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Quale modello di integrazione si può proporre?
Infine se, per ragioni di principio oltre che di opportunità politica, si ritiene che non possa essere accettato né il modello assimilazionista (di marca francese) né il modello dell'autogoverno delle minoranze, quale modello di integrazione si può proporre?
L'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) definisce la globalizzazione: "Un processo attraverso il quale mercati e produzione nei diversi paesi diventano sempre più interdipendenti, in virtù dello scambio di beni e servizi e del movimento di capitale e tecnologia". L'accademica di Harvard, Rosabeth Moss Kanter rafforza il concetto dell'OCSE riducendolo ai minimi termini: il pianeta si sarebbe oramai trasformato in un unico, vastissimo supermarket, dove ciascun capitalista può trovare, con poca spesa, tutto ciò di cui abbisogna. La globalizzazione non ha solo effetti economici, ma anche effetti giuridici, culturali.
Secondo...
il modello assimilazionista, l'immigrato che arriva nel paese di accoglienza è reso titolare degli stessi diritti del cittadino del Paese che lo accoglie, a condizione di dimenticare le proprie radici. Secondo Lévi-Strauss è un modello antropofagico e non è proponibile perché violerebbe uno dei diritti fondamentali dell'uomo. Neanche il modello opposto è accettabile, quello dell'autogoverno delle minoranze perché conduce alla balcanizzazione della società cioè ad una società nella quale ci sono tanti gruppi che vivono secondo proprie modalità. Se, per ragioni di principio e per ragioni pratiche, non è proponibile né l'uno né l'altro modello, come affrontare la questione dell'integrazione? Si propone il modello del cd. Dialogo interculturale. Come deve realizzarsi una integrazione che da un lato faccia salvi i diritti delle persone a conservare la loroidentità culturale, se liberamente accettata e sottoscritta, e al tempo stesso evitiche la pluralità di identità si traduca in forme di conflitto più o meno violente? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo interrogarci su quali caratteristiche un modello di integrazione culturale deve avere. Si possono indicare cinque di caratteristiche che si collegano a principi fondativi che prescindono dall'adesione all'una o all'altra matrice culturale
Il primo principio è quello del primato della persona sullo Stato e sulla comunità. Questo principio ci dice, cioè, che la persona viene prima, in senso non temporale, ma logico-fondativo, dello Stato e della comunità. Che la persona venga prima dello Stato è cosa nota, ma precisiamo meglio cosa significa affermare il primato della persona sulla comunità. Vuol dire che la persona crea la comunità e non viceversa. In altre parole, come affermato dai filosofi
del personalismo da Maritain, Ricoeur, Lévinas, è la persona che deve scegliere la comunità cui liberamente aderire. In un saggio recente, l'economista Amartya K. Sen pone esattamente i termini della questione nel titolo stesso del saggio: "La ragione prima dell'identità". È sufficiente affermare che una persona non proprio perché è nata ed è cresciuta in una comunità, per ciò stesso, le debbano essere attribuiti certi criteri e modi di comportamento. Perché è pur sempre la persona che deve essere lasciata libera di decidere se quella comunità di riferimento è accettata o può essere cambiata. Il secondo principio afferma che la persona è diversa dall'individuo. La persona è un individuo che vive in relazione con altri e che a garantire la libertà, in senso pieno, della persona non è soltanto la possibilità di fare quello chesi vuole cioè il principio dell'autodeterminazione, ma anche il principio dell'autorealizzazione. La persona cioè si autorealizza in un rapporto relazionale con altri soggetti. Questo vuol dire che per il rispetto della persona occorre riconoscere la valenza pubblica anche alle proprie identità. In altre parole è necessario che le culture, di cui ciascuno è portatore e alla quale ciascuno sceglie di appartenere, meritano una tutela non solo nella sfera privata ma anche nella sfera pubblica. Nessuno mette in dubbio che nella sfera privata ognuno è libero di sostenere le ragioni della propria cultura, ma la vera questione è se riconosciamo o meno una tutela pubblica delle identità culturali. In base a questo principio, la tutela pubblica delle rispettive identità culturali significa prendere seriamente in considerazione i diritti dell'uomo.
