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Il sistema delle legis actiones e le nuove formule processuali
Il sistema delle legis actiones rimase inalterato fino al 367aC, data in cui venne creata la figura del pretor peregrinus cui vennero poi affiancati gli Edili curuli per jurisdicere in materie specifiche (controversie inerenti al commercio di animali e schiavi). Con la creazione del pretor urbanus, vennero affiancate alle legis actiones delle altre forme processuali, fermo restando che esse continuarono ad essere utilizzate fino ad Augusto nel 17dC. Furono le nuove esigenze stesse dei cittadini romani a determinare l'introduzione di nuove formule processuali. Le l.a., infatti, avevano il grande limite di poter essere usate solo da cittadini romani e tra cittadini romani. Roma invece si stava espandendo e i contatti (e di conseguenza le liti) con cittadini non romani erano sempre più frequenti. Il pretor urbanus esercitava la sua iurisdictio tramite procedimenti ad hoc e più snelli di quelli previsti dalle legis actiones. Le sue pronunce non erano chiaramente pronunce di jus.civile bensìpronunce di ius honorarium o di ius pretorium ma anche per queste pronunce iniziò a formarsi unacasistica giurisprudenziale fino al punto che alcuni istituti di juris gentium si trasformarono in istitutidi diritto romano proprio grazie alle pronunce del pretor peregrinus. Si pensi alla traditio, che,inizialmente era un negozio traslativo juris gentium (cioè importato da quello che era il dirittocomune a tutti i popoli) e che poi, grazie alle pronunce di questo tipo di pretore, è diventato unnegozio di diritto romano.
Il pretor peregrinus, per decidere le controversie che gli venivano affidate e che non erano di iuscivile, si serviva della consulenza di giuristi che ricorrevano ad interpretatio. Grazie all’interpretatiogiurisprudenziale, le pronunce di ius honorarium e di ius praetorium iniziarono a confluire all’internodello ius civile.
Quando si dice che ad un certo punto a Roma lo ius honorarium iniziò a penetrare
All'interno dello ius civile, accadde per due ragioni: il pretor peregrinus iniziò a riconoscere tramite i suoi editti situazioni giuridiche sconosciute allo ius civile; all'interno di Roma iniziarono ad esistere nuove forme processuali accanto alle l.a. Tutto ciò portò all'allargamento dello ius civile e quando apparve la distinzione tra cives e peregrinus (romani e non romani), lo ius pretorium, lo ius honorarium e lo ius gentium iniziarono ad essere parte dello stesso diritto.
In questo contesto nacque il processo formulare; in particolare nacque sulla scia dei processi che il pretore istaurava tra cittadini romani e non romani. Nel 17 dC, sotto Augusto, il processo formulare venne ufficialmente legalizzato diventando così l'unico processo riconosciuto a Roma insieme alle Legis Judiciorum Privatorum: leggi emanate da Augusto che concernevano i giudizi privati.
Le Legis Judiciorum Privatorum abolirono quasi tutto il precedente sistema delle
legis actiones (ormai decisamente obsolete) ed introdussero come unica forma di processo: il processo formulare. Le maggiori novità: 1. scomparsa di ogni formalismo sia verbale che gestuale e di ogni connotazione religiosa. 2. le decisioni prese in un processo formulare erano a tutti gli effetti decisioni di ius civile Circa il processo formulare, Gaio ce ne parla come del processo per "concepta verba", in contrapposizione alle legis actiones che rappresentavano invece un processo per "certa verba" nel senso che nelle legis actiones c'erano "parole certe" (obbligatorie) mentre nel processo formulare c'erano "parole composte" cioè messe insieme ad hoc, ovvero le famose "formule". Il processo formulare si svolgeva in due fasi: una prima fase di cognizione, davanti al pretore una seconda fase di giudizio, davanti al giudice (apud iudicem) Prima fase: le parti si recavano dal pretore che nel suo editto avevadichiarato che avrebbe prestato tutela alla situazione in cui le parti si trovavano coinvolte. (Quindi non da un pretore acaso). Poteva anche accadere che le parti si recassero da un pretore per una materia che non era menzionata nel suo editto. Il pretore aveva in quel caso la facoltà procedere ex novo per quella materia (con un giudizio ad hoc).
Nella prima fase quindi, l'attore convocava il convenuto e aveva luogo il dibattimento fra le parti, durante il quale le parti esponevano i fatti. Alla fine del dibattimento, potevano accadere due cose: il pretore poteva ritenere che la domanda dell'attore fosse fondata o poteva ritenere che no lo fosse.
