Diritto privato - Torrente e Schlesinger - Appunti
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ESTRATTO DOCUMENTO
1) COSTITUZIONE
Una legge ordinaria non può né modificare la Costituzione o altra legge di rango costituzionale, né contenere disposizioni in
qualsiasi modo in contrasto con norme costituzionali. A presidio di questa rigidità della nostra Carta costituzionale è stato
istituito un apposito organo, la Corte costituzionale, cui è affidato il compito di controllare se le disposizioni di una legge
ordinaria siano in conflitto con norme costituzionali.
Se la Corte ritiene illegittima una norma, dichiara con sentenza la incostituzionalità della disposizione viziata, che cessa la
sua efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione cui i cittadini non possono rivolgersi direttamente ma la
questione di costituzionalità deve essere sollevata dal giudice il quale, durante un procedimento lo sospende sottoponendo
alla Corte Costituzionale la questione di illegittimità. Nel caso in cui la Corte accolga l’illegittimità allora avviene l’abrogazione
della norma reputata incostituzionale;
2) FONTI COMUNITARIE ( Regolamenti e Direttive);
Ha valore prevalente rispetto alle stesse leggi ordinarie statali tutta la normativa comunitaria
Le fonti normative di matrice comunitaria si distinguono in:
a) regolamenti ossia norme applicabili dai giudici dei singoli Stati ebri come se fossero leggi dello stato (in caso di contrasto
prevale la norma regolamentare)
b) direttive che hanno lo scopo di armonizzare le legislazioni interne dei singoli paesi a differenza dei regolamenti le direttive
non sono immediatamente efficaci a devono essere attuate mediante l’emanazione di apposite leggi.
Uno stato che non adempie all’obbligo di attuare una direttiva può essere sanzionato dagli organi comunitari.
Quindi si evince come l’adesione alla comunità europea abbia comportato l’accettazione di una limitazione della prerogativa
sovrana dello stato
3) LEGGI ORDINARIE;
Le leggi statali ordinarie sono approvate dal parlamento (approvazione di un testo da entrambe le camere promulgazione da
parte del Presidente della Repubblica pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale.
La legge ordinaria può abrogare o modificare qualsiasi norma non avente valore di legge, mentre non può essere modificata
o abrogata se non da una legge successiva.
Vi sono materie che non possono essere regolate se non mediante leggi (cd riserva di legge) quindi non possono essere
disciplinate da fonti normative di rango inferiore.
Alle leggi statali sono equiparati sia i decreti legislativi delegati che i decreti legge di urgenza, sebbene emanati dal Governo e
non dal Parlamento, ma a condizione che, rispettivamente, o si mantengano rispettosi della legge di delega ( nel 1° caso) o
siano convertiti in legge dal Parlamento entro 60 gg.( nel 2° caso).
La legge ordinaria può essere abrogata con referendum popolare
4) LEGGI REGIONALI
L’art. 117 conferisce un potere legislativo regionale (leggi regionali) nell’abito di una serie di materie che non siano
competenza esclusiva dello stato (es. norme processuali ordinamento civile e penale ecc.)
5) FONTI CONSUETUDINARIE (Regolamenti,usi e consuetudini)
Nel diritto italiano, il termine Regolamento indica una fonte normativa secondaria, sott’ordinata rispetto alla legge nel sistema
della gerarchia delle fonti, la cui emanazione costituisce una facoltà riconosciuta al potere esecutivo (governo ministri e altre
autorità)
I regolamenti regolano specifiche materie in forza di una delega o autorizzazione contenuta in una legge (es. regolamenti
della Consob in materia di disciplina dei mercati finanziari)
Affinché sussista una Consuetudine è necessario che siano soddisfatte tre condizioni:
che un certo tipo di comportamento osservabile sia generalmente e costantemente ripetuto in un certo ambiente per un
1)
tempo adeguatamente protratto
che il comportamento ripetuto sia giudicato nell’ambiente sociale come doveroso e non semplicemente conforme a prassi
2)
In dottrina si usa distinguere tre tipi di consuetudini secondo gli Usi:
si dicono consuetudini secundum legem quelle che operano “in accordo” con la legge;
a) si dicono consuetudini praeter legem quelle che operano “al di là” della legge;
b) si dicono consuetudini contra legem quelle che operano contro la legge.
c)
La consuetudine non è prevista e disciplinata dalla Costituzione.
Ovvero gli usi hanno efficacia solo in quanto dalla legge richiamati (secundum legem il rinvio è precluso nelle materie coperte
da riserva di legge.)
Per le materie non disciplinate da fonti scritte si ricorre alla consuetudine (praeter legem) solo se il caso non possa essere
deciso tramite analogia e che non ricada in alcun principio generale
Si ha consuetudine contra legem, invece quando è contraria a norme di legge e si pone in posizione abrogativa rispetto a
norme di legge. Non è ammissibile nel nostro ordinamento in quanto la consuetudine è fonte strutturalmente subordinata alla
legge e può operare solo nei limiti in cui la legge lo consente
La prova della consuetudine può essere fornita da documenti testimonianze ecc. poiché il giudice potrebbe non essere a
conoscenza di quest’ultima
Il codice civile
Il codice civile costituisce, insieme alla Costituzione ed alle leggi speciali una delle fonti del diritto civile. La codificazione del
diritto civile in Italia è stata influenzata in modo decisivo dalla codificazione francese. Negli anni del dominio napoleonico in
Italia fu vigente un codice civile che era la traduzione italiana del Code Napoléon; successivamente, dopo la caduta
dell'impero e la restaurazione, quasi tutti gli stati italiani emanarono codici civili, in gran parte modellati sull'esempio del Code
Napoléon. Il primo codice civile italiano unitario fu elaborato negli anni successivi all'unità d'Italia, ed entrò in vigore nel 1865.
Il codice civile oggi vigente in Italia che ha sostituito quello del 1865, è stato emanato nel 1942.
Il codice civile ha una particolarità unica tra i codici civili europei: contiene sia la disciplina del diritto civile sia la disciplina del
diritto commerciale, che in precedenza erano dettate in due codici diversi. I codici oggi in vigore in Italia risalgono all'epoca
fascista, e il codice civile non fa eccezione:
Si è continuato ad usare il codice del 1942 durante la repubblica perché la sua impostazione era sostanzialmente liberale;
naturalmente si sono espunte le parti più apertamente fasciste, come i riferimenti alle norme corporative, e un'ulteriore lavoro
di lima è stato fatto dalla Corte Costituzionale. Svariati interventi legislativi sommati a accordi internazionali e normativa
comunitaria hanno pesantemente modificato e integrato il codice, o si sono semplicemente aggiunti.
STRUTTURA .DEL .CODICE .CIVILE
- Libro Primo: Delle Persone e della Famiglia, artt. 1-455 - contiene la disciplina della capacità delle persone, dei diritti della
personalità, delle organizzazioni collettive, della famiglia;
- Libro Secondo: Delle Successioni, artt. 456-809 - contiene la disciplina delle successioni a causa di morte e del contratto di
donazione;
- Libro Terzo: Della Proprietà, artt. 810-1172 - contiene la disciplina della proprietà e degli altri diritti reali;
- Libro Quarto: Delle Obbligazioni, artt. 1173-2059 - contiene la disciplina delle obbligazioni e delle loro fonti, cioè
principalmente dei contratti e dei fatti illeciti (la cosiddetta Responsabilità civile);
- Libro Quinto: Del Lavoro, artt. 2060-2642 - contiene la disciplina dell'impresa in generale, del lavoro subordinato e
autonomo, delle società aventi scopo di lucro e della concorrenza;
- Libro Sesto: Della Tutela dei Diritti, artt. 2643-2969 - contiene la disciplina della trascrizione, delle prove, della responsabilità
patrimoniale del debitore e delle cause di prelazione, della prescrizione.
