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Se Elam parlava di scambio ed interferenza, Ruffini fa invece capo alla nozione di trascrizione irreversibile
nel passaggio tra pagina e scena: Ossia che il testo nel processo di trascrizione inversa dalla scena alla
pagina esiste come alienazione nello spettacolo.
Il testo letterario non è infatti “unico”, ma molteplice, nel senso che nel momento in cui si distacca dal suo
contesto spettacolare originario, si “inteatra” nuovamente nelle infinite messinscene che seguono la prima.
(pag. 44) Quello che deduce Ruffini è dunque che il testo non assorbe, vanificandolo, lo spettacolo, ma al
contrario è esso che si aliena dallo spettacolo.
Differenza fra collocazione in scena e messa in scena
(pag. 44) Collocazione in scena: tipica del Rinascimento ad esempio, i diversi elementi del linguaggio sono
accostati l'uni all'altro secondo un procedimento sommatorio. Non sintetizzano un senso, e quindi un testo,
scenico, ma producono materiali linguistici di accompagnamento al fatto drammatico.
Messinscena: In tal caso siamo di fronte ad un processo di “messa in senso” del testo letterario attraverso un
meccanismo di riscrittura che si fonda principalmente sulla scena. Atteggiamento nei confronti del teatro
pensabile solo a partire dalla regia, perché è solo con essa che le componenti sceniche diventano protagoniste
di una scrittura. Brecht
(Pag. 21-22) Secondo Planchon è stato Brecht ad aver per primo impostato la scrittura del teatro come
scrittura doppia: drammatica tanto quanto scenica.
Anche se da un lato assegnare il totale primato a Brecht vorrebbe dire annullare totalmente quel processo già
avviato negli anni '20 e '30 del novecento.
L'azione è per Brecht anzitutto esibizione di cose che accadono. La dissezione dell'ordine narrativo a favore
di un andamento per sezioni staccate, per quadri che si succedono, comporta ulteriormente che l'azione
teatrale sia vista principalmente, se non esclusivamente come azione scenica, che la disposizione temporale
degli avvenimenti non segua tanto lo sviluppo del racconto quanto la successione delle scene.
La messinscena non è quindi un momento che succede alla costruzione dell'azione, quanto una componente
decisiva per definire la natura epica.
La luce per esempio, attraverso il posizionamento in scena dei fari, non viene impiegata al solo scopo di
definire l'ambientazione ma anche con l'intenzione di essere individuata e quindi nominata quale componente
del linguaggio e quindi viene inserita in un processo di scrittura che riguarda complessivamente la scena.
La scenografia è ridotta agli elementi che interagendo con l'attore possono produrre un effetto diretto
sull'azione drammatica.
Nella drammaturgia brechtiana, il racconto il dialogo, i materiali, sono accompagnati da indicazioni di
azione agita, di costruzione scenica e non sono appunti per una regia futura (come è tipico della didascalia
ottocentesca), quanto veri e propri elementi costitutivi del dramma.
4. La nascita della Regia
(Pag. 18) Nel momento in cui si prende coscienza delle possibilità creative e non solo tecnico-artigianali
dell'operatore scenico, viene collocata la nascita della regia in rapporto appunto con la nascita della scrittura
scenica. Questo riferimento alla regia è importante per comprendere la collocazione storia della scrittura
scenica
Anche per la regia si pone il medesimo problema che di scrittura scenica. Si può parlare di regia prima
dell'Ottocento?
Per rispondere a questa domanda è bene chiarire la differenza fra regia, in quanto nuovo modo di
organizzare e codificare il linguaggio e il teatro di regia che è il risultato, sul piano estetico, ma anche
organizzativo di tali premesse (dal corriere della sera: teatro di regia: dove il regista dice agli attori come
vanno dette le battute, come vanno messe le mani, cosa vuol dire in assoluto il testo che stanno recitando, e
decide tutto a priori su basi critiche, letterarie, culturali: quali comportamenti, quali colori, quali suoni, quali
spazi corrispondano all'umanità cui sta cercando di dare testimonianza sul palcoscenico).
5. Il teatro di Regia
(pag. 47) Nella prima metà del novecento la scrittura scenica appare come strumento di rilancio e riscatto
della specificità linguistica del teatro all'interno del nascente fenomeno della regia. È allora che la
componente scenografica smette di essere un elemento laterale rispetto all'interpretazione del testo. 2
(pag. 48) Se nell'ottocento la scenografia appare su un piano puramente decorativo, a partire dai Meininger
e poi con Stanislavskij, Appia e Craig e tutti i grandi riformatori, si va ad una ridefinizione del rapporto
tra scena e gli altri linguaggi teatrali.
Prima di questo nuovo concetto di scrittura scenica, questa era “scrittura della lingua” del teatro, nel senso
che la scrittura scenica rappresentava la convezione, il modello rappresentativo al cui interno il testo veniva
accolto e da cui era, in gran parte, determinato, quanto alla sua costruzione formale. Per esempio l'uso della
maschera non faceva parte dei materiali di scrittura di Eschilo o Sofocle, ma costitutiva un elemento
determinante della lingua teatrale che il teatro ateniese consentiva di parlare ai suoi autori. Allo stesso modo
Shakespeare non scriveva la scena, ma scriveva a partire dalla scena.