Nel primo caso concedeva l'actio (cioè concedeva il giudizio) e veniva redatta una formula in cui venivano fissati in maniera chiara i limiti e i contenuti della causa. Il processo continuava a quel punto davanti al Giudice; (fase apud Judicem). Davanti al Giudice si apriva inizialmente una fase istruttoria, durante la
quale venivano valutate le prove (quasi sempre testimonianze orali); chiusa la fase istruttoria, il Giudice decideva la lite e nel farlo era strettamente vincolato da quanto scritto nella formula redatta dal pretore. Va precisato infatti che il giudice era un semplice cittadino romano, scelto dalle parti di comune accordo e tenuto a giudicare in base a quanto scritto dal pretore nella formula. Emessa la sentenza, la stessa doveva essere seguita dal convenuto entro 30 giorni altrimenti veniva esperita l'actio judicati e iniziava un procedimento esecutivo. Il Giudice poteva inoltre decidere di "non decidere" e rimettere la causa ad altro Giudice perché magari non si sentiva all'altezza. Il pretore poteva anche ritenere che la domanda dell'attore non fosse fondata: a quel punto non concedeva l'actio e aveva luogo la "denegatio actionis", che impediva il proseguo del processo. L'attore rimaneva comunque libero di ripresentare la stessa.domanda ma chiaramente non lo faceva quasi mai. Particolarità: affinché la sentenza del Giudice (ove si arrivasse alla fase apud judice chiaramente) producesse effetti civili, dovevano essere rispettate delle condizioni: - il processo doveva svolgersi dentro il territorio di Roma; - non doveva durare, complessivamente, più di 18 mesi; - le parti dovevano essere entrambe cittadini romani. Se non veniva rispettata una di queste condizioni, la sentenza produceva effetti solo iussu pretoris e non di diritto civile. Il processo doveva comunque durare al massimo 12 mesi (la durata della carica del pretore). Il contenuto della formula. La formula veniva redatta sulla base di quanto detto dalle parti nella fase dibattimentale. Essa si componeva di varie clausole; di seguito quelle più tipiche. L'intentio: clausola in cui veniva descritto quanto era stato esposto dall'attore. L'intentio poteva essere certa o incerta. Era certa quando l'attore precisava sia ilpetitum (cioè ciò che chiedeva) che il fondamento giuridico della sua pretesa (la causa petendi). Es. Io attore dichiaro che Tizio mi deve 10.000 sesterzi (petitum) in base al fatto che gli ho veduto un vaso (causa petendi). Era incerta quando era meno precisa. Es: Dichiaro che io e Tizio ci siamo accordati per effettuare una stipulatio e gli chiedo di comportarsi secondo buona fede. L'intentio incerta, a causa della sua genericità, doveva sempre essere accompagnata da una demostratio nella quale venivano descritti meglio i fatti e soprattutto il fondamento della pretesa dell'attore. L'intentio incerta determinava la nascita di un judicium bonae fidei. (V. alla voce condemnatio).
L'exceptio: clausola in cui veniva descritto quanto era stato esposto dal convenuto. A seconda del contenuto di questa clausola, si parlava di:
- exceptio doli: se il convenuto aveva sostenuto il dolo dell'attore.
- exceptio non numeratae pecuniae: se il convenuto aveva...
exceptio res vendita ed tradita: se il convenuto aveva sostenuto che l'attore gli avesse già trasferito il bene tramite traditio. (Questo si capisce studiando pag. 94 manuale. Testo di Labeone sulla bona fidei non patitur.)
La condemnatio: la condemnatio poteva essere certa o incerta a seconda che l'intentio fosse stata certa o incerta. Un' intentio incerta determinava una condemnatio incerta e la nascita di un judcium bonae fidei in quanto se ad esempio nella intentio l'attore aveva genericamente chiesto al convenuto di comportarsi secondo buona fede, automaticamente il pretore, nella formula, chiedeva al Giudice di decidere secondo buona fede. In questo caso, in caso di condanna, le tipologie di condanna erano fisse: id quod interest; restituzione del prezzo ma il Giudice aveva un certo margine di discrezionalità. Viceversa, quando l'intentio dell'attore era certa, il Giudice non poteva fare.
più di tanto. La fictio: clausola che il pretore utilizzava per dialogare con il Giudice; in essa dava degli ordini al Giudice. Es: Tieni conto del tempo trascorso in quanto stanno per scattare i termini per l'usucapione. Es: Tieni conto del fatto che il debitore è erede del creditore. Il Giudice aveva il dovere di rispettare tali ordini, salvo avere un margine di discrezionalità nel caso gli fosse stato chiesto di decidere secondo buona fede. I giudizi potevano essere di buona fede, oltre che nel caso di intentio incerta anche sulla base di quanto deciso in un editto. Ad esempio, in materia di emptio venditio, erano gli editti stessi a richiedere l'uso della buona fede nel decidere le relative controversie e questo accadeva perché la compravendita era un contratto fondato sulla buona fede delle parti e così accadeva normalmente per tutti i rapporti negoziali a prestazioni corrispettive. Era la giurisprudenza a suggerire l'applicazione del
Iudicium bonae fidei a nuove materie. Il Iudicium Bonae Fidei. Possiamo definirlo come il processo del periodo romano classico in cui il Giudice doveva pronunciarsi sul comportamento delle parti in base ai principi comunemente accettati di buona fede. La caratteristica più importante di questo giudizio era la flessibilità; essa permetteva di distinguere, caso per caso, se il debitore aveva agito con dolo o in buona fede e se dunque era condannabile all'id quod interest o alla sola restituzione del prezzo.
Actio Empti e Actio Venditi. Erano le due impugnative del contratto di compravendita. L'actio empti poteva essere esperita dal compratore (emptor); actio venditi dal venditore (venditor). Esse non avevano una funzione specifica ma erano strumenti a tutela di tutto quello che riguardava il rapporto contrattuale. Nel corso del tempo, l'actio empti in particolare, assunse perciò contenuti diversi grazie al contributo della giurisprudenza. All'inizio
el prodotto o difetti di conformità. Inizialmente, la responsabilità era a carico del venditore, ma con l'evoluzione della normativa è stata introdotta anche la responsabilità del produttore. La garanzia legale copre un periodo di tempo determinato e prevede la possibilità di richiedere la riparazione, la sostituzione o il rimborso del prodotto difettoso. È importante ricordare che la garanzia legale è diversa dalla garanzia commerciale, che è una garanzia aggiuntiva offerta dal venditore o dal produttore.