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Le critiche all'alterazione del patrimonio giuridico di Roma
Nell'Antitribonianus Giustiniano e soprattutto Triboniano vengono accusati di avere alterato e confuso l'enorme patrimonio giuridico dell'antica Roma, dando vita attraverso il Corpus iuris ad un ammasso di errori e contraddizioni normative.
Nell'Antitribonianus, Hotman propone di affidare ad una commissione di giuristi e di funzionari statali il compito di estrapolare dal diritto romano i principi ancora vivi e validi, e sulla base di questi e delle consuetudini del regno di Francia, di dare vita ad un codice che semplificasse tutto il diritto francese, ponendo fine al caos giurisprudenziale creato nei secoli dagli interpreti del diritto giustinianeo.
Da parte sua il MOS ITALICUS (metodo di studio e di insegnamento del Corpus iuris civilis che si identifica con il metodo dei commentatori, oltre che dei glossatori. Tale metodo si caratterizzava per la tendenza a considerare il diritto giustinianeo come un diritto vivo, e quindi a renderlo praticabile), che comunque...
in Italia e in Germania continuava a predominare, non rimase senza robusti paladini. Gli esponenti del tradizionale metodo del commento trovarono il massimo difensore nel giurista italiano ALBERICO GENTILE. Egli riconosceva la fondatezza di alcune critiche lanciate dai Culti aibartolisti (giuristi fedeli al modo italiano di insegnare il diritto, modo prevalentemente pratico contrapposto al modo francese, essenzialmente storico e filologico), pur riconfermando però quella che era a suo avviso la sostanziale e superiore bontà del mos italicus. Egli sosteneva che era necessario rivedere la preparazione dei bartolisti, nonché i risultati della loro attività interpretativa; fondamentalmente però l'impostazione metodologica doveva rimanere quella tradizionale. Secondo il Gentili, accettare l'atteggiamento dei Culti voleva significare accettare un metodo che svigoriva il corpus iuris civils. 10. La crisi del diritto comune e la situazione diParticolarismo giuridico nell'Europa moderna (sec. XVI - XVIII). Il diritto romano elaborato dalla giurisprudenza medievale fu elemento vitale negli ordinamenti politici europei. In ciascuno di questi la presenza del diritto romano diede vita a quel caratteristico sistema di fonti giuridiche qualificato come regime del diritto comune. Ma col progressivo accentrarsi dello stato moderno, il concetto di diritto comune iniziò ad entrare in crisi. Cominciò ad opporsi ad esso un concetto di diritto come legge dello stato sovrano, lo Stato stava in pratica diventando l'unica fonte di produzione del diritto. In tale quadro l'utilizzo dello ius commune non poteva non essere condizionato da una normativa locale rispondente a bisogni specifici. Come osservò lo storico italiano Ludovico Antonio Muratori, si era ormai innescato quel meccanismo degenerativo del regime del diritto comune; d'altra parte i disegni statalistici postulavano il richiamo al sovrano.
di ogni potere politico e normativo. Tutto ciò aprirà la strada, nella cultura giuridica europea, alla codificazione. L'idea di un codice che in ogni ramo del diritto sostituisse il dispersivo regime di fonti del diritto comune e che costituisse un razionale ed organico sistema di norme prodotte dallo stato fu, alla fine del XVIII secolo, privilegiata rispetto alle soluzioni di semplificazione e certificazione del diritto basate sulla tradizione. Tuttavia, le ovvie difficoltà tecniche fecero sì che la concreta attuazione di un tale programma si dilazionasse per quasi tre secoli, ricevendo solo dall'assolutismo illuminato e dalla rivoluzione francese la spinta decisiva. Ora il diritto comune era applicabile solo in via sussidiaria, mentre i diritti particolari andavano applicati con precedenza sul comune poiché "ius particulare praevalet iuri magis generali" (un diritto particolare prevale su una legge più generale). Nel regime deldiritto moderno, il legame trail diritto comune e i diritti particolari subisce l'interferenza della legislazione sovrana o principesca, che in quanto a lex superior ha precedenza assoluta su tutte le altre fonti concorrenti, tolleratesolo laddove con essa non contrasti o laddove essa non sia intervenuta. L'ordine di precedenzadelle fonti negli ordinamenti era il seguente: 1) precedenza assoluta alla legislazione del sovrano; qualora questa non disciplinasse il caso si applicavano 2) le disposizioni statutarie o consuetudinarie locali e, in mancanza, in ultima istanza 3) il diritto comune. L'ordine di precedenzapoteva subire poi modifiche a seconda della prassi giudiziaria delle varie corti.
