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8. ARBITRATO IRRITUALE, AD HOC, AMMINISTRATO E DEI GRUPPI

Accanto alla forma ordinaria di arbitrato, il Codice di rito disciplina anche delle modalità alternative,

che si discostano in tutto o in parte dalla disciplina base. Tra queste, particolarmente rilevante

l’arbitrato irrituale (detto anche contrattuale o libero), che fino al 2006 non aveva una disciplina

generale codicistica, pur essendo contemplato in alcune leggi speciali.

Oggi tale disciplina è dettata dall’art. 808ter c.p.c., che si limita a segnalare sotto quali profili tale forma

di arbitrato si discosta dalla disciplina comune, i cui tratti fondamentali restano comunque fermi (non

applicabilità ai diritti indisponibili, natura decisoria del procedimento, principio del contraddittorio).

A ben vedere, tali profili sono essenzialmente due:

 In primo luogo, diversa è l’efficacia esecutiva. Solo il lodo emesso al termine di un arbitrato

rituale, infatti, può aspirare a divenire un titolo esecutivo, attraverso un procedimento di

omologazione (exequatur) svolto innanzi all’organo giudiziario. Non vi sono differenze, invece,

con riferimento all’efficacia dichiarativa: si è già visto che un contratto finalizzato alla

soluzione di una controversia ha la medesima efficacia sostanziale di una sentenza passata in

giudicato.

 In secondo luogo, diverso è il regime del lodo. Mentre per il lodo rituale vale la regola dell’onere

di impugnazione secondo le forme e i tempi del processo arbitrale, il loro irrituale è

essenzialmente un contratto, e come tale può essere annullato o dichiarato nullo nei normali

termini di prescrizione, in via di azione (con un processo ordinario di cognizione) o di

eccezione. La legge prevede cinque motivi di annullamento del lodo, tutti relativi alla

violazione di fondamentali regole di procedura: invalidità del compromesso o decisione ultra

compromissum; vizio di costituzione degli arbitri; violazione delle regole di procedura

concordate dalle parti; violazione del principio del contraddittorio .

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Contrariamente a quanto ritenuto dalla giurisprudenza precedente, con la riforma del 2006 il

Legislatore ha chiarito che la scelta di ricorrere a un arbitrato irrituale deve essere espressa e risultare

per iscritto: in ogni altra ipotesi trovano applicazione le norme dell’arbitrato rituale. Oltre che sul

piano dell’efficacia del lodo, l’arbitrato irrituale può differenziarsi per le regole di procedura, che

possono essere alternative a quella codicistiche; tuttavia, anche a tal fine è necessaria una espressa

manifestazione di volontà concorde delle parti, in assenza della quale si procederà secondo le forme

stipulato dal dante causa possa vincolare l’avente causa: l’acquisto del bene è infatti avvenuto prima che si fosse

instaurata la lite (benché la controversia fosse già sorta), e pertanto non si ha una successione nel diritto

controverso suscettibile di applicazione analogica dell’art. 111 c.p.c. D’altro canto, il patto compromissorio non

costituisce certo un atto di disposizione del diritto in cui succede il terzo, ma semplicemente un contratto con il

quale la parte si vincola a ricorrere alla giustizia arbitrale: in alcun modo sembra che tale obbligo si possa

trasmettere a terzi soggetti che non abbiano prestato il proprio consenso.

Luiso evidenzia come in tutti i motivi di impugnazione si dia rilievo alla violazione della volontà delle parti

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tranne in due ipotesi: il vizio di pronuncia ultra compromissum, che è rilevante solo se è stata sollevata la relativa

eccezione nel corso del giudizio (in caso contrario, si ha una rinuncia tacita); il vizio di incapacità degli arbitri,

che prevale anche sulla volontà delle parti di nominare un arbitro in particolare.

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del Codice. Quanto all’utilità concreta del ricorso a un arbitrato irrituale, si tratta di uno strumento che

permette alle parti di ottenere una prima decisione sulla controversia, senza tuttavia correre il rischio

di una esposizione ad esecuzione forzata: in base a un lodo irrituale si potrà certamente ottenere un

titolo esecutivo, ma a tal fine sarà necessario adire l’autorità giurisdizionale.

L’art. 832 c.p.c. disciplina altre due forme alternative di arbitrato: arbitrato ad hoc e arbitrato

amministrato. Il primo si connota per la circostanza che la determinazione delle regole di procedura è

rimessa alle parti ovvero, in mancanza, agli arbitri. Quando le parti determinino le regole procedurali

attraverso il rinvio a preesistenti regolamenti arbitrali, trovano applicazione le regole di cui all’art.

832, commi 2, 3 e 5:

 L’eventuale contrasto tra regole espressamente contenute nella convenzione di arbitrato e

quelle del regolamento è risolto in favore delle prime.

 Salvo diversa disposizione delle parti, si applica il regolamento in vigore al momento in cui il

procedimento arbitrale ha inizio.

 Possono essere previste delle ipotesi di sostituzione e ricusazione degli arbitri ulteriori,

rispetto a quelle previste dalla legge.

