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31. I TERMINI PER IMPUGNARE E L’ACQUIESCENZA
I termini per impugnare una sentenza sono di due tipi: breve e lungo. Il termine breve per proporre
tutti i mezzi di impugnazione è di 30 giorni, eccezion fatta per il ricorso per cassazione (60 giorni) e
per l’opposizione di terzo ordinaria (nessun termine breve). Il termine lungo, riferito ai soli mezzi
ordinari di impugnazione, è di 6 mesi (prima della riforma del 2009 era un termine annuale).
A norma dell’art. 326 c.p.c., i termini brevi di impugnazione decorrono:
Dalla notificazione della sentenza, per tutti i mezzi ordinari di impugnazione. Secondo la
giurisprudenza unanime. Il momento rilevante è il perfezionamento della notificazione per il
destinatario, in forza del principio di unitarietà del termine per l’impugnazione . Ai sensi
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A dirla tutta, vi sarebbe una forma di soccombenza virtuale. Ma tale soccombenza non serve a niente: se infatti
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una sentenza definitiva in rito viene impugnata dall’attore, e il giudice d’appello accerta che la causa doveva
essere decisa nel merito, il giudice d’appello valuterà il merito facendo uso di tutto il materiale difensivo del primo
grado, ivi compresa la difesa non esaminata. Negli altri casi, invece, la soccombenza virtuale è necessaria a
legittimare la proposizione di impugnazioni incidentali.
Si ribadisce quanto studiato in tema di notificazioni: la scissione del momento perfezionativo della
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notificazione derivante dalla giurisprudenza costituzionale ha la funzione di evitare al notificante di incorrere in
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dell’art. 285 c.p.c., la sentenza deve essere notificata al procuratore costituito per il giudizio
avverso la cui sentenza di propone impugnazione, salve alcune ipotesi:
Parte contumace o costituita personalmente. In questi casi non si ha un procuratore
o distinto dalla parte in senso processuale.
Si verifica uno dei fatti interruttivi ex art. 299 c.p.c. prima della notifica della sentenza.
o La notificazione viene effettuata direttamente nei confronti degli eredi, anche
collettivamente e impersonalmente ai sensi dell’art. 303, co. 2 c.p.c.
Dalla scoperta dei vizi occulti, per i mezzi straordinari di impugnazione. In questi casi la legge
non potrebbe ragionevolmente porre un termine fisso, poiché è evidente che la scoperta del
vizio potrebbe avvenire anche dopo lunghissimo tempo.
Dalla comunicazione del provvedimento. Ai sensi dell’art. 47 c.p.c., il regolamento di competenza
deve essere proposto entro 30 giorni dalla comunicazione del provvedimento. Si tratta
dell’unico caso previsto nel Codice.
Il termine breve di impugnazione è suscettibile di interruzione: ai sensi dell’art. 328 c.p.c., se si verifica
uno dei fatti di cui all’art. 299 c.p.c. dopo che la notificazione della sentenza è già avvenuta, il termine
breve è interrotto, e il nuovo decorre dal perfezionamento di una nuova notifica al soggetto legittimato
a stare in giudizio (anche stavolta, la notifica agli eredi può essere effettuata anche nelle forme
impersonali e collettive). In seguito all’intervento della Corte Costituzionale, la disposizione trova
applicazione ora anche all’ipotesi di morte, radiazione o sospensione dall’albo del procuratore
costituito.
Il termine lungo decorre sempre dalla pubblicazione della sentenza (che coincide con il deposito della
stessa in cancelleria da parte del giudice). La disposizione dell’ultimo comma dell’art. 328 c.p.c., che
prevedeva una peculiare ipotesi di proroga del termine, è ormai inapplicabile (poiché presupponeva la
durata annuale del termine). Tuttavia, ai sensi dell’art. 327 c.p.c. il termine non trova applicazione alla
parte contumace, che dimostri di non aver avuto conoscenza del processo a causa della nullità della
notificazione o della citazione, ovvero della notifica degli altri atti di cui all’art. 292 c.p.c. Diversamente
da quanto si è detto per la rimessione in termini del contumace, la disposizione viene applicata
rigorosamente dalla giurisprudenza, che richiede la prova della mancata conoscenza del processo: è
evidente, infatti ,che in alcune ipotesi la nullità della citazione e della stessa notifica non impediscono
al soggetto di venire a conoscenza della causa e identificarla esattamente.
Un’ulteriore ipotesi in cui il termine lungo non trova applicazione è la c.d. querela nullitatis,
proponibile qualora la sentenza impugnata sia inesistente. Poiché una sentenza inesistente può in ogni
momento essere oggetto di un’autonoma causa di mero accertamento, volta a farne dichiarare
decadenze senza sua colpa, ma ogni altro effetto si produce dal perfezionamento della notificazione per il
destinatario. 69
l’inefficacia radicale e insanabile, allo stesso modo si ammette la possibilità di impugnare per
inesistenza senza termini.
Oltre che per il decorso del termine, il potere di impugnare la sentenza può essere perso per
acquiescenza. Contrariamente a quanto potrebbe apparire dalla lettura dell’art. 329 c.p.c., la differenza
più rilevante non è tra la forma espressa e quella tacita, ma piuttosto tra acquiescenza tacita semplice e
qualificata. Andiamo con ordine:
- L’acquiescenza espressa si ha quando una parte dichiara espressamente di accettare la
sentenza. Si tratta di una forma di rinunzia all’impugnazione, avente natura negoziale e per la
cui validità si richiedono i presupposti di capacità d’agire normalmente richiesti per i negozi
sostanziali.
