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Categorie di legis actio
Sotto la prima categoria vengono ricondotte:
- legis actio sacramento in rem, che serviva ad accertare l'esistenza di situazioni reali (es. un diritto di proprietà);
- legis actio sacramento in personam, che serviva ad accertare l'esistenza di status o di crediti (es. schiavitù/libertà; crediti);
- legis actio per judicis arbitrive, che veniva utilizzata nelle cause in cui si doveva dividere un bene comune o un credito.
Sotto la seconda categoria vengono ricondotte:
- manus iniectio, che era una legis actio caratterizzata dal fatto che il creditore (attore) metteva letteralmente le mani addosso al debitore inadempiente, trascinandolo in giudizio. A quel punto, potevano succedere due cose: se un terzo (detto vindex) interveniva in difesa del debitore, il processo si spostava tra creditore e vindex e proseguiva nelle forme dell'in personam; se invece nessuno interveniva in difesa del debitore, egli veniva "addictus".
Cioè, assegnato come proprietà all'attore, che lo teneva per 60 gg in cui poteva cercare di venderlo a Roma per rientrare della somma perduta; decorsi inutilmente i 60 giorni, poteva venderlo anche "oltre il Tevere" o poteva farlo a pezzi e spartirsi i pezzi con gli eventuali altri creditori; pignoris capiola che era una legis actio che veniva usata dal creditore per riuscire a farsi pagare dal debitore inadempiente. In pratica, il creditore otteneva dal giudice l'assegnazione di un bene del debitore, che aveva a quel punto il diritto di trattenere finché il debito non gli fosse stato pagato. Decorso inutilmente un certo periodo di tempo, il creditore aveva diritto di trattenere il bene anche se spesso quello valeva più del credito. Il sistema delle legis actiones rimase inalterato fino al 367aC, data in cui venne creata la figura del jurisdictor praetor peregrinus cui vennero poi affiancati gli Edili curuli per in materie specifiche (controversie).
inerenti al commercio di animali e schiavi).
Con la creazione del pretor urbanus, vennero affiancate alle legis actiones delle altre forme processuali, fermo restando che esse continuarono ad essere utilizzate fino ad Augusto nel 17 dC.
Furono le nuove esigenze stesse dei cittadini romani a determinare l'introduzione di nuove formule processuali. Le l.a., infatti, avevano il grande limite di poter essere usate solo da cittadini romani e tra cittadini romani. Roma invece si stava espandendo e i contatti (e di conseguenza le liti) con cittadini non romani erano sempre più frequenti.
Il pretor urbanus esercitava la sua iurisdictio tramite procedimenti ad hoc e più snelli di quelli previsti dalle legis actioned. Le sue pronunce non erano chiaramente pronunce di jus civile bensì pronunce di ius honorarium o di ius pretorium ma anche per queste pronunce iniziò a formarsi una casistica giurisprudenziale fino al punto che alcuni istituti di juris gentium si
trasformarono in istituti di diritto romano proprio grazie alle pronunce del pretor peregrinus. Si pensi alla traditio, che, inizialmente era un negozio traslativo juris gentium (cioè importato da quello che era il diritto comune a tutti i popoli) e che poi, grazie alle pronunce di questo tipo di pretore, è diventato un negozio di diritto romano.
Il pretor peregrinus, per decidere le controversie che gli venivano affidate e che non erano di ius civile, si serviva della consulenza di giuristi che ricorrevano all'interpretatio. Grazie all'interpretatio giurisprudenziale, le pronunce di ius honorarium e di ius praetorium iniziarono a confluire all'interno dello ius civile.
Quando si dice che ad un certo punto a Roma lo ius honorarium iniziò a penetrare all'interno dello ius civile, accadde per due ragioni: il pretor peregrinus iniziò a riconoscere tramite i suoi editti situazioni giuridiche sconosciute allo ius civile; all'interno di Roma
- una prima fase di cognizione, davanti al pretore
- una seconda fase di giudizio, davanti al giudice (apud iudicem)
Non eramenzionata nel suo editto. Il pretore aveva in quel caso la facoltà procedere ex novo per quellamateria (con un giudizio ad hoc).
Nella prima fase quindi, l’attore convocava il convenuto e aveva luogo il dibattimento fra le parti, durante il quale le parti esponevano i fatti. Alla fine del dibattimento, potevano accadere due cose: il pretore poteva ritenere che la domanda dell’attore fosse fondata o poteva ritenere che no lo fosse.
