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Cerveteri è un semi-protettorato romano e ha quindi un rapporto privilegiato. Altra città confinante
con i domini romani è Vulci.
Tarquinia vede uno sviluppo delle aristocrazie gentilizie, che adottano una politica di ripresa dei
vecchi costumi per un certo verso sopiti durante l’età classica: la città effettivamente costituisce la
città più potente nell’Etruria meridionale, come evidente da alcune testimonianze come gli elogia
tarquiniensia. In questo senso Tarquinia raggiunge anche la massima sfera di controllo, dalla costa
fino al confine con Cerveteri, mentre sui monti della Tolfa il confine rimane mobile: tutta la
provincia di Viterbo, fino alle sponde di Bolsena, i territori sono sottomessi, entrando in contatto
con Volsinii.
All’inizio della guerra la città è quindi nel suo apogeo e lo scontro con Roma si risolve militarmente
in un pareggio, ma dal punto di vista politico deve fare alcune prime concessioni. Con il 281-280
a.C. si ha la sconfitta definitiva, che coinvolge anche Vulci.
Nel 264 a.C. Roma prende Volsinii, città del santuario federale, e il bottino è grandissimo: l’azione
religiosa e politica è forte, perché il dio Voltumnus è evocato, cioè il culto è trasferito a Roma e il
dio diviene parte del pantheon romano, una pratica dal punto di vista ideologico molto forte, perché
manifesta uno scarto culturale forte e un annessione vera e propria del vinto.
Talamone è una località in provincia di Grosseto e il ciclo figurativo dei sette contro Tebe, presente
già sull’antepagmentum del tempio di Pyrgi e nella tomba Francois di Vulci, si mostra diffusissimo
già nelle epoche precedenti, ma in modo capillare durante l’ellenismo, soprattutto sulle urnette e sui
sarcofagi. A questo tema iconografico sono state date varie interpretazioni: a Pyrgi è stato visto
come messaggio di monito a chi giunge dal mare e in generale vuole essere un messaggio di
concordia, di fronte comune tra gli Etruschi tutti di fronte al nemico.
La novità dei rapporti con Roma in questo tempio è determinata dalla chiusura del frontone, diffuso
appunto con l’età repubblicana, fase non solo di scontro con Roma, ma anche di assimilazione: la
composizione di origine greca infatti spesso viene mediata da Roma.
La scena i Anfiarao che si ritira con il carro alla fine del combattimento lo presenta catturato dagli
inferi. Gli altri eroi sono tutti tracotanti, puniti con la morte per le loro azioni empie.
Ad Arezzo è rimasta pochissima parte della decorazione architettonica del Tempio della Catona,
ancora del II secolo a.C., ma è evidente da due teste di statua l’influsso greco nella resa dei volti:
l’arte coroplastica nel mondo etrusco-italico ha sempre avuto un filo diretto con i centri di
produzione campana, fortemente influenzata dalla grecità ellenistica.
L’arte ellenistica sembra essere recepita immediatamente dalle maestranze, che non dovevano
essere moltissime, ma piuttosto impegnate in più città a realizzare gli stampi a matrice, quindi sulla
base degli stessi modelli. I livelli di produzioni sono invece diversi, come evidente dalle stipi
ellenistiche, diffuse in tutto il mediterraneo da botteghe che producono in modo massiccio (molte
matrici sono state ritrovate consumate da molteplici produzioni). La committenza urbana di classe
sociale più elevata, invece, impegnata a livello politico, richiede produzioni di grandi botteghe
impegnate in un ambito decisamente più locale.
Nel caso di molte urnette e molti sarcofagi si vede una diminuzione dell’attenzione al dettaglio, data
la produzione in gran quantità: i coperchi sono spesso fatti allo stesso modo, tranne le teste, unite in
un secondo momento al resto, prodotte separatamente per le differenti richieste dei committenti o
per produrle in modo più accurato. Questo dimostra l’importanza del ritratto in questa fase, a partire
dal IV secolo e dal cambiamento della società (sull’influsso della cultura macedone e delle sue
consuetudini). Nelle urnette il volto diventa predominante, accompagnato ad esempio dagli attributi
del defunto, come un fegato nel caso di un aruspice.
La koinè artistica medio-italica, intuizione di Bandinelli, ha un fondo di verità e l’attenzione al
ritratto si mostra anche nella particolare resa dei difetti dei personaggi rappresentati.
In età ellenistica in Grecia, in Magna Grecia e nel mondo pre-romano le manifestazioni artistiche
sono analoghe soprattutto negli ex voto, concentrati soprattutto sulla tematica degli elementi del
corpo, come le rappresentazioni diffuse degli organi genitali per garantire la fertilità.
Da Civitalba, datato al tardo II secolo, proviene un frontone ellenistico con la scoperta di Arianna da
parte di Dioniso, tema diffusissimo.
L’arringatore di Perugia è stato variamente datato, anche con lo studio dell’iscrizione che riporta,
con il risultato di una data più antica attorno al 100 a.C.: si tratta probabilmente di una statua
celebrativa, con il nome di Aulo Metello, ad indicare i rapporti stretti con l’aristocrazia romana. Le
aristocrazie dovevano essere divise secondo una precoce politica romana del divide et impera,
anche se questo è archeologicamente poco documentato: Roma probabilmente tentava di dividere le
aristocrazie interne delle varie città, proponendo l’alleanza a una parte e trovano l’opposizione di
altre, con un operazione comunque diversa nelle diverse città. Ad esempio Tarquinia, dopo
l’emanazione delle leges de civitate, vede proprio una sostituzione della popolazione, o intenzionale
o per estinzione delle vecchie famiglie aristocratiche, con in opposto l’aumento di nomi etruschi
riconducibili ad altre famiglie di altre città e nomi italici o addirittura latini, all’insegna di un
meccanismo probabilmente messo in atto dai romani.