L’EFFICACIA TEMPORALE DELLE LEGGI
Per l’entrata in vigore dei provvedimenti legislativi si richiede oltre all’approvazione da parte delle due Camere:
la promulgazione della legge da parte del Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione (Art.73 Cost.);
a) la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica (Art.73.3 Cost.);
b) il decorso di un periodo di tempo, detto vacatio legis, che va dalla pubblicazione all’entrata in vigore della legge, e che di
c)
regola è di 15 giorni
Con la pubblicazione la legge si reputa conosciuta e diventa obbligatoria per tutti, anche per chi, in realtà, non ne abbia
conoscenza. Vale, infatti, il principio per cui ignorantia iuris non excusat, cosicché nessuno può invocare a propria scusa, per
evitare una sanzione, di aver ignorato l’esistenza di una disposizione di legge. La Corte costituzionale ha tuttavia stabilito che
l’ignoranza della legge è scusabile quando l’errore di un soggetto in ordine all’esistenza o al significato di una legge penale
sia stato inevitabile.
Si ha abrogazione della legge per Illegittimità Costituzionale
Successioni della legge nel tempo: es. Riforma de diritto di famiglia ( prima non si potevano riconoscere i figli adulterini, oggi
è permesso).
Nei periodi di passaggio delle riforme esistono le Norme transitorie
Una disposizione di legge viene abrogata quando un nuovo atto dispone che ne cessi l’efficacia (anche se una norma, pur
dopo abrogata può continuare ad essere applicata ai fatti verificatisi anteriormente).
Per abrogare una disposizione occorre sempre l’intervento di una disposizione nuova di pari valore gerarchico: e così una
legge non può essere abrogata che da una legge posteriore.
L’abrogazione può essere espressa o tacita.
Espressa quando la legge posteriore dichiara esplicitamente abrogata una legge anteriore.
Tacita se manca, nella legge successiva, una tale dichiarazione formale, ma le disposizioni posteriori:
a) o sono incompatibili con una o più disposizioni antecedenti;
b) o costituiscono una regolamentazione dell’intera materia già regolata dalla legge precedente, la quale, pertanto, deve
ritenersi assorbita e sostituita integralmente dalle disposizioni più recenti anche in assenza di una vera e propria
incompatibilità tra la vecchia e la nuova disciplina.
Fenomeno simile ma diverso è quello della Deroga: essa si ha quando una nuova norma sostituisce, ma solo per specifici
casi, la disciplina prevista dalla norma precedente, che continua però ad essere applicabile a tutti gli altri casi.
Un’altra figura di abrogazione espressa può essere realizzata mediante un referendum popolare, quando ne facciano
richiesta almeno 500.000 elettori o 5 Consigli regionali, e la proposta di abrogazione si considera approvata se alla votazione
partecipi la maggioranza degli aventi diritto purché la proposta di abrogazione consegua la maggioranza dei voti espressi
(Art.75 Cost.).
Anche la dichiarazione di incostituzionalità di una legge ne fa cessare l’efficacia. Ma mentre l’abrogazione ha effetto solo per
l’avvenire (la legge, benché abrogata, può e deve essere ancora applicata ai fatti verificatisi quando era in vigore), la
dichiarazione di incostituzionalità, invece, annulla la disposizione illegittima ex tunc, come se non fosse mai stata emanata,
cosicché non può più essere applicata neppure nei giudizi ancora in corso e neppure ai fatti già verificatisi in precedenza.
L’abrogazione di una norma che, a sua volta, aveva abrogato una norma precedente non fa rivivere quest’ultima, salvo che
sia espressamente disposto: in tal caso la norma si chiama ripristinatoria.
L’art.11.1 delle preleggi stabilisce che “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Si dice,
quindi, retroattiva una norma la quale attribuisca conseguenze giuridiche a fattispecie (concrete) verificatesi in momenti
anteriori alla sua entrata in vigore. Nel nostro ordinamento solo la norma penale non può essere retroattiva: “nessuno può
essere punito per un fatto che non costituiva reato. Efficacia retroattiva hanno, poi, le c.d. “leggi interpretative”, ossia emanate
per chiarire il significato di norme antecedenti e che, quindi, si applicano a tutti i fatti regolati da queste ultime.
[Per indicare la retroattività si dice che il negozio ha efficacia "ex tunc" (da allora), mentre per indicare la situazione ordinaria
si dice che il negozio ha efficacia "ex nunc" (da ora).]L’applicazione del principio di irretroattività non è sempre agevole in
alcuni casi interviene il legislatore a regolare il passaggio tra la vecchia e quella nuova con specifiche norme, che si chiamano
disposizioni transitorie.
La legge nuova non può colpire i diritti quesiti, che, cioè, sono già entrati nel patrimonio di un soggetto (Un esempio è il
diploma: non appena entra nel patrimonio del maturato esso diviene quesito in quanto indiscutibile).
Nella pratica divenne spesso problematico individuare i diritti quesiti per via delle numerose eccezioni riscontrabili nelle
legislazioni transitorie, col risultato che a volte la legge li rispettava, altri li travalicava. Proprio l’indeterminatezza della nozione
di diritto quesito fece sì che si affermasse la diversa teoria del fatto compiuto, in virtù della quale le nuove norme non
estendono la loro efficacia ai fatti compiuti sotto il vigore della legge precedente, benché dei fatti stessi siano pendenti gli
effetti Quest’ultima teoria è maggiormente seguita
L’APPLICAZIONE E L’INTERPRETAZIONE DELLA LEGGE
Per applicazione della legge s’intende la concreta realizzazione, nella vita della collettività, di quanto è ordinato dalle regole
che compongono il diritto dello Stato.
E’ compito dello Stato attraverso i suoi organi, curare l’applicazione delle norme di diritto pubblico. Viceversa l’applicazione
delle norme di diritto privato non è imposta in modo autoritario, ma è lasciata alla prudenza e al buon senso dei singoli.
Anche se è proprio la previsione di una lite giudiziale che induce molti a prestarsi spontaneamente al soddisfacimento di
interessi altrui.
Interpretare un testo normativo non vuol dire solo conoscere quanto il testo in sé già esprimerebbe, bensì decidere che cosa
si ritiene che il testo effettivamente possa significare e, conseguentemente, come vadano risolti i conflitti che insorgono nelle
sua applicazione.
L’attività di interpretazione non può mai esaurirsi nel solo esame dei dati testuali.
In primo luogo, infatti, non tutti i vocaboli contenuti nelle leggi possono essere definiti nelle leggi stesse: pertanto il
significato che viene loro attribuito in ciascun contesto va ricavato da elementi extra-testuali.
In secondo luogo le leggi, nel disciplinare rapporti sociali, si riferiscono, in generale a classi di rapporti: spetterà
all’interprete, di fronte a rapporti concreti, decidere se considerarli inclusi nella disciplina della singola norma, oppure no, ed a
tal fine l’interprete dovrà impiegare particolari tecniche di “estensione” o di “integrazione” delle disposizioni della legge,
attingendo a criteri di decisione extra-legislativi.
In terzo luogo le formulazioni delle leggi sono spesso in conflitto tra loro: conflitti che si superano ricorrendo a criteri di
gerarchia tra le fonti, a criteri cronologici, a criteri di specialità.
In quarto luogo, di fronte a ciascun caso singolo difficilmente si può applicare un’unica norma, ma occorre utilizzare un’ampia
combinazione di disposizioni, ritagliate e ricomposte per adattarle al caso: operazione complessa che si avvale di nozioni
sistematiche a carattere dottrinario ed extra-testuali.
L’attribuzione da parte dell’interprete a un documento legislativo viene detta interpretazione “dichiarativa”. Quando invece il
processo interpretativo attribuisce ad una disposizione un significato diverso da quello che il suo tono letterale potrebbe
suggerire si parla di interpretazione “correttiva”.
Dal punto di vista dei soggetti che svolgono l’attività interpretativa si distingue tra interpretazione giudiziale, dottrinale e
autentica.
