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Anna Barsotti, Eduardo De Filippo, Cantata dei giorni dispari, vol. I, Torino, Einaudi, 2014, p. 16.
12 Ivi, p. 5.
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intreccia sin da subito la dura realtà sociale e quella familiare
l’opera stessa.
catapultando il pubblico presente allo spettacolo dentro –
La scena prosegue con un intreccio interessante, Amalia moglie
–
di Gennaro entra in scena e come se niente fosse in presenza del
marito, inizia a vendere ai vari inquilini del quartiere generi alimentari di
qualsiasi tipo che quest’ultimi non riescono a reperire nella città, ma ad
il “ragioniere”
un tratto entra in scena un signore, Riccardo, che ha
bisogno di alcuni alimenti per i suoi tre figli e a causa della situazione in
cui si trova, purtroppo è costretto a pagare con un orecchino di sua
donna Amalia gli chiede l’altro ma Riccardo risponde che
moglie; già
l’ha pignorato per necessità.
Eduardo sembra accentuare in questa scena l’incessante povertà ed
umiliazione umana che a causa della guerra ha cambiato la società, ma
anche le persone e il loro divenire, e in questa scena a casa Jovine si
manifesta proprio nei tanti coinquilini di passaggio che vanno da Amalia
a chiedere ogni genere di prima necessità ricambiando con qualsiasi cosa
in loro possesso. Eduardo ha riassunto il punto critico di una società che
colpisce ogni qualvolta c'è un evento bellico: la fame!
Gennaro, usciti tutti dalla stanza inizia un monologo diretto alla
moglie Amalia, in riferimento al mercato clandestino che sta facendo,
“borsa nera”; il
che finalmente ha compreso essere monologo in
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questione esprime la cruda realtà di quel momento, momento in cui da
una parte sta andando in scena l’opera e momento in senso di tempo
perché ancora la guerra è alle porte, e così Eduardo descrive la dura
realtà:
“Se con la tessera nun se po' campa'... (Perde di nuovo il filo del suo pensiero; se
ne adonta; mormora) Sango d' 'a Marina, io avevo capito... Avevo capito
proprio come si deve fare per vivere dignitosamente, senza ricorrere a questo
guaio della borsa nera... (Trova il concetto) Ah! Se colla tessera nun se po'
campa', allora si deve ricorrere alla borsa nera... Si deve vivere col pericolo che
ti arrestano, che vai carcerato... (Non sa più dove parare con le sue
argomentazioni; cedendo ad una ineluttabilità, dichiara con un tono umano,
”
13
comprensivo) Ama', stàmmece attiente... (Si alza e fa per andare).
Gennaro, l’uomo onesto che avevamo visto nel momento
inaugurale non può che cedere d’innanzi alla situazione ma non senza
preoccuparsi dell’attività clandestina della moglie, perché in cuor suo sa
del pericolo che corre… così infatti l’ultima nota chiude la battuta di
Gennaro prima di uscire dalla stanza, cedendo ad una ineluttabilità,
dichiarando con un tono umano, comprensivo “Ama’, stàmmece
attiente...”.
Il secondo atto si apre con una scenografia nuova e diversa, sono
passati infatti alcuni mesi, lo sbarco alleato è avvenuto. Si apprende dalle
prime fasi del secondo atto che Gennaro è disperso, non si sa ancora se è
prigioniero dei tedeschi o morto durante i bombardamenti. Il clima è
13 Ivi, p. 35.
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cambiato, l’Italia è stata liberata dagli alleati e a Napoli la vita è
cambiata. Si esce e le “zitelle cercano di fare conquiste, Amalia ha
mantenuto, anche se adesso ha un po’ i capelli bianchi, le stesse
caratteristiche del primo atto:
“una donna sui trentotto anni, ancora piacente. Il suo modo di parlare, il
suo tono e i suoi gesti dànno subito l’impressione di un carattere deciso,
di chi è abituato al comando. [...] Ha degli occhi irrequieti: tutto vedono e
tutto osservano. Riesce sempre a formarsi una coscienza delle proprie
azioni, anche quando non sono del tutto rette. Avida negli affari, dura di
cuore; talvolta maschera il suo risentimento per una qualche contrarietà
con parole melate, lasciando però indovinare il suo pensiero dall’ironia
dello sguardo.” 14
…e adesso si è arricchita col mercato nero che grazie all’attività di
commercio messo con Errico Settebellizze, giovane scaltro del rione,
riescono a vendere prodotti di ogni genere dalle sigarette, coperte e
maglie di lana grazie alla complicità degli inglesi che hanno capito il
sistema della borsa nera.
Nello stesso contesto in cui Gennaro ormai non è presente, fra Amalia e
Settebellizze è nata una dinamica particolare che qui riporto:
AMALIA: Voi sapete se io vi stimo e si ci ho o no ci ho una simpatia per
voi... Anzi sento un trasporto così reciproco che alle volte mi sento a voi
vicino che mi guardate con gli occhi talmente assanguati, ca me pigliassi
a schiaffi io stessa, talmente ca desiderasse che la fantasia fosse lealdà
(Errico abbassa gli occhi triste. Amalia incalza) La società che ci
io accattanno e vennenno e vuie cu’ ’e camionne... ci ha fatto
abbiamo...
guadambiare bene... e ringraziammo Dio... (Conseguenziale) Perché
dobbiamo commettere il malamente? Io tengo na figlia grossa... E
Gennarino? è più ’e n’anno ca nun
ERRICO (scettico). Ma don Gennaro, oramaie,
avite nutizie... [...] Pe’ me, dico ca don Gennaro è muorto! 15
14 Ivi, pp. 21-22.
15 Ivi p.61.
20 Durante questa secondo atto, precisamente prima del
corteggiamento tra donna Amalia e Settebellizze, - quasi come se
Eduardo avesse voluto appositamente i due personaggi avari nella scena
–
che segue scoppia il dramma morale ed etico di una società avara, che
alla vista del denaro facile ha perso ogni cognizione umana. Oramai non
è questione di “borsa nera” come stato di necessità, ma è diventata una
vicenda di soldi e avarizia, di egoismo sopra ogni valore morale.