I cambiamenti sociali si riflettono sia nell’arte minore che in quella maggiore, fino ad arrivare al I
secolo a.C. in cui il linguaggio diventa veramente romano: cambiano gli attributi delle figure: ad
esempio una figura da Volterra veste una lorica a maglia romana. In tutte le manifestazioni artistiche
Taranto è la città della Magna Grecia che meglio fa da mediazione con il mondo greco.
Tuttavia il sostrato etrusco non scompare nel linguaggio figurativo: una figura da Sarteano mostrano
un giovinetto con bulla (attributo pienamente romano) seduto su due cavalli tenuti per il collo, uno
schema figurativo di tradizione millenaria (lo schema figurativo del despotes hippon).
L’Etruria meridionale è impegnata quindi in un limbo di lotta militare e dal 181 a.C., data della
fondazione di Gravisca da parte dei romani, si sa che Tarquinia viene ormai a perdere del tutto il suo
potere, venendo esclusa dal dominio marittimo e dalle sue vecchie vie costiere di comunicazione
verso il nord, dove sorgono nuove colonie romane. In questo momento c’è quindi una nuova svolta
nei rapporti con le élites locali, che vengono tagliate fuori.
Da un certo momento Roma sembra portare anche a Tarquinia importanti cambiamenti: il piano di
Civita, zona di estrema importanza, con l’età ellenistica sembra mantenersi attivo, ma da un certo
momento pare essere totalmente dismesso e le strutture ancora attive sembrano essere chiuse
improvvisamente (come alcuni pozzi), con un chiaro intento di destinare a un altro uso o dismettere
totalmente l’area. Ad esempio un mosaico che faceva parte di un edificio non ben definito, che è
datato all’incirca nel II secolo, si trova all’ingresso dell’area di scavo e il luogo intorno sembra
essere stato ridestinato in fase romana: l’ultimissima fase, riconducibile al mosaico, è stata
ulteriormente interrotta per la distruzione dell’area, definitivamente chiusa, forse anche nell’età
augustea. Comunque si riscontra un momento traumatico: non è chiaro se l’origine sia un conflitto
con Roma, negato dalle fonti, che presentano dopo il 181 a.C. una situazione pacificata, o un
cambiamento legato a scontri interni; anche qui l’evidenza archeologica ci porterebbe ad essere
prudenti e solo ad ipotizzare gli scontri interni. 07/04/14
Il problema delle origini è rientrato nell’interesse degli studiosi di recente soprattutto per la scoperta
di affinità genetiche tra alcuni campioni etruschi e alcune ossa in Anatolia. Il dibattito vivo si
interseca tra le varie interpretazioni, la tradizione letteraria (come il mito di Tirreno), la provenienza
dal nord (la società di incineratori che darà origine al popolo celtico, dalla cultura hallstattiana a la
Tene), l’autoctonia. Pallottino, pur sostenendo con più favore la linea dell’autoctonia, ha
considerato la situazione da un punto di vista più complesso, parlando di formazione, come
dimostrano gli elementi concordanti con altre culture.
Sostanzialmente secondo gli etruscologi le analisi del DNA non supportano un cambiamento
massiccio della teoria di Pallottino.
La stele di Lemno, per la lingua, ha creato un altro problema interpretativo centrale negli studi:
l’innesto su popolazioni autoctone di una lingua come questa non porta in realtà a una modifica
dell’idea di formazione, come dimostra il Pallottino, perché l’appartenenza all’elemento
indoeuropeo, proveniente dal centro Asia in una fase cronologica portata addirittura alla fine del
Paleolitico, è comunque escluso, ma allo stesso modo l’inquadramento nelle lingue di sostrato,
definibili mediterranee, sopravvissute all’arrivo dell’indoeuropeo e autoctone, è da escludere, per la
particolarità dell’etrusco che difficilmente si presta a parentele; le somiglianze con la lingua lemnia
sono evidenti, ma limitate.
Per quanto riguarda lo sviluppo, la civiltà etrusca non è facile da definire in quanto tale: molti
studiosi sono restii a parlare di Etruschi e proto-etruschi nella fase villanoviana, a sua volta una fase
complessa e difficile da definire cronologicamente, soprattutto tra le varie zone dell’Etruria.
Con la facies villanoviana è però pur sempre evidente l’unità culturale almeno primitiva: il bronzo
finale (dal XII al X secolo) è la fase di sviluppo della cultura protovillanoviana incineratoria,
formata da insediamenti a mezza costa, collocati su pendii (in realtà gli ultimi studi stanno
dimostrando posizioni diverse di insediamento) e costituita, come osserviamo in modo generale dai
corredi, da una tendenza all’uniformità sociale.
Con la fase villanoviana, variamente datata a seconda delle posizioni (fine X secolo o prima, a
seconda delle scuole di pensiero), si crea una divisione in villanoviano I e II (la categoria III è
sostenuta da alcuni studiosi): la fase I arriva all’ultimo quarto