L’attività interpretativa assume valore vincolante solo quando è compiuta dai giudici dello Stato nell’esercizio della funzione
giurisdizionale (c.d. interpretazione giudiziale).
L’interpretazione dottrinale è costituita dagli apporti di studio dei cultori delle materie giuridiche, i quali si preoccupano di
raccogliere il materiale utile alla interpretazione delle varie disposizioni, di illustrarne i possibili significati, di sottolineare le
conseguenze delle varie soluzioni interpretative.
Non costituisce, infine, vera attività interpretativa la c.d. interpretazione autentica, ossia quella che proviene dallo stesso
legislatore, che emana apposite norme per chiarire il significato di norme preesistenti. Questa ha efficacia retroattiva: infatti
essa chiarisce anche per il passato il valore da attribuire alla legge precedente, troncando i dubbi che erano sorti sulla sua
interpretazione.
Il c.c. impone di valutare non solo il significato proprio delle parole (c.d. interpretazione letterale), ma anche l’intenzione del
legislatore.
Altri criteri cui l’interprete e il giudice si rivolge, sono:
il criterio logico, volto ad escludere dalla norma quanto non vi appare espressamente, volto ad estendere la norma per
a)
comprendervi anche fenomeni simili a quelli risultanti dal contenuto letterale della disposizione, volto ad estendere la norma in
modo da includervi fenomeni che a maggior ragione meritano il trattamento riservato a quello risultante dal contenuto letterale
della disposizione),volto ad escludere quella interpretazione che dia luogo ad una norma assurda);
il criterio storico: nessuna disposizione spunta all’improvviso in un ordinamento;
b) il criterio sistematico: per determinare il significato di una disposizione è indispensabile collocarla nel quadro complessivo
c)
delle norme in cui va inserita, onde evitare contraddizioni e ripetizioni;
il criterio sociologico: la conoscenza degli aspetti economico-sociali dei rapporti regolati è spesso illuminante per
d)
pervenire ad una interpretazione congruente con la realtà disciplinata e su cui quelle regole sono destinate e svolgere una
influenza:
il criterio equitativo: volto ad evitare interpretazioni che contrastino col senso di giustizia della comunità.
e)
Il giudice quando non riesce a risolvere il caso su cui deve pronunciarsi deve procedere applicando “per Analogia” le
disposizioni che regolino casi simili, e qualora il caso rimanga ancora dubbio, applicando “i principi generali dell’ordinamento
giuridico dello Stato”.
Ricorrere ad un ragionamento per analogia significa applicare ad un caso non regolato (in quanto per esso non si è trovato
nessuna norma che lo contempli le cd lacune dell’ordinamento ) una norma non scritta ricopiata da una norma scritta, la
quale, però, risulta dettata per regolare un caso diverso, sebbene simile a quello da decidere.
Individuare tra due fattispecie diverse, una regolata ed un’altra non regolata, un rapporto di somiglianza, significa che di due
entità può dirsi che sono simili se hanno qualche elemento in comune. Deve trattarsi proprio dell’elemento che giustifica la
disciplina accordata al caso: l’identità di quell’elemento ci fa concludere che pur il caso non regolato merita identica disciplina.
Vi è il ricorso quindi sia all’analogia legis (applicazione in via analogica ad un caso non regolato da disposizioni atte a
regolare quella fattispecie) che all’analogia iuris ossia si ricava una norma estrapolandola dai generali orientamenti del
sistema legislativo
Il ricorso all’analogia è sottoposto, nel nostro ordinamento a limiti: essa non è consentita né per le leggi penali, né per quelle
che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi.
Il divieto si giustifica in relazione alle norme penali, per il principio di stretta legalità che caratterizza le norme incriminatrici:
nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto compiuto, per le norme
eccezionali si giustifica in quanto non si vogliono allargare le deroghe privilegiando la disciplina normale a quella eccezionale
I CONFLITTI DI LEGGI NELLO SPAZIO
Il diritto internazionale privato
Al mondo non esiste un solo Diritto uniforme perciò in ciascun Paese, vengono elaborate norme di diritto internazionale
privato: ossia regole che stabiliscono quale tra varie leggi nazionali vada applicata nelle singole ipotesi, scegliendo dal punto
di vista spaziale, la legge più idonea a disciplinare quella fattispecie, ossia la legge vigente nello Stato ove il rapporto appaia
meglio localizzato.
Il diritto internazionale privato:
sebbene venga tradizionalmente denominato così, non è in realtà un diritto internazionale: (tale è il c.d. diritto
a)
internazionale pubblico, ossia il diritto che ha fonte in accordi tra soggetti internazionali, mentre il diritto internazionale
privato, è invece il diritto interno, ciascun ordinamento stabilisce il proprio);
non abbraccia solo norme relative a rapporti di diritto privato, ma comprende pure altri tipi di rapporti soprattutto quelli di
b)
tipo processuale;
è costituito non da norme materiali, ossia che disciplinano esse stesse la sostanza di taluni rapporti, bensì da regole
c)
strumentali, che si limitano cioè ad individuare a quale ordinamento debba farsi capo, per giungere poi, applicando
l’ordinamento così individuato, a stabilire come quel rapporto vada disciplinato (tecnica del rinvio)
Per stabilire quale sia l’ordinamento da applicare occorre in primo luogo procedere alla qualificazione del rapporto in
questione, evidenziandone la natura.
Fatto ciò, occorre che la norma di diritto internazionale privato precisi un elemento del rapporto per elevarlo a momento di
collegamento, ossia al momento decisivo per l’individuazione dell’ordinamento competente a regolare il rapporto in oggetto.
Per quanto riguarda la capacità giuridica delle persone fisiche si applica la legge nazionale della persona. Se questa
ha più cittadinanze si applica la legge di quello tra gli Stati di appartenenza con il quale essa ha il collegamento più stretto. Se
tra le cittadinanze vi è quella italiana, questa prevale.
La capacità d’agire delle persone fisiche è anch’essa regolata dalla loro legge nazionale.
Gli enti, le società, le associazioni e le fondazioni sono disciplinati dalla legge dello Stato nel cui territorio è stato
perfezionato il procedimento di costituzione. Tuttavia si applica la legge italiana se la sede dell’amministrazione è situata
in Italia, ovvero se in Italia si trova l’oggetto principale di tali enti.
Per quanto riguarda il matrimonio si distingue tra:
la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio, sono regolata dalla legge nazionale di ciascun
a)
nubendo al momento del matrimonio;
per la forma del matrimonio vale la legge del luogo di celebrazione, ma può applicarsi pure la legge nazionale di almeno
b)
uno dei coniugi al momento della celebrazione o la legge dello Stato di comune residenza in quel momento;
per i rapporti personali tra coniugi si applica la legge nazionale se hanno uguale cittadinanza o, se hanno diversa
c)
cittadinanza, la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è localizzata;
i rapporti patrimoniali tra coniugi vanno regolati dalla legge applicabile ai rapporti personali a meno che i coniugi abbiano
d)
convenuto per iscritto l’applicabilità della legge dello Stato di cui almeno uno di essi è cittadino o nel quale almeno uno di essi
risiede.
La separazione personale si applica la legge dello stato nel quale la vita matrimoniale risulta localizzata qualora la legge
e)
straniera non preveda la separazione o il divorzio questi sono regolati dalla legge italiana
Per i giudizi di nullità annullamento separazione personale e divorzio si usa sempre adire (n.b. Significato: Contattare
f)
un'autorità giudiziaria per i propri diritti SINONIMO ricorrere: ad es. in tribunale) il giudice italiano se uno dei coniugi è
cittadino italiano o il matrimonio è stato celebrato in Italia
Lo stato di figlio è determinato dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita. Il riconoscimento di un figlio
naturale è regolato dalla legge nazionale del figlio al momento della nascita o dalla legge nazionale del soggetto che fa il
riconoscimento, nel momento in cui questo avviene.
