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Sono istituite con atti di diritto derivato; costituiscono una struttura operativa decentrata
dell’Unione che agiscono nell’ambito delle diverse politiche, quali per esempio l’armonizzazione
fra le disposizioni amministrative, tecniche e regolamentari degli Stati membri e la legislazione
europea. La finalità di ogni Agenzia è inserita all’interno dell’Atto costitutivo; esse possono essere
quindi Centri, Osservatori, Fondazioni o più semplicemente Uffici la cui specializzazione è
chiarificata dalla denominazione che vi si trova accanto.
Le Agenzie costituiscono quindi un elemento di decentramento in termini amministrativi , inteso
come trasferimento di alcune funzioni o competenze, che per la loro complessità, l’Europa da sola
non riuscirebbe a sostenere.
Ormai indispensabili per il corretto funzionamento dell’Unione, le Agenzie non hanno tuttavia una
struttura comune alla quale far capo. Per questo nel 2008 la Commissione ha proposto al Consiglio
e al Parlamento la creazione di un gruppo di lavoro che lanciasse il dibattito sulla collocazione delle
Agenzie, ad oggi senza coordinamento e quadro di riferimento comune.
25. Il rapporto tra le norme europee ed il diritto interno degli Stati membri
Il rapporto fra diritto degli Stati membri e il diritto dell’Unione non equivale alla differenza
esistente fra diritto interno e diritti internazionale. Infatti quest’ultimo prevede un rapporto di
coordinamento fra due sistemi giuridici completamente autonomi, mentre per il diritto Ue e il diritto
degli Stati membri prevede un rapporto di integrazione, in quanto l’ordinamento dell’Unione tende
ad integrarsi all’ordinamento interno.
Secondo l’art 3 TUE i Paesi membri hanno l’obbligo di leale collaborazione, per il quale quindi
ciascuno Stato non deve adottare alcuna misura che metta a rischio la realizzazione degli obiettivi
dell’Unione, al contrario, sono tenuti ad adottare misure che garantisca l’esecuzione degli obblighi
derivanti dai trattati.
Infatti l’ordinamento dell’Unione, per funzionare, ha bisogno dell’integrazione dell’ordinamento
degli Stati membri. Indubbiamente diversi sono e sono stati i contrasti fra il diritto dell’Unione e il
diritto degli Stati membri. La soluzione dei contrasti tuttavia è necessaria per tutte quelle
disposizioni dell’Unione che hanno diretta efficacia sui diritti e doveri dei cittadini. Infatti i
destinatari delle disposizioni dell’ordinamento nazionale e dell’Unione coincidono e sono le
comunità di soggetti.
In queste ipotesi di conflitto quindi è necessario stabilire quali disposizioni debbano prevalere e
quali abbiano efficacia diretta. Questo fatto è stato molte volte analizzato dalla Corte di Giustizia, la
quale ha definito due principi fondamentali nel rapporto fra diritto dell’Ue e diritto interno.
Per comprendere meglio i due principi, cioè diretta efficacia e diretta applicabilità, è necessario
soffermarsi sulla differenza fra atto e norma
L’atto è quel provvedimento emanato dagli organi competenti, che contiene diverse disposizioni
normative. Tutti quegli obblighi e diritti che si riferiscono al singolo soggetto della collettività va a
formare la norma. Quindi la norma coincide con il contenuto delle disposizioni normative,
qualunque sia la veste formale (direttiva – regolamento) che l’atto ricopre.
Caratteristiche dell’atto è la diretta applicabilità, per la quale, quindi uno Stato non deve attuare
alcuna disposizione di recepimento. Quindi i suoi effetti sono immediato appena entra in vigore
nell’ordinamento dell’Unione. Lo stesso non vale per la direttiva, che deve essere trasportata nei
singoli ordinamenti degli Stati membri.
La diretta efficacia invece è afferente alla norma, per la quale, quindi se un atto contiene obblighi e
doveri ben chiari, questi hanno efficacia immediata sui singoli anche se lo Stato non ha provveduto
ad inserire l’atto nel suo ordinamento nazionale.
La diretta efficacia dei Trattati impone che agli Stati membri così come ai singoli vengono dati degli
obblighi e dei diritti.
Controversa invece è la diretta efficacia delle direttive, infatti la Corte ha limitato la stessa ad alcuni
ambiti, quali nel caso in cui una direttiva impone agli Stati membri obblighi sufficientemente chiari
e precisi, nel caso in cui essa sia un chiarimento di un obbligo già previsto da un trattato e nel caso
in cui si indichi l’obbligo di astenersi dall’approvare determinati atti o compiere specifiche azioni.
La diretta efficacia delle direttive riguarda sempre i rapporti tra i cittadini e lo Stato, nell’ambito e
solo nei casi in cui la normativa Ue sia più favorevole delle norme interne non adeguate dello Stato
(rapporto verticale delle direttive). Nel caso in cui quindi le stesse non vengano adottate dallo Stato,
e sia quindi decorso il termine fissato per dare attuazione alla direttiva, i cittadini possono avvalersi
in giudizio dei diritti che gli spettano dalla normativa Ue e i giudici devono accogliere una simile
richiesta. La Corte ha ribadito l’assenza di qualsiasi effetto orizzontale delle direttive, cioè la
possibilità che possano conseguire effetti tra privati pur mancando una disposizionale nazionale di
recepimento. Questo ha però creato delle anomalie per il diverso trattamento riservato ai lavoratori
del settore pubblico, per i quali vale l’effetto verticale, cosa che nel settore privato non sarebbe
possibile. Per questo la Corte ha fatto ricorso a due mezzi efficacia indiretta, cioè l’interpretazione
conforme e la tutela risarcitoria.
