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Lassalle. Se nella divisione del prodotto nazionale ogni compartecipante, in base a leggi sociali

ragionevoli, ricevesse tutto il prodotto del suo lavoro e la capacità di compera che ne derivava,

qualunque potesse essere l’aumento di produttività non si sarebbe verificata la crisi da

sovrapproduzione. Abbandonata invece tale divisione alle leggi naturali, la parte del prodotto

nazionale che toccava agli operai e la loro capacità d’acquisto diventava sempre più piccola: da qui le

crisi, l’ingorgo dei prodotti, e la miseria. Cusumano scrive che la teoria fondamentale di Marx è la

teoria del valore-lavoro. Marx ha separato il valore d’uso e il valore di scambio. La proprietà che

forma il valore d’uso non può essere un fattore essenziale del valore di scambio che è indipendente

dal valore di uso, poiché tutto si riduce al lavoro. Marx è talmente convinto di questo principio che egli

sostiene che la proprietà fondiaria, senza alcun lavoro, non ha alcun valore di scambio. La teoria del

valore-lavoro spiegava la rendita terriera qual reddito di non lavoro. Ricardo era diventalo lo Smith del

secolo XIX, ma la sua teoria della rendita si era convertita in un atto d’accusa contro la proprietà della

terra. Cusumano addebitava a Marx teorie di furto e lo accusava di aver amplificato gli errori di

Ricardo ritenendo improduttivo il capitale e non tenendo conto del lavoro dell’imprenditore. Marx

sapeva bene che gli abusi non derivavano dalle macchine ma dalla modalità del loro impiego, che

rendeva possibile il lavoro dei bambini, dava origine all’intensività del lavoro, rendeva più insicura e

malferma la condizione degli operai. Marx aveva sostenuto che tutti i capitali avessero origine dalla

violenza e dal furto. Interessato non tanto a comprendere il marxismo quanto a capire ciò che del

marxismo dicevano i cattedratici tedeschi, volti ora a correggerlo, ora a minarlo, ora ad inverarlo,

Cusumano si guardava assai bene dall’attaccare frontalmente Marx. Pur avanzando alcune riserve,

Cusumano sosteneva che Marx rivestiva una somma importanza sia come scienziato sia come

agitatore e fondatore dell’Internazionale; impossibile non tenerne conto, così come impossibile era

non tener conto di Lassalle, il miglior discepolo di Marx che all’acume critico dello scienziato univa la

propaganda pratica dell’agitatore. Cusumano considera Lassalle un agitatore Cusumano ritiene che

Lassalle, sulle tracce di Marx, avesse mosso guerra all’economia politica liberale. Nei suoi discorsi,

Lassalle aveva attaccato la credenza, propria degli economisti liberali, che il capitale fosse un lavoro

accumulato e che derivasse dal risparmio. Il capitale era l’accumulazione del lavoro altrui, cioè

l’accumulazione del lavoro non pagato agli operai. Egli diceva che l’economia politica liberale faceva

originare il capitale dal risparmio e dall’astinenza: un’opinione ‘falsa’, poiché il capitale non può

nascere da un atto negativo, da un atto di non consumo; la fonte del capitale è la produzione, non già

il risparmio. Giustificare il guadagno dell’impresario, in nome del rischio, era un inganno poiché

questo, se esisteva per l’impresario individuale, non aveva alcun valore per la classe degli impresari

in generale, la quale non solo non correva alcun pericolo, ma anzi diventava sempre più ricca. Il

rischio, peraltro, era conseguenza della speculazione esagerata e andava a ricadere sulle spalle

degli operai, i quali potevano essere licenziati. Profitto e interesse, pertanto, erano ‘rubati’ agli operai:

queste le prime considerazioni di Lassalle. Poiché gli operai si trovavano nella impossibilità di

migliorare la loro condizione economica e di prendere parte ai progressi della civiltà. A causa della

così detta ferrea legge del salario, dimostrata da Lassalle, la condizione economica della classe

operaia non era suscettibile di alcun miglioramento. La ferrea legge economica limitava il salario

medio al minimo necessario per il prolungamento medio dell’esistenza e della riproduzione. L’unico

vero aiuto, pertanto, poteva ritrovarsi nella creazione di associazioni produttive che rendevano nulla

la legge del salario. Lassalle aveva chiesto l’intervento dello Stato e aveva sostenuto che lo scopo

dello Stato era quello di ottenere il progresso sociale. Lassalle voleva mettere l’operaio in condizione

di diventare impresario perché voleva dargli tutto il profitto del suo lavoro. Nelle nuove associazioni

produttive era prevista una buona divisione del lavoro non meno che l’aumento della produzione della

ricchezza; il miglioramento economico della classe operaia avrebbe comportato infatti l’aumento dei

consumi di questa classe e quindi l’aumento della produzione. Mentre la rivoluzione per Marx

significava sovvertimento dell’ordine economico e politico, per Lassalle le riforme economiche

potevano essere introdotte da qualsiasi forma di governo: lo Stato popolare, tanto invocato da

Lassalle, era uno Stato in cui trovava espressione e potenza la classe operaia, ma non implicava il

mutamento della forma di governo. Per attuare ciò era necessario attuare il meccanismo del suffragio

universale. Così come l’ordinamento economico prevalente non era né naturale, né divino, ma

artificiale, anche le leggi economiche erano etiche, sociali, storiche, relative, mutabili, non mai naturali

o immutabili, come sostenevano Lassalle e gli smithiani. Già Cusumano si era pronunciato contro la

concezione di leggi economiche naturali ed eterne ma era stato attaccato da più parti. Comunque, i

fatti smentivano la ferrea legge del salario poiché dimostravano che la condizione della classe

operaia era migliorata: grazie alla libertà di coalizione gli operai avevano ottenuto un salario superiore

alla somma dei mezzi di sussistenza indispensabili alla vita. La ferrea legge del salario, concludeva