L’adozione è regolata dal diritto nazionale dell’adottato o degli adottanti se comune o, in mancanza, del diritto dello stato
nel quale gli adottanti sono entrambi residenti al momento dell’adozione.
La successione mortis causa è regolata dalla legge nazionale del soggetto della cui eredità si tratta al momento della morte.
Per i beni immateriali si applica la legge dello Stato di utilizzazione.
Le obbligazioni contrattuali sono regolate dalla Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali del
19/06/80 essa fonda un Diritto internazionale privato uniforme ovvero alle obbligazioni contrattuali si applica la legge dello
stato ove il contratto presenta il collegamento più stretto collegamento che si presume sussista nel paese in cui la parte che
deve fornire la prestazione caratteristica (opera fornitura ecc. o ove si trovi la residenza abituale o la propria amministrazione
centrale)
La responsabilità per il fatto illecito è regolata dalla legge dello Stato in cui si è verificato l’evento.
L’art.31 delle preleggi disponeva che “in nessun caso le leggi e gli atti di uno Stato estero possono avere effetto nel territorio
dello Stato, quando siano contrari all’ordine pubblico o al buon costume.
L’ordine pubblico in questione non è il c.d. ordine pubblico interno, (costituito da tutte le disposizioni che non possono essere
derogate ai privati bensì quello internazionale, che abbraccia solo i fondamentali principi cui l’ordinamento pubblico giuridico
italiano è ispirato.(es. non si può consentire l’applicazione di una norma straniera che ammetta la schiavitù)
La nuova disciplina stabilisce che non è più onere della parte che voglia far valere un diritto fondato su norme di un
ordinamento straniero provare l’esistenza delle norme della legge straniera evocate a proprio favore ma spetta al giudice
stesso anche interpellando il ministero della giustizia accertare il contenuto della legge straniera applicabile: nel caso in cui
non sia possibile accertare la legge straniera il giudice deciderà in base a quella italiana
Tra gli stranieri occorre distinguere i c.d. cittadini comunitari dai c.d. extracomunitari. Per i primi si applica l’art.8 del Trattato
Istitutivo della CE che ha introdotto la “cittadinanza dell’Unione”, attribuita a chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato
membro. Ai cittadini comunitari non solo va riconosciuto il godimento degli stessi diritti civili attribuiti al cittadino nazionale, ma
spettano perfino alcuni limitati diritti politici, quali il voto delle elezioni comunali.
Per gli extracomunitari è applicabile sia il diritto d’asilo, sia l’inammissibilità della estradizione per reati politici. Inoltre allo
straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona
umana previsti dalle norme di diritto interno. Pure all’extracomunitario è assicurato il godimento dei diritti in materia civile
attribuiti al cittadino italiano a meno che le convenzioni internazionali in vigore per Italia dispongano diversamente.
Attiene al Diritto privato invece la condizione di reciprocità, ossia la concessione di un diritto allo straniero a condizione che
nella medesima fattispecie ad un italiano, nel paese di cui quello straniero è cittadino, quel diritto sarebbe parimenti
riconosciuto, la ricorrenza di tale reciprocità deve essere accertata secondo criteri da statuirsi in un apposito regolamento di
attuazione.
A tutti i lavoratori stranieri, infine, è garantita parità di trattamento e piena eguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani.
L’ATTIVITA` GIURIDICA
E LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI
LE SITUAZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE
Il Diritto Privato regola le relazioni fra soggetti,Soggetto Attivo,Soggetto Passivo e Terzi
Il rapporto giuridico è la relazione tra soggetti, regolata dal ordinamento giuridico.
Soggetto attivo è colui a cui l’ordinamento giuridico attribuisce il potere (o diritto soggettivo) (per es. di pretendere il
pagamento).
Soggetto passivo è colui a carico del quale sta il dovere (per es. di pagare).
Quando si vuole alludere alle persone tra le quali intercorre un rapporto giuridico si usa l’espressione “parti”. Contrapposto al
concetto di parte è quello di terzo. Terzo è chi non è parte o non è soggetto di un rapporto giuridico. Regola generale è che il
rapporto giuridico non produce effetti né a favore, né a danno del terzo.
Il rapporto giuridico è la figura più importante di una categoria pi ampia: la situazione giuridica
Il Diritto Soggettivo è la signoria del volere il potere di agire per il soddisfacimento di un proprio interesse individuale protetto
dall’ordinamento giuridico
Con l’attribuzione del diritto soggettivo si realizza la più ampia protezione dell’interesse del singolo al quale, al tempo stesso
si riconosce una situazione di libertà, interesse e tutela (di chiedere o non chiedere il risarcimento del danno se mi investono
secondo una mia personale valutazione di opportunità l’interesse tutelato è l’integrità fisica e ho una tutela perché posso
agire,sono libero o meno di farlo). La norma penale invece scatta indipendentemente dalla volontà del soggetto.
In alcuni casi il potere non è attribuito al singolo nell’interesse proprio, ma per realizzare un interesse altrui. Le figure di poteri
che al tempo stesso sono doveri (poteri-doveri) si chiamano potestà (es. l’ufficio del tutore di una persona incapace) mentre
l’esercizio del diritto soggettivo è libero, in quanto il titolare può perseguire i fini che ritiene più opportuni, l’esercizio della
potestà deve sempre ispirarsi al fine della cura dell’interesse altrui.
Le facoltà sono, invece, manifestazioni del diritto soggettivo ovvero la situazione giuridica soggettiva del soggetto di diritto
che può tenere un determinato comportamento consentito dalla norma. Le facoltà non si estinguono se non si estingue il
diritto di cui fanno parte. (es. la facoltà del proprietario terriero di far apporre i confini al suo terreno o meno).
Può avvenire che l’acquisto di un diritto derivi dal concorso di più elementi successivi. Se di questi alcuni si siano verificati ed
altri no, si ha la figura dell’aspettativa (si pensi per es. all’ipotesi di un’eredità lasciata a taluno a condizione che prenda la
laurea. Egli non acquisterà il diritto all’eredità se non quando avrà preso la laurea: intanto si trova in una posizione di attesa
che viene tutelata dall’ordinamento). ).Nel periodo tra la stipula e il verificarsi della condizione il contraente gode di
Aspettativa. ES:ho acquistato un diritto,non si è verificata la condizione,però l’altro contraente pone in essere un
comportamento non corretto che mette a rischio il mio acquisto,posso chiedere al giudice di emettere un provvedimento a
carattere conservativo(sequestro giudiziario).
Ci sono delle situazioni e degli interessi che non sono però protetti dall’ordinamento (es. aspettativa che il figlio ha sui beni del
padre; se quest’ultimo decide finchè è in vita di bruciarsi tutti i suoi avere il figlio non può opporsi).
L’Aspettativa trova quindi la tutela del legislatore
Si parla, di fattispecie a formazione progressiva, invece per dire che il risultato si realizza per gradi e l’aspettativa attribuita al
formi l’usucapione abbreviata è necessario un
singolo costituisce un effetto anticipato della fattispecie. (es. perché si
titolo astrattamente idoneo la trascrizione del titolo e il possesso per 10 anni.
E' necessario che la progressione sia esattamente questa perché si verifichi la fattispecie).
A volte alcuni diritti e doveri si ricollegano alla qualità di una persona, la quale deriva dalla sua posizione in un gruppo sociale.
Status è, pertanto, una qualità giuridica che si ricollega alla posizione dell’individuo in una collettività a cui vengono collegati
una serie di diritti e doveri
Lo status può essere di diritto pubblico (es. stato di cittadino) o di diritto privato (es. stato di figlio).
Colui al quale l’ordinamento giuridico attribuisce il diritto soggettivo si chiama titolare del diritto medesimo.
Come si esercita il diritto soggettivo?
