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LE SENTENZE DI SAN MARTINO DEL
1) Il consenso informato (n. 29895) Il primo argomento affrontato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 28985 è
il cd. consenso informato, che è stato oggetto nel tempo di plurime pronunce (cfr. da ultimo Cass. 23 marzo 2018,
n. 7248), recentemente trasfuse nell’organica (sebbene parziale) disciplina di cui alla legge n. 145 del 2017.
In tale contesto, la sentenza n. 28985 affronta il delicato tema del rapporto esistente tra lesione del diritto alla salute
e lesione del diritto alla manifestazione del consenso informato, fissando alcuni punti fermi sui margini di
risarcibilità del pregiudizio causato dall’inadempimento degli obblighi informativi gravanti sull’esercente la
professione sanitaria.
A tal fine, la pronuncia tocca - in particolare - tre interrelati profili, vale a dire:
l’inquadramento del diritto alla manifestazione del consenso informato
a) e la sua autonomia rispetto al diritto
alla salute;
b) la natura del danno da lesione del diritto alla manifestazione del consenso informato;
il riparto dell’onere probatorio
c) in caso di lesione del diritto in parola.
→ l’autonomia del diritto del paziente a
Muovendo dal primo profilo, la Corte riconosce definitivamente
manifestare il consenso informato rispetto al diritto alla salute, essendo il primo espressione del diritto
costituzionalmente garantito alla cd. autodeterminazione della cura.
→ Alla luce di ciò e per quanto concerne la natura del danno da lesione del diritto a manifestare il consenso
informato, la pronuncia statuisce che “la violazione da parte del medico del dovere di informare il paziente, può
causare due tipi di danni: –
a) un danno alla salute, quando sia ragionevole ritenere che il paziente sul quale grava il relativo onere
– se correttamente informato avrebbe evitato di sottoporsi all’intervento
probatorio (onde non subire le
conseguenze invalidanti); 117
b) un danno da lesione del diritto alla autodeterminazione predicabile se, a causa del deficit informativo, il
paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, diverso dalla lesione del diritto alla
La Corte stessa individua, peraltro, quattro diverse ipotesi che potrebbero in concreto verificarsi,
salute”.
delineandone le pertinenti conseguenze risarcitorie.
Trattasi nello specifico di:
• omessa e/o insufficiente informazione circa un intervento che ha cagionato un danno alla salute per una
–
condotta colposa del medico, al quale il paziente se correttamente informato - si sarebbe comunque
sottoposto: in tal caso, è risarcibile il solo danno da lesione del diritto alla salute;
• omessa e/o insufficiente informazione circa un intervento che ha cagionato un danno alla salute per condotta
– –
colposa del medico, al quale il paziente se correttamente informato non si sarebbe sottoposto: in tal caso,
sono risarcibili sia il danno da lesione del diritto alla salute, sia il danno da lesione del diritto
all’autodeterminazione della cura. Il pregiudizio in concreto subito andrà valutato in reazione alla situazione
differenziale “il maggior danno biologico conseguente all’intervento e il preesistente stato patologico invalidante
del soggetto”;
• omessa e/o insufficiente informazione circa un intervento privo di risvolti pregiudizievoli per la salute, al
–
quale il paziente se correttamente informato - si sarebbe comunque sottoposto: in tal caso, nessun
risarcimento è dovuto;
• omessa e/o inadeguata diagnostica che non abbia portato alla lesione del diritto alla salute: in tal caso, è
danno da lesione del diritto all’autodeterminazione della cura, e tanto a condizione che il paziente
risarcibile il
provi che l’inadempimento del medico gli ha causato una “sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di
disporre di sé stesso”. Sicché, in buona sostanza, la Corte ammette la risarcibilità del danno da lesione del
diritto all’informazione del paziente (indipendentemente dalla coeva lesione del diritto alla salute) in due sole
ipotesi: qualora il paziente, se correttamente informato, avrebbe potuto scegliere altre terapie; ovvero qualora
il paziente, se correttamente informato, avrebbe potuto prepararsi all’eventuale evento infausto.
→ onus probandi, chiarendo che, in tutte le ipotesi sopra richiamate, va comunque esclusa la risarcibilità della
lesione del diritto alla manifestazione del consenso informato in se per se considerato, essendo la categoria del
cd. danno-evento e/o dei cd. danni in re ipsa estranea al nostro sistema della responsabilità civile. In simili ipotesi
che allega l’inadempimento del medico l’onere di provare il nesso causale tra
graverà, infatti, sul paziente
inadempimento degli obblighi informativi (cd. danno-evento) e pregiudizio in concreto subito (cd. danno-
conseguenza), secondo lo schema della cd. causalità materiale. A fronte di ciò, la prova del nesso causale potrà
essere fornita dal paziente con ogni mezzo, ivi compresi fatti notori, massime di esperienza e presunzioni, tenendo
conto dei seguenti principi:
a) il fatto da provare è il rifiuto che il paziente avrebbe opposto in presenza di una adeguata informazione, al
trattamento sanitario;
b) La sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di sé stesso
c) il nesso causale tra a e b.
