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Estratto del documento

O

x

A B C D E F

2. Abbiamo sempre sei testimoni, ma nello stemma ora compare una a: con le lettere minuscole si

indicano per convenzione gli interposti o subarchetipi. A e B avranno un errore comune, e dunque

congiuntivo rispetto a loro due e separativo rispetto agli altri.

Sia ben chiaro che a non esiste più, ma la sua esistenza va postulata per ipotizzare l’antecedente

comune e spiegare logicamente perché abbiano un errore comune. È un relitto di naufragio.

O

x

a C D E F

A B

3. C, D, E ed F hanno un errore in comune di valore congiuntivo ed allo stesso tempo separativo nei

confronti di A e B; inoltre E ed F hanno un errore congiuntivo tra loro e separativo rispetto ad A, B,

C e D. Ovviamente devono avere un errore loro proprio separativo che fa escludere che gli altri

O

x

a b

A B C D c

E F

siano derivati da lui.

Ma a cosa servono gli stemmi?

Per chiarire tale questione, bisogna partire dal fatto che da ogni collazione, oltre ad individuare una serie di

errori – da distinguere tra errori-guida e poligenetici – emergerà anche un certo numero più o meno alto di

quelle che si chiamano lezioni adiafore, cioè lezioni equivalenti, che anche ad un esame attento del testo

risultano entrambe accettabili, indifferenti, e nessuna delle quali risulta palesemente erronea. Nel passato,

prima del metodo stemmatico, venivano risolte in base ai criteri soggettivi degli editori, scegliendo quella

che per loro era la più bella.

ATTENZIONE: le concordanze si basano sull’errore, non sulle lezioni comuni!

Esempio: canzone di Mazzeo di Ricco, della scuola siciliana, Amore, avendo interamente voglia

Tradizione a tre testimoni: O

 A, B: eo so k’eo n’agio doloroso core

 C: eo so k’eo n’agio adolorato il core A B C

Dal punto di vista metrico, lessicale, etc. non si può dire quale delle due lezioni sia corretta. In tal caso si

farà valere la legge della maggioranza: essendo attestata una lezione in due casi su tre, si farà valere quella

(solo però se tutti e tre sono discesi direttamente dall’originale). Già in Bengel, grande filologo biblico del

Settecento, si trova tale regola; in seguito viene applicata da Karl A B

Lachmann. O C

La legge della maggioranza non varrebbe se lo stemma fosse così:

Ma se io magari ho due testimoni, come si fa?

Finisce in pareggio. Si basa tutto su un calcolo logico-probabilistico.

In caso di lezioni adiafore… O

 A, B: vago

 C, D, E, F: caro x

Non si può applicare la legge

della maggioranza: il risultato

è 1:1, perché A e B derivano a b

comunque da a, e C, D, E ed F

derivano comunque da b. A B C D c

Se invece…

 C, D: vago E F

 E, F: caro

Si applica la legge della maggioranza, facendo vincere vago, perché si trova in più casi: perché E ed F

valgono per c, quindi come un caso contro due.

Sicuramente, in a e b sono confluite le varie lezioni. Dunque in caso di scontro tra a e b sono pari.

Come ha osservato nei primi anni del Settecento Joseph Bedier, nella gran parte delle edizioni critiche

romanze, la grande maggiorana degli stemmi sono bipartiti, ovvero all’inizio abbiamo due grandi famiglie.

In questa situazione non si può applicare la legge della maggioranza, e dunque si torna alla situazione

precedente – ad una scelta affidata al iuditium del critico testuale, ovvero soggettiva. Per questo motivo

Bedier contesta il metodo stemmatico-Lachmanniano: scegliendo una volta a ed una volta b, si viene a

creare una cosa che somiglia al vestito d’Arlecchino, cioè un testo non storicamente attestato.

Se non posso applicare la legge della maggioranza, cosa faccio?

Tento di applicare due criteri non meccanici:

 Usus scribendi, ovvero può essere scelta in base a quale delle due si avvicina di più alle abitudini

linguistiche e stilistiche dell’autore o della sua epoca: sono pochi i casi nei quali si può adottare

precisamente. Presuppone notevoli competenze in ordine linguistico.

 Lectio difficilior, ovvero tra due lezioni adiafore si sceglie quella che presenta caratteri di maggiore

difficoltà, di fronte alla quale uno o più copisti abbiano potuto reagire banalizzandola o

trivializzandola, e trasformandola in un termine di più facile comprensione.

 Commedia di Dante, Inferno, I canto. Dopo l’apparizione del leone, che provoca la reazione

Questi parea che contra me venisse

con la test’alta e con rabbiosa fame,

sì che parea che l’aere ne tremesse/temesse. (vv. 46-48)

sono due lezioni che potrebbero essere entrambe originali: si punta sulla lectio difficilior. L’aria

che trema poteva essere trovata in poeti classici, ed inoltre nel suo primo amico e maestro

Cavalcanti scrive in un sonetto:

Chi è questa che vèn, ch’ogn’om la mira,

che fa tremar di chiaritate l’âre

Sarà più accettato tremesse, essendo più difficile, essendo un congiuntivo scorretto ed avendo

attestazioni molteplici.

 Mandragola di Machiavelli, due testimoni: uno manoscritto ed uno stampa.