Godendo del bene, questo potere trova un limite nell’abuso del diritto. Se esercito un mio diritto non ledo alcuno però, in
alcuni casi, il legislatore si preoccupa che questo non sconfini nell’abuso del diritto. (es. non posso piantare alberi nel mio
terreno se non mi reca utilità solo per togliere la veduta panoramica al mio vicino altro es. è l’abuso di posizione dominante
come condotta vietata a tutela della concorrenza)
L’esercizio del diritto soggettivo deve essere distinto dalla sua realizzazione, che consiste nella soddisfazione dell’interesse
protetto, sebbene spesso i due fenomeni possono coincidere.
La realizzazione dell’interesse può essere spontanea o coattiva: quest’ultima si verifica quando occorre far ricorso ai mezzi
che l’ordinamento predispone per la tutela del diritto soggettivo (il debitore non adempie; il creditore, per conseguire quanto
gli è dovuto, fa espropriare i beni del debitore).
Diritti assoluti: garantiscono al titolare un potere che egli può far valere verso tutti i consociati (senza la cooperazione
di un altro soggetto).Correlata a questa situazione vi è il dovere, ovvero i consociati hanno il dovere di astenersi dal
ledere il mio diritto.
I caratteri sono l’immediatezza (il mio diritto lo esercito con un contatto immediato sulla cosa ( il diritto di proprietà ne è
il classico esempio) e l’assolutezza. (questo mio interesse è tutelato nei confronti della generalità dei consociati)
Tipici diritti assoluti sono i diritti reali e i diritti della personalità
Azioni a tutela: se il diritto di proprietà è disturbato si ha la rivendica e altre azioni a difesa chiamate di petizione.
Se un soggetto viola l’obbligo trova applicazione la responsabilità extra contrattuale.
Diritti relativi: garantiscono al titolare un potere che egli può far valere solo verso un determinato soggetto (soggetto
passivo) (esempio: se vanto un credito nei confronti di un altro soggetto, posso soddisfare il mio diritto solo se il
debitore paga).
Correlata a questa situazione è l’obbligo di cooperare (l’esempio è appunto è il diritto di credito).
I caratteri sono la mediatezza (necessità della collaborazione del debitore) e la relatività (posso far valere il diritto di
credito esclusivamente nei confronti del debitore il quale è l’unico che può soddisfare o ledere il mio diritto.
Tipici diritti relativi sono i diritti di credito
Azioni a tutela: condanna per inadempimento, risoluzione del contratto per inadempimento a quel contratto.
Se il debitore viola l’obbligo trova applicazione la responsabilità contrattuale
ART. 1218 RESPONSABILITA’ DEL DEBITORE
“Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che
l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non
imputabile”.
ART. 2043 RISARCIMENTO DEL FATTO ILLECITO
“ Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a
risarcire il danno.”.
Il rovescio, sia nei diritti assoluti che reali, è costituito dalla Soggezione es. se richiedo la divisione di un bene
• indiviso gli altri proprietari non possono opporsi parliamo di Diritti potestativi essi consistono nel potere di operare il
mutamento della situazione giuridica di un altro soggetto (es. il proprietario di un fondo può richiedere la comunione
forzosa o la prelazione) il soggetto passivo si trova in uno stato di soggezione,non può fare nulla,subisce l’iniziativa
del titolare del diritto. Quando esercito questo diritto il soggetto non è tenuto ad alcun comportamento ma subisce
l’esercizio del mio diritto; posso mutare la sua situazione con una mia dichiarazione
I diritti personali di godimento godono invece di una duplice natura sono diritti assoluti perchè nessuno deve turbare tale
godimento della cosa e relativi verso chi ha concesso il godimento
L’ordinamento stesso protegge provvisoriamente contro la violenza e il dolo altrui anche la situazione di fatto in cui il
soggetto può trovarsi rispetto ad un bene ed attribuisce anche ad essa alcuni effetti.
Le situazioni di fatto possono essere altresì rilevanti in tema di società, di pre-uso di un marchio, di famiglia, di rapporti di
lavoro, di mezzadria.
La figura del dovere generico di astensione incombe su tutti come rovescio della figura del diritto assoluto; all’obbligo è tenuto
il soggetto passivo di un rapporto obbligatorio, a cui fa riscontro nel soggetto attivo la pretesa, ossia il potere di esigere il
comportamento; la soggezione invece, corrisponde al diritto potestativo.
Da queste situazioni passive si deve distinguere la figura dell’onere. La norma impone al soggetto di tenere un certo
comportamento,cui è subordinato l’esercizio di un diritto,sono titolare del diritto,ho un potere,però ho anche un onere,se non
faccio una cosa non esercito il diritto. Quest’ultimo ricorre quando ad un soggetto è attribuito un potere, ma l’esercizio di tale
potere è condizionato ad un adempimento (che però, essendo previsto nell’interesse dello stesso soggetto, non è obbligatorio
e quindi non prevede sanzioni per l’ipotesi che resti non attuato).
Es. Clausola risolutiva espressa:si verifica l’inadempimento dell’obbligazione,il contratto è irrisolto. Perchè si verifichi però
c’è bisogno di una dichiarazione dell’altro contraente di doversi avvalere della clausola risolutiva stessa,non basta
l’inadempimento dell’obbligazione.La dichiarazione costituisce l’onere,può non farlo,ma se non lo fa non ottiene la risoluzione
del contratto.
Altro es. il compratore che intende avvalersi della garanzia per i vizi della cosa vendutagli ha l’onere di denunciare i vizi della
cosa entro otto giorni.
L’onere è quindi il comportamento cui la parte è tenuta perché si verifichi un certo assetto di interesse.
L’onere è diverso dal dovere, dall’obbligo, dalla facoltà; l’onere è un comportamento imposto per il raggiungimento
di certi effetti.
ONERE DELLA PROVA: è un concetto diverso che non ha nulla a che vedere con l’onere di cui sopra, è più un
procedimento. Se formulo una domanda al giudice per tutelare un mio diritto devo dare la prova dell’esistenza di una
fattispecie concreta.
Esempio: mi rivolgo al giudice e dico che ho stipulato un contratto di somministrazione ed il somministrato non mi ha pagato,
chiedo la risoluzione del contratto per inadempimento. Ho l’onere di dimostrare che: 1) ho stipulato il contratto 2) ho eseguito
la prestazione (questo è l’onere della prova); dal canto suo il somministrato deve, di fronte a questa prospettazione,
dimostrare di aver adempiuto ( anche questo è l’onere della prova). La prova incombe a colui il quale fa un’affermazione.
Le parti in giudizio vengono chiamate Attore ( deve dimostrare i diritti ) e Convenuto (deve dimostrare i fatti esecutivi).
Il rapporto giuridico si costituisce quando un soggetto attivo acquista il diritto soggettivo. L’acquisto può essere di due
specie:
A titolo derivativo il diritto che apparteneva ad una persona passa ad un'altra questo fenomeno si chiama
successione colui che per effetto di esso perde il diritto si chiama autore o dante causa; chi lo acquista si chiama
successore o avente causa.
Se compro un immobile da chi è proprietario compio un acquisto a titolo derivativo.
L’acquisto può essere Derivativo Traslativo,quando passa da un soggetto all’altro lo stesso diritto(Trasferimento di
proprietà) oppure Derivativo Costitutivo,quando il diritto è di natura differente.(Trasferimento di godimento o
usufrutto)
In entrambi i casi il nuovo soggetto ha lo stesso diritto che aveva il precedente titolare.
La successione può essere:
- a titolo universale, (nell’ordinamento italiano si verifica solo nel caso di fusione tra società e morte di una persona)
quando una persona subentra in tutti i rapporti di un’altra persona, e, cioè, sia nella posizione attiva (es. diritti di
proprietà) sia in quella passiva (es. onorare i debiti);
- a titolo particolare, quando una persona subentra solo in un determinato diritto o rapporto (es. il legatario che
subentra nella titolarità dei diritti di un defunto solo in determinati rapporti).
