 10 parla delle milizie fino al 14 (corpo a sé
stante), ricordiamo che sono appunti presi via via, non possiamo dire chi precede e chi segue: si
accorge che ha formato due parti e il 15 fa da collegamento e lo scrive ugualmente alla fine (il
proemio si scrive sempre alla fine) e la datazione ci porta al 1516 (esce il libro di Erasmo) – 1519 (esce
a Firenze, certamente in questa data Macchiavelli lo conosce). Dato che Nifo voleva solo sfruttare
l