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VIGILANZA E REGOLAMENTAZIONE.
Una delle prime cose che si va a ricercare in un sistema finanziario che non si conosce è
come è vigilato questo sistema finanziario, perché in linea generale i controllori sono i
maggiori informatori di quel sistema finanziario. Vigilanza e controllo sono 2 assets in
mano ad un paese, utili per controllare la configurazione del sistema finanziario, perché
sono le regole a dire “chi può fare cosa”, in maniera più o meno stringente, e c’è un’attività
di vigilanza che verifica che quelle regole siano rispettate. Da paese a paese si verifica in
modo diverso anche se si sta cercando un’omogeneizzazione.
(Ripassare obiettivi e finalità della vigilanza).
Una principio da ricordare bene è quello microeconomico, che di fatto è sempre interessante
dato che viene dimenticato ed è: perché la vigilanza interviene sui singoli intermediari?
Perché in realtà l’assioma sottostate è che la stabilità di tutti i singoli e la loro efficienza
riescano a condizionare le condizioni complessive del sistema. In Europa si è fatto un
cambiamento rispetto a questo principio ma è ricominciata anche un tipo di vigilanza
macroeconomica, non soltanto su tassi e valute ma anche un tipo di vigilanza non basato
solo sul singolo.
Quali sono le possibilità di scelta di un paese nell’approccio regolamentare?
Ci si riferisce sia tra un paese e l’altro ma anche nello stesso paese durante il corso del tempo.
Le scelte, tranne alcune, possono convivere.
La prima scelta è tra:
official supervisory approach c’è soggetto deputato alla supervisione di una
particolare parte o della totalità del sistema finanziario;
private monitoring approach lascia al private monitoring, cioè al PRINCIPIO
DELL’AUTOREGOLAMENTAZIONE, l’ordinato funzionamento del settore
finanziario. C’è comunque anche qui un’autorità che controlla l’operato.
Entrambe giustificano l’esistenza di un supervisor. Non è detto che esista o l’uno o
l’altro. Io posso avere per la maggior parte di operatori e contratti un supervisor ma
lasciare la parte che ritengo che possa autogestirsi, all’autoregolamentazione (come i
mercati OTC e dei derivati, che sono contratti singoli, che è caratterizzato da una forte
personalizzazione dei contratti e di cui larga parte è autoregolamentato).
Autoregolamentazione è anche delegare a soggetti privati compartecipati parte
dell’attività di regolamentazione. QUESTO NON SIGNIFICA ASSENZA DI REGOLE
MA ASSENZA DI SUPERVISOR.
L’altra grande famiglia di scelte è tra:
approccio prescrittivo (chiamato anche vigilanza o regole di natura strutturale o one
size fix to all). Significa stabilire una regola che devono rispettare indistintamente tutti,
come ad esempio valeva per Basilea I;
principal based regulation (basato sui principi. È più diffuso). Un esempio è il
passaggio a Basilea II. Stessa cosa Solvency II.
Non è detto che vi sia o l’uno o l’altro ma possono convivere. Negli stati embrionali è
più facile trovare un approccio prescrittivo data la poca esperienza finanziaria.
Come si arriva ad una modifica delle modalità di regolamentazione e supervisione?
BETTER REGULATION
Uno dei principi cardine è quella della , cioè evitare che vi
siano duplicazioni o norme in contrasto tra loro. È per questo che i nuovi regolamenti
europei hanno sempre nella parte iniziale non solo i principi base ma anche tutte quante le
norme che non si applicano più, riferendosi soprattutto alla normativa secondaria. Questo
perché un obiettivo molto importante è stabilire misure d’efficacia. Si va nell’ultimo periodo
sempre più spesso a fare delle proiezioni degli impatti che una norma può avere, sia sul
sistema in generale che sui singoli mercati e quindi sui soggetti che vi operano, tenendo
conto delle proiezioni dei costi. È una novità degli ultimi anni! Si stabiliscono anche criteri
per stabilire l’efficacia del nuovo quadro normativo che si vuole implementare.
Un altro principio è la proporzionalità, facilitata sicuramente dal principal based ma anche
prescrittivo, dove questo è necessario, ed è il trattamento delle regole in base al livello
dell’intermediario vigilato. Un conto è un grande gruppo finanziario internazionale, un
altro conto è una piccola SIM che opera in una zona limitata di un paese. I livelli di
complessità sono diversi ed è giusto tenerne conto. Per realizzare la compartecipazione
un’altra cosa è la pubblica consultazione (prima non era scontato averla come oggi).
L’obiettivo è di mettere insieme un progetto di regolamentazione, cioè il regolatore fa un
regolamento, legge o qualsiasi cosa sia e la mette in pubblica consultazione ed invitano tutti
gli stakeholders ad esprimere le loro considerazioni. Tra questi vi possono essere sia società,
ma anche ad esempio professori universitari che si interessano all’argomento. Da qui si va
tenere conto di queste opinioni e delle volte emanano una legge anche sulla base di queste,
mentre altre volte se si ritiene comunque necessario adottare una misura, essa viene
comunque implementata anche se gli stakeholders hanno espresso un parere contrario. Ha
una valenza consultiva, non vincolante ovviamente, ma i Regulators sono comunque
obbligati a darvi risposta.