Nel primo caso concedeva l’actio (cioè concedeva il giudizio) e veniva redatta una in cui venivano fissati in maniera chiara i limiti e i contenuti della causa. Il processo continuava a quel punto davanti al Giudice; (fase apud Judicem). Davanti al Giudice si apriva inizialmente una fase istruttoria, durante la quale venivano valutate le prove (quasi sempre testimonianze orali); chiusa la fase istruttoria, il Giudice decideva la lite e nel farlo era strettamente vincolato da quanto scritto nella formula redatta dal pretore.
Va precisato infatti che il giudice era un semplice cittadino romano, scelto dalle parti di comune accordo e tenuto a giudicare in base a quanto scritto dal pretore nella formula. Emessa la sentenza, la stessa doveva essere seguita dal convenuto entro 30 giorni altrimenti veniva esperita l'actio judicati e iniziava un procedimento esecutivo. Il Giudice poteva inoltre decidere di "non decidere" e rimettere la causa ad altro Giudice perché magari non si sentiva all'altezza. Il pretore poteva anche ritenere che la domanda dell'attore non fosse fondata: a quel punto non concedeva l'actio e aveva luogo la "denegatio actionis", che impediva il proseguo del processo. L'attore rimaneva comunque libero di ripresentare la stessa domanda ma chiaramente non lo faceva quasi mai. Particolarità: affinché la sentenza del Giudice (ove si arrivasse alla fase apud judice chiaramente) producesse effetti civili, dovevano essere rispettate.Le condizioni del processo erano le seguenti:
- Il processo doveva svolgersi nel territorio di Roma.
- La durata complessiva del processo non poteva superare i 18 mesi.
- Entrambe le parti dovevano essere cittadini romani.
Se una di queste condizioni non veniva rispettata, la sentenza produceva effetti solo iussu pretoris e non di diritto civile. In ogni caso, il processo non poteva durare più di 12 mesi, corrispondenti alla durata della carica del pretore.
Il contenuto della formula del processo era redatto sulla base di quanto detto dalle parti durante la fase dibattimentale. La formula si componeva di diverse clausole, di seguito le più tipiche:
- L'intentio: clausola in cui veniva descritto quanto era stato esposto dall'attore. L'intentio poteva essere certa o incerta. Era certa quando l'attore precisava sia il petitum (cioè ciò che chiedeva) che il fondamento giuridico della sua pretesa (la causa petendi). Ad esempio: "Io attore dichiaro che Tizio mi deve 10.000 sesterzi (petitum) in base al fatto che gli ho veduto un..."
Era incerta quando era meno precisa. Es: Dichiaro che io e Tizio ci siamo accordati per effettuareuna stipulatio e gli chiedo di comportarsi secondo buona fede. L’intentio incerta, a causa della suademostratiogenericità, doveva sempre essere accompagnata da una nella quale venivano descrittimeglio i fatti e soprattutto il fondamento della pretesa dell’attore. L’ intentio incerta determinava lanascita di un judicium bonae fidei. (V. alla voce condemnatio).
L’exceptio: clausola in cui veniva descritto quanto era stato esposto dal convenuto.
A seconda del contenuto di questa clausola, si parlava di:
- exceptio doli: se il convenuto aveva sostenuto il dolo dell’attore.
- exceptio non numeratae pecuniae: se il convenuto aveva sostenuto di aver già pagato l’attore.
- exceptio res vendita ed tradita: se il convenuto aveva sostenuto che l’attore gli avesse già trasferitosi capisce studiando pag. 94 manuale.
Labeone sullail bene tramite traditio. (Questobona fidei non patitur.)
La condemnatio: la condemnatio poteva essere certa o incerta a seconda che l'intentio fosse stata certa o incerta. Un'intentio incerta determinava una condemnatio incerta e la nascita di un judcium bonae fidei in quanto se ad esempio nella intentio l'attore aveva genericamente chiesto al convenuto di comportarsi secondo buona fede, automaticamente il pretore, nella formula, chiedeva al Giudice di decidere secondo buona fede. In questo caso, in caso di condanna, le tipologie di condanna erano fisse: id quod interest; restituzione del prezzo ma il Giudice aveva un certo margine di discrezionalità. Viceversa, quando l'intentio dell'attore era certa, il Giudice non poteva fare più di tanto.
La fictio: clausola che il pretore utilizzava per dialogare con il Giudice; in essa dava degli ordini al Giudice. Es: Tieni conto del tempo trascorso in quanto stanno per scattare i termini.
perl’usucapione.Es: Tieni conto del fatto che il debitore è erede del creditore.I