A titolo originario quando il diritto soggettivo sorge a favore di una persona senza essere trasmesso da nessuno
ovvero non c’è collegamento con altro titolare di diritto. Per es. il pescatore che fa propri i pesci caduti nella rete fa un
acquisto a titolo originario;
quale la titolarità del diritto passa da un soggetto “dante causa” ad un soggetto “avente causa”.
La vicenda finale di un rapporto è la sua estinzione.
Il rapporto si estingue quando il titolare perde il diritto senza che questo sia trasmesso ad altri (es. un animale lasciato in
libertà, o le merci gettate in mare per salvare la nave in pericolo di affondare)
Non di tutti i diritti soggettivi è consentito al titolare disfarsi o trasferendoli ad altri o rinunziandovi. Oltre ai diritti disponibili ci
sono i diritti indisponibili che sono in genere i rapporti che servono a soddisfare un interesse superiore: tali le potestà e i diritti
familiari.
Gli interessi legittimi
In taluni casi, l’osservanza di una disposizione interessa determinati individui non più genericamente quali cittadini, bensì
specificamente come portatori di interessi coinvolti dall’azione pubblica. In questi casi al privato viene riconosciuto uno
specifico potere di controllo sull’attività della pubblica amministrazione nonché un potere di impugnare gli atti eventualmente
viziati.
L’interesse legittimo è l’interesse che ci sia rispetto delle regole di funzionamento da parte della Pubblica Amministrazione E’
diverso dal Dir Soggettivo perché il privato non è titolare di un diritto protetto da norme di relazione ma richiede un rispetto
delle regole ricordando che nei confronti del potere, accordato laddove prevale l’interesse pubblico, il privato si trova in una
situazione di soggezione.. La situazione giuridica dei portatori di tali interessi qualificati viene definita come “interesse
legittimo” (il candidato ad un concorso non ha diritto di vincerlo, ma ha un interesse legittimo al regolare svolgimento della
gara e può quindi chiedere l’annullamento di tutti gli atti che siano illegittimi per i relativi vizi che possono essere di
incompetenza di violazione della legge o di eccesso di potere.)
Anche la lesione di un interesse legittimo può costituire fonte di danno risarcibile
IL SOGGETTO DEL RAPPORTO GIURIDICO
Le situazioni giuridiche soggettive fanno capo ai soggetti.
L’idoneità ad essere titolari di situazioni giuridiche soggettive viene definita capacità giuridica: essa compete alle
persone fisiche agli enti (si distinguono tra enti che sono persone giuridiche (società di capitali associazioni riconosciute ecc
ovvero che hanno autonomia patrimoniale perfetta cioè delle obbligazioni risponde solo l’ente con il suo patrimonio) e enti non
dotati di personalità (ad es. associazioni non riconosciute società di persone ad altre strutture organizzate)
La capacità giuridica è l'attitudine di un soggetto ad essere titolare di diritti e doveri o più in generale di situazioni
giuridiche soggettive.
La capacità giuridica è tutelata dall’art. 22 della Costituzione, secondo cui “nessuno può essere privato della capacità
giuridica per motivi politici”.
La capacità giuridica compete a tutti gli uomini indifferentemente sembrerebbe un ovvietà ma si tratta di una conquista
relativamente recente (ancora nel periodo della rivoluzione francese il diritto distingueva tra i soggetti appartenenti a diverse
religioni tra soggetti nobili e plebei ecc.)
La personalità giuridica consiste nell'avere il diritto all'esercizio della capacità giuridica.
Esistono delle limitazioni alla capacità giuridica legate all’età, alle condizioni di salute, alla sussistenza di condanne penali e
all’esercizio di diritti detti “personalissimi” (ovvero attivabili solo da chi ne è titolare e non da un eventuale sostituto) che fanno
decorrere la capacità giuridica a partire da un momento successivo. È necessario ad esempio avere compiuto sedici anni per
contrarre matrimonio
L’incapacità speciale è la preclusione del soggetto rispetto a determinati rapporti giuridici può essere:
Assoluta = Al soggetto è precluso quel atto es. non posso avere un rapporto di lavoro prima dei 15 anni
Relativa = Al soggetto è precluso quel atto solo con determinate persone
es. il mio tutore se persona estranea alla mia genie parentale non può succedermi per testamento, oppure un avvocato che
assista una controparte in una controversia che ha ad oggetto un bene immobile, l’avvocato non può diventare il proprietario
dell’immobile (nemmeno per interposta persona); questa è limitazione della capacità giuridica; poiché limita appunto la
possibilità di acquistare un diritto.
Si chiamano speciali in quanto il rapporto non è accessibile neanche tramite l’intervento di un rappresentante e l’atto diviene
nullo o annullabile questo per porre un divieto a persone che hanno una certa potestà di carattere pubblico, non posso
rendersi cessionari di questi beni (si evitano abusi).
La capacità di agire è l'idoneità di un soggetto a porre in essere atti giuridicamente validi che consentano al soggetto
di acquisire ed esercitare diritti o assumere ed adempiere obblighi
Con la maggiore età di acquista la capacità di compiere tutti gli atti. (Soprattutto atti negoziali)
Si distingue quindi capacità giuridica generale di essere titolare dei diritti e la capacità di esercitare questi diritti. (es. il bimbo
di 3 anni può essere proprietario di un immobile ma non lo può vendere)
Due deroghe: a) rapporto di lavoro a 16 anni
b) se lavoro a 16 anni posso esercitare i diritti che nascono dal contratto di lavoro.
I genitori sono i legali rappresentanti del minore (potestà = diritto/dovere) l’atto deve essere nell’interesse dei figli.
Oltre alla capacità d’agire occorre la capacità negoziale ovvero l’idoneità a porre in essere in proprio atti negoziali (vendere,
comprare) da non confondere con la capacità extranegoziale che riguarda l’idoneità a rispondere delle conseguenze dannose
degli atti posti in essere.
La capacità di agire può essere limitata a causa di infermità: Interdizione, Inabilitazione, Amministrazione di sostegno.
La legittimazione è l’idoneità del soggetto ad esercitare e/o disporre di un determinato diritto. Legittimato è chi ha il potere di
disposizione rispetto ad un determinato diritto, o, chi è qualificato o ha veste per esercitarlo (es. sono proprietario di un bene
lo posso vendere)
Non sempre il difetto di legittimazione invalida l’atto a volte ci si accontenta dell’apparenza (es. se acquisto un bene mobile da
chi non ne è proprietario acquisto ugualmente la proprietà anche se senza mia colpa ignoravo che il bene non appartenesse
al venditore)
A) LA PERSONA FISICA
La capacità giuridica si acquista alla nascita si perde alla morte.
Si ha nascita con l’ inizio della respirazione polmonare
Il nascituro và dichiarato entro 10 giorni all’ufficiale dello stato civile per la formazione dell’atto di nascita
La capacità giuridica si acquisisce anche senza vitalità ossia idoneità fisica alla sopravvivenza è sufficiente che staccato il
feto dal grembo materno ci sia stato un respiro. Se “nasce morto” non ha acquistato diritti.
Talune posizioni giuridiche sono tutelate anche a favore di chi seppur non ancora nato sia però concepito:si presume
concepito al tempo dell’apertura della successione che è nato entro 300 gg. dalla morte della persona della cui successione
di tratta.
Il concepito può ricevere per donazione e può essere titolare di diritti risarcitori una volta nato (es. condotta imperita
dell’ostetrico oppure diritto al risarcimento del danno per l’assassinio del genitore)
I diritti che la legge riconosce sono ovviamente subordinati all’evento della nascita.
Ricordiamo che possono inoltre ricevere per testamento e per donazione i figli di una determinata persona vivente al tempo
della morta del testatore, benché non ancora concepiti.
