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TRATTATO DI DIRITTO PRIVATO
Diretto da MARIO BESSONE
VOLUME X
ILLECITO E RESPONSABILITÀ CIVILE
CLAUDIO SCOGNAMIGLIO
L’INGIUSTIZIA DEL DANNO
L’INGIUSTIZIA DEL DANNO E LA RESPONSABILITÀ CIVILE: PREMESSEL’autore sofferma la sua riflessione sull’art.2043, la sua struttura, natura e in particolar modo sullaingiustizia del danno che sembrando ormai un dato pienamente acquisito dalla nostra dottrina., in realtà, aduno sguardo più attento, rivela aspetti che presentano ampi margini di sviluppo.
Infatti lo Scognamiglio, intesa la formula ingiustizia del danno in termini di clausola generale, osserva comele disposizioni della giurisprudenza influenzino la dottrina al punto da far ritenere che quesìa si assetti, sottovari aspetti, ad una funzione catalogatoria delle diverse ipotesi di danno risarcibile.Appare chiaro però che l’Autore prende le distanze da una simile impostazione meramente ricognitiva delleistanze giurisprudenziali, ferma restando, peraltro, la fecondità del dialogo della dottrina con lagiurisprudenza.
Tuttavia nell’esigenza di una più puntuale definizione dell’operatività della responsabilità aquiliana, al finedi evitare straripamenti e torsioni funzionali dell’istituto da parte sia della giurisprudenza che del legislatore(basti pensare all’enfatizzazione del danno ambientale), la riflessione sull’istituto appare più urgente e quindiattuale che mai, visto che, da più parti, si registra insoddisfazione e scetticismo per il metodo (marcamentericognitivo) seguito, ovvero per quella discrezionalità lasciata all’interprete nel momento delgiudizio di bilanciamento dell’interesse aggredito e di quello sotteso alla condotta lesiva (che criteri usa?).
L’autore afferma che il prendere atto della crisi della responsabilità.civile comincia dalla condizione diinsicurezza in cui versa l’interprete, in termini di poca consapevolezza del dato normativo e del contesto incui questo si inserisce e quindi cesella la sua acuta riflessione critica, ma costruttiva, dall’assunto che vedel’ingiustizia del danno inserita nel novero delle “clausole generali”, dato che l’accusa mossa alla formula“ingiustizia del danno” è proprio quella di sfocchezza.
Perciò ritiene che il recupero della “normatività” nel sistema della responsabilità civile sia il punto d’inizio,spostandolo quindi ulteriormente la strategia di indagine concettuale su un piano di recupero dell’unità delsistema di resp.aquiliana, dopo il fenomeno disgregativo della nozione di danno.Una delle frontiere più suggestive in questo senso è da segnalarsi nel tema tracciato dal danno dal c.d. fattoillecito del legislatore, in materia di inattuazione di una direttiva UF, attraverso cui la Cassazione ha avutol’occasione per sottolineare l’inecluibile centralità, nel nostro sistema di tutela aquiliana, dell’ingiustizia deldanno.
In questa premessa dell’autore rientrano inoltre ancora due osservazioni: a) la qualificazione del danno intermini di ingiustizia non esaurisce il giudizio di responsabilità civile; b) l’indagine condotta sotto l’epigrafe“ingiustizia del danno” deve essere inscritta nell’ambito esclusivo di una riflessione della responsabilitàaquiliana rissando quindi imperemabile rispetto al tema della responsabilità c.d. contrattuale (ma, meglio, dainadempimento di un’obbligazione preesistente), nonostante il relativo giudizio si incentra suquestioni di fatto diverse.