- L’acquiescenza tacita si fa derivare da comportamenti incompatibili con la volontà di avvalersi
delle impugnazioni. Anche qui si è in presenza di un negozio giuridico (rileva la volontà di
produrre gli effetti), solo che la forma non è data da una dichiarazione espressa, bensì da un
comportamento concludente.
È controverso se un comportamento in sé concludente possa importare acquiescenza,
o ove accompagnato dalla espressa riserva di impugnazione. Secondo l’opinione
preferibile, la risposta è negativa: non si tratta infatti di un comportamento
inequivocabilmente incompatibile con la volontà di impugnare (che anzi viene
espressamente dichiarata).
- Nel nostro ordinamento non sono ammesse forme di acquiescenza preventiva: rispetto alle
impugnazioni straordinarie, pertanto, il comportamento della parte non può comportare
acquiescenza se non dopo che si sia scoperto il vizio occulto.
- Infine, si ha acquiescenza tacita qualificata quando una parte impugna una sola parte della
sentenza, determinando – se non vi sono impugnazioni incidentali – il passaggio in giudicato di
ogni parte non impugnata. In questo caso l’ordinamento processuale torna alla tradizionale
considerazione meramente oggettiva degli atti processuali, disinteressandosi del fine perseguito
dalla parte: non rileva che l’impugnazione parziale fosse accompagnata da una volontà di
determinare il passaggio in giudicato delle altre parti di sentenza, poiché l’effetto si produrrà in
ogni caso.
32. LA PLURALITÀ DI PARTI NEI PROCESSI DI IMPUGNAZIONE
Tra le disposizioni dedicate alla disciplina delle impugnazioni in generale, gli artt. 331 e 332 c.p.c.
riguardano, in particolare, le impugnazioni di sentenze rese in processi con pluralità di parti. Prima di
passare all’esame della disciplina, è tuttavia il caso di premettere che il cuore della stessa non risiede
nell’elemento soggettivo, ma piuttosto in quello oggettivo: il motivo per cui un processo presenta, nei
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giudizi di impugnazione, la necessità di mantenere una pluralità di parti discende, infatti, dai rapporti
esistenti tra i diritti fatti valere in giudizio, e posti a fondamento delle cause. Sicché, in presenza di una
pluralità di cause si avrà naturalmente una pluralità di parti.
L’art. 331 c.p.c. dispone che in caso di sentenza pronunziata tra più parti in cause inscindibili o tra loro
dipendenti, l’impugnazione deve essere proposta necessariamente in confronto di tutte le parti, e se ciò
non avviene il giudice dell’impugnazione deve ordinare l’integrazione del contraddittorio. Se nessuna
delle parti provvede nel termine assegnato dal giudice, il giudizio di impugnazione è dichiarato
inammissibile. La disposizione ha l’evidente ratio di garantire la unitarietà delle decisioni, sulla falsariga
(ma con una portata applicativa molto più ampia) della norma relativa al litisconsorzio necessario nel
giudizio di primo grado.
Per determinare correttamente l’ambito applicativo della disposizione, è necessario individuare le
cause inscindibili e quelle dipendenti, ponendo attenzione al fatto che i caratteri di inscindibilità
rivelanti ai fini delle impugnazioni non discendono esclusivamente dai rapporti sussistenti tra le
domande a livello di diritto sotanziale, ma anche dal modo in cui si è svolto ed è stato deciso il giudizio di
primo grado.
Sono inscindibili le cause:
In cui vi sia stato un litisconsorzio necessario o si sia realizzato un litisconsorzio unitario. Sono le
ipotesi più evidenti, poiché per definizione in queste non è possibile rendere la sentenza se non
in confronto di tutte le parti.
Cui un terzo abbia preso parte in via adesiva dipendente, avendo spiegato intervento ex art. 105
co. 2, ovvero essendo stato chiamato iussu iudicis ex art. 107 c.p.c. Ora, a ben vedere in tali
ipotesi il terzo subirebbe in ogni caso gli effetti della decisione presa tra le parti originarie
(poiché alla base vi è un rapporto di pregiudizialità permanente), anche senza partecipare al
giudizio; tuttavia, poiché vi ha preso parte e la sentenza fa stato anche per lui, è necessario che
questa venga impugnata anche nei suoi confronti.
Successione nel diritto controverso ex art. 111 c.p.c. Anche qui, se il successore diventa parte è
necessario che la sentenza venga impugnata anche nei suoi confronti, in quanto titolare della
situazione giuridica soggettiva dedotta in giudizio, nei cui confronti la sentenza farà stato.
Per le cause dipendenti il discorso è più complesso. Tali cause presuppongono che in primo grado si sia
realizzato un cumulo oggettivo di domande, tra loro connesse in forza di un nesso di pregiudizialità-
dipendenza. Tuttavia, per stabilire il nesso esistente al momento dell’impugnazione non si può
prescindere dalla valutazione del contenuto dell’impugnazione stessa, e degli effetti che dall’eventuale
accoglimento di questa deriverebbero. In sintesi, se si ha impugnazione con riferimento ad una sola
delle cause cumulate, è necessario valutare cosa accadrebbe in caso di accoglimento di questa: se, cioè,
ne deriverebbero dei contrasti di giudicati. Ove una caus