- Questi frati sono tanto cattivi, astuti

- Questi frati sono trincati, astuti

Il secondo termine deriva dal gergo cinquecentesco, che serviva per l’identità di gruppo, vivo

nel napoletano odierno, e significa smaliziato, furbo: quest’ultima sarà la lectio difficilior. Un

copista non cambierebbe mai tanto cattivi in trincati, è più probabile il contrario. Oppure, se

fossero stati usati titula e dunque trĩcati fosse stato trascritto in modo errato tňcati, si può

essere arrivati a tanto cattivi.

In filologia, comunque, non ci sono certezze.

Posto che più spesso si verifica di avere stemmi ripartiti, Bedier pone una proposta costruttiva: si scelga tra

i testimoni della tradizione quello che si ritiene il codex optimus, il miglior manoscritto, e si utilizzi quello

per l’edizione critica del testo. Questo con meno errori: e quei pochi presenti, che vengano corretti.

Bedier era stato allievo di Gaston Paris (pronuncia /Paris/), filologo romanzo francese, che tra i primi aveva

usato il metodo stemmatico; Bedier all’inizio aveva seguito il maestro, poi a distanza di anni (1913) riedita

lo stesso testo che aveva editato stemmaticamente attaccando tale metodo (nel 1928 attacca

definitivamente il metodo lachmanniano) ed optando per un testo optimus corretto solo nei punti erronei.

Visto che il testo stemmatico non è storicamente documentato, meglio basarsi su un testo realmente

esistito, che almeno ci dà la certezza che così fu circolato un tempo. Tale ipotesi fu un successo in Stati

Uniti, Francia ed Inghilterra

La filologia italiana si rifà a Michele Barbi, padre della filologia italiana, che nel 1907 allestì una

fondamentale edizione critica della Vita Nova, testo ricostruito stemmaticamente. Poi arrivò Contini, che

scrisse Il ricostruito è più vero del documentario in risposta a Bedier, del quale segui i corsi a Parigi: anche il

miglior manoscritto non ci dà alcuna garanzia che corrisponda all’originale. Ha più probabilità d’avvicinarsi

un testo arlecchinesco.

---

Contaminazione

Tutte le volte che disegniamo uno stemma, diamo per scontato che un copista copi un testo da un unico

esemplare. Quando invece accade per una molteplicità di ragioni che un copista copia il suo testo non da

un unico esemplare ma da due o più testi, non si ha più quella che si considera la trasmissione o tradizione

verticale ma abbiamo come risultato una copia che è resa figlia di più di un padre (solitamente un padre ha

più di un figlio, ma ciascun figlio ha un solo padre). Quando si verificano questi casi abbiamo un fenomeno

di contaminazione, che crea l’instabilità degli stemmi, perché attraverso la contaminazione un determinato

testimone può in certi punti far parte di un gruppo che reca non i suoi stessi errori ma altri ancora; che

qualche errore venga ad essere sanato – e dunque sembrare appartenente ad un altro.

Ipotizziamo che il copista abbia usato come base b, ma in certi casi abbia fatto capo ad a. Se ciò è accaduto,

e dunque abbia fatto uso di contaminazione, ipotizzando che C usando saltuariamente b ne abbia beccato

un errore, C sembrerà derivare da a, e dunque per quel punto del testo ci sarà a tripartito. Dunque lo

stemma sarà instabile, cioè in alcuni casi C sarà risalibile a b ed in altri ad a: si indicherà con una linea

tratteggiata. O

Se invece dovesse correggere

alcuni errori di b ma non tutti, in X

quei punti in cui C ha corretto

alcuni errori di b ma non tutti, b

dobbiamo pensare che gli errori a

presenti in E ed F si siano prodotti A B C D c

in y. E F

O

X Il problema dell’instabilità dello

stemma è che esso non

funzionerà più per tutto il testo:

b

a se i fenomeni di contaminazione

sono isolati, basta la linea

A B C y tratteggiata; se invece sono

presenti in modo diffuso, non è

C c possibile disegnare uno stemma,

perché gli errori di natura

E F separativa sono stati corretti.

In questi casi, dove non è possibile disegnare uno stemma univoco, si preferisce usare il manoscritto meno

contaminato (che non è un codex optimus). Gran parte dei testi

classici sono contaminati. A

Bedier chiama gli stemmi silva portentosa, in quanto si creano una O X B

miriade di alberi genealogici bipartiti. C

Ipotizziamo che C sia stato scritto dopo (dunque linea più lunga), e

che il copista di C abbia avuto a disposizione non solo l’archetipo, ma anche C. Immaginiamo che si sia

verificata la contaminazione. Se attraverso tale contaminazione il copista di C ha ereditato uno solo degli

errori di B di valore congiuntivo, noi disegneremo lo stemma così:

A

O X B

y C

Se però il copista di C sia stato tanto abile da correggere anche un solo errore dell’archetipo X, la tradizione

diverrà tripartita: A

y

O X B

C

Ma se invece da A sono cadute alcune carte, lo stemma sarà così:

(si, è uguale al primo. Ma ciò che conta è che si passa da uno schema tripartito ad uno bipartito)

A

O X B

y C

Correzioni di diffrazione

Abbiamo sempre fatto esempi di lectio difficilior nei quali si contrapponevano due lezioni (-> trincati/tanto

cattivi). A volte però una lectio difficilior può essere stata semplificata in diversi modi da diversi copisti (ne

parla Contini), ma abbiamo diverse lezioni che rappresentano diversi casi di banalizzazione.

 Commedia, Dante, Paradiso, canto XIV, vv. 19-21

Di quella ch’io notai di più bellezza/carezza/certezza/chiarezz

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A.A. 2016-2017
37 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/13 Filologia della letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ASilviaLeop di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filologia italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Comboni Andrea.