Nel novecento viene invece inserito l'apparato scenico tra le scritture attive, cioè operative, di cui si serve il
teatro, mettendo in discussione anche la concezione della scena e della scatola ottica tipica del teatro
all'italiana che condiziona e vincola non solo la ricezione dello spettacolo, ma la sua stessa realizzazione.
(pag. 50) La regia rappresenta dunque la prima significativa testimonianza della presenza della scena come
scrittura, anche se ci sembra di poter convenire con quanto affermano Bartolucci e Grande quando ne parlano
come di un presupposto storico piuttosto che come del fenomeno pienamente operativo.
All'interno della regia la scrittura scenica agisce (e viene agita) come uno degli elementi linguistici che
concorre a definire l'insieme, mentre, come abbiamo voluto specificare, dagli anni sessanta essa si dà come
vero e proprio modello di teatro.
(pag.57) è solo dalla riferma proposta da Craig e Appia che è possibile parlare propriamente di regia, che
consisterebbe, da un punto di vista linguistico, nell'introduzione, anche in teatro, della prospettiva di un'arte
non imitativa. Vale a dire non più fondata su un concetto di mimesi, ma sul principio della piena autonomia
artistica del quadro scenico, su quello di validità artistica, figurativa dello spettacolo.
Nei termini in cui ne parla Marotti la regia andrebbe dunque a coincidere quasi con la scrittura scenica.
La regia non è quindi una diversa articolazione, sul piano della consapevolezza e della intenzione artistica
dell'uso dei materiali scenografici, o più in generale rappresentativi, esprime invece un particolare
atteggiamento nei confronti del linguaggio teatrale, teso a ricondurlo dentro un ambito specifico, libero dai
vincoli della letteratura e proiettato verso una nuova rifondazione che è linguistica ma va considerata nel
complesso di una visione utopica del mondo al cui interno l'arte assume, sulla scia dell'esperienza
wagneriana, romantica e poi simbolista, il ruolo del vettore ideale.
La regia dunque è enunciazione della scena come scrittura. Affermazione che Marotti riferisce alla grande
riforma del primo Novecento, mentre Artioli la lega anche ad un momento immediatamente precedente.
Questo sta a significare come anche la storicizzazione della regia presenti (o almeno ha presentato in
passato) problemi di assestamento (continua su Craig)
Compagnia dei Meininger
La nascita della regia potrebbe essere fatta coincidere con l'esperienza della compagnia dei Mininger.
Con loro gli elementi scenografici non finiscono confinati nella dimensione dell'apparato ma diventano parte
costitutiva della scrittura dello spettacolo.
I Mininger introducono due fondamentali novità (pag.51):
L'uso dei praticabili, ossia di una piattaforma dove gli attori possono salire e muovere, questa può
• essere uno scivolo, un tavolo, un supporto, insomma qualsiasi elemento calpestabile utilizzato per
creare diversi livelli rispetto al piano del palcoscenico. Questi,già presenti in pratiche scenografiche
2 Meininger: Giorgio II, duca di Meininger fonda nel 1870 la compagnia dei Meininger, sotto il principio che tutte
le varie parti di uno spettacolo devono rispondere ad un principio unitario di coerenza scenica. Nozioni di realismo
scenico e principio della quarta parete (gli attori recitavano senza curarsi dello spettatore)
precedenti ora vengono assunti con una intenzione rivoluzionaria nuova, in quanto consentono di
“scrivere” lo spazio come un fatto tridimensionale, liberando la scenografia dalle angustie del
fondale.
Il rifiuto della piantazione convenzionale dell'azione, che voleva la scena principale in primo
• piano, i protagonisti staccati dal gruppo dei comprimari e pretendeva, specie nel finale, una
disposizione a semicerchio in direzione dello spettatore.
In nome della verità Giorgio II chiede invece la rinuncia alla simmetria ed una disposizione libera e più
autentica dell'azione nello spazio.
Quanto caratterizza il progetto teatrale dei Meininger è dunque una ricerca di omogeneità dell'impianto
visivo dello spettacolo che va ad integrare la scrittura drammatica fornendole un sostegno scenico e quindi la
presenza di un teatro di regia non compiutamente espresso.
Stanislavskij (1863 – 1938)
Stanislavskij riprende l'atteggiamento verso gli elementi scenici dei Meininger soprattutto nella preparazione
dello Zar Fedor, scrivendo con tale precisione le didascalie da spingerci a parlare di una vera e propria
partitura registica della scena. Ansia di ricostruzione storica e la cura per i movimenti d'assieme
caratterizzano la nascita della regia un po' ovunque.
La ricostruzione filologica dell'ambiente, così come si presenta nella regia storicista, limita ancora la
dimensione scenica in quanto scrittura. Ben diverso è il caso di S., i suoi appunti di regia si rivelano quali
partiture sceniche e quindi a tutti gli effetti scritture. Un caso esemplare è rappresentato da Il Gabbiano, testo
di Cechov (pag. 52), dove la dimensione scenica è andata direttamente ad incidere sul piano testuale,
modellandone il senso in modo originale. Si è fatta quindi scrittura intessendo un proprio dialogo con la
scrittura drammaturgica.
È proprio attraverso la recitazione che S. riesce a caratterizzare il melanconico realismo piscologico di
Cechov, introducendo anzitutto il lavoro sul sottotesto, rarefacendo i ritmi dell'azione e riposizionando la
battuta rispetto al gesto del personaggio (pag.54) e poi