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LA FORTUNA SCENICA
Napoli milionaria debuttò il 25 marzo 1945. I teatri, a Napoli, erano tutti requisiti e solo
per una matinèe a scopo benefico venne concesso il San Carlo.
Accanto a Eduardo, nei panni di Gennaro, c'erano Titina nel ruolo di Amalia e Tina Pica in
quello di Adelaide. Forse anche perchè si trattava di una recita straordinaria, la stampa
non diede grande risalto all'avvenimento, che suscitò però la più viva commozione del
pubblico presente. Dopo la matinèe napoletana la commedia venne presentata a Roma,
ma non all'Eliseo o al Quirino, i teatri maggiori, bensì al Salone Margherita, una sala
destinata agli spettacoli di varietà e rivista. Il debutto fu felicissimo. Alla fine del primo atto
l'autore-interprete si presentò al pubblico per annunciare una svolta nella propria
drammaturgia: << Al primo intervallo spiegò come la guerra non può essere passata
invano per la sua ispirazione e sensibilità di attore. >>. Non tutti i critici salutarono con
favore il nuovo indirizzo della drammaturgia di Eduardo, e mentre il primo atto fu
unanimamente apprezzato, qualche appunto fu riservato al secondo e soprattutto al terzo,
per certe soluzioni considerate eccessivamente patetiche, sentimentali o didascaliche.
Più attenta della stampa romana fu quella milanese, che accolse bene lo spettacolo al
Mediolanum. Come accaduto a Napoli, furono particolarmente i critici di sinistra a
riconoscere i meriti della commedia. Così, mentre i critici di vecchia scuola mettevano
in luce soprattutto i pregi strutturali di una commedia che sposava la più illustre tradizione
comica napoletana e la più bruciante attualità, giovani critici come Paolo Grassi o Vito
Pandolfi salutavano il nuovo lavoro di Eduardo come uno straordinario contributo portato
alla drammaturgia nazionale da un autore dialettale.
Tutti i giornali furono comunque d'accordo nel registrare un successo pieno e
calorosissimo; successo che si sarebbe replicato nel tempo, a ogni nuova ripresa della
commedia. Particolarmente apprezzate furono l'edizione televisiva del 1962 e
l'allestimento teatrale del 1971. A 25 anni dalla sua creazione l'attualità della commedia
non parve ai critici dell'epoca per nulla scemata. Aggeo Savioli, registrando a sua volta un
travolgente entusiasmo da parte del pubblico, si interroga su come abbia potuto
mantenersi attuale una commedia che si chiudeva, nel clima di rinascita dell'Italia post-
bellica, con una speranza piuttosto mai realizzata. La soluzione secondo il critico l'autore
l'avrebbe affidata all'attore: “il silenzio di Gennaro davanti all'opulento sfacelo della sua
casa suona con più forza delle frasi di esortazione e di conforto, da lui stesso pronunciate”
. Eduardo trasforma un finale non esplicitamente ottimistico ma aperto alla
speranza, nel dubbio che la nottata, che dopo 25 anni non è passata ancora, forse
non passerà più.
ATTUALITA' DELLA COMMEDIA
Il confronto con l'attualità, per una commedia nata dalla cronaca storica, si pose anche
quando Eduardo si accinse ad affrontarne altre realizzazioni, tra cui un film del 1949 e
1950 e un'opera lirica, messa in scena al Festival dei 2 Mondi di Spoleto, del 1977.
1) FILM: Quel confronto con la cronaca che aveva trovato all'epoca della creazione della
commedia, Eduardo lo cerca anche al momento di ricavarne un FILM. Il clima di
coesione e di collaborazione politica che l'Italia ha mostrato nel primissimo
dopoguerra si è ormai dissolto per lasciare il posto a quelle contrapposizioni interne fra
partiti di sx e forze cattoliche che riproducono su piccola scala lo scontro fra grandi
potenze mondiali. Non solo la lezione storica impartita da un conflitto lungo e sanguinoso
non è stata assimilata, la nottata generata dalla guerra non è passata, ma si parla
addirittura di nuove possibili guerre. La pace non è una conquista definitiva, ma
tutt'alpiù il risultato di fragili equilibri internazionali. Rimettendo mano alla commedia
per ricavarne una sceneggiatura per il suo film, Eduardo dilata luogo e tempo
dell'azione, fino a comprendervi anche l'attualità presente. Le vicende della famiglia
Jovine non si svolgono più fra le quattro pareti di un “basso”, nel periodo dal secondo
anno di guerra allo sbarco degli Alleati, ma per le strade della città, nel decennio 1940-
1950. Poco ottimistico è il quadro nazionale e internazionale in cui la storia della famiglia
Jovine si colloca. Il film documenta sia pure in modo ironico e un po' generico lo
scontro feroce fra forze politiche contrapposte e la paura di una nuova guerra. Così,
dopo essersi aperto con una sequenza in cui Gennaro e il suo collega Pasqualino Miele
incrociano un ragazzino con un bastone che passa annunciando a squarciagola lo scoppio
della guerra, il film si chiude con una sequenza analoga, in cui, mentre gli stessi due pg si
interrogano sul pericolo di un nuovo conflitto, vedono passare un altro ragazzino anche lui
con bastone, che suscita in loro l'ansia di un nuovo tragico annuncio. Eduardo non
rinuncia alla battuta “ Adda passà 'a nuttata” che di quel lavoro e di quel periodo storico
era ormai diventata il motto, ma con un epilogo ironico e carico di interrogativi.