Nella scena, infatti, si presenta il ragioniere che sta per perdere la
casa dove vive con la moglie e i suoi in quanto per continuare a
mangiare ha dovuto a rivolgersi ad Amalia che piano piano lo ha
prosciugato fino a fargli firmare un contratto di pignoramento
dell’abitazione.Da una parte la povertà che ha vissuto Amalia si è
trasformata in una gelosia e vendetta nei confronti di chi prima della
guerra viveva bene, dall’altra la malasorte si è abbattuta su chi viveva
bene, ma allo stesso tempo aveva una propria moralità.
Amalia e il ragioniere sono il confronto di questa medaglia ma con
facce diverse che così si esprimono:
Riccardo: (timido) Per quell'impegno che facemmo...
Amedeo: (ad Errico) Io stongo 'o puntone 'o vico. Quanno me vulite me
chiammate. (Fa per andare, poi si ferma e come ricordando) 'O
pacchetto... Mo m' 'o scurdavo n'ata vota... So' trecientomila lire...
(S'accorge di aver parlato troppo in presenza di Riccardo). Amalia:
(cercando di riparare, scherzosamente rimproverando il figlio) Isso
teneva trecientomila lire. Chillo pazzéa.
21 Amedeo: (confuso, più verso Riccardo) So' 'e n'amico mio ca s'ha da
veni' 'a piglia'... Basta, i' sto fore... (Prende il pacchetto che aveva
appoggiato sul tavolo ed esce).
Amalia: (a Riccardo) Dunque?
Riccardo: (modesto, disponendosi ad esporre un suo drammatico caso,
senza però alcun senso di ostilità verso i suoi interlocutori, quasi come se
il torto fosse dalla parte sua) Non che sia un mio diritto, per l'amor di
Dio... Ma volevo parlare un poco alla vostra coscienza...
La prima volta che mi trovavo a corto di soldi, voi proponeste di disfarmi
di uno dei due quartini di mia proprietà, dicendo che avevate la persona
che comprava. Io, con l'acqua alla gola, cedetti. Questo poi avvenne una
seconda volta, quando perdetti addirittura il posto di ragioniere nella
società per la manutenzione degli ascensori e mi disfeci pure del
secondo. Ho saputo poi che tutti e due i quartini li avete comprati voi...
Vi faccio i miei auguri e ve li possiate godere per cento anni. Ora voi mi
anticipaste quarantamila lire sulla casa che abito con i miei figli e mi
faceste firmare una carta dal notaio, dove c'è il diritto di riscatto da parte
mia mediante la restituzione della somma nei sei mesi dalla firma.
(Pausa. Il gelo che producono le parole di Riccardo lo intimidisce sempre
più. Ma si fa animo e riprende) L'impegno è scaduto da venti giorni,
d'accordo... Ma voi mi mandate l'ingiunzione del vostro avvocato: «o
paghi un fitto di quattromila lire al mese o vattene!» (L'ingiustizia è
talmente palese che dà foga al suo discorso) A parte il fatto che io non ho
dove andare... e d'altra parte non posso pagare quattro-mila lire al mese...
voi avete il coraggio di pigliarvi quella proprietà per quarantamila lire?
Errico: (senza spostarsi dalla sua posizione) Ma... non sono quarantamila
lire... L'impegno dice che se voi non pagate le quarantamila lire nei sei
mesi, la signora Amalia è tenuta a versarvi altre cinquantamila lire per
diventare proprietaria del vostro appartamento. E l'avvocato perciò vi ha
fatto l'ingiunzione... Perché voi non volete accettare le cinquantamila
lire... Pigliatevelle e truvàteve n'ata casa...
Riccardo: Me trovo n'ata casa?! Con mia moglie, con tre creature, me
trovo n'ata casa? Errico: (infastidito) Allora, scusate, che volete fare?
Chesto no, chello no...
Riccardo: Vedete, io ho qui diecimila settecento lire... (Prende il denaro
da un portafoglio e lo mostra) Ho venduto due giacche e un pantalone di
inverno... Roba che non valeva nemmeno... Ma sapete coi prezzi di
oggi... Io vorrei offrire alla signora questa somma a scomputo delle
quarantamila lire che le devo. Siccome la società mi deve liquidare quasi
ottantamila lire... Si tratta di giorni.
Amalia: (non intende aggiustare la cosa) Ma scusate... Questo lo
dovevate fare nei sei mesi dell'impegno...
Riccardo: (sincero) Non ho potuto. Credete a me, non ho potuto. E poi
speravo che vi foste immedesimata della posizione... (Implorando)
Fatemi questa grazia... (I due non rispondono. Riccardo ha un attimo di
smarrimento; quasi parlando a se stesso) Si cambia casa, è una parola...
Una volta era facile... Si cambiava casa con facilità... Perché anche se si
andava ad abitarne una più brutta, più meschina, uno ce ieva cu piacere...
22 Perché in fondo la vera casa era un poco tutta la città... (come ricordando
un'epoca felice) La sera si usciva... S'incontrava gente calma, tranquilla...