L’interpretazione conforme prevede tutti gli organi nazionali, soprattutto i giudici, sono tenuti ad
interpretare il proprio diritto interno nel modo più compatibile possibile con le prescrizioni del
diritto dell’Unione, mentre la tutela risarcitoria si manifesta quando non è possibile l’interpretazione
e quindi nelle condizioni in cui la direttiva abbia lo scopo di attribuire diritti ai singoli, che la
violazione sia grave e manifesta che vi sia un nesso causale fra l’inadempienza dello Stato e il
danno sofferto.
Quest’ultimo è un rimedio consolatorio, ma non sostitutivo della riparazione in via principale.
I trattati tacciono in materia di efficacia delle decisioni all’interno degli Stati membri. Perciò si
afferma che se la decisioni ha come destinatari i singoli cittadini, è efficace anche per il carattere di
atto amministrativo che assume. Se la decisione si rivolge invece agli Stati membri, questi sono
obbligati a adottare provvedimenti di attuazione, ma non sono liberi di scegliere la forma e il mezzo
di esecuzioni, essendo tutto ciò previsto dalla decisione.
Infine, in caso di conflitto, contraddizione e incompatibilità fra le norme di diritto Ue e le norme
nazionali, le prime prevalgono sulle seconde.
26. Gli atti dell’Unione europea: atti legislativi e non legislativi
Gli atti giuridici dell’Unione, vincolanti e non, sono citati nel 288-289 TFUE.
Quelli giuridicamente vincolanti sono:
- Regolamenti, che hanno portata generale, sono direttamente applicabili e sono obbligatori in
tutti i loro elementi
- Direttive, che sono indirizzate agli Stati membri (singoli o tutti) e non sono obbligatorie in
tutti gli elementi, in quanto li vincolano solo sul risultato da raggiungere, quindi i mezzi e la
forma sono a scelta
- Decisioni, obbligatorie in tutti i loro elementi, se designano i destinatari, sono obbligatorie
solo per loro
Non sono vincolanti invece i pareri e le raccomandazioni.
Un atto viene definito legislativo sulla base della procedura adottata per l’emanazione. Come
afferma l’art 238 TFUE è la base giuridica dell’atto che ne conferma la natura legislativa o meno.
Gli atti legislativi vengono emanati secondo procedura legislativa ordinaria o speciale, quindi o su
codecisione del Consiglio e del Parlamento su proposta della Commissione, o con l’adizione da
parte del Parlamento con la partecipazione del Consiglio e viceversa. Atti legislativi sono quindi i
regolamenti, le direttive e le decisioni.
Un atto viene definito non legislativo quando la sua adozione non si regge su procedure legislative.
È il caso degli atti di politica estera e sicurezza comune, in quanto interviene nel settore il metodo
intergovernativo.
Gli atti delegati e gli atti di esecuzione rientrano fra gli atti non legislativi.
Gli atti delegati sono atti che integrano o modificano determinati elementi non essenziali all’atto
legislativo, di portata generale e operati dalla Commissione.
Gli atti di esecuzione sono di competenza della Commissione, e sono esecutivi degli atti
giuridicamente vincolanti dell’Unione.
27. La procedura legislativa ordinaria
Con il Trattato di Lisbona non si parla più di atto legislativo, bensì di procedura legislativa. L’art
289 TFUE prevede l’adozione di una decisione, direttiva o regolamento, congiuntamente da parte
del Consiglio e del Parlamento su proposta della Commissione. Questa ricalca la vecchia procedura
di codecisione e consiste quindi a tutti gli effetti alla procedura ordinaria.
Quella speciale invece prevede che la proposta di atto legislativo scaturisca dal Consiglio o dal
Parlamento e prevede poi la partecipazione dell’altro.
La fasi di procedura legislativa ordinaria sono quattro e disciplinate dall’art 294 TFUE
1. Fase di prima lettura – la Commissione presenta la proposta congiuntamente al
Consiglio e al Parlamento, quest’ultimo propone eventuali emendamenti e la
invia al Consiglio. Il Consiglio decide se accettare o meno gli emendamenti o, se
non ve ne sono, di adottare direttamente l’atto. Nel caso in cui non sia d’accordo
con gli emendamenti del Parlamento, afferma la sua posizione (fase di prima
lettura) e la proposta viene rimandata al Parlamento
2. Fase di seconda lettura – nei casi in cui, entro un termine di tre mesi, il
Parlamento :
a. Approva la posizione del Consiglio o non si pronuncia sugli emendamenti,
l’atto si considera adottato
b. Respinge la posizione del Consiglio in prima lettura, a maggioranza dei
membri che lo compongono, l’atto non si considera adottato
c. Propone emendamenti al Consiglio e a maggioranza dei membri che lo
compongono, viene mandato al Consiglio e alla Commissione che esprimono
un parere
A questo punto, dopo tre mesi dalla presentazione del testo così emendato il
Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata:
a. Può approvare gli emendamenti del Parlamento e l’atto viene adottato
b. Non trovano un accordo e quindi il Presidente del Consiglio, con quello
del Parlamento, convoca entro sei settimane il Comitato di conciliazione
3. Fase della conciliazione – viene consultato il Comitato, formato da membri del
Parlament