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D’Amico: afferma che la situazione del teatro drammatico italiano è disertata solo qui perché a
Parigi ed in Germania i teatri sono strapieni in quanto il pubblico trova lo spettacolo adeguato ai
suoi gusti; in Italia questo avviene per il cinema. La crisi del teatro di prosa vive solo qui. I classici
in passato infatti si facevano solo di rado ed anche negli altri teatri si fa teatro vivo ed attuale.
Comunque la scuola non è passata inosservata e solo dopo averla fatta si crea il progetto del
nuovo teatro italiano.
3. Diego Fabbri: la drammaturgia ed il problema della lingua
Afferma che il problema dell’autore drammatico italiano è che manca l’obbiettività che rende il
teatro di corrente circolazione; dunque il teatro si limita ad esser un documento in quanto vi è
un’incompatibilità tra autori e pubblico. La frattura è di livello sociale in quanto il problema è che in
Italia non si ha un linguaggio (ex. problema del cognome) e dunque è impossibile comunicare un
messaggio, funzione del teatro fin dall’antichità. Il pubblico si aspetta di esser consolato in quanto
vuole la verità, ma per l’artista essa non dev’essere personale ma uguale a quella di tutti gli altri
uomini; dunque la verità annunciata è persuasiva ed accomuna e mette in comunicazione l’artista
ed il pubblico. Si sta invece diffondendo che un’opera è bella se propone una verità autentica e
questo è ciò che chiede il teatro. Afferma che il linguaggio valido per tutto e tutti è della dimensione
cristiana in quanto tutti aspettano un miracolo (cristiano).
Amodio: afferma che il pensiero di Fabbri è personale in quanto contiene una forma di
esistenzialismo cristiano come forma di cristianesimo umanista che non può rendere nulla in
quanto ad uno con queste esperienze manca il contatto col pubblico.
Ferieri: afferma che si sta facendo un equivoco nel convegno in quanto non si capisce se si è su
una base pratica o su una scientifica.
D’Amico: afferma che gli argomenti di domani saranno su un terreno più ampio.
Rebora: afferma che non crede allo scrittore come consolatore in quanto serve a lui una
consolazione ed è l’uomo più limitato e non ha dunque una forma da proporre.
Gaipa: afferma che il rapporto tra autore e società vede che il primo è difronte ad una lingua che
non è una lingua in quanto noi non abbiamo un linguaggio che è dunque il problema principale
dell’autore in quanto la parola dell’autore non è accessibile a tutti e dunque non raggiunge il
pubblico. L’autore spesso non è un uomo di teatro e concepisce la sua opera distaccata da esso e
dunque non si rende conto di quel che è necessario.
Strehler: esorta a creare un teatro prima singolarmente e poi collettivamente. È convinto che il
linguaggio esista, ma non ce n’è uno del dramma italiano. La crisi è quando l’associazione tra
elementi compositivi e costitutivi del teatro si divide, ma invece il fatto teatrale si ha quando
avviene un’unificazione assoluta tra autore, attori, regista e pubblico.
Massimo Bontempelli: afferma che Pirandello non era andato a teatro a sentire commedie fino a
prima di iniziare a scriverne.
Strehler: afferma che avvenne un cambiamento di fatti nelle opere di Pirandello da quando
frequentava il teatro.
19 giugno 1948 Seconda giornata, sessione mattutina
4. Strehler: il problema del regista
Afferma che il regista è fondamentale per la formazione della scena contemporanea in quanto la
regia è importante nella storia del teatro degli ultimi quarant’anni. Vi sono due problemi, europeo
ed extraeuropeo ed italiano. Senza un attore non si recita, senza un regista si crede di poter
recitare benissimo; la regia contemporanea richiede mezzi che il testo italiano non è capace di
dare e dunque bisognerebbe fare molto.
In Italia esiste n fatto “regia”, ma il 70% della popolazione ignora che sia tale figura; un regista
italiano fa fatica a campare; la regia in Italia non riesce per vari motivi: il numero delle compagnie
che richiedono un regista sono poche e queste poche non riescono a sostenere i costi che esso
richiede, il regista non ha un guadagno pari alle responsabilità che si assume. Bisogna poi
sottolineare i rapporti tra regista ed attori che non sono dei migliori in quanto gli attori non si
abbandonano al regista in quanto non hanno fiducia in esso, ma soprattutto l’attore non è abituato
ad una direzione artistica ed ha poca cultura; l’attore crede di conoscere più del regista per la sua
esperienza sul palcoscenico e che il regista s’intende e si deve occupare degli aspetti tecnici come
luci ecc. e basta. Dunque il regista è considerato spesso un intruso.
Un consiglio è di non chiedere il regista oppure se si, abbandonarsi totalmente ad esso; non sono
comunque i registi a scegliere le opere da far recitare. Potrebbe essere un’ottima idea creare delle
compagnie che facciano una tournée che spieghi cosa sia la regia e la figura del regista.
Il regista oggi non è giuridicamente tutelato, è iscritto al sindacato nazionale degli artisti drammatici
ma esso non gli dà la salvaguardia dei suoi diritti in quanto ha una paga non sufficiente e poche
tutele. Serve dunque una contrattazione lavorativa per la figura del regista. È fondamentale poi
una scuola di regia con due sedi, Milano e Roma, dove si formano prima come attori e poi due/tre
anni di specializzazione nella regia. Poi serve stabilire un minimo di paga ed offrire ai giovani
registi possibilità di lavoro. In questa direzione deve svolgersi la riforma del teatro italiano.
