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Accordo diplomatico per stabilire i rapporti tra le città e il re

Con questo accordo, il re diventa garante delle libertà altrui e non un sovrano assoluto. Questo principio è espresso anche nelle Assise di Ariano del 1140, dove si afferma il programma di tutela delle libertà: "Vogliamo riformare i percorsi, simultaneamente, della giustizia e della pietà, dove vediamo che pietà e giustizia sono state straordinariamente distorte". Il re riconosce che ci sono delle cose che non vanno bene e si impegna ad eliminare il distorcimento della giustizia e della pietà.

Tuttavia, questi sono solo i principi. La carta di resa sottolinea l'importanza di rispettare le città. Nel 1140, il re desidera riformare la giustizia e la pietà. Ma cosa succede se il diritto regio entra in conflitto con le consuetudini?

unall'interno degli iura propria: il conflitto tra primo problema, ed è soprattutto un problema tra una legge regia ed una consuetudine è un conflitto tra due iura propria, anche se il diritto regio è più ampio. Ovviamente il sovrano risolve il problema dando la prevalenza al diritto regio, però non può cancellare le consuetudini e vediamo: "Leges a nostra maiestate noviter promulgates... generaliter ab omnibus precipimus observari, moribus, consuetudinibus, legibus non cassatis pro varietate populorum nostro regno subiectorum, sicut usque nunc apud eos optinuit, nisi forte nostris his sanctionibus videatur" adversari quid in eis manifestissime = comandiamo che siano osservate le leggi promulgate da poco dalla nostra maestà, da tutti in generale, insieme alle consuetudini stesse, leggi pregresse degli ordinamenti pregressi, sempre che non siano state cassate, secondo la varietà dei tanti popoli a noi soggetti, che fino adadesso sono state ottenute, ameno che, per qualche ipotesi, sembri che contrastino con le nostre leggi, in qualche cosa, in modo assolutamente evidente. Quindi: in primo luogo si applicano le leggi del re; se manca una legge del re si possono applicare le consuetudini locali, ma a condizione che queste consuetudini locali non contrastino maniera evidente con la legge del re. Qui stiamo parlando, però, di ipotesi di lacuna della legge del re, cioè se la legge del re non prevede la fattispecie, allora si può applicare la consuetudine locale, però quella consuetudine locale non deve avere una ratio che sia assolutamente contraria alla legge del re. Possiamo vedere molto bene come, in questo caso, le carte di resa non sono state osservate, perché non è vero che il re osserva pedissequamente le consuetudini locali: anzi, bisogna dire che le osserva solo in secondo grado. Federico II ci dice la stessa cosa, nella CONSTITUTIO PURITATEM del 1231 ed è.

Una norma riferita ai giustizieri e ai camerari, cioè i funzionari provinciali del re che vanno in giro a giudicare nelle terre e gli si chiede quale diritto applicheranno:

"quod secundum constitutiones nostras et, in defectu earum, secundum consuetudines approbatas, ac demum secundum iura communis, longobarda videlice et romana, prout qualitas litigantium exegerit, iudicabunt" = giudicheranno secondo le nostre costituzioni (quelle del 1231); in mancanza di quelle, in caso di lacuna normativa, si giudicherà secondo le consuetudini locali che siano state approvate dal sovrano; al terzo posto, se manca la consuetudine, applicheremo gli iura communia..."

(gli iura communia non possono essere usati al plurale, perché lo IUS COMMUNE è solo uno, perché è un diritto universale: probabilmente questa espressione è stata inserita da dei pratici, dopo Federico II, che si riferiscono alle consuetudini territoriali e sono diventate)

Leggi generali in un determinato territorio. Quindi: al primo posto si applicano le leggi di Federico II; al secondo posto, le consuetudini da lui approvate; se mancano, ci si può rivolgere alle consuetudini orali del luogo, che possono essere, o quelle longobarde, o quelle romane. "iura communia" è un'espressione impropria, che non va attribuita a Federico II e ci indica la persistenza territoriale di consuetudini longobarde, generali, nel senso che si sono territorializzate (sono generali rispetto ad un determinato territorio). - ADDITIO (=glossa alla glossa) DI NICCOLO' RUFOLO, allievo di Infine, ultima citazione Benedetto d'Isernia: "Audivi dominum Benedictum dicentem quod multum displicuit domino imperatori ut ita puniretur qui cum telo ambularet sicut qui homine, interficeret, et tunc interrogavit eum cum alios legistas ibi astantes, inter quos erat iudex Manbrus de Baro, que fuit racio quemovit legislatore hoc facere."

Qui predictus Manbrus de Baro respondit: racio fuit uttolleretur materia delinquenti. Unde, cum displiceret ei, precepit quod ex hac materia fieretconstitutuionem in qua cavetur quod alio modo puniatur qui portaret, alio qui extraret, alioqui percuteret” = Ho ascoltato il mio maestro, Benedetto, che diceva che dispiaque moltoal signor imperatore (Federico II) che fosse punito allo stesso modo sia colui che gira conuna spada, sia colui chi ammazza un uomo. Allora interrogò il maestro Benedetto, insiemeagli altri giuristi che stavano lì, tra i quali giuristi c’era anche un giudice (Mambro di Bari),qual era la ratio che mosse il legislatore a fare quella norma. Sennonché Mambro da Baririsponde così: la ratio fu togliere la materia di delinquere, cioè la causa del reato.All’imperatore quella ratio non piacque, allora comandò che, di questa materia, fosse fattauna nuova costituzione nella quale si stabilisse che, in un modo Il testo formattato con tag html sarebbe:

Qui predictus Manbrus de Baro respondit: racio fuit uttolleretur materia delinquenti. Unde, cum displiceret ei, precepit quod ex hac materia fieretconstitutuionem in qua cavetur quod alio modo puniatur qui portaret, alio qui extraret, alioqui percuteret” = Ho ascoltato il mio maestro, Benedetto, che diceva che dispiaque moltoal signor imperatore (Federico II) che fosse punito allo stesso modo sia colui che gira conuna spada, sia colui chi ammazza un uomo. Allora interrogò il maestro Benedetto, insiemeagli altri giuristi che stavano lì, tra i quali giuristi c’era anche un giudice (Mambro di Bari),qual era la ratio che mosse il legislatore a fare quella norma. Sennonché Mambro da Baririsponde così: la ratio fu togliere la materia di delinquere, cioè la causa del reato.All’imperatore quella ratio non piacque, allora comandò che, di questa materia, fosse fattauna nuova costituzione nella quale si stabilisse che, in un modo

ma è anche un modello da seguire. Quindi, il giurista deve conoscere e studiare il diritto romano per poter creare leggi efficaci e giuste. Inoltre, il testo fa riferimento alla costitutio puritatem, che indica l'importanza di applicare le leggi regie, le consuetudini approvate e il diritto longobardo e romano. Questo significa che il giurista deve tenere conto di diverse fonti del diritto per prendere decisioni corrette e imparziali. Infine, si menziona anche l'importanza degli studi giuridici nell'università. Federico II ha creato un'università per formare funzionari che possano aiutarlo nel suo lavoro di legislatore. Questo sottolinea l'importanza di avere professionisti preparati nel campo del diritto per garantire una buona amministrazione della giustizia. In conclusione, il testo evidenzia l'importanza del diritto romano e delle rationes nel lavoro dei giuristi, sia come giudici che come legislatori.

ma il diritto romano è una fucila di rationes, di principi e di istituti. Concludiamo il discorso sul rapporto tra ius commune e iura propria, vedendo i giuristi più importanti e, in particolare, BARTOLO DA SASSOFERRATO, uno dei più grandi giuristi di tutti i tempi, il quale vive alla metà del 1300, ed è il più grande commentatore, proprio perché porta una particolare maturità a tutto questo discorso, che all'inizio era molto complesso per i glossatori. Prima di Bartolo, però, prendiamo in considerazione un altro giurista che si era posto questo problema, ma senza riuscire a risolverlo: GIOVANNI BASSANO, allievo di Bulgaroe maestro di Azzone e Accursio (siamo alla fine del 1100, quindi si tratta di un glossatore). Giovanni Bassiano cerca di risolvere questo problema riferendosi ad un esempio in particolare, che è quello della PARS FILII = la parte del figlio: secondo il diritto romano i figli, finché sono tali,

non hanno nessuna autonomia giuridica e, ancora meno, hanno autonomia patrimoniale. Quando si riscopre il diritto romano, con Irnerio, ci sono esigenze diverse, perché nascono le città, i comuni, c'è una crescita commerciale, demografica, ecc.: quindi, i figli, in questo contesto, hanno perfetta autonomia patrimoniale, perché spesso sono agenti dell'azienda familiare e, naturalmente, devono avere capacità patrimoniale. Questo vuole dire che nel patrimonio della famiglia, ai tempi di Bassiano, i figli hanno una parte di patrimonio familiare, cioè la PARS FILII = parte di patrimonio familiare gestito autonomamente dai figli, nel medioevo mercantile.

Come possiamo vedere c'è una frattura netta con il diritto romano, perché il diritto romano ci fa vedere i figli dipendenti dal padre senza autonomia, mentre nel medioevo la pars filii è un'altra cosa. Da notare, però, che la pars filii non è un

Istituto giuridico particolarmente elaborato, ma è la realtà: la realtà e la vita del medioevo vedono i figli impegnati, se non al pari del padre, ma certamente con forte autonomia, nell'esercizio di attività commerciali, fondiarie, imprenditoriali, finanziarie, ecc. Sta di fatto che il giurista si trova dei giovani, nell'alto medioevo, che gestiscono un proprio patrimonio, senza che il diritto romano preveda delle norme che regolino questo aspetto. E questo è un problema grosso.

Di solito i giuristi risolvono il problema dei fatti della vita con le quaestiones: di regola si parte da un fatto della vita non regolato dal diritto romano. Però qui è una cosa diversa, perché si tratta di un istituto, ma più che altro è una realtà quotidiana, economica e commerciale che, non solo non è regolata dal diritto romano, ma a volte può anche contrastare con la visione del pater familias, previsto da

Giustiniano. Allora Bassiano va in profonda crisi, nel senso che non riesce bene a qualificare questa pars filii: il suo tentativo potrebbe essere definito un po' "rozzo", perché pur di giustificare la pars filii, o istituti del genere, che non sono previsti dal diritto romano, si inventa un termine che non esiste da nessuna parte, ma che secondo lui vuole trarre dal diritto romano, cioè il QUODDAM IUS NATURALE PRIMAEVUM = un certo diritto naturale primordiale: Bassiano dice che è vero che cose come la pars filii non ci sono nel diritto romano, però dal diritto romano si può dedurre che esista una sorta di diritto naturale primordiale, che precede lo stesso diritto naturale previsto dal diritto romano, nel quale si fanno rientrare queste cose che non sono espressamente previste. Quindi, si tratta di una sorta di principi che vengono da sempre e che ci aiutano a incasellare questi istituti. È solo un tentativo di Bassiano che nessun giurista,

dopo di lui, riprenderà più. Vediamo che, poi, dell'autonomia patrimoniale dei figli troviamo spesso

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A.A. 2011-2012
68 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Moses di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del Diritto Medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Teramo o del prof Marchetti Paolo.