Il principio distributivo dell’onere probatorio
2) e il nesso di causalità (nn. 28991 - 28992)
Richiamando implicitamente la distinzione tra obbligazioni “di mezzi” e “di risultato”, la Corte precisa - in
che “ove sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario per l’inadempimento
particolare - della prestazione
di diligenza professionale e la lesione del diritto alla salute, è onere del danneggiato provare, anche a mezzo di
presunzioni, il nesso di causalità tra l’aggravamento della situazione patologica, o la insorgenza di nuove
patologie, e la condotta del sanitario”.
Su questa base, il paziente-creditore che agisce per il risarcimento del danno causato dalla condotta sanitaria non
potrà limitarsi, secondo la disciplina civilistica di cui all’art. 1218 c.c., ad allegare l’inadempimento del
medico e a provare la sussistenza dei danni subiti, ma dovrà provare anche la sussistenza del nesso di
causalità tra comportamento del medico e danni in questione.
Secondo la ricostruzione offerta dalle pronunce in commento, l’inadempimento del medico (che si sostanzia nella
violazione delle cd. leges artis) non possiede, infatti, un’intrinseca e necessaria attitudine causale alla produzione
dell’evento lesivo, ben potendo l’aggravamento delle condizioni di salute del paziente, ovvero l’insorgere di nuove
avere un’eziologia diversa dalla colpa medica. Alla luce di ciò, permane
patologie, - anche in materia di
responsabilità medica - la necessità di accertare la sussistenza del nesso causale tra condotta e pregiudizio, nel
(relazione tra condotta e evento lesivo, funzionale all’imputazione
duplice profilo della cd. causalità materiale
di responsabilità) e della cd. causalità giuridica (relazione tra evento lesivo e sue conseguenze pregiudizievoli,
presente che la causalità giuridica “è soggetta
utile a determinare la misura del risarcimento dovuto). Il tutto tenendo
alla regola dell’all or nothing”, mentre la causalità materiale “è soggetta alla regola dell’irrisarcibilità delle
conseguenze mediate”. 118
abbia correttamente assolto all’onere
Solo ove il paziente-creditore probatorio di cui sopra, spetterà di contro
fornire l’eventuale prova liberatoria, dimostrando che l’esatta esecuzione della
al medico-debitore
prestazione sia stata impossibile per una causa a lui non imputabile.
3) La liquidazione equitativa del danno e la retroattività del cd. sistema tabellare (n. 28988)
Passando al diverso profilo della quantificazione del danno alla salute, specifica attenzione merita, in primo luogo,
la sentenza n. 28990, che statuisce sulla liquidazione equitativa del danno non patrimoniale da errore sanitario e, in
particolare, sull’applicazione retroattiva del cd. sistema tabellare di cui all’art. 3, comma 3, della legge Balduzzi.
Al fine di meglio comprendere la questione, giova premettere l’art. 3, co. 3, della legge Balduzzi ha fatto per
primo espresso rinvio, ai fini della liquidazione equitativa del danno alla salute, ai criteri di cui agli artt. 138
(CAP), trovando successiva conferma nell’art. 1, co. 18, della legge
e 139 del Codice delle Assicurazioni Private
Gelli-Bianco. A fronte di ciò, la prassi giurisprudenziale ha, invero, da principio applicato tale jus superveniens
anche ai giudizi in corso di definizione (e a fattispecie perfezionatesi prima dell’entrata in vigore del decreto
Balduzzi), ingenerando un vivo dibattito sulla legittimità della prassi in parola.
riconoscendo l’applicabilità dell’art. 3, comma 3, della legge Balduzzi a tutti i processi in
La Corte conclude
corso di definizione, anche se inerenti fatti accaduti prima dell’entrata in vigore del decreto Balduzzi, salvo
esclude invece l’efficacia
il limite invalicabile costituito della formazione interna del giudicato. Sulla stessa base,
retroattiva del succitato art. 3 nella parte in cui detta criteri per la valutazione della colpa medica, essendo
quest’ultima elemento costitutivo della fattispecie di illecito in discussione.
3) La personalizzazione del danno alla salute
Sul fronte della liquidazione del danno, pregnante rilievo assume anche la sentenza n. 28988, che pone alcuni punti
fermi in tema di cd. personalizzazione del risarcimento del danno alla salute.
Prendendo le mosse dalla riconosciuta retroattività del sistema tabellare, la Corte specifica che il quantum di
può essere “personalizzato”
risarcimento spettante al soggetto leso in applicazione della valutazione tabellare
(in aumento) solo al ricorrere di “conseguenze dannose del tutto anomale ed affatto peculiari”, ossia
che devono essere ritualmente allegate e provate dal paziente, secondo l’ordinaria
straordinarie ed eccezionali,
dell’onere probatorio. Infatti, le conseguenze ordinarie della menomazione subita dal paziente sono già
disciplina
espresse dalla valutazione tabellare del grado di invalidità permanente (cd. grado di I.P.) accertato dal medico legale,
che definisce in via equitativa il quantum ordinario del risarcimento da liquidare.
peculiare attenzione viene prestata all’ipotesi in cui il danno alla salute abbia causato anche la
Ciò posto,
perdita (totale o parziale) della capacità lavorativa del soggetto leso.