Approcci regolamentari cambiano nel tempo, in base alle necessità di quel frangente
storico di un sistema finanziario. (grafico di uno studio delle interviste alle varie Authority).
Per ogni item vi sono 2 istogrammi e sono il numero delle rilevazioni fatte ad intervalli
regolari (qui 4 anni). Si va a vedere per esempio se un tipo di regola è prescrittiva; se sono
cambiate nel mondo le limitazioni per svolgere attività bancaria su determinate attività,
come i real estate. Un altro grafico è quello di alcuni aspetti innovativi sulle
regolamentazioni innovative, dove i supervisor iniziano a tenere conto di nuove variabili.
Una delle più interessanti è il Business Model, fino a poco fa non considerato. Un altro è
attività di benchmarking, cioè la capacità di confrontarsi con gli altri regulators. Un altro
elemento è la Governance dei soggetti vigilati che deve rispondere a: efficacia, qualità,
competenza ed indipendenza del Board dei soggetti vigilati di cui non si teneva conto.
Ancora possiamo dire che si tiene conto della cultura di un determinato rischio.
Alla triennale abbiamo visto anche le modalità di vigilanza, ad esempio per istituzioni, per
attività, quindi bisogna rivederla. L’architettura della vigilanza cambia nello spazio e nel
tempo. Nel settore assicurativo prima ad esempio vi era l’ISVAP, finanziato dallo Stato che
vigilava sulla stabilità, trasparenza, ecc. per il settore assicurativo. Oggi si chiama IVASS ed
è un’agenzia della Banca d’Italia. Nel Regno Unito si è passati invece ad esempio da
un’unica Authority, ad averle separate e poi nuovamente ad averne un’unica.
Non c’è un modello migliore di un altro, tutti possono essere efficienti, ma possono avere
dei problemi. Modelli troppo frammentati, come quello statunitense hanno dei problemi
tra loro, in quanto queste autorità non sono sempre collaborative.
Altra cosa è che spesso si considera che tutte le Banche Centrali vigilano sul sistema
bancario, ma questo non sempre avviene, per esempio la Bundesbank vigila solo su alcune
finalità. (vedere grafico sul come sono organizzate le architetture dei controlli nel 2015, ci
dice quali sono i paesi con molteplici soggetti che vigilano. Infine vedere il grafico sulla
percezione dell’aumento o la diminuzione di regole nei vari paesi dato che non c’è una
tendenza unica su questo argomento. È legato molto alla percezione e la dichiarazione ma
non sull’effettività. Alcuni paesi in seguito alla crisi sono stati costretti ad aumentare la
regolamentazione per uniformarsi al quadro internazionale).
20/05/2019
Costi della vigilanza e della regolamentazione , che ricordiamo
non sono la stessa cosa, dato che alcuni organi di vigilanza non hanno potere normativo.
Si parla spesso di tutta una serie di costi, soprattutto di compliance, dato che ogni volta che
viene implementata una nuova normativa o prescrizione regolamentare bisogna sostenere
dei costi, come singolo intermediario per adeguarsi al nuovo quadro. Questi sono anche
quelli più difficilmente quantificabili.
I costi diretti sono quelli derivanti dal funzionamento degli operatori, come costi operativi
o del personale addetto alla vigilanza. Sono legati anche alla formazione del personale.
Quando sono stati introdotti B II e III anche i Supervisor sono stati tenuti a corsi
d’aggiornamento e formazione adeguata alla nuova formazione. Vi sono poi anche i costi
delle infrastrutture e degli strumenti utilizzati per la vigilanza. Sono quelli più facilmente
quantificabili.
Questi costi ovviamente sono reperibili nei bilanci. Non tutte però le autorità pubblicano o
rendono pubblici i loro bilanci. Alcuni poi non hanno voci uniformi. Basti pensare a quelle
autorità uniche all’interno di una sistema che vigilano per ogni settore finanziario, dove
quindi non si riescono ad individuare quali sono i costi diretti di un certo tipo di vigilanza,
piuttosto che di un’altra.
I costi di compliance sono costi privati dei soggetti vigilati per rispettare le normative, come
ad esempio i costi di adeguamento, ad esempio assumere nuovo personale adatto alla nuova
prescrizione, entro un tempo ragionevole. Questo per rispettare il principio di Better
Regulation. Le autorità sono tenute a verificare l’impatto che una nuova normativa ha sugli
intermediari, non mi modo quantitativamente determinato ma a grandi linee.
I costi indiretti sono legati al buon funzionamento o ad uno dei fallimenti del corretto
operare di uno degli intermediari vigilati (impatti sul funzionamento di mercati e
intermediari). Sono per questo di difficile valutazione.
Il discorso di costi si collega ad un’altra questione, ovvero: come si finanziano questi
Ci
Supervisor? sono diversi modelli di finanziamento.
Inizialmente, quindi in quella che si può definire una fase di “start-up”, vengono finanziati
dallo Stato. Qui è anche più difficile trovare i bilanci, non per mancanza di volontà di
rendicontazione, ma perché è lo Stato che finanzia. In Italia ad esempio ogni voce deve
passare per la Corte dei Conti, la quale poi rende difficile reperire tutte le inform