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ABELLA ATRICE PRODOTTO MERCATO DI NSOFF
Fino a quando l’impresa ha opportunità di sviluppo nel settore in cui è presente questa
strategia non è considerata necessaria. Se lo sviluppo del business rallenta e se l’impresa
dispone di risorse sufficienti, la diversificazione diventa l’opzione che più di altre potrebbe
ridare slancio.
14. Vantaggi e limiti della diversificazione aziendale.
Premettendo che sembra dimostrato che solo raramente la diversificazione è una strategia
che crea valore per gli azionisti nel lungo periodo a causa di costi eccessivi di acquisto,
obiettivi strategici errati e mancata realizzazione delle sinergie preventivate, i principali
vantaggi sono riconducibili ai seguenti aspetti:
• Sinergie Finanziarie
• Stabilità dell’impresa e dei profitti
• Economie della grande dimensione
• Economie di scopo
• Fronteggiare la concorrenza
• Investimento di risorse in eccesso
È opportuno adottare una strategia di diversificazione quando si vogliono ripartire i rischi
del business per non dipendere troppo da uno solo; quando diminuiscono le opportunità
del mercato (stagnazione delle vendite); vi sono interessanti opportunità di espansione
in settori con tecnologie e prodotti che integrano il business esistente; vi sono buone
possibilità di riduzione dei costi sfruttando business correlati (economie di scala-scopo);
si può sfruttare un forte brand in altri business per incrementare le vendite.
Chiaramente i limiti della diversificazione fanno riferimento al:
• Aumento dei costi (legati alla complessità e all’intensità del coordinamento
necessario tra i diversi business nel processo di creazione di valore)
• Obiettivi strategici errati o non realizzabili
• Sinergie fantasma: il più delle volte l’effetto 2+2=5 di Ansoff fallisce.
15. Quali sono le forme di diversificazione aziendale?
Ansoff indentifica almeno 2 forme di diversificazione, realizzabili tramite sviluppo interno o
esterno (acquisizioni):
• Concentrica-correlata: consiste nello sfruttare le corrispondenze strategiche tra
i business. Il presupposto è che le catene del valore dei business nei quali l’impresa
diversifica siano legate da corrispondenze strategiche che hanno valenza
competitiva e creano le condizioni per ottenere performance superiori.
• Conglomerale-non correlata: consiste nell’entrare in business che presentano
catene del valore totalmente scollegate e prive di rapporti incrociati. Le imprese
che adottano questo tipo di strategia hanno primariamente obiettivi di natura
finanziaria. (caso GE che ha diversificato in settori che spaziano da materiali tecnici
a servizi finanziari per privati e imprese, da motori jet per aeri militari e civili a
apparecchiature medicali). Manca dunque la ricerca di uno strategic fit tra
business. È frequente l’acquisto di imprese da parte di un conglomerato con lo
scopo di ristrutturale e dare loro efficienza per poi venderle. In questo caso
l’azienda che diversifica muove dal presupposto di poter creare valore acquistando
un’impresa non efficiente e di essere in grado di migliorarne la gestione.
Per stabilire quando - ossia in presenza di quali condizioni - la diversificazione correlata sia
preferibile a quella non correlata, possiamo ricorrere ai concetti di catena del valore e
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di strategic fit , ossia opportunità strategica. Lo strategic fit può emergere da più aree
della catena del valore ma quelle in cui è più frequente sono: il management, la gestione
operativa, la tecnologia, la distribuzione, l’assistenza post-vendita, la notorietà della
marca, ricerca&sviluppo, ecc.
16. Che cos’è la mission aziendale e quali elementi la compongono?
La mission è un’enunciazione che indica gli scopi che il corporato intende perseguire.
Rappresenta dunque il suo scopo ultimo, la giustificazione stessa dell’esistenza del
business e al tempo stesso ciò che lo contraddistingue da tutte gli altri. I quattro
principali elementi per definire una mission sono:
a. La definizione degli obiettivi di lungo termine: che dovrebbero indicare con
precisione cosa deve essere fatto ed entro quanto tempo: riguardano problemi più
importanti della gestione, sono impegnativi ma realistici e raramente sono definiti
in termini quantitativi. Sostanzialmente sono rappresentati da
i. Strategic intent
ii. Shareholder value
iii. Obiettivi non economici del corporate
b. La definizione del Business: definire se single o multi business, a quale target
di clienti ci si rivolge, per soddisfare quali esigenze e in che modo, quali business
Si dice che esista strategic fit tra due o più business quando le catene del valore di tali business
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sono simili al punto da poter utilizzare la stessa tecnologia o le stesse reti di distribuzione la stessa
immagine e così via…
aggiungo valore e quali lo sottraggono, come meglio combinare i business in
un’ottica di efficienza ed efficacia di gruppo.
c. La definizione di politiche e valori: relative all’etica, alla difesa dell’ambiente,
alla protezione del consumatore, alla responsabilità sociale del corporate.