Capitolo 12. Le "consolidazioni" e le ultime vittorie del diritto comune.
In pieno XVIII secolo l'idea di un regime normativo unico appariva ancora un mitico traguardo ideale, da cui però le ambizioni semplificatrici e i programmi di riorganizzazione erano ben
lontani. Per quasi tre secoli si pensò di poter raggiungere risultati di semplificazione, certezza e ordine operando sul complesso delle norme vigenti. Furono i secoli XVII e XVIII quelli in cui si iniziarono a fare i primi tentativi di apportare ordine e certezza nella situazione delle fonti del diritto in Europa. Questi tentativi culmineranno per lo più in compilazioni giuridiche e collezioni del materiale legislativo e giurisprudenziale già esistente. Nel XVIII secolo viene redatto, specie in Francia, un tipo di compilazione su iniziativa sovrana: si tratta di massicci testi legislativi muniti di valore ufficiale, che costituivano una risistemazione razionale ed organica della normativa preesistente, a cui venivano aggiunti anche precetti nuovi. Queste raccolte rappresentavano una ricompilazione decisamente innovativa del diritto, ma non potevano certo essere assimilate ad una codificazione. La differenza tra queste raccolte e un codice è che esse miravano ad una
sopravvivenza del dirittocomune e dei diritti particolari, ma non possedevano la caratteristica primaria del codice: il principio della completezza, assioma secondo cui all'interno dell'ordinamento normativo non possono esistere lacune, cosicché per ogni caso concreto deve esistere una soluzione. Tra le massicce compilazioni legislative la cui elaborazione si stacca completamente per tecnica e criteri ispiratori dalle consolidazioni, meritano un posto preminente le grandi ordinanze di LUIGI XIV di Francia. Esse anticipano sotto non pochi aspetti la futura codificazione, anche se lo spirito che le anima è assai lontano dagli ideali giusnaturalistici e dalle esigenze di rinnovamento presenti nella codificazione. Il programma politico di Luigi XIV si incentrava su un progetto di unificazione globale del diritto francese, volto a realizzare una unità giuridica nazionale. Le ordinanze di Luigi XIV si avvicinano molto alle codificazioni napoleoniche, perché,
come queste ultime, abrogano tutto ciò che è a loro precedente o in contrasto con esse. Tra le raccolte molto innovative, spiccano anche le Costituzioni piemontesi, che sono una raccolta nella quale il re Vittorio Amedeo II di Savoia racchiuse (nel 1723) un corpo di leggi proprie e dei suoi predecessori. Fra le caratteristiche innovative di questo corpus, spicca la marcata nazionalizzazione dello ius commune, data la proibizione ai giudici di rifarsi a dottrine e orientamenti internazionali. È risaltata inoltre la valorizzazione del precedente giudiziario, con l'ordine, in caso sussidiariamente non fosse possibile attuare nessuna norma positiva, di rifarsi alle sentenze passate della stessa Magistratura Sabauda. La strada delle Costituzioni Sabaude fu ripercorsa con egual esito ed egual importanza anche dal duca di Modena Francesco III d'Este (duca dal 1737 al 1780). Anche nel piccolo ordinamento modenese, troviamo una situazione difficile e non omogenea cheComportava non pochi nodi da sciogliere, ma che FRANCESCO III riuscì in parte a risolvere con la sua compilazione. Stiamo facendo riferimento al CODICE ESTENSE: questo corpo normativo rappresenta il più cospicuo riordinamento legislativo compiuto con intenti di unità nello stato modenese dalle origini del ducato alla codificazione estense della metà dell'800. Nei contenuti, esso evidenzia nell'ideologia giuridica della certezza la vera chiave del rinnovamento. La promulgazione di tale compilazione servì ad eliminare tutte le antinomie e le incertezze dell'ordinamento. In esso non vi fu la completa scomparsa del diritto comune nel sistema delle fonti, la cui integrazione era ammessa in via sussidiaria; mentre i diritti locali e particolari cessarono in blocco d'avere vigore. Complessivamente fu una delle opere più importanti di rinnovamento della vita giuridica del ducato.