Si ha morte con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo
Il morto và dichiarato entro 24 ore all’ufficiale dello stato civile per la formazione dell’atto di morte
Entro le 24 ore la morte è dichiarata all’ufficiale dello stato civile per la formazione dell’atto di morte, Con la morte alcuni
rapporti facenti capo al defunto si estinguono (es. il matrimonio).
L’accertamento del momento della morte è importante ai fini della disciplina dei trapianti.
Se due persone muoiono nello stesso sinistro, può avere talora rilevanza stabilire quale delle sue sia morta prima
Commorienza: La legge stabilisce che, quando un effetto giuridico dipende dalla sopravvivenza di una persona a un'altra e
non consta quale di esse sia morta prima, tutte si considerano morte nello stesso momento. La norma ha rilievo quando i
beneficiari di una assicurazione vita o infortuni vengono indicati nelle persone degli "eredi legittimi e/o testamentari".
Nel diritto civile, con l’espressione “incapacità legale” si indicano le situazioni in presenza delle quali si presume legalmente
che un soggetto non sia in grado di avere quella capacità di discernimento tipica di un individuo adulto
La minore età, l’interdizione giudiziale e l’interdizione legale sono incapacità assolute precludono cioè il compimento di
qualsiasi atto negoziale
L’inabilitazione, l’emancipazione e l’amministrazione di sostegno sono incapacità relative lasciano permanere una capacità
negoziale
L’incapacità è detta “legale” in quanto deriva da situazioni stabilite dalla legge e sussiste indipendentemente dal fatto che
nella realtà un minore sia ad esempio particolarmente maturo e quindi capace di valutare gli effetti giuridici delle proprie azioni
oppure un interdetto sia momentaneamente lucido.
Ricordiamo che:
Incapacità assoluta- nullità
Incapacità relativa- annullabilità
Differenza fondamentale tra NULLITA’ e ANNULLABILITA’.
NULLITA’= può essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse;
ANNULLABILITA’= può essere fatta valere da una delle parti del negozio che è tutelata dalla norma.
Sono istituiti a loro protezione gli istituti:
della minore età
• dell’interdizione giudiziale e legale
• dell’inabilitazione
• dell’ emancipazione
• dell’ amministrazione di sostegno
• dell’incapacità naturale
• La minore età
Con la legge 8 marzo 1975 la maggiore età è fissata al compimento del 18° anno.
Con essa si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non è richiesta un’età diversa
Gli atti posti in essere da un minorenne sono, di regola, annullabili, a meno che il minore abbia, non soltanto dichiarato,
falsamente, di essere maggiorenne, ma addirittura abbia con raggiri occultato la sua minore età.
L’atto annullabile può essere impugnato entro 5 anni dal rappresentante legale del minore o dallo stesso minorenne quando
sia divenuto maggiorenne. Non può mai, viceversa, essere impugnato dalla controparte maggiorenne (si parla perciò di
negozi claudicanti).
I minori possono comunque stipulare contratti (comprare biglietti dell’autobus ecc.) altrimenti si avrebbe una dannosa
emarginazione dal contesto sociale.
La gestione del patrimonio spetta ai genitori (il genitore che stipula atti negoziali nell’interesse del minore sostituisce il minore
e quindi è un tutore ) congiuntamente per gli atti straordinari es. vendere la casa del minore (occorre comunque
l’autorizzazione del giudice tutelare) e disgiuntamente per gli ordinari (es. riscuotere il canone di locazione dell’abitazione di
cui il minore è proprietario)
Se entrambi i genitori sono morti viene nominato un tutore a cui occorre l’autorizzazione del giudice tutelare per alcuni atti (es.
acquistare beni non necessari alla vita quotidiana riscuotere capitali accettare o meno un eredità) e l’ autorizzazione del
tribunale per altri (es. alienare beni o costituire ipoteche).
Si può procedere con la pratica per l’interdizione o l’inabilitazione già un anno prima che il minore diventi maggiorenne e nel
caso di accoglimento l’effetto si avrà dal 1° giorno successivo al compimento della maggiore età.
L’interdizione giudiziale
“Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di
provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione.”
In condizione di abituale infermità di mente = questo differenzia l’interdizione da altri istituti come l’amministrazione di
sostegno (infermità psichica o fisica provvisoria)
Incapacità di provvedere ai propri interessi = capacità di intendere e di voler, incapacità di autodeterminazione;
Possono richiedere l’ interdizione qualora lo ritengano necessario, il coniuge o i parenti entro il 4° grado, o gli affini entro il 2°
grado, o il tutore o il curatore, ovvero il Pubblico Ministero.
Rappresentante = colui il quale pone in essere un negozio giuridico in nome e per conto di un altro soggetto.
Gli atti compiuti dall’interdetto, dopo la sentenza di interdizione possono essere annullati (I contratti sono sempre annullabili
perché la sentenza è pubblica quindi è a carico del contraente controllare che l’altro soggetto non sia interdetto: vi è un
sistema di pubblicità.) egli come il minore può compiere solo atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita
quotidiana.
Annullabile: il contratto produce i suoi effetti che vengono poi annullati a seguito della sentenza del giudice; il tutore può
rimuovere gli effetti di un atto così come gli eredi (questi subentrano nella stessa posizione); il tutore e gli eredi quindi
pongono nel nulla gli effetti dell’atto posto in essere dall’interdetto.
L’interdizione preclude al soggetto il matrimonio il riconoscimento dei figli naturali la possibilità di fare testamento.
L’interdizione giudiziale è perciò l’effetto di un provvedimento del giudice che accerta lo stato di inidoneità della persona a
curare i propri interessi sia economici che extrapatrimoniali (es. la cura della propria salute)
L’ interdetto non può compiere atti né di ordinaria né di straordinaria amministrazione.
Questa norma individua quali sono i soggetti che possono agire per interdire o inabilitare un soggetto. Quando c’è una
domanda di interdizione o inabilitazione si avvia un processo, si apre un’istruttoria, durante il quale il giudice fa degli
accertamenti, visita direttamente il soggetto che deve essere assoggettato al procedimento, si può avvalere di un consulente
tecnico d’ufficio.
Soggetto che in primo luogo è assistito da amministratore dopo invece si preferisce lo stato di interdizione. Sono infatti
provvedimenti che fa il giudice di volontaria giurisdizione, si chiama a cavallo di amministrazione e giudizio perchè il giudice è
amministratore e giudice allo steso tempo perchè non và a risolvere un conflitto di interesse ma gli viene fatta una richiesta.
L’ interesse è unico quello del soggetto privo di autonomia quindi è un tutore di giurisdizione
L’inabilitazione e l’interdizione producono i loro effetti dal giorno della pubblicazione della sentenza
se il procedimento si conclude con un rigetto il curatore o il tutore restano in carica fino a quando il rigetto passa in giudicato
(non c’è più possibilità di gravame, cioè non si può più fare appello), questo perché esistono tre gradi di appelli
L’interdizione può essere revocata se manchino i presupposti, con sentenza del tribunale e produce i suoi effetti solo con il
passaggio in giudicato.
Il tutore è il legale rappresentante dell’interdetto.
TUTORE = Colui che sostituisce la volontà del soggetto interdetto. Ogni volta che il tutore compie un atto deve avere
l’autorizzazione del giudice;
L’inabilitazione
“ Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quali non è talmente grave da far luogo all’interdizione, può essere
inabilitato. Possono anche essere inabilitati coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcooliche o di
stupefacenti, espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. Possono infine essere inabilitati il sordomuto e il
cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un’educazione sufficiente, salva l’applicazione dell’articolo
414 quando risulta che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi.”
Se l’infermità non è grave il giudice pronuncia l’inabilitazione.
Possono essere inabilitati anche coloro che abusano di alcool o di stupefacenti poiché questa prodigalità (propensione a
spendere in maniera esagerata rispetto alle proprie condizioni economiche) espone gli stessi e la loro famiglia a gravi danni
economici.
