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Riassunto esame Organizzazione e economia dello spettacolo, prof. Bentoglio, libro consigliato Milano 1948, un convegno per il teatro Pag. 1 Riassunto esame Organizzazione e economia dello spettacolo, prof. Bentoglio, libro consigliato Milano 1948, un convegno per il teatro Pag. 2
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D’Amico: afferma che la situazione del teatro drammatico italiano è disertata solo qui perché a

Parigi ed in Germania i teatri sono strapieni in quanto il pubblico trova lo spettacolo adeguato ai

suoi gusti; in Italia questo avviene per il cinema. La crisi del teatro di prosa vive solo qui. I classici

in passato infatti si facevano solo di rado ed anche negli altri teatri si fa teatro vivo ed attuale.

Comunque la scuola non è passata inosservata e solo dopo averla fatta si crea il progetto del

nuovo teatro italiano.

3. Diego Fabbri: la drammaturgia ed il problema della lingua

Afferma che il problema dell’autore drammatico italiano è che manca l’obbiettività che rende il

teatro di corrente circolazione; dunque il teatro si limita ad esser un documento in quanto vi è

un’incompatibilità tra autori e pubblico. La frattura è di livello sociale in quanto il problema è che in

Italia non si ha un linguaggio (ex. problema del cognome) e dunque è impossibile comunicare un

messaggio, funzione del teatro fin dall’antichità. Il pubblico si aspetta di esser consolato in quanto

vuole la verità, ma per l’artista essa non dev’essere personale ma uguale a quella di tutti gli altri

uomini; dunque la verità annunciata è persuasiva ed accomuna e mette in comunicazione l’artista

ed il pubblico. Si sta invece diffondendo che un’opera è bella se propone una verità autentica e

questo è ciò che chiede il teatro. Afferma che il linguaggio valido per tutto e tutti è della dimensione

cristiana in quanto tutti aspettano un miracolo (cristiano).

Amodio: afferma che il pensiero di Fabbri è personale in quanto contiene una forma di

esistenzialismo cristiano come forma di cristianesimo umanista che non può rendere nulla in

quanto ad uno con queste esperienze manca il contatto col pubblico.

Ferieri: afferma che si sta facendo un equivoco nel convegno in quanto non si capisce se si è su

una base pratica o su una scientifica.

D’Amico: afferma che gli argomenti di domani saranno su un terreno più ampio.

Rebora: afferma che non crede allo scrittore come consolatore in quanto serve a lui una

consolazione ed è l’uomo più limitato e non ha dunque una forma da proporre.

Gaipa: afferma che il rapporto tra autore e società vede che il primo è difronte ad una lingua che

non è una lingua in quanto noi non abbiamo un linguaggio che è dunque il problema principale

dell’autore in quanto la parola dell’autore non è accessibile a tutti e dunque non raggiunge il

pubblico. L’autore spesso non è un uomo di teatro e concepisce la sua opera distaccata da esso e

dunque non si rende conto di quel che è necessario.

Strehler: esorta a creare un teatro prima singolarmente e poi collettivamente. È convinto che il

linguaggio esista, ma non ce n’è uno del dramma italiano. La crisi è quando l’associazione tra

elementi compositivi e costitutivi del teatro si divide, ma invece il fatto teatrale si ha quando

avviene un’unificazione assoluta tra autore, attori, regista e pubblico.

Massimo Bontempelli: afferma che Pirandello non era andato a teatro a sentire commedie fino a

prima di iniziare a scriverne.

Strehler: afferma che avvenne un cambiamento di fatti nelle opere di Pirandello da quando

frequentava il teatro.

19 giugno 1948 Seconda giornata, sessione mattutina

4. Strehler: il problema del regista

Afferma che il regista è fondamentale per la formazione della scena contemporanea in quanto la

regia è importante nella storia del teatro degli ultimi quarant’anni. Vi sono due problemi, europeo

ed extraeuropeo ed italiano. Senza un attore non si recita, senza un regista si crede di poter

recitare benissimo; la regia contemporanea richiede mezzi che il testo italiano non è capace di

dare e dunque bisognerebbe fare molto.

In Italia esiste n fatto “regia”, ma il 70% della popolazione ignora che sia tale figura; un regista

italiano fa fatica a campare; la regia in Italia non riesce per vari motivi: il numero delle compagnie

che richiedono un regista sono poche e queste poche non riescono a sostenere i costi che esso

richiede, il regista non ha un guadagno pari alle responsabilità che si assume. Bisogna poi

sottolineare i rapporti tra regista ed attori che non sono dei migliori in quanto gli attori non si

abbandonano al regista in quanto non hanno fiducia in esso, ma soprattutto l’attore non è abituato

ad una direzione artistica ed ha poca cultura; l’attore crede di conoscere più del regista per la sua

esperienza sul palcoscenico e che il regista s’intende e si deve occupare degli aspetti tecnici come

luci ecc. e basta. Dunque il regista è considerato spesso un intruso.

Un consiglio è di non chiedere il regista oppure se si, abbandonarsi totalmente ad esso; non sono

comunque i registi a scegliere le opere da far recitare. Potrebbe essere un’ottima idea creare delle

compagnie che facciano una tournée che spieghi cosa sia la regia e la figura del regista.