2) OPERA LIRICA: Quando nel 1977 rimise mano di nuovo al soggetto della commedia
per ricavarne il LIBRETTO PER UN'OPERA LIRICA, l'autore modificò in chiave
definitivamente pessimistica il suo messaggio: non solo eliminò gli spunti comici
presenti nel testo , ma sviluppò l'intreccio in senso decisamente tragico. Nell'opera
infatti la vicenda non si chiude più con l'episodio della bambina malata e con l'intervento
provvidenziale dell'impiegato che la salva, ma con la morte del figlio maggiore durante un
conflitto a fuoco con la polizia venuta ad arrestarlo. La celebre battuta finale di Gennaro
viene così eliminata e sostituita con parole che tolgono ogni dubbio sul pessimismo
del personaggio e dell'autore: << La guerra non è finita, ma non è una guerra che
finisce questa...>>. Lo stesso personaggio perde ingenuità per diventare un personaggio
tragico. Gli elementi grotteschi vengono accentuati e il realismo assume toni carichi,
deformanti. Particolarmente forte è la scena del pranzo, che ha un carattere quasi
orgiastico. La più acuta fra le tante critiche al libretto di Eduardo è quella di Fedele
D'Amico, il quale, sulle pagine dell' “Espresso”, dedicò ben due articoli di commento
all'opera. Per D'Amico,a dare alla vicenda un tono così disperato non è soltanto il finale
tragico, ma soprattutto che venga a mancare quello che a suo avviso era il punto chiave
della commedia: <<La crisi del reduce>>.
RAFFAELE VIVIANI E I DIECI COMANDAMENTI
ATTUALITA' DI VIVIANI
Viviani è l'autore del popolo, e bensì non per il popolo, ma da dentro il popolo, e le sue
contraddizioni e le sue molto concrete paure. Non l'immagine di sé, e l'incertezza
dell'immagine è il problema che egli affronta; ma una sicurezza determinata dalla
emarginazione e una incertezza che è del primario esistere, della lotta per la
sopravvivenza in un mondo ostile, per causa di poteri assai fermi, di regole costrittive, di
difficoltà o impossibilità di mobilità e riscatto. Diventando un poco piccolo-borghese,
Viviani è portato a perdere il senso della collettività, a perdere la capacità di saperla
esprimere come in passato; la sua immediatezza ne risente insieme alla sua capacità di
analisi e a esse si sostituisce un po' di ideologia e sentimenti. E' soltanto con I dieci
comandamenti che , a seconda guerra mondiale conclusa, nel clima di disastro e disagio
della società napoletana ancora lontana dalla ricostruzione, egli ritroverà la vena e la
vivacità, la presenza teatrale e sociale, la forza corale di narrazione, spiegazione e
indicazione che è stata dei capolavori degli anni Dieci e Venti.
Nell'insieme l'opera di Viviani , grazie anche al guizzo estremo dei Comandamenti, risulta
bensì unitaria, retta da costanti precise: è possibile valutare Viviani non solo come autore,
ma anche come regista e come interprete che tutti hanno detto magnifico nella sua infinita
maestria tecnica, ma anche nella sua versatilità e spontaneità; l'importanza
dell'approccio dialettale. La commedia tragica di Napoli è retta in Viviani da precise
norme economiche e dal loro concretizzarsi in norme sociali, e poi in sudditanze o rivolte.
Il destino che sembra pesantemente obbligare così tanti personaggi di Viviani, è un
destino sociale; è la società con le sue leggi a determinarlo: quando la tensione tra
passione e norme è più grande allora scatta il dramma. Simile e diverso, è Viviani rispetto
ai suoi personaggi: egli ha qualcosa in più di loro, loro cantore e descrittore ( o inventore )
è anche loro giudice. La distanziazione di Viviani si serve della musica, che
accompagna l'azione ed esplode in canto quando la tensione lo chiede; si serve del
comico come nei classici antichi o in Shakespeare; privilegia i momenti della ritualità
collettiva → occasioni di rivelazione, di incontro e di scontro; ma forse il suo pregio
maggiore sta nella costante della crudeltà, mai gratuita. No, Viviani non si compiace di
ciò che vede e conosce: c'è la speranza a muovere i suoi personaggi migliori, e c'è la
solidarietà che gli umili possono dimostrarsi a vicenda. La crudeltà di Viviani non ha nulla
a che vedere con quella del romanzo d'appendice, ma è crudeltà dei rapporti sociali, è
crudeltà della precarietà sociale dei rapporti.
Narratore del vicolo, della piazza, del mercato, della festa, del circo, Viviani ha
descritto la città,e la società del “sottosviluppo”.
I DIECI COMANDAMENTI
I Dieci Comandamenti sono un decagolo in due tempi di Raffaele Viviani,
probabilmente scritto con la collaborazione del figlio Vittorio ( di cui c'è qualche
riferimento anche nell'introduzione al testo di Lucio Ridenti ). Il testo,dal pt di vista
linguistico, ha un valore testamentario, nel senso che qui Viviani utilizza il dialetto nelle
sue forme più intense, più originali, talvolta arcaiche.
Attraverso l'antico pretesto degli episodi legati da un unico filo così alla moda nel teatro e
nel cinema degli anni Trenta-Cinquanta, Viviani vuole offrirci un messaggio: Viviani non si
arrende, la guerra non l'ha piegato. E tra tutte le idee che gli sono fru