Infine l’Autore, a coronamento di questa sua premessa, auspica la ripresa di centralità del ruolo dellamigliore dottrina in questo processo lungo e tortuoso di recupero ed unità del sistema, al fine anche di porre
L'INGIUSTIZIA DEL DANNO E IL SISTEMA DELLA RESPONSABILITÀ CIVILE
1.LA NOZIONE DOGMATICA DI DANNO ED IL CONCETTO DI INGIUSTIZIA
L’evoluzione del giudizio di responsabilità relativo allo spostamento della stessa responsabilità al riparazione, ha determinato il concentrarsi dell’impostazione teorica sul danno e la sua rilevanza giuridica. La riflessione più recente in materia di danno si è svolto sul terreno della tutela risarcitoria della persona umana, le cui concezioni erano plasmate per far rientrare nella nozione di danno i fatti lesivi dei beni della personalità. Lo stesso legislatore (introducendo il danno ambientale ovvero la legge per la responsabilità civile dei magistrati), sotto il profilo distinto del fenomeno della torsione funzionale del giudizio di responsabilità, ha contribuito a sollecitare una revisione e un approfondimento del danno; la corte costituzionale parve avverare anch’essa una propria concezione di danno, riconducesti poi nell’alveo del sistema della resp.aquiliana delineata dal cod.civ.
Ma ciò che più rileva ai fini dell’indagine de qua è trovare una risposta soddisfacente al quesito se sia possibile elaborare una nozione preregiuridica di danno ovvero se il danno è da considerarsi una categoria normativa tale da essere studiato con gli strumenti che le sarebbero propri.
Nell’alveo di una impostazione preregiuridica di danno si colloca quella dottrina che concepisce il danno congiunto alla stricqua del linguaggio comune, ossia modificazione peggiorativa di un quid, di un bene inteso in senso giuridico (facendo tuttavia sorgere l’obbl.risarc. solo se l’oggetto è un bene giuridico). In questo modo l’area risarcitoria si amplia ma una simile impostazione rischia di ledere nell’ombra il riferimento all’ingiustizia di cui avverrebbe la funzione essenziale.
Contrapposta a questa è la teoria della perdita economica, al cui interno il danno si configura come sempre consistente e conseguentemente contenuto della tutela consistente nell’obbligo di risarcirio (integralmente).
Indi, parziale e inadeguata appare anche la impostazione del danno come “lesione di un interesse”, potendo questo tal limite rappresentare un momento distinto e anzi eventuale del danno, rischiando di eliderci le differenze tra strumento risarcitorio e altri mezzi a tutela civili dei diritti, in particolare la tutela inhibitoria.
Senza coerenza del contributo apportato dal legislatore a questo quadro già di suo eccessivamente frammentato, si assiste così ad una riflessione scientifica, giurisprudenziale e legislativa in materia di danno, si potrebbe dire non eccessivamente articolato, alimentando un panorama babelico ai limiti della probità con rischi analoghi a quello che ha già conosciuto la proprietà: una tendenza alla frammentazione e alla ricomposizione, processo evolutivo costante di diritto privato contemporaneo, che
BILANCIAMENTO DEGLI INTERESSI
È un dato acquisito inquadrare la natura del giudizio di responsabilità civile (e quindi del giudizio di ingiustizia) nella sua bilateralità (valutazione dell'interesse leso dalla condotta dell'agente; valutazione dell'interesse sottostante all'attività lesiva) in quanto la traslazione del danno in capo all'agente necessita di una giustificazione nella differente meritevolezza di protezione degli interessi facenti capo alla vittima e all'agente. Tale bilateralità tuttavia non implica duplicazione del giudizio di ingiustizia che rimane unitario, ma solo criterio sotteso ad una valutazione della correlazione tra la condotta lesiva e l'interesse leso, tanto che s'ev'è un nesso di giustificazione, questo diviene elemento impeditivo del sorgere della responsabilità civile all'interno del giudizio di ingiustizia.
In questo contesto si inserisce quella dottrina (Sclesinger) che aveva affermato la necessità di conciliare l'obbligo di non danneggiare gli altri con quello di tutelare lo svolgimento di attività a loro volte incoraggiate oltre che protette; conciliazione che avviene interpretando l'attributo ingiusto (danno come danno non giustificato (quindi l'inuria nel senso di non iure, più che contra ius)).
