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"RAGIONI DI VITA E INVERAMENTO DI MORTE . I LETTERATI ITALIANI DI FRONTE ALLA GRANDE GUERRA"
È ormai comunemente noto che fu nei Balcani, dove si scontravano l'espansionismo dell'impero austro-ungarico e quello della Russia, in quello che era, ormai, un calderone fervente di aspirazioni nazionali e indipendentistiche delle popolazioni locali travolte da una febbrile irrequietezza ormai all'acme, che l'assassinio del 28 giugno 1914 dell'erede al trono austriaco, l'arciduca Francesco Ferdinando, significò la "goccia che fece traboccare il vaso"; e Guerra fu!
Scattò così un complesso meccanismo di alleanze preesistenti: la Germania entrò in guerra a fianco dell'Austria, mentre Francia e Russia si schierano con la Serbia. L'Italia, legata alla Germania e all'Austria dalla Triplice Alleanza, era legittimamente esonerata dall'intervenire, poiché il trattato comportava per i...
Trefirmatari l'obbligo d'intervento militare solo nel caso in cui uno dei tre fosse stato attaccato. Dal 1914 (anno in cui ebbe inizio quella che si rivelò inaspettatamente la più grande e totale guerra mai avvenuta) in Italia, rimasta neutrale, si scatena lo scontro tra neutralisti e interventisti tra i quali i più rumorosi e protervi furono quei gruppi nazionalisti e futuristi nati nel clima intellettuale otto- novecentesco. Travolti da quella ventata di irrazionalismo tipica del Decadentismo, dall'esaltazione della "vitalità e dell'attività", dal disprezzo del pacifismo borghese e dall'interesse della grande industria che concretamente li appoggia, mescolando arbitrarie interpretazioni di alcune posizioni filosofiche al dannunziano gusto del "bel gesto", gli intellettuali di tutta Italia lottano per l'intervento.
E così Papini nell'articolo "Amiamo la guerra" (Lacerba, 13 maggio
1915) dichiara la necessità di un "caldo bagno di sangue nero dopo tanti umidicci e tiepidumi di latte e lacrime materne" che cancellerà tanti sentimentalismi e mostra come in questo tipo d'interventismo ci fossero, più che motivazioni politiche, il gusto della provocazione, il compiacimento per la cinica battuta ad effetto, l'ostentata irrisione dei sentimenti e dei valori normalmente accettati e quindi "borghesi" e sgradevoli.
Marinetti insiste col Manifesto del 1909 sul fatto che la guerra è "la sola igiene del mondo"; D'Annunzio inizia la consuetudine dei "dialoghi con la folla" (poi adottata dal fascismo) e dell'azione squadristica incitando a trattare Giolitti "col bastone e col ceffone, con la pedata e col pugno". Filippo Corridoni, un massimalista, scrive che "la neutralità è dei castrati". Altri interventisti, mossi da un sentimento risorgimentale non
del tutto sopito che auspicava nient'altro cheuna quarta guerra d'indipendenza volta liberare le terre irredente (Trento e Trieste)vedevano nella guerracontro l'Austria la conclusione del Risorgimento, un duro dovere e non un'esaltante avventura.E così che in Pirandello è evidente, inizialmente, l'idea di una "Sacra avventura garibaldina" da condursicon "La velocità da epopea" in un "Caldo spettacolo edificante".All'entusiasmo propagandistico dei fervidi sostenitori dell'intervento come palingenesi sociale non corrisposeun altrettanto energica propaganda da parte degli oppositori alla guerra, ed è forse questo "silenzio degliinnocenti" che permise quel diffuso consenso ed entusiasmo nei confronti della guerra. Uomini comeBorgese e Serra accettarono con rassegnazione il conflitto mondiale cercando di vedere in essa una qualchefonte di speranza; mentre pochi presero una ferreaposizione senza farsi persuadere dall'azione imbonitrice didemiurghi abili nell'arte dell'oratoria; tra questi Gramsci, che inveiva contro la guerra dall'Avanti!.In campo internazionale, invece, la voce del dissenso rimbombava dalla Francia con R. Rolland chenell'articolo "Al di sopra della mischia" constata amaramente non solo che la cultura è impotente dinnanzialla violenza e alle stragi giacché i più grandi intellettuali europei, tradita la loro missione, sono scesi incampo a fianco dei loro governi; ma quel che è ancor peggio è che "le due potenze morali di cui questaguerra contagiosa ha particolarmente rivelato la debolezza sono il cristianesimo e il socialismo. Questiapostoli rivali dell'internazionalismo religioso o laico si sono mostrati, a un tratto, zelatori del nazionalismopiù acceso"(Journal de Genève, 15 settembre 1914).E ancora dalla Germania con Remarque che nelIl romanzo “Niente di nuovo sul fronte occidentale” mette in evidenza e smaschera i falsi ideali con i quali una società giustifica il massacro di intere generazioni, esprimendo una posizione antimilitarista e una dura condanna della guerra in sé come inutile sterminio, un massacro ingiustificato che distrugge oltre alle vite umane anche i valori culturali e le conquiste civili della società umana. Questi, e altri autori, quali il francese Barbusse in opere come “L'inferno”, prendendo le mosse dalla loro esperienza personale descrissero nelle loro opere l'agghiacciante opera di sconquassamento psicologico che la guerra e la vita in trincea attuano su chi è coinvolto. In Italia è solo in seguito all'impatto con la deludente realtà mortifera di questa guerra che scrittori e poeti si sentirono in dovere di innalzare un urlo di protesta che facesse naufragare il mito della morte eroica svelando