Possono essere inabilitati il sordomuto o il cieco ma se questi non del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi allora
saranno interdetti.
Dalla norma si evince che, se anche il provvedimento è iniziato per chiedere l’interdizione il giudice può, fatti i dovuti
accertamenti, reputare che il soggetto non abbia un’infermità talmente grave e può procedere pertanto all’inabilitazione; nel
caso in cui con il provvedimento si richieda l’inabilitazione, il giudice riscontrando una grave infermità può richiedere
l’interdizione; nel caso in cui il giudice non riscontri né interdizione né inabilitazione può richiedere l’amministrazione di
sostegno. Il codice è stato novellato nel 2004 con la figura dell’amministrazione di sostegno.
“ Non si può pronunziare l’interdizione o l’inabilitazione senza che si sia proceduto all’esame dell’interdicendo o
dell’inabilitando.
Il giudice incontra il soggetto del procedimento, fa le sue valutazioni e nel caso lo ritenga opportuno può farsi assistere da un
consulente tecnico. Quando il procedimento di interdizione o inabilitazione è ritenuto abbastanza urgente dalla persone che
ne hanno fatta domanda sono direttamente loro a portare, in prima udienza, le persone che il giudice può ascoltare.
Il giudice si muove come meglio crede, interroga d’ufficio e indaga con ogni strumento che ritenga opportuno. Dopo l’indagine
si nomina un tutore per l’intedetto o un curatore per l’inabilitato.
Per ottenere l’annullamento degli atti deve risultare la malafede.
Questa azione di annullamento si prescrive in 5 anni
Il curatore è il rappresentante dell’interdetto.
CURATORE = Integra la volontà dell’inabilitato; perché quest’ultimo ponga in essere un negozio giuridico valido, deve
partecipare nell’atto anche la volontà del curatore.
L’amministrazione di sostegno
L’amministratore di sostegno è una figura istituita per quelle persone che, per effetto di un’infermità o di una menomazione
fisica o psichica,(non si parla di fisica nell’interdizione giudiziale ma solo psichica) si trovano nell’impossibilità, anche parziale
o temporanea,(quindi l’amministratore di sostegno può essere istituito a tempo determinato) di dover provvedere ai propri
interessi
A differenza del interdetto che diventa incapace di agire il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non
richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno che è nominato dal giudice
tutelare nel luogo in cui egli ha la residenza o il domicilio.
E’ un istituto introdotto con la legge n 6 del 2004 quindi attraverso la tecnica della novellazione, cioè questo nuovo istituto è
entrato direttamente nel c.c. attraverso modifiche dello stesso.
L’amministratore di sostegno è un tutore delle persone dichiarate non autonome, anziane o disabili. Viene nominato dal
giudice tutelare e scelto, dove è possibile, nello stesso ambito familiare dell’assistito.
I poteri dell'amministratore di sostegno vengono annotati a margine dei registri di stato civile, al fine di consentire a terzi il
controllo sul suo operato. Dura dieci anni, ma può essere rinnovato.
Si presenta la richiesta al giudice tutelare della propria zona di residenza o anche domicilio e entro sessanta giorni dalla data
di presentazione della richiesta, il giudice provvederà alla nomina dell'amministratore. Il suo decreto diventa immediatamente
esecutivo gli atti da lui posti in essere in violazione delle disposizioni di legge vengono annullati. Inoltre i responsabili dei
servizi sanitari e sociali, se a conoscenza di fatti tali da rendere necessario il procedimento di amministrazione di sostegno,
devono fornirne notizia al pubblico ministero. I giudici tutelari si trovano presso ogni Procura della Repubblica. Esiste anche il
registro comunale degli amministratori di sostengo, il primo registro è nato a Roma dopo una fase di sperimentazione.
L’incapacità naturale
Incapacità naturale è l’ incapacità di intendere o di volere sottolineiamo o comporta che è sufficiente una delle particolarità
affinché la disciplina del 428 sia applicabile
INTENDERE inidoneità di comprendere il valore dell’atto che si sta compiendo
VOLERE inidoneità di volere gli effetti dal atto che si pone in essere
basta una delle due per rendere applicabile l’incapacità naturale
Può essere transitoria o permanente
permanente es. : handicap ma i genitori non hanno mai richiesto l’ interdizione o l’ amministratore di sostegno così se
compie un atto interviene il 428. Molte volte si ritiene che l’ Incapace naturale sia solo transitorio, ad esempio perchè una
sera ci si sia ubriacato o assume stupefacenti ….
L’ordinamento quindi tutela il soggetto incapace di capire ciò che sta facendo.
Il contratto del incapace naturale non è invalido. L ‘incapace che non è stato interdetto o perchè nessuno lo ha richiesto o
perchè transitorio in questo caso il contratto è annullabile solo se vi è la malafede dell’ altro contraente che si era reso conto
del ‘incapacità e ha comunque stipulato il contratto .
La buonafede è tutelata per il principio della libera circolazione dei beni altrimenti vi sarebbero incertezza ed ostacoli (ogni
volta non si sà se il contratto è valido o invalido).
L’onere della prova lo ha il contraente che deve dimostrare di non essere in malafede
L’impugnabilità degli ’atti:
per gli atti unilaterali (es. accettazione di una eredità dannosa), per l’invalidità dell’atto occorre altre all’incapacità di
a)
intendere o di volere, che da questi atti sia derivato un grave pregiudizio a danno dell’incapace.
per i contratti, per l’invalidità dell’atto occorre oltre all’incapacità di intendere e di volere la malafede dell’altro contraente.
b) In altri atti (matrimonio,donazione e testamento) l’annullabilità è sempre accettata basta dimostrare che al momento si
c)
era incapaci di intendere e/o volere non occorre mostrare il pregiudizio.
L’annullamento una volta riacquistata la capacità naturale può essere richiesto entro cinque anni dal compimento
L’interdizione legale
Il codice penale, oltre all’incapacità d’agire del minore e quella dell’interdetto giudiziale, prevede un altro caso di incapacità
d’agire come pena accessoria e quindi sanzionatoria di una condanna alla reclusione per reati non colposi (n.b. L’azione
colposa è un AZIONE PREVEDIBILE MA NON VOLUTA se vado a cento all’ora con l’auto potrei uccidere qualcuno
un azione dolosa è una AZIONE PREVEDIBILE E VOLUTA cioè scelta da chi ha commesso il delitto). non inferiore a cinque
anni per indicare questa ipotesi si parla di interdizione legale. Il condannato è in stato di interdizione legale fino a quando
dura la pena. All’interdetto legale si applicano, per la disponibilità e l’amministrazione dei suoi beni, le norme dettate per
l’interdetto giudiziale (non può compiere atti dispositivi del suo patrimonio se lo fà sono annullabili)
Per quanto riguarda gli atti a carattere personale (matrimonio testamento ecc. nessuna incapacità consegue
all’interdetto legale)
L’emancipazione
Emancipazione è lo status di limitata capacità di agire che un minorenne avendo compiuto i 16 anni si trova per essere stato
ammesso a contrarre matrimonio. Si ha capacità di agire per gli atti di ordinaria amministrazione per quelli straordinari occorre
l’assistenza di un curatore se effettuati sono annullabili. Se l’emancipato è sposato con una persona maggiorenne ella ne è il
curatore altrimenti di solito i genitori; con l’annullamento del matrimonio non cessa l’emancipazione
L’emancipazione cessa con il raggiungimento della maggiore età.
___________________________________________________________________________________
Le vicende più importanti della persona fisica sono documentate in appositi registri (archivi dello stato civile), tenuti presso
ogni comune.
I registri sono 4:
di cittadinanza
a) di nascita
b) di matrimonio
c) di morte.
d)
Essi sono pubblici chiunque può chiedere estratti e certificati.
La rettifica di un atto la ricostruzione o la cancellazione possono avvenire soltanto in forza di un decreto motivato dal
tribunