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GLI ETRUSCHI NEL TIRRENO

1. I primi contatti con le genti dell'Egeo

Rame, ferro, argento e allume abbondano nell'Etruria centro-meridionale, presso

gli accessibili massicci montuosi dei Monti della Tolfa, dell'Uccellina e delle

colline Metallifere e non è un caso che i centri più fiorenti furono quelli a diretto

contatto con questi bacini minerari. La disponibilità di metalli, già pienamente

sfruttati nel X-IX secolo come testimoniano i ripostigli elbani, rese possibile

migliorare le condizioni materiali della produzione agraria e degli

equipaggiamenti militari ed attirò l'interesse di naviganti fenici ed euboici sin dal

tardo IX secolo a.C.

I primi naviganti stranieri a giungere in Etruria furono tuttavia i Micenei, come

attestato dalla presenza di ceramica non pregiata databile tra il 1300 e il 1025 a.C.

a Luni sul Mignone, San Giovenale e Monte Rovello, dunque in luoghi

dell'entroterra che lasciano presupporre scambi non organizzati, nei quali il partner

straniero è principale attore.

Proprio all'influenza delle genti del Mediterraneo orientale può essere imputato

uno stimolo alle attività estrattive, che spiegherebbe la presenza di elementi egei

nella produzione metallurgica locale. I precoci contatti con esploratori, naviganti e

mercanti del bacino orientale del Mediterraneo stimolarono le genti dell'Etruria

agli scambi commerciali e all'espansione via mare. Fu difatti probabilmente per

mare che avvenne nel IX secolo a.C. la colonizzazione del Salernitano a partire

dalle città dell'Etruria meridionale costiera. testimoniata dal rinvenimento nei

pressi di Pontecagnano di un' urna a capanna e di elmi fittili a copertura dei

cinerari biconici, nonché dalle similitudini di armi e beni di prestigio.

La navigazione fu dunque attività fondamentale per lo sviluppo e la successiva

talassocrazia della nazione etrusca. Il commercio via mare con Fenici, Greci e

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Sardi, modificò lo stile di vita delle genti villanoviane e aiutò lo sviluppo della

società e dell'economia, accelerando i processi locali.

2. Rapporti con la Sardegna nuragica

Con il collasso della civiltà micenea giunsero in Sardegna artigiani ciprioti i quali

portarono innovazioni tecnologiche e diedero nuovo impulso allo sfruttamento

minerario per la produzione metallurgica, rendendo le popolazioni sarde partner

commerciali ideali dei centri dell'Etruria costiera.

Rapporti con la civiltà nuragica e quella etrusca sono testimoniati precocemente

dalla presenza di bronzetti sardi di una tomba femminile della necropoli di

Cavalupo di Vulci, della fine del IX secolo a.C., esito di movimenti di persone

ancora legati a episodi matrimoniali. Materiali sardi sono stati rinvenuti

nell'arcipelago toscano nonché nei centri di Santa Marinella, Tolfa e Monte

Rovello e, in associazione con oggetti ciprioti, nel tesoretto di Piediluco-

Contigliano (Terni). Sull'altro versante, in Sardegna, sono note fibule, asce e rasoi

etruschi di IX e VIII secolo a.C. Un caso particolare è costituito dalle “navicelle

sarde”, prodotte in Sardegna non oltre il IX secolo, ma oggetto di tesaurizzazione

in Etruria, tanto che vi compaiono in contesti fino VI secolo a.C.

Queste reciproche interferenze vanno riferite al ruolo giocato dalle zone minerarie

dell'Etruria ma anche alla obbligatorietà delle rotte di navigazione, effettuata

lungo le coste e tenendo la terra in vista. In questo un ruolo chiave svolse l'isola

d'Elba, testa di ponte tra il golfo di Follonica e le coste della Corsica, che si

collegavano a loro volta a quelle della Sardegna. Durante questa prima fase gli

scambi commerciali riguardano esclusivamente beni di prestigio e sembrano

basarsi su un rapporto politico e commerciale paritetico tra le classi emergenti

delle popolazioni nuragiche ed etrusche. Resta tuttavia scarsamente documentato

in questo periodo, precedente alla metà dell'VIII secolo, l'elemento fenicio: la

distribuzione areale di merci cipriote sull'isola non è concentrata ed è probabile

esito di un commercio non sistematico ed è probabilmente dovuta alla mediazione

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sarda la loro sporadica attestazione in ambito etrusco (a Piediluco). Una presenza

stabile dei Fenici in Sardegna è certamente databile a poco prima della metà

dell'VIII secolo: quasi contemporaneo allo stanziamento egeo di Pitecusa fu la

fondazione fenicia di Nora.

Tra la seconda metà del VII e gli ultimi decenni del VI secolo a.C. gli elementi di

pregio oggetto di commercio nella fase precedente sono presenti in minor misura,

a vantaggio di una più ampia e capillare diffusione di ceramiche vascolari,

soprattutto in bucchero, afferenti principalmente alle botteghe dell'Etruria

meridionale.

Attorno al 525 a.C. vengono quasi completamente a cessare le importazioni di

ceramica etrusca in Sardegna. La causa è probabilmente da ricercare nel

protezionismo punico verso il mercato dell'isola ormai conquistata, che trova

testimonianza nel trattato imposto a Roma nel 509 a.C., verosimilmente esteso alle

città dell'Etruria costiera che costituivano una “minaccia” commerciale maggiore

rispetto alla neo-nata repubblica romana.

3. Rapporti con i Greci

Nella prima metà dell'VIII secolo a.C., mentre i Fenici erano interessati alle coste

occidentali della Sardegna, i Greci dell'Eubea ribadirono l'interesse principale per

l'area campana fondando le colonie di Pitecusa nel 770 a.C. e, una generazione

dopo, Cuma.

