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Medio (V.A.M.) corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticato.
La riduzione del 40% non si applica se il proprietario acconsente alla
cessione volontaria, o se l’accordo di cessione non è stato concluso per fatto
non imputabile all’espropriato. L’accordo di cessione volontaria, che può
essere concluso in qualsiasi momento prima che sia eseguito il decreto
di esproprio, rappresenta la soluzione più auspicabile dell’iter di acquisizione
di un bene per l’esecuzione di un’opera pubblica o di pubblica utilità. La legge
cerca di favorirlo disponendo corrispettivi di cessione maggiori di quelle che
sarebbero le indennità di esproprio in caso di mancato accordo. Le
maggiorazioni concesse, sono le seguenti: se la cessione riguarda un’area
edificabile, non si applicherà la riduzione del 40%; se la cessione riguarda
un’area non edificabile, il corrispettivo aumenterà del 50%, con esclusione del
valore dei manufatti.
Vincoli Conformativi e Espropriativi:
differenze?
Con una importante pronuncia, il TAR Piemonte di Torino, con sentenza
30.01.2012 n° 142, in merito alla differenza tra vincoli conformativi e
espropriativi (ancora poco chiara a causa della immensa discrezionalità
lasciata alle amministrazioni), chiariva definendoli: “sono conformativi i
vincoli inquadrabili nella zonizzazione dell’intero territorio comunale o di parte
di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di una
pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione dell’intera
zona in cui i beni ricadono ed in ragione delle caratteristiche estrinseche o
intrinseche o del rapporto per lo più spaziale con un’opera pubblica. Sono
invece espropriativi i vincoli incidenti su beni determinati, in funzione non
già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione di un’opera
pubblica, la cui localizzazione non può coesistere con la proprietà privata.”
Va da sé, interpretando la sentenza, che la proprietà privata può subire
limitazioni anche a seguito dell'imposizione di determinati vincoli fissati
dall'autorità pubblica. Questi vincoli possono avere natura conformativa o
espropriativa: i primi riguardano, come detto, una Generalità di beni (es.
vincoli paesaggistici, artistici ecc.) e non danno diritto a nessun indennizzo,
mentre i secondi sono finalizzati ad una successiva espropriazione e possono
dare il diritto a un indennizzo. I vincoli, inoltre, possono avere natura
temporanea, cioè essere limitati nel tempo o avere natura illimitata.
VINCOLI CONFORMATIVI
I cosiddetti vincoli conformativi sono quei vincoli
alla proprietà privata che incidono su di una
generalità di beni, nei confronti di una pluralità
indifferenziata di soggetti, in funzione della
destinazione assolta dalla intera zona in cui
questi ricadono e delle sue caratteristiche
intrinseche, o del rapporto con un’opera pubblica.
Ad esempio, il vincolo di inedificabilità relativo alla fascia di rispetto
stradale non ha natura espropriativa, ma unicamente conformativa, in quanto
riguarda una generalità di beni e di soggetti, ed ha una funzione di
salvaguardia della circolazione, indipendentemente dalla eventuale
instaurazione di procedure espropriative.
Si tratta in sostanza di vincoli che riguardano i modi di godimento e
utilizzazione del bene. In questi casi la proprietà del bene è ancora del
privato quindi questo genere di vincoli non prevedono il pagamento di
alcun genere di indennità.
VINCOLI ESPROPRIATIVI
I vincoli espropriativi sono vincoli che incidono su beni determinati, non in
base ad una generale destinazione di un’intera zona, ma della localizzazione
di un’opera pubblica, la cui realizzazione non può coesistere con la proprietà
privata. Si tratta quindi di vincoli preordinati alla successiva espropriazione.
Possiamo dire che sussiste un vincolo preordinato alla espropriazione le volte
in cui la destinazione dell’area permetta la realizzazione di opere destinate
esclusivamente alla fruizione pubblica quali ad esempio parcheggi pubblici,
strade, parchi urbani, ecc.
Principalmente, un bene è sottoposto al vincolo PRE-ESPROPRIATIVO,
quando diventa efficace l’atto di approvazione del P.R.G, ossia del Piano
Urbanistico Generale, ovvero una sua variante, che prevede la realizzazione
di un’opera pubblica o di pubblica utilità. Tale vincolo ha un’efficacia di cinque
anni ed entro tale termine deve necessariamente essere emanato il
provvedimento che comporta la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera.
Comparazione con legislazioni straniere
Le legislazioni straniere presentano tutte,
ormai, una completa disciplina della
materia dell'espropriazione, alcune con
evidente tendenza a estenderne
l'applicazione al difuori del suo campo
originario. Dopo aver considerato la
disciplina dell’istituto dell’esproprio
all’interno del nostro ordinamento, sembra opportuno concentrarsi su alcuni
Francia,
ordinamenti stranieri. Si potrebbe partire dalla vicina notando come
l’esproprio si divida sostanzialmente in due Macro-Fasi:
Fase Amministrativa : una volta individuata la situazione, l’autorità
amministrativa che vincola la proprietà ad esproprio emette, su richiesta
del cedente, da subito il giusto indennizzo.
Fase Giudiziaria : dopo l’avvenuto indennizzo, e solo a quel punto, si
procede al trasferimento della proprietà.
L'Inghilterra stessa, che fino alla metà del secolo passato non conobbe
l'espropriazione se non come atto eccezionale del potere legislativo, con la
legge 8 maggio 1845 cominciò a dettare norme generali per alcuni tipi di
espropriazione: sicché oggi la sua disciplina può dirsi quasi completa. La
Germania, che presenta la più complessa legislazione a causa della
competenza in tale materia degli stati singoli, ha formulato in proposito alcuni
principi generali con la stessa costituzione di Weimar (articoli 153-156): come
principio, l'espropriazione è possibile per qualunque causa di utilità
generale; la determinazione concreta appartiene alla legislazione
territoriale, salvo alcuni punti che la costituzione riserva alla legislazione
dell'impero; sono pure le autorità dei singoli stati competenti a pronunziare la
pubblica utilità e l'espropriazione nei casi concreti: di fronte a esse, può
presentarsi come espropriante, oltre ogni altro soggetto, lo stesso stato
germanico; sono ammessi alcuni casi di espropriazione senza indennità, nei
riguardi di beni pubblici di enti territoriali.
Comparto Edificatorio: un istituto
alternativo nella Storia, ma (quasi) mai usato
Il concetto di comparto edificatorio viene introdotto dall’art. 23 della legge
n. 1150 del 1942 abrogato dall’art. 58 del DP.R. n. 327 del 2001 – Testo
Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di
espropriazione per pubblica utilità – limitatamente alle norme riguardanti
l’espropriazione
Il comparto edificatorio definisce gli ambiti territoriali minimi entro cui
l’intervento edilizio deve essere realizzato in modo unitario da più aventi
titolo. Viene introdotto per superare le difficoltà di attuazione del piano dovute
alla eccessiva
frammentazione
della proprietà
fondiaria.
Utilizzato a
Genova
(Piccapietra, vedi
) intorno
immagine
alla metà degli
anni ’60, e pressoché da nessun altra città. Di ideazione Mussoliniana,
utilizzato nella Libia Italiana, a Tripoli e Bengasi, dove si obbligavano i
proprietari terrieri a costruire secondo una volontà sovraordinata: in caso di
diniego, la conservazione della proprietà sarebbe stata impossibile, e a
questa sarebbero subentrati altri proprietari (in quel caso, italiani). Per fare un
esempio, a una povera pensionata sarebbe potuta arrivare una notifica in
base al comparto edificatorio che le intimava di costruire, al fine di mantenere
la sua proprietà, un grattacielo da miliardi di lire: all’inerzia del proprietario
sarebbe conseguito l’esproprio.
Principi Fondamentali
L'espropriazione è retta da due principi fondamentali:
Principio di L egalità : i pubblici poteri possono espropriare i beni dei
•
privati solo nei casi previsti dalla legge e solo nel rispetto delle procedure
determinate dalle leggi (art. 23 Cost.);
I ndennizzo : (art. 42 Cost.) lo Stato deve corrispondere al proprietario
•
espropriato una somma di danaro, determinata secondo criteri di legge,
che compensi la perdita; questa somma non deve essere, per la Corte
costituzionale, simbolica, anche se non si richiede che equivalga al prezzo
di mercato del bene espropriato.
La Corte Costituzionale, con sentenza del 30 luglio 1984 n. 231 affermava
che, in caso di esproprio, l’indennizzo “pur non dovendo corrispondere
all’integrale valore effettivo del bene espropriato, deve comunque
garantire un serio ristoro”.
E così Corte Cost. 283/93 ribadiva che “l’indennità non può essere
meramente simbolica ed irrisoria, ma deve essere congrua, seria,
adeguata”. Nello stesso anno si puntualizzava che la stima del bene
espropriato deve far riferimento al momento in cui si svolge il processo
espropriativo e non già sulla base di diverse risultanze documentali (Corte
Cost. 442/93) .
Da queste pronunce la Corte di Cassazione traeva lo spunto per ampliare
progressivamente i diritti dei soggetti espropriati, affermando che “l’indennità
di espropriazione deve essere congrua al fine di rispettare la garanzia
economica sancita dall’art. 42 comma 3 Cost.” (Cass. 24041/2006); ed
ancora che l’indennità deve essere “seria, attendibile, ed effettivamente
commisurata alla natura e al valore dell’immobile, in modo da garantire la
facoltà di scelta del proprietario tra l’accettazione dell’indennità offerta pur in
misura minore, ma esente da decurtazioni, e il rischio della liquidazione
giudiziale” (Cass. 21638/2005).
Grande ruolo ha giocato, nel riconoscimento dei diritti dei proprietari
espropriati, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che facendo
applicazione dell’art. 1 Prot. 1 della Convenzione Europea dei diritti
dell’uomo, ha più volte affermato che l’indennità di esproprio deve costituire
un indennizzo effettivo dei diritti dei proprietari e che l’interesse
collettivo non può determinare una lesione del diritto individuale della
proprietà. S