Il terzo principio è quello della neutralità dello Stato nei
confronti delle culture diverse. Il principio della neutralità non va confuso con quello dell'indifferenza. Bisogna capire che la neutralità afferma l'imparzialità dello Stato nei confronti delle diverse identità culturali. L'indifferentismo, invece, afferma l'impossibilità di stabilire confronti tra le diverse culture. In altre parole il terzo principio è quello della laicità dello Stato dove laicità non vuol dire indifferentismo, un atteggiamento per cui lo Stato dice che tutte le culture sono uguali indipendentemente dal loro nucleo fondativo di valori, ma afferma che lo Stato deve essere imparziale, non deve discriminare né deve favorire l'una cultura rispetto l'altra. In questo senso ci è d'aiuto la famosa sentenza della Corte costituzionale italiana del 1989 laddove "il principio di laicità, quale emerge dalla Costituzione Italiana, implica non indifferenza delloStato di fronte alle religioni, ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà della religione in regime di pluralismo culturale e religioso. L'attitudine laica dello Stato risponde non a postulati ideologizzati astratti di estraneità, ostilità o confessioni, ma si pone al servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini".
Il quarto principio afferma che lo Stato laico, neutrale ma non indifferente, nel perseguire l'obiettivo di integrare in maniera pacifica le minoranze etno-culturali presenti nel proprio territorio, adotta quale presupposto per l'integrabilità il principio che le culture presenti nel proprio territorio concordino su un nucleo minimale di valori che sono i valori dei diritti fondamentali dell'uomo. Lo Stato laico, neutrale ma non indifferente, nel consentire la realizzazione del modello interculturale, verifica che coloro i quali decidono di partecipare al dialogo interculturale
aderiscano ad un nucleo comune di valori che sono i diritti fondamentali dell'uomo. Si può obiettare che i diritti fondamentali dell'uomo sono di marca occidentale e quindi frutto della cultura occidentale e non possono essere imposti a chi proviene da altre culture, ma è una falsa obiezione priva di fondamento, perché il valore della dignità della persona, il valore della parità degli uomini, insieme al diritto della libertà religiosa, sebbene usino il linguaggio della cultura occidentale, non sono affatto una caratteristica di questa cultura. Bisogna evitare di confondere il contenuto di un valore con la forma espressiva nella quale quel valore viene enunciato e declinato. L'occidente per primo, in senso storico, ha tradotto quei valori fondamentali dell'uomo in codici e costituzioni, ma concludere che quei valori siano tipici di una particolare cultura come quella occidentale è un vero non senso. È importante.che si affermi che vi è una presunzione di cogenza di questi valori fondamentali rispetto alla cultura che li traduce, ma non è fondativa dei valori stessi. Una volta accertato che c'è da parte di chi vuole aderire al dialogo interculturale l'accettazione di questo nucleo fondativo, il compito successivo è discernere ciò che di una data cultura presente nel territorio è tollerabile, rispettabile, condivisibile. Questo è l'aspetto qualificante del modello illustrato e cioè che, una volta appurata che vi sono le condizioni per rendere fattibile il dialogo, perché tutti coloro che partecipano aderiscono, sottoscrivono i diritti fondamentali dell'uomo, ne deriva che il compito successivo consiste nel discernere ciò che è tollerabile da ciò che è rispettabile. Il criterio del rispetto è un criterio più rigoroso di quello della tolleranza. Il rispetto non è solo.una questione di diritti, ma rinvia all'onore. Si rispetta qualcuno che si riconosce essere degno di valore o portatore di una visione diversa dalla nostra ma che merita valore. Il criterio della condivisione è ancora più rigoroso perché si condivide qualcosa che può essere inserito all'interno della propria cultura. È importante questa identificazione dei tre livelli di giudizio: della tollerabilità, della rispettabilità, della condivisibilità perché, sulla base di questo criterio, abbiamo la possibilità di decidere l'allocazione delle risorse ad opera dello Stato e degli EE.LL.. In altre parole quello che avviene nel nostro Paese ed anche in altri Paesi è che non c'è mai un criterio che permetta di decidere se certe richieste avanzate dai portatori di un'altra cultura o di un altro credo religioso debbano essere accettate o meno. Questo succede perché non c'è
principio afferma che in caso di soggetti che non accettano i valori fondamentali dell'uomo, non sarà possibile integrarli nel processo dialogico.Il principio del modello afferma che si applica allora il criterio della tolleranza condizionata. Questo vuol dire che lo Stato e gli EE.LL. sono disposti a destinare risorse a favore di questi gruppi perché, all'interno della propria matrice culturale, con imod