L’arbitrato amministrato, invece, si svolge normalmente nell’ambito di una organizzazione che mette a

disposizione delle parti dei propri professionisti quali componenti dei collegi arbitrali, e celebra i

giudizi secondo un proprio regolamento interno e con delle proprie tariffe. Rispetto agli arbitrati

amministrati, le regole appena enunciate soffrono delle deroghe:

 La prevalenza delle regole enunciate nella convenzione di arbitrato su quelle del regolamento

interno dell’organismo arbitrale legittima il rifiuto di celebrare l’arbitrato. Infatti le parti

stipulano con l’organismo un contratto, le cui condizioni sono predisposte unilateralmente

dall’organismo, che può decidere di non accettare le modifiche proposte dai clienti.

Lo stesso dicasi per la determinazione del regolamento vigente. Può accadere che le

o parti stipulino un compromesso facendo riferimento al regolamento di un organismo

arbitrale che, tuttavia, viene successivamente modificato o non è più in vigore al

momento in cui sorge la controversia. Anche qui, l’organismo può rifiutarsi di applicare

regole non più conformi con i propri regolamenti.

 Gli organismi che rappresentano categorie professionali non possono nominare propri arbitri

nelle controversie in cui siano contrapposti i propri associati o, comunque, soggetti

appartenenti alle categorie professionali, e terzi soggetti. Si evita, così, che l’arbitro possa

essere implicitamente ma significativamente influenzato dall’appartenenza a una categoria

comune con una delle parti, perdendo di imparzialità (si tratta di una parziarietà ideologica).

 Infine, la legge specifica che il rifiuto di celebrare un arbitrato amministrato non priva di

efficacia tra le parti la convenzione di arbitrato.

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Infine, si parla di arbitrato dei gruppi o arbitrato istituzionale per indicare un fenomeno non

espressamente disciplinato dal Codice di procedura civile, che si verifica quando un organismo a

carattere associativo istituisce al proprio interno un meccanismo di giustizia in parte o in tutto

autonomo da quello legale, per regolare i rapporti tra gli associati e tra questi e l’associazione. Di

regola, il compromesso è inscindibile dall’adesione all’organismo, tanto che le controversie tra

associati sono celebrate nelle forme arbitrali anche se anteriori all’adesione, così come le controversie

sorte in costanza di vincolo associativo sono affidate alla giustizia ordinaria se nelle more il vincolo è

cessato. 9. GLI ARBITRI

Gli arbitri sostituiscono in tutto e per tutto il giudice: pertanto sono necessarie delle regole che

garantiscano un livello di imparzialità e terzietà quantomeno analogo. Tuttavia, mentre è escluso che

le parti possano scegliere il giudice che dovrà decidere la controversia, gli arbitri sono normalmente

nominati dalle parti concordemente o, in mancanza, per scelta di un terzo imparziale.

In particolare, gli arbitri possono essere nominati sin dalla convenzione d’arbitrato (anche se non è

escluso un arbitraggio, in forza del quale le parti contraenti si rimettono, sin dall’origine, alla

determinazione di un terzo denominato arbitratore, ai sensi dell’art. 1349 c.c.), ovvero possono essere

determinati il numero e le modalità di nomina. Se vi è più d’un arbitro, il collegio arbitrale dev’essere

composto da un numero dispari di componenti, compreso il presidente (ove le parti nominino un

numero pari di componenti, quello aggiuntivo è designato dal presidente del tribunale); se le parti non

determinano il numero, gli arbitri sono tre, compreso il presidente.

Quando la convenzione d’arbitrato preveda la nomina degli arbitri ad opera delle parti, ai sensi

dell’art. 810 c.p.c., ciascuna di esse può dare il via al procedimento arbitrale, notificando alla

controparte un atto scritto di designazione di uno degli arbitri; l’altra parte ha un termine di 20 giorni

per notificare la nomina del proprio arbitro. Il terzo componente, che avrà anche il ruolo di presidente

del collegio, è nominato:

 Su designazione congiunta delle parti, se queste sono d’accordo. In alternativa, le parti possono

rimettere la nomina del presidente agli arbitri dalle stesse nominate.

 In caso di disaccordo, dal presidente del tribunale del luogo in cui l’arbitrato avrà la sede; se la

sede non è stata determinata, si fa riferimento al luogo in cui la convenzione è stata stipulata;

se la sede si trova all’estero, è competente il tribunale di Roma. Il presidente del tribunale non

può provvedere sulla richiesta, se la convenzione d’arbitrato è manifestamente inesistente o si

tratta manifestamente di un arbitrato estero (secondo Luiso, neanche se la controversia verte

palesemente su un diritto indisponibile). 19

 Nella stessa maniera si provvede se la parte che abbia ricevuto l’atto di nomina dell’arbitro non

provveda a nominare il proprio, ovvero se sia prevista la nomina di un solo arbitro e le parti

non si mettano d’accordo.

È facile notare come l’imparzialità degli arbitri sia garantita, in prima istanza, dalle modalità di nomina

degli stessi, che richiedono l’accordo di entrambe le parti ovvero l’equa ripartizione dei componenti

del collegio, con il presidente sempre concordato o comunque imparziale, in quanto nominato dal

presidente del tribunale.

Qualora la nomina degli arbitri sia rimessa a un terzo arbitratore , sarà questo a dover dare le

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garanzie di imparzialità normalmente richieste all’arbitro: l’imparzialità del terzo influisce

direttamente sull’imparzialità dell’arbitro o degli arbitri che lo stesso designer&ag

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Publisher
A.A. 1994-1995
36 pagine
2 download
SSD Scienze giuridiche IUS/15 Diritto processuale civile

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lex88 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto processuale civile e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Vaccarella Romano.