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LA RISTRUTTURAZIONE DI ETA’ LICURGHEA:
Sotto Licurgo, intorno agli anni ’60 del IV sec. aC., il teatro di Dioniso fu ancora una volta profondamente ristrutturato.
Uno degli interventi più rilevanti fu la costruzione di una cavea in pietra. Dodici rampe di scale molto strette divisero le
gradinate in tredici blocchi a forma di cuneo detti kerkides e, a circa tre quatri della cavea, correva, da un lato all’altro,
un passaggio detto diazoma , costituito da un antico sentiero. Quando era gremito il teatro poteva accogliere dai 14.000
ai 17.000 spettatori e alle autorità era riservato l’onore di assistere agli spettacoli in prima fila, al livello dell’orchestra,
su sedili in pietra. Un’altra innovazione riguardò l’edificio della skené che, finora a struttura lignea, divenne una vera e
propria costruzione in pietra provvista di tre porte. Acquistano dimensioni e aspetto monumentali anche i parasceni, le
due ali che racchiudevano il logheion, in forma di colonnato aperto. La creazione di questa struttura anticipa quella che
è senza dubbio la più notevole delle modifiche che il teatro subisce verso la fine del secolo successivo: la costruzione di
un proscenio sopraelevato. La separazione dal coro diventa in questo modo assoluta. Del resto, il coro ha da tempo
perso le sue caratteristiche originarie e già in Euripide si colgono i segni di una sua emarginazione dall’azione scenica.
Ciò corrisponde ad un maggior peso conquistato dagli attori.
Il declassamento del coro a spettatore esterno degli eventi porta anche al superamento di quella unità di luogo che il
poeta del V secolo era vincolato a rispettare. Questa più ampia libertà nella costruzione della tragedia si riflette
nell’introduzione di speciali congegni, le periaktoi, una sorta di prismi girevoli le cui tre facce erano costituite da
pannelli dipinti. Facendo ruotare il prisma intorno al suo asse il drammaturgo poteva realizzare un immediato cambio di
scena o anche mostrare il luogo, ad esempio un bosco o una montagna, dal quale proveniva il personaggio che faceva il
suo ingresso dinanzi al pubblico. Altre consistenti modifiche si ebbero successivamente in epoca romana, soprattutto
nell’età di Nerone e ancora nel III secolo.
STRUTTURE PROVVISORIE:
Una sopraelevazione temporanea doveva servire a realizzare l’altura, uno spazio sacro, con l’altare degli dei e numerose
statue di divinità. Non v’è dunque bisogno di un rialzo non ancora livellato, usato come piattaforma naturale. In molte
tragedie si fa riferimento alla presenza di altari o simulacri in scena. Anch’essi saranno stati eretti di volta in volta con
strutture mobili. Erano utilizzati cespugli, forse veri o altrimenti raffigurati su pannelli, e decorazioni particolari che
arricchissero talora la facciata dell’edificio scenico e aiutassero così la fantasia dello spettatore a identificare in esso lo
specifico palazzo o tempio dinanzi al quale si svolgeva l’azione.
LE MACCHINE:
Il più celebre degli strumenti è senza dubbio la macchina del volo, un congegno fissato al suolo su un basamento al
margine dell’orchestra, dotato di un lungo braccio mobile azionato per mezzo di funi e carrucole, alla cui estremità
doveva essere agganciata una bardatura che serviva ad imbragare l’attore destinato ad essere sollevato in alto. È
probabile che se ne sia servito anche Eschilo nella perduta Psycostasia, in cui Eos portava in volo il cadavere del figlio
Memnone. Viene usata anche nel Prometeo, dove Oceano compare in groppa ad un fantastico essere alato.
Della mechane Euripide si avvalse spesso per l’apparizione improvvisa e miracolosa di una divinità che interviene
dall’alto a risolvere un conflitto drammatico altrimenti inestricabile. Una soluzione certamente sorprendente e di facile
presa spettacolare. La prima attestazione è in Platone. Non tutte le epifanie divine presuppongono, però, l’uso della
macchina. Due volte, in Euripide, nell’Andromaca e nell’Elettra, c’è un riferimento al volo, ma è possibile che la
divinità comparisse non sospesa in volo, ma sul tetto dell’edificio scenico. Era una prassi molto frequente nel V secolo e
che gli dei comparissero in volo era nelle attese degli spettatori. Ben altro impatto, invece, suscitavano gli eroi che
solcavano il cielo per compiere le loro imprese.
Un altro mezzo scenico di cui si avvalsero i tragici fu l’ekkyklema, una sorta di piattaforma munita di ruote o girevole,
che poteva essere manovrata in modo da fuoriuscire dalla porta centrale dell’edificio scenico e rendere così visibile ciò
che era accaduto all’interno. Ciò che veniva mostrato sulla piattaforma apparteneva per convenzione allo spazio
retroscenico. Il suo uso era connesso in particolare ai fatti di sangue verificatisi nel palazzo e dunque di per sé preclusi
allo sguardo del pubblico. La scena tragica evitava di presentare eventi cruenti nel loro compiersi, e si trattava di una
specie di tabù religioso legato al carattere sacrale della rappresentazione. Le uccisioni, gli accecamenti, i suicidi
avvengono regolarmente fuori scena. Di questi fatti ovviamente il pubblico poteva essere messo al corrente dal raconto
di un exanghelos, cioè di un qualsiasi personaggio proveniente dallo spazio retroscenico. Ma l’effetto di una narrazione
pur ricca di particolari patetici e raccapriccianti non poteva eguagliare certamente l’impressione suscitata dalla visione
diretta di ciò che accadeva o era accaduto.
Questo era stato compreso già da Eschilo che, nell’Agamennone, dopo aver prefigurato ciò che si compiva nelle stanze
del palazzo, non rinuncia, dopo i fatti accaduti, a mostrare i cadaveri del re e della regina.
Si è obiettato che in realtà la realizzazione di queste scene di per sé non necessitava del ricorso all’ekkyklema. Per
mostrava ciò che accadeva all’interno di certo non bastava aprire la porta della skené poiché la zona rivelata sarebbe
stata immersa nella penombra e difficilmente chi sedeva a lato avrebbe potuto vedere. Rimuovendo parzialmente o
totalmente la facciata dell’edificio scenico era una soluzione.
CARRI E CAVALLI. ALTRI COMPLEMENTI DELL’AZIONE SCENICA.
In alcune tragedie sulla scena comparivano dei carri, generalmente introdotti come emblema di ricchezza e pompa
regale. Esempi si hanno nell’Agamennone di Eschilo, o nell’Elettra di Euripide. In entrambi i casi il carro, simbolo
della potenza regale, diventa un simbolo ironico di un fasto che non è servito a scongiurare al re nell’Agamennone e alla
regina dell’Elettra, una fine atroce. L’unica scena in cui è attestato l’uso di cavalli è quella dell’Ifigenia in Aulide, ma il
ricorso a cavalli o a muli è ipotizzabile anche altrove.
Complemento dell’azione drammatica erano anche gli oggetti di volta in volta richiesti dall’intreccio scenico, come i
ramoscelli d’olivo dei supplici, i vasi per le libagioni, il bauletto con il chitone per Eracle che Deianira consegna a Lica,
così come doni, cassettine, tavolette. Questi oggetti spesso hanno una grande importanza nella trama dei rispettivi
drammi: essi sono lo strumento per la realizzazione di un piano o diventano, comunque, l’elemento che consente un
decisivo, imprevisto progresso verso una felice risoluzione del nodo drammatico. Non di rado l’oggetto acquista
significato sulla scena come simbolo. La brocca che l’Elettra Euripidea porta sul capo serve ad esempio a mostrare in
quali umili condizioni l’abbia costretta a vivere Egisto. Un forte valore simbolico ha anche il tappeto di porpora che
Clitemnestra fa dispiegare dinanzi ad Agamennone e che porterà nel bagno in cui il re sarà ucciso. Molto spesso, poi,
nel rapporto tra il personaggio e l’oggetto vi è una forte componente affettiva, come nel caso di Elettra che parla
all’urna in cui crede siano contenute le ceneri di Oreste.
CAPITOLO 3:
TRAGEDIA E POLIS:
COMPOSIZIONE E DISTRIBUZIONE DEL PUBBLICO A TEATRO:
Agli agoni scenici assistevano, riuniti in uno stesso spazio, tutti i cittadini che lo volessero, e non solo quelli di pieno
diritto, ma anche schiavi, stranieri e donne. Il coinvolgimento del corpo civico nella preparazione e nella
rappresentazione degli spettacoli era davvero massiccio. La festa aveva, dunque, un carattere popolare, ma era al tempo
stesso disciplinata da una rigida organizzazione, con un cerimoniale che esaltava le differenze di ordine giuridico e
sociale fra le diverse fasce del pubblico. Seggi d’onore in pietra, in una fila avanzata rispetto alla cavea vera e propria,
erano riservati alle autorità religiose e ai più alti magistrati in carica, nonché agli ambasciatori delle città straniere. Una
sistemazione di riguardo, nelle prime file delle gradinate, spettava anche agli strateghi, ai tesorieri, e in basso sedevano i
cittadini ateniesi, probabilmente divisi per tribù. Questo privilegio era esteso anche agli stranieri che si erano distinti per
particolari benemerenze nei confronti della polis.
Tutti gli altri, come i forestieri, gli schiavi e le donne, occupavano le gradinate collocate più in alto. Tutto questo aveva
un significato politico: si riaffermava il primato delle istituzioni, ma al tempo stesso ci si preoccupava che anche i non
cittadini si sentissero in qualche modo parte di una comunità che all’occorrenza dimostrava di sapere essere
riconoscente nei loro riguardi.
Per accedere al teatro gli spettatori dovevano acquistare un biglietto d’ingresso. Probabilmente dei contrassegni di
piombo che potevano poi esser facilmente fusi e riutilizzati per gli spettacoli dell’anno successivo. Il ricavato
dell’incasso serviva alla copertura delle spese di manutenzione delle strutture del teatro. Le fonti parlano dell’istituzione
del theorikon, un sussidio di due oboli volto ad assicurare a tutti i cittadini ateniesi la possibilità di assistere agli agoni
scenici. Plutarco attribuisce la sua creazione a Pericle, altri la collocano nel IV secolo. Pericle, in realtà, introdusse il
dikanikon, un compenso per i giurati dei tribunali popolari, come forma di risarcimento per i mancati introiti della
giornata di lavoro perduta, ed è solo alla fine del V secolo che viene introdotto l’ekklesiastikon, un’indennità per i
cittadini che prendevano parte all’assemblea, provvedimento attuato per contrastare la scarsa partecipazione degli
Ateniesi alla vita politica. In ogni caso la decisione di rendere totalmente gratuito l’accesso al teatro di Dioniso va quasi
certamente collegata ad un fenomeno di crescente disaffezione del pubblico nei confronti degli agoni.
Non è difficile, quindi, ricondurre tutto al clima degli anni successivi alla fine della guerra del Peloponneso.
Per quanto riguarda il livello di cultura del pubblico, il livello medio