D’Amico: afferma che il problema essenziale della regia italiana è la formazione dei futuri registi,
come ha detto Strehler; è d’accordo col primo in quanto i registi devono in partenza essere attori e
poi specializzarsi nella regia ed ha poi ragione per più sedi della scuola. La scuola porta sulla
soglia del teatro, ma poi bisogna che ci sia esso.
5. Ratto: la professione dello scenografo
È scenografo ed afferma che la scenografia non è considerata attaccata alle sorti del teatro in
quanto considerata solo una cornice accessoria. Il teatro non dev’essere un hobby, ma una
professione e quella scenografica manca; se non si creano le basi culturali che costituiscono
l’ossatura di sostegno di un professionista del teatro, non si può creare un teatro. Lo scenografo
progettista non esiste. Il problema principale è nei costi e compensi oltre ad errori di attribuzione e
la mancanza di scuole. Non esiste in Italia una scuola di scenografia o scuole che danno una
pratica di tale mestiere; si tratta solo della produzione di bozzetti decorativi. Non esistono poi testi
sulla storia del costume, ma l’unico considerabile tale è “Il costume popolare in Italia” di Emma
Calderini del 1934; non esistono testi che si occupano della scenografia e della scena tecnica in
Italia ed in altri paesi del mondo. Se si vorrà che le scuole esistenti acquistino importanza, vanno
affiancate ai teatri per un addestramento pratico che approfondisca il lato tecnico. Bisogna
soprattutto offrire la vicinanza ai testi ed alla musica che sono fondamentali nel teatro; poi integrare
filosofia, letteratura e musica. La figura dello scenografo dovrà essere inquadrata in un albo dopo
diploma o laurea o attività continuativa poste sulle basi sopra dette, ma dev’essere possibile il
trapasso di categoria. Un tale diritto va anche riconosciuto ai registi. Per un maggior sviluppo della
scenografia del teatro di prosa serve che il sottosegretario consigli ad ogni compagnia
sovvenzionata almeno un nuovo allestimento firmato.
Vita: afferma che la posizione del regista in Italia non è nella mentalità comune, ma perché è
nuova dato che prima non c’era.
Strehler: afferma che si distingua l’uomo che studia e l’uomo che lavora nella regia. Non è una
contrapposizione, ma si parla dei problemi del teatro in generale e di quelli dell’uomo come
lavoratore.
Bontempelli: ricorda che il regista è di stampo storico in quanto deriva dal direttore di compagnia
(Talli, ex direttore di compagnia, oggi regista); dunque un regista dev’essere sempre un direttore e
dunque è colui che ha in mano la compagnia.
Strehler: afferma che il rapporto tra autore e regista è da trattare in quanto il secondo ha sì
esigenze personali.
Bontempelli: afferma che il regista deve essere affianco dell’autore in quanto il primo ha spesso
diffidenza verso il secondo, ma spesso è il secondo che è timido.
Costa: afferma che la compagnia sorta lo scorso anno in difesa dei diritti dell’autore ha combattuto
affinché il regista non danneggiasse i diritti degli autori.
Predaval: afferma che, come ha detto Simoni, il regista deve rispettare autori viventi e morti che
siano.
Simoni: afferma che il problema dell’attore è importante in quanto vi è la scelta di diversi registi in
base alle commedie da fare.
Cesco Baseggio: chiede quale siano allora le funzioni dell’attore, quando il regista deve vedere
da lontano il quadro. Chiede inoltre se gli attori sono marionette nelle mani del regista, che li usa,
oppure sono un fenomeno interpretativo.
6. Sergio Tofano: la condizione dell’attore
Afferma che la condizione dell’attore è come quella del regista, cioè precaria. Vi è stato un
progresso nel campo spirituale, ma l’inverso in quello economico. È innegabile che gli attori che si
spostano spesso non hanno una casa e deve contribuire da solo al corredo scenico e dunque vive
alla giornata. Servirebbe dunque una figura di compagnia stabile con possibilità di rinnovo.
19 giugno 1948 Seconda giornata, sessione pomeridiana
7. Silvio d’Amico: il problema dei fondi
Afferma che lo Stato si deve interessare al teatro per un fine prettamente artistico e culturale;
durante il regime lo Stato era tenuto ad intervenire nelle questioni del teatro e la Direzione
Generale dello Spettacolo era alle dipendenze del Ministero, non per l’arte e la cultura ma politico
che aveva fini di propaganda. L’essenziale che si ebbe in tale periodo furono le sovvenzioni a
compagnie nomadi. Afferma poi che è necessario che le compagnie facciano esperimenti e non si
limitino al repertorio classico. Dunque le proposte prese dal convegno e la riforma teatrale non
devono riguardare solo i teatri stabili, ma anche le compagnie nomadi. La situazione presente è
che in altri paesi, dopo la guerra, il teatro è risorto mentre in Italia no. Serve che le sorti del teatro
siano affidate a qualcuno che creda in esso e se ne intenda. Afferma poi di essere un fautore del
teatro di Stato, ma non inteso come isti