Altra impostazione (Trimarchi) ravvisa, nella valutazione dell'interesse sottostante, una valutazione comparativa degli interessi contrapposti, il cui criterio comparativo di base è da identificarsi nella pubblica utilità.
Proseguendo questa nostra sinossi sulle varie impostazioni circa il giudizio di ingiustizia, si rinviene quella del Navarrete che basa il relativo giudizio secondo le direttive delle regole sull'abuso di diritto, operanti su più piani:
- 1 - la comparazione deve necessariamente basarsi su un giudizio da effettuarsi ex post sulle circostanze concrete;
- 2 - le regole dell'abuso fanno emergere interessi di rango costituzionale non rinvenibili direttamente in capo al danneggiante o al danneggiante;
- 3 – le regole dell'abuso operano come criterio orientativo al fine di rinvenire una topografia del conflitto, introducendo a sua volta due modelli di regole sull'abuso di diritto: la regola emulativa e la regola di correttezza.
Ma da qui in poi l'autore comincia le sue critiche a tali impostazioni: BILANCIAMENTO DEGLI INTERESSI: il riferimento a tele criterio non può che risolversi in una descrizione del procedimento logico in sede di formulazione del giudizio di ingiustizia; RIFGORE. SULL'ABUSO DI DIRITTO E RELATIVE CONCRETIZZAZIONI: un criterio di incerta collocazione normativa, considerata tra l'altro fonte di equivoci; sole apparente è il riferimento, rinvinculo nella Relazione al libro delle obbligazioni (N.267/1941), all' "esercizio del proprio diritto mediante abuso arrecando danno ad altri", per cui sarebbe imposto, al titolare di un diritto di credito di esercitarlo secondo correttezza (che invece è rinvenibile solo in un rapporto giuridico in senso tecnico) in relazione ai principi della solidarietà corporativa (ora del tutto estraneo nel nostro ordinamento). Da qui anche l'accusa di attirare gravi confusioni terminologiche.
Concludendo, l'Autore riconduce l'interesse sottostante alla condotta lesiva assume rilievo individuandoun principio ovvero una norma che sancisca la prevalenza dell'attività svolta dal danneggiante rispetto la vittima del fatto lesivo: un operazecnia certamente complessa nel momento in cui la tutela normativa di entrambi gli interessi sia somministrata da norme gerarchicamente di pari livello, rendendosi in tal modo necessario accertare quale sia la situazione di interessi ccoluceta in una posizione assiologicamente superiore all'interno dell'ordinamento.
È in quest'ottica l'autore condividi il Busnelli il quale afferma che il sistema di rscp.civ. è impriacciuto sull'unica regola generale di esercizio del diritto in esistenza come causa tipica di esclusione a priori dell'ingiustizia del danno, la cui atipicità deve essere intesa come rinvio a valutazioni di meritevolezza di tutela già operate dalle norma e non in un ipotesi di integrazione valutativa dell'interprete.
L'indagine circa la sussistenza di un ipotesi di esercizio del diritto si spinge anche ad una valutazione di tipo sostanziale, nel senso che può anche condurre a negare la qualità di esistenza del comportamento (apparentemente conforme ad enacto formale) che leda senza realizzare un interesse che è sostanzialmente incompatibile con quello posto alla base del diritto stesso. Tale indagine diviene necessaria ricorrendo alla figura artificiosamente dell'abuso di diritto).
Si prescinde inoltre che la valutazione sostanziale di modalità di esercizio del diritto non può spingersi oltrel'autonoma rilevanza dell'altro profilo del giudizio di ingiustizia del danno (ciò cd.deonticità); laddove non v'è una situazione giuridica relevante e quindi di una norma atributiva di esso non è possibile pervenirsi ad una qualificazione di ingiustizia del danno sulla sola valutazione.