Sulle coste tirreniche nacquero nei decenni finali dell'VIII secolo a.C., e sempre di

più nel successivo, numerosi centri di approdo attraverso i quali vennero

introdotte nuove tecniche tanto nell'agricoltura (come l'introduzione nel corso

dell'VIII secolo a.C. della coltura della Vitis vinifera finalizzata alla produzione di

vino), quanto nella produzione artigianale da parte di artigiani specializzati, forse

itineranti (migliorie nella lavorazione del ferro e nell'ingegneria navale,

introduzione del tornio veloce). Nel VII secolo a.C. dal Mediterraneo orientale si

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diffusero nelle comunità etrusche elementi culturali di fondamentale importanza,

primo tra tutti l'alfabeto, ritenuto anch'esso di derivazione euboica.

4. La pirateria

Secondo Eforo (Strab. VI, 267) pirati tirreni infestavano le acque della Sicilia in

tempi precedenti alle fondazioni delle più antiche colonie greche, nei decenni

centrali dell'VIII secolo a.C: “[...] in precedenza i Greci temevano le scorrerie dei

Tirreni e la crudeltà degli indigeni, sicché non vi navigarono nemmeno a scopo di

commercio”.

Il fatto che gli scrittori greci, fin dal VI sec. a.C. (per la prima volta nell'Inno

pseudo-omerico a Dioniso), parlino in tal modo dei Tirreni testimonia quanto

famosi o famigerati fossero gli abitanti dell'Etruria per le loro imprese sul mare.

Tale connotazione negativa va sicuramente ridimensionata. Tucidide (I,5) spiega

che, in tempi più antichi rispetto ai suoi, la pirateria era un'attività normale e molto

diffusa sia tra i “barbari” che tra i Greci, che rendeva rispettabile e potente chi la

praticava. I “pirati” erano infatti prìncipi aristocratici, i soli in grado di disporre di

navi e ciurma. Tale pratica assume realmente una connotazione negativa solo nel

VI secolo a.C., quando si affermano le norme istituzionali delle poleis e la rapina

diviene una pratica contraria alle leggi.

L'equivalenza negativa Tirreni-pirati, effettivamente valida a partire dal IV secolo

a.C., quando gli Etruschi della Campania conducevano azioni di disturbo ala

navigazione greca, viene quindi proiettata dalla storiografia ellenica anche nei

tempi precedenti, quando essa si configurava come attività connessa agli scambi e

come forma organizzata di espansione politica. Dal punto di vista etrusco tali

azioni potrebbero rientrare nell'ambito di una serie di tentativi di occupazione

delle coste del basso Tirreno, anche a difesa del tipo di commercio che veniva

esercitato a seguito della colonizzazione della Campania.

Nel IV secolo a.C. i pirati tirreni si presentano come gruppi di mercenari

organizzati, probabilmente formati da nuclei emarginati della popolazione che

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trovavano nel mercenariato, nella pirateria e nel commercio ad essa connesso il

proprio sostentamento. Le azioni di pirateria furono talmente dilaganti da

coinvolgere anche l'Egeo, tanto che i Macedoni intimarono a Roma, potenza

emergente, di prendere provvedimenti. Anche se fosse falso l'episodio

dell'ambasceria romana ad Alessandro Magno, di fatto nel 311 a.C. un plebiscito

elesse i duoviri navales, incaricati di fornire una flotta “di stato” alle dipendenze

di un console.

5. Navigazione, rotte e scali

Nell'età arcaica i naviganti percorrevano il mare solo durante il giorno, a piccole

tappe, lungo la costa. Nelle rotte che attraversavano lunghi tratti di mare

cercavano quanto più possibile di seguire un percorso nel quale la terra rimanesse

spesso in vista perché, non possedendo strumenti per la navigazione, l'unica guida

alla navigazione erano l'esperienza dei marinai, i riferimenti a terra e la loro

conoscenza della conformazione delle coste e dei fondali.

L'arcipelago toscano forniva un punto di appoggio essenziale nella navigazione

verso le coste della Corsica, vicine a loro volta a quelle della Sardegna. La rotta

costiera verso meridione collegava invece Populonia con Cerveteri e proseguiva

fino alla Campania meridionale.

Per il commercio, inizialmente praticato con imbarcazioni piccole, non erano

indispensabili approdi organizzati. Oltre alle spiagge, dove la nave poteva essere

facilmente tirata in secco, luoghi propizi per gli attracchi erano le lagune costiere e

le foci dei fiumi, che di certo non mancano lungo le coste tirreniche: dagli

itineraria romani è possibile dedurre la presenza di almeno ventotto scali a circa

4-8 km di distanza tra loro lungo le coste dell'Etruria storica.

A partire dalla fine del VII secolo a.C. e soprattutto nel successivo, le città costiere

cercano di adeguarsi alle esigenze dei mercanti greci allestendo veri e propri

empori, posti sotto la tutela di santuari locali. I mercanti possono quindi restare ai

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margini della polis per compiere le loro attività, senza doversi integrare nella

comunità.

Un esempio è costituito da Pyrgi, che all'inizio del VI secolo a.C. viene

riorganizzata secondo canoni urbani e collegata a Caere tramite una strada

carreggiabile. Importazioni dalla Grecia sono qui attestate da diverse classi di

anfore vinarie greco-orientali di VI e V secolo a.C., alcune delle quali sicuramente

provenienti da Lesbo. Altre attestazioni riguardano anfore s

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A.A. 2014-2015
14 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ANT/06 Etruscologia e antichità italiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher alezzandro di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Etruscologia e antichità italiche e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Bartoloni Gilda.