Cusumano, non poteva costituire la base di un sistema economico, come aveva sostenuto Lassalle

che pure aveva il grande merito di aver sempre cercato una soluzione legale alla questione sociale e

di aver cercato una mediazione con il marxismo. Mentre Cusumano scriveva le sue pagine su

Lassalle, nell’ultimo congresso i due partiti socialisti sierano fusi ed avevano accettato un programma

comune: la rivoluzione sociale di Marx era stata sacrificata ai mezzi legali di Lassalle. I numeri

dimostravano la continua ascesa del socialismo. Non vi era città, villaggio e borgo ove non

penetrassero tali ‘agitatori’ ed ove non si istituissero delle associazioni democratiche socialiste. Gli

smithiani radicali combattevano il socialismo. Ma le loro argomentazioni si erano rivelate insufficienti;

sostenendo che le leggi economiche erano naturali ed immutabili, avevano contribuito a rafforzare le

teorie socialiste che ricorrevano ad esse per propugnare l’abolizione dell’ordinamento economico

esistente. Si trattava di vedere quale delle due forme d’organizzazione, la liberale e la socialista,

fosse più capace di funzionare tra gli uomini per come essi erano e non per come avrebbero dovuto

essere. L’attuazione della teoria del socialismo che proponeva di dare all’operaio la remunerazione

naturale che gli spettava, non sembrava a Cusumano possibile, perché quella teoria era falsa,

fondandosi su un’idea astratta d’uguaglianza, assai poco adatta alla natura umana. Per attuare le

proposte socialiste bisognava cambiare la natura dell’uomo e sostituire la solidarietà all’egoismo. Ma

anche la forza dell’educazione non sarebbe riuscita a modificare del tutto la natura umana. Pertanto,

considerato l’uomo per come egli era, l’attuazione del socialismo era impossibile. Socialisti e

smithiani partivano da premesse diverse ed incomplete sulla natura umana, gli uni presupponendo

nell’uomo il solo egoismo, gli altri la solidarietà, ma arrivavano allo stesso risultato. «Noi, dunque –

dichiara Cusumano – siamo conservatori, ma in rapporto agli smithiani radicali siamo riformisti.

Riforme, riforme e poi riforme, ecco in ultimo il nostro programma. Non si allarmino i nostri avversari:

le riforme da noi desiderate sono compatibili con l’ordinamento economico odierno: organizzazione

dell’impresa, regolamentazione dei contratti di lavoro, legislazione di fabbrica, questione sanitaria,

politica monetaria e doganale. Inoltre, c’era la certezza che la soluzione della questione sociale

andasse cercata sul piano statale. Si tendeva ad eliminare la conflittualità sociale mediante il

miglioramento della qualità della vita e dei costumi, il processo culturale, l’incremento del benessere

e la formazione di uno Stato sociale.

8

Ottenuto l’incarico d’insegnamento di Economia politica e statistica a Palermo, Cusumano torna in

Sicilia, dove sulla cattedra universitaria di Economia politica siede ancora Bruno che decide di aprire

le ostilità. Bruno aveva intravisto nella perdita della libertà il pericolo maggiore della rivoluzione. Il

popolo siciliano, nel ’48, aveva compiuto la più gloriosa delle rivoluzioni ma non aveva conquistato,

per Bruno, tutta intera la libertà: ciascuno aveva interpretato a suo modo la libertà, attribuendosene

una porzione forse maggiore di quanto realmente gliene sarebbe potuta spettare. Molti avevano

usato la libertà di stampa e di e di associazione per inasprire le classi contro le classi; molti avevano

inteso il diritto alla libertà del lavoro come diritto ad esigere il lavoro, con il risultato di portare alla

rovina qualsivoglia sistema. La soluzione, indicata da Bruno, dopo il fallimento della rivoluzione, stava

nella diffusione dei sani principi della scienza, nell’elaborazione di una nuova politica economica in

grado di rispondere meglio ai bisogni dell’intero corpo sociale, di rialzare la condizione morale,

economica e civile del popolo. Il fine della politica era quello di riavvicinare tutte le classi e insegnargli

ad usare la libertà. A Palermo il contrasto riguardante le scelte da fare era tra autoritari e liberisti. I

liberisti ritenevano che lo Stato dovesse intervenire solo per ripristinare l’armonia, gli autoritari,

invece, sostenevano che lo Stato aveva l’obbligo di intervenire. Per Bruno lo Stato società era un

ente ideale risultato di un aggregato di uomini organizzati in forma di nazione che progrediva o

decadeva secondo le vicende della società che lo costituiva e come tale era un’entità astratta; lo

Stato governo, invece, era un ente reale composto da quel gruppo di uomini che rappresentavano il

governo della società. Pertanto, ammoniva Bruno, qualora il progresso sociale non venisse

strettamente ancorato ad una legge invariabile, eterna ma risultasse dipendente dall’arbitrio degli

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A.A. 2011-2012
9 pagine
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SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/04 Storia del pensiero economico

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Ahmed89 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Economia e storia del mondo contemporaneo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Catania o del prof Spoto Concetta.