Il regista oggi non è giuridicamente tutelato, è iscritto al sindacato nazionale degli artisti drammatici

ma esso non gli dà la salvaguardia dei suoi diritti in quanto ha una paga non sufficiente e poche

tutele. Serve dunque una contrattazione lavorativa per la figura del regista. È fondamentale poi

una scuola di regia con due sedi, Milano e Roma, dove si formano prima come attori e poi due/tre

anni di specializzazione nella regia. Poi serve stabilire un minimo di paga ed offrire ai giovani

registi possibilità di lavoro. In questa direzione deve svolgersi la riforma del teatro italiano.

D’Amico: afferma che il problema essenziale della regia italiana è la formazione dei futuri registi,

come ha detto Strehler; è d’accordo col primo in quanto i registi devono in partenza essere attori e

poi specializzarsi nella regia ed ha poi ragione per più sedi della scuola. La scuola porta sulla

soglia del teatro, ma poi bisogna che ci sia esso.

5. Ratto: la professione dello scenografo

È scenografo ed afferma che la scenografia non è considerata attaccata alle sorti del teatro in

quanto considerata solo una cornice accessoria. Il teatro non dev’essere un hobby, ma una

professione e quella scenografica manca; se non si creano le basi culturali che costituiscono

l’ossatura di sostegno di un professionista del teatro, non si può creare un teatro. Lo scenografo

progettista non esiste. Il problema principale è nei costi e compensi oltre ad errori di attribuzione e

la mancanza di scuole. Non esiste in Italia una scuola di scenografia o scuole che danno una

pratica di tale mestiere; si tratta solo della produzione di bozzetti decorativi. Non esistono poi testi

sulla storia del costume, ma l’unico considerabile tale è “Il costume popolare in Italia” di Emma

Calderini del 1934; non esistono testi che si occupano della scenografia e della scena tecnica in

Italia ed in altri paesi del mondo. Se si vorrà che le scuole esistenti acquistino importanza, vanno

affiancate ai teatri per un addestramento pratico che approfondisca il lato tecnico. Bisogna

soprattutto offrire la vicinanza ai testi ed alla musica che sono fondamentali nel teatro; poi integrare

filosofia, letteratura e musica. La figura dello scenografo dovrà essere inquadrata in un albo dopo

diploma o laurea o attività continuativa poste sulle basi sopra dette, ma dev’essere possibile il

trapasso di categoria. Un tale diritto va anche riconosciuto ai registi. Per un maggior sviluppo della

scenografia del teatro di prosa serve che il sottosegretario consigli ad ogni compagnia

sovvenzionata almeno un nuovo allestimento firmato.

Vita: afferma che la posizione del regista in Italia non è nella mentalità comune, ma perché è

nuova dato che prima non c’era.

Strehler: afferma che si distingua l’uomo che studia e l’uomo che lavora nella regia. Non è una

contrapposizione, ma si parla dei problemi del teatro in generale e di quelli dell’uomo come

lavoratore.

Bontempelli: ricorda che il regista è di stampo storico in quanto deriva dal direttore di compagnia

(Talli, ex direttore di compagnia, oggi regista); dunque un regista dev’essere sempre un direttore e

dunque è colui che ha in mano la compagnia.

Strehler: afferma che il rapporto tra autore e regista è da trattare in quanto il secondo ha sì

esigenze personali.

Bontempelli: afferma che il regista deve essere affianco dell’autore in quanto il primo ha spesso

diffidenza verso il secondo, ma spesso è il secondo che è timido.

Costa: afferma che la compagnia sorta lo scorso anno in difesa dei diritti dell’autore ha combattuto

affinché il regista non danneggiasse i diritti degli autori.

Predaval: afferma che, come ha detto Simoni, il regista deve rispettare autori viventi e morti che

siano.

Simoni: afferma che il problema dell’attore è importante in quanto vi è la scelta di diversi registi in

base alle commedie da fare.

Cesco Baseggio: chiede quale siano allora le funzioni dell’attore, quando il regista deve vedere

da lontano il quadro. Chiede inoltre se gli attori sono marionette nelle mani del regista, che li usa,

oppure sono un fenomeno interpretativo.

6. Sergio Tofano: la condizione dell’attore

Afferma che la condizione dell’attore è come quella del regista, cioè precaria. Vi è stato un

progresso nel campo spirituale, ma l’inverso in quello economico. È innegabile che gli attori che si

spostano spesso non hanno una casa e deve contribuire da solo al corredo scenico e dunque vive

alla giornata. Servirebbe dunque una figura di compagnia stabile con possibilità di rinnovo.

19 giugno 1948 Seconda giornata, sessione pomeridiana

7. Silvio d’Amico: il problema dei fondi

Afferma che lo Stato si deve interessare al teatro per un fine prettamente artistico e culturale;

durante il regime lo Stato era tenuto ad intervenire nelle questioni del teatro e la Direzione

Generale dello Spettacolo era alle dipendenze del Ministero, non per l’arte e la cultura ma politico

che aveva fini di propaganda. L’essenziale che si ebbe in tale periodo furono le sovvenzioni a

compagnie nomadi. Afferma poi che è necessario che le compagnie facciano esperimenti e non si

limitino al repertorio classico. Dunque le proposte prese dal convegno e la riforma teatrale non

devono riguardare solo i teatri stabili, ma anche le compagnie nomadi. La situazione presente è

che in altri paesi, dopo la guerra, il teatro è risorto mentre in Italia no. Serve che le sorti del teatro

siano affidate a qualcuno che creda in esso e se ne intenda. Afferma poi di essere un fautore del

teatro di Stato, ma non inteso come isti

Dettagli
A.A. 2013-2014
9 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/05 Discipline dello spettacolo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher GiuliaChiariello93 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Organizzazione ed Economia dello Spettacolo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Bentoglio Alberto.