Capitolo 13. Riflessioni conclusive sulla politica
assolutistica del diritto nel settecentopreilluministico. L'esperienza giuridica dello Stato Moderno è costantemente incentrata sull'azione politica dell'assolutismo. Lo stato assoluto persegue nel tempo un suo particolare obiettivo, punto chiave nella logica della conservazione e pienezza del potere: la razionalizzazione del sistema giuridico, inteso come processo di semplificazione delle fonti normative e riconduzione al sovrano dell'intera attività di produzione e di applicazione del diritto. Gli strumenti principali per il raggiungimento di questi fini sono il potenziamento della legislazione sovrana e il completo controllo dell'amministrazione giudiziaria. La situazione di partenza è però la complessa situazione di particolarismo giuridico ereditato dall'universalismo e dal pluralismo medievale. Il problema dello Stato assoluto fu quindi quello di dissolvere il particolarismo ereditato dal medioevo. Gli Stati assoluti
intrapresero così una lotta contro il particolarismo giuridico e attuarono vari sforzi con l’intento di promuovere un ordinamento normativo uniforme atto a costituire un corpo di precetti ugualmente coercitivo per tutti i membri della comunità sociale. L’ordinamento a cui si mirava non sarebbe potuto essere se non il risultato di una complessa operazione dalla duplice portata innovativa. In particolare si sarebbe trattato: di creare ex novo un sistema giuridico autosufficiente e; a) di realizzare un potenziamento dell’istituto statale in monopolio della produzione del b) diritto unico e uguale per tutti. In un eventuale operazione di questo genere erano coinvolti direttamente i giuristi, da un lato, e le varie forze della comunità dei consociati, dall’altra. Quanto al ceto dei giuristi, occorre dire che per la maggior parte di loro vigeva una immobilismo conservatore e tradizionalista. Tale comportamento è da definirsi in termini dire una distinzione tra i vari gruppi sociali che facevano parte del corporativismo. In primo luogo, c'erano i membri dell'aristocrazia e della nobiltà, che godevano di privilegi e potere ereditati. Questi individui erano spesso riluttanti a rinunciare ai loro privilegi e a condividere il potere con altri gruppi sociali. In secondo luogo, c'erano i membri della borghesia, che erano generalmente più aperti al cambiamento e al rinnovamento. Tuttavia, anche all'interno di questo gruppo sociale c'erano divisioni e interessi divergenti. Alcuni membri della borghesia erano interessati a mantenere il loro potere e i loro privilegi, mentre altri erano più inclini a sostenere il cambiamento e l'apertura verso nuove idee e opportunità. Infine, c'erano i lavoratori e i contadini, che erano spesso esclusi dai benefici del corporativismo e che lottavano per i loro diritti e per una maggiore rappresentanza. Questi gruppi sociali erano generalmente più inclini a sostenere il cambiamento e a lottare per una maggiore uguaglianza e giustizia sociale. In conclusione, il corporativismo era caratterizzato dalla conservazione del potere personale e dei privilegi dei gruppi sociali dominanti. Tuttavia, c'erano anche forze di cambiamento e di rinnovamento che cercavano di superare queste divisioni e di promuovere una maggiore uguaglianza e giustizia sociale.