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Riassunto esame Drammaturgia, prof. Cerbo, libro consigliato La tragedia Greca, Di Marco Pag. 1 Riassunto esame Drammaturgia, prof. Cerbo, libro consigliato La tragedia Greca, Di Marco Pag. 2
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IL CONSIGLIO, IL CONFORTO E LA COMPLICITA’:

La forma più usuale attraverso cui il coro partecipa all’azione scenica è quella

dell’ammonimento o del conforto dato ai protagonisti della vicenda drammatica.

In alcuni casi il consiglio del coro risulta decisivo. Nelle Trachinie, ad

esempio, Deianira confessa alle coreute che per riconquistare Eracle ha pensato

di far ricorso alla magia dle chitone intriso del sangue di Nesso, ma ora che

deve consegnare la veste all'araldo Lica, perchè la porti ad Eracle, è titubante

e teme di compiere un atto sconsiderato. E' proprio il coro che l'aiuta a

superare ogni timore e ogni esitazione.

Il monito del coro, benchè di solito ispirato alla moderazione e al buon senso,

può anche essere anche disatteso. Ma anche in questo caso esso assolve una

funzione importante: nel rifiuto opposto a un consiglio o a un avvertimento

preventivo c'è la conferma inequivocabile che il personaggio è determinato ad

agire, in piena consapevolezza, fuori dagli schemi di comportamento comunemente

accettati.

Il consiglio e il conforto sono manifestazione di solidarietà e di benevolenza

del coro nei confronti del personaggio scenico. Mentre in Sofocle il coro a

volte mantiene un netto distacco rispetto al protagonista, Euripide tende a

generalizzare la presentazione di un coro che prende posizione a fianco

dell'eroe o dell'eroina che soffre o che è oggetto di minacce da parte di terzi.

Attraverso la simpatia che il coro manifesta per il protagonista della vicenda

tragica in una fase in cui la dinamica è ancora al suo avvio, il poeta orienta

lo spettatore, lo predispone ad un analogo sentimento di benevolenza e

partecipazione nei confronti della triste sorte del personaggio sofferente o

insidiato. Questa costruzione della prospettiva ha luogo sia in tragedie in cui

il coro si interroga preoccupato sulla situazione del protagonista assente dalla

scene, come nell'Agamennone o nell'Alcesti, sia in quei drammi in cui il

personaggio è presente e il coro gli si rivolge direttamente con parole di

affettuosa premura. La solidarietà può spingersi al punto da rendere il coro

partecipe dei segreti o delle trame dei protagonisti, come ad esempio per il

piano di vendetta contro Clitemnestra ed gisto nelle Coefore.

Particolarmente evidente è l'importanza drammaturgica di questa complicità nei

drammi di Euripide, come nell'Ifigenia Taurica, in cui il coro cerca di

ingannare l'anghelos venuto ad annunciare a Toante la fuga di Ifigenia, Oreste e

Pilade con il simulacro di Artemide, sostenendo che il re non è all'interno

della reggia.

LA PAURA, LA PREMONIZIONE, LA PREGHIERA:

Vi sono anche altre importanti funzioni che il poeta tragico assegna al suo

coro, soprattutto negli stasimi, i canti che separano gli episodi. Questi

accompagnano l'azione scenica, la commentano, ne pongono in rilievo le linee di

sviluppo e ne approfondiscono i nodi concettuali. Il tema della paura occupa uno

spazio rilevante. Il coro manifesta sgomento per un pericolo real e vicino, come

nell'assalto dei nemici nei Sette, o magari trepida per le sorti di avvenimenti

che si svolgono lontani, come la spedizione di Serse nei Persiani.

In queste situazioni è frequente il ricorso al modulo della preghiera. Il canto

dl coro può far risuonare accenti di inquietudine e di angoscia anche quando la

situazione scenica sembri invitare alla serenità e alla gioia: presentimenti

ancora vaghi e indefiniti, ma che anticipano la catastrofe imminente. Una chiara

valenza profetica ha, ad esempio, il terzo stasimo dell'Agamennone: il re è

appena tornato e la regina lo ha accolto con tutti gli onori, ma i vecchi

coreuti nel loro intimo non riescono a gioire ed avvertono l'incombere di

un'oscura minaccia.

IL CORO SPETTATORE IDEALE:

Vi è stato chi ha voluto vedere nel coro uno spettatore ideale, o che ha voluto

assegnargli la funzione di portavoce delle opinioni del poeta. A indicare il

coro come spettatore ideale fu Schlegel, che affermava che attraverso il coro il

poeta si sarebbe fatto portavoce del comune spirito nazionale ed anzi

dell'umanità intera. Il coro è, quindi, considerato come un osservatore

distaccato, cosa in parte vera se si pensa che spesso può intervenire nei

conflitti solo con le sue raccomandazioni o i propri consigli. Ma questo non è

vero, perchè è il pubblico, lo spettatore, che conosce il mito, è posto in una

posizione superiore rispetto ai coreuti che invece conoscono gli eventi man mano

che accadono. Lo spettatore è, dunque, in grado di focalizzare e giudicare ciò

che accade assai meglio del coro.

GLI IPORCHEMI SOFOCLEI:

Dove appare più evidente la fallibilità del giudizio del coro è nei cosiddetti

iporchemi, termine con cui si indicano alcuni canti che in Sofocle il coro

intona in una fase della tragedia in cui la minaccia che gravava sul

protagonista sembra felicemente passata. Come liberatisi da un incubo angoscioso

i coreuti manifestano il loro sollievo e la loro gioia, abbandonandosi a vivaci

movimenti di danza. In realtà la catastrofe non solo è sempre in agguato, ma

incombe vicina: lo spettatore lo sa bene, e ciò produce un potente effetto di

ironia tragcia. Così è, ad esempio, nell'Aiace, con il coro che esulta dopo che

con una rhesis l'eroe ha dato l'impressione di aver rinunciato al proposito di

suicidarsi.

Il canto corale accompagna ed amplifica un'atmosfera di giubilo che trae origine

dalla convinzione che le difficoltà che si prospettavano all'inizio del dramma

siano state di colpo superate; convinzione destinata ad essere smentita dallo

sviluppo immediatamente successivo della tragedia.

IL CORO PORTAVOCE DELLE OPINIONI DEL POETA:

Il coro, istituzionalmente, non è lo strumento attraverso cui l'autore esprime i

propri giudizi, le proprie opinioni. Occorre riconoscere che vi sono in realtà

casi in cui non è facile distinguere tra coro e poeta, soprattutto quando il

canto corale si apre ad approfondimenti concettuali che sembrano travalicare la

dimensione puramente scenica. Ad esempio, per le valutazioni etnico-religiose di

alcuni cori nelle tragedie di Eschilo. Impossibile non interpretare come

espressione diretta della severa teologia del poeta e della sua concezione dei

limiti della condizione umana l'Inno a Zus e le gnomai con cui nella parodo

dell'Agamennone i vecchi coreuti commentano la scelta che il re fece di

sacrificare sua figlia Ifigenia. A volte anche in Sofocle il lettore non riesce

a sottrarsi alla suggestione che attraverso il coro parli direttamente il poeta.

Il primo stasimo dell’Antigone inizia con la notizia dell’azione con cui la

giovane eroina ha simbolicamente dato sepoltura a Polinice, contravvenendo

all’editto di Creonte ma obbedendo ai suoi obblighi nei confronti del fratello.

Il canto celebra l’ambigua grandezza dell’uomo, da un lato capace di grandi

audacie, e dall’altro pronto a servirsi di quello stesso ingegno per fini

contrari alle norme divine. In questa riflessione si è voluto leggere la

profonda preoccupazione del poeta per le insidie implicite nel processo di

crescita di Atene negli anni che coincidono, sul piano politico, con

l’affermarsi del disegno imperialistico di Pericle, e su quello spirituale, con

la circolazione di nuove tendenze e nuovi umori, soprattutto la concezione

antropocentrica che dal nascente movimento sofistico doveva apparire già una

delle idee-guida.

Naturalmente anche in Euripide a volte parla il coro per il poeta, come nel

secondo stasimo dell’Andromaca in cui si ha la riflessione che la bigamia è la

rovina della casa. In questo caso si può addirittura parlare di un poeta che si

sostituisce al coro. Tuttavia va ribadito che l’identificazione tra coro e poeta

non costituisce una norma, ma al contrario, occorre non attribuire all’autore

ciò che pertiene alla moralità del coro inteso come personaggio storico.

IL CANTO CORALE COME RACCORDO TRA PASSATO E PRESENTE:

Un’importante funzione svolta a volte dai canti del coro è quella di integrare

nella vicenda scenica segmenti del passato utili ad illuminare gli eventi

presenti.

Nell’Agamennone, in più canti successivi, il coro rievoca il sacrificio di

Ifigenia, la presa di Troia, e alla ricostruzione del quadro degli eventi

trascorsi contribuisce anche la visione di Cassandra, che richiama gli orrori

antichi della casa degli Atridi. Via via che si dipana l’azione tragica

riemergono e sono assunti ad oggetto di meditazione critica quegli antefatti in

cui affondano le loro radici gli sviluppi del dramma che si rappresenta sulla

scena. Il coro può, anche, richiamare dei miti non necessariamente connessi alla

saga rappresentata, in funzione di allusione, come il coro delle Coefore che

paragona l’empito omicida di Clitemnestra a quello di Altea e di Scilla.

IL RUOLO DEL CORO SECONDO ARISTOTELE. LA NUOVA LIRICA DEL TARDO EURIPIDE.

Aristotele affermava che il coro doveva essere considerato un attore, facente

parte del tutto e partecipe dell’azione. Il filosofo condanna la tendenza ormai

invalsa ai suoi tempi di comporre canti del tutto avulsi dall’intreccio scenico,

veri e propri cedimenti come lo stesso filosofo ravvisa nella drammaturgia di

Euripide. Di qui l’indicazione di Sofocle come modello di poeta capace di

assegnare al coro una parte pienamente attiva nel dramma. Vi sono, però, in

Euripide esempi di coinvolgimento del coro nell’azione, come nelle Supplici e

nelle Eumenidi. Nell’Ifigenia in Aulide il coro non ha legami con l’azione, ma

acquista valore più per le sue qualità pittoriche, che per il tema che sviluppa.

Esempio di questa tendenza è l’ultimo stasimo dell’Elena, in cui si ha

abbondanza di aggettivazione ridota a mero elemento esornativo, l’insistenza sul

dato visivo e la ricerca del colore, al servizio di una vena immaginifica. Non

conosciamo la musica che accompagnava questo canto, ma probabilmente anch’essa

creava forte suggestione. La cura delle immagini, il gusto per i particolari

descrittivi e la propensione alle notazioni coloristiche non sono certo una

novità nel teatro euripideo, ma in una fase precedente la loro funzione era

diversa. Essi dovevano creare effetti di contrasto, servivano ad accrescere il

pathos, e a rendere più angosciosa l’atmosfera. Con la produzione tarda di

Euripide questo cambia, perché il canto corale tende a farsi decorativo, e la

narrazione povera di autentiche risonanze emotive. Si moltiplicano le immagini

di evasione e il canto corale doveva servire ad allontanare dalle angosce del

tempo. Il forte legame con la politica che nutriva le tragedie non c’è più,

soprattutto nella fase critica della guerra contro Spa

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Publisher
A.A. 2013-2014
8 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ART/05 Discipline dello spettacolo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher violet881 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Drammaturgia antica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma Tor Vergata o del prof Cerbo Ester.