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d. La definizione dei rapporti tra business ethics e risultati economici: Le
imprese cioè, devono rispettare norme e regolamenti legali, ponendo attenzione
a non ignorare quelle etiche alla base della convivenza sociale;
17. Quali sono gli obiettivi di lungo termine generalmente adottati nei gruppi aziendali?
La teoria economica tradizionale definisce l’impresa come l’insieme di risorse trasformate in
prodotti per rispondere alla domanda dei consumatori. L’obiettivo principale quindi è
quello della massimizzazione dei profitti, equivalente alla massimizzazione dei livelli
di fatturato e della minimizzazione dei costi. Accanto a questi obiettivi di Lungo Termine
di carattere economico, vi sono obiettivi non economici come: work satisfaction,
customer satisfaction, corporate stakeholder, CSR, sustainability, Shared Value ecc.
18. Che cos’è la creazione di valore per gli azionisti?
Per Shareholder Value si intende l’insieme di strategie adottate per massimizzare il return
per gli azionisti attraverso distribuzione di dividendi o incrementi del valore del capitale.
Il successo di questo obiettivo è misurabile da indici finanziari come il ROI, ROE, CF, ecc.
La teoria del Shareholder Value si è diffusa principalmente in USA e UK a partire dalla metà
degli anni ’80 a seguito dalla crisi dei sistemi pensionistici alla sempre maggior presenza
di investitori istituzionali e alla diffusione della metodologia delle cd. Stock Option, oltre
che al crescere della globalizzazione, della deregulation dei mercati dei capitali e dell’IT.
Al fine di creare valore per gli azionisti il management si focalizza sull’esigenza di dare
priorità a tale obiettivo, riconoscendo che la creazione di valore per gli azionisti non è
solo remunerazione periodica ma anche incremento del valore delle azioni da
questi detenute e riconoscendo inoltre che tale incremento dipende non solo dalla
gestione dei processi produttivi e di mercato ma anche dalla gestione del capitale
investito. Secondo dunque la relazione di Modigliani e Miller (1958) il management
dovrebbe ottenere il massimo ROE con il minimo ROD dimensionando la struttura
finanziaria in modo tale da poter sfruttare la leva finanziaria.
Il valore di mercato di un’impresa è il valore attuale del flusso futuro di cash flow
calcolato sulla base di un tasso di interesse pari al costo del capitale. L’impresa
dunque crea valore per gli azionisti quando il valore attuale dei flussi futuri di
dividendi e valore delle azioni è maggiore di quello di un investimento di pari
rischio.
L’atteggiamento manageriale teso a garantire una redditività agli azionisti superiore al costo-
opportunità del capitale o, in termini equivalenti, alla remunerazione giudicata equa o
soddisfacente dall’azionista si pone la finalità di produrre valore per il capitale in termini
sia di dividendi sia di capital gain ed è denominato Value Based Management. Esso
rappresenta la consapevole, prevalente e sistematica applicazione di un insieme di metodi
tradizionali specificatamente diretti nel loro complesso a rendere massimo il valore creato
per gli azionisti.
19. Perché sono importanti gli stakeholders?
Per Business Ethics (etica degli affari) si intende, secondo Marcoux 2008, l’etica applicata alle
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attività economiche. Essa consta di due componenti: una prettamente empirica l’altra teorico –
filosofica. La prima applica tecniche spesso mutuate da finanza e marketing per studiare questioni
relative al comportamento delle imprese e di altri soggetti, la seconda intende offrire una
prospettiva teorica generale avente ad oggetto il rapporto tra i principi liberali dell’economia e
l’autonomia individuale.
Le imprese operano all’interno di una molteplicità di relazioni con altri attori economici,
politici e sociali: dagli azionisti agli stessi manager, dai lavoratori ai clienti, dai fornitori
ai partner. In questo network di inter-connessioni le imprese stesse divengono attori
sociali e politici esse stesse.
Gli stakeholders sono soggetti, persone o gruppi di persone, che hanno interesse nell’attività
dell’impresa e che quindi possono agire sulla mission e sugli obiettivi di questa. Quali
priorità dare agli interessi degli stakeholders è una domanda legittima e importante che
il management si deve porre. La risposta risiede nell’analisi del potere degli stakeholders:
dopo averli individuati e mappati, è necessario definire i loro interessi e le loro attese
stimando il loro potere e la priorità nello sviluppo della missione e infine negoziare con
questi ultimi.
20. Che cos’è la Corporate Social Responsibility?
La CSR è nel gergo economico e finanziario l’ambito riguardante le implicazioni di natura
etica all’interno della visione strategica dell’impresa. È definita nel libro verde dalla
comunità europea, edito 2001, come “l’integrazione volontaria delle preoccupazioni
sociali e ambientali delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le
parti interessate”. Si traduce nell’adozione di politiche aziendali che sappiano conciliare
gli obiettivi economici con quelli sociali e ambientali del territorio di riferimento in un’ottica
di sostenibilità futura.
Gli elementi costitutivi della CSR sono stati evidenziati dagli studi di Carroll (1979,1991).
Lo studioso, oggi professore presso l’Università della Georgia, è stato il primo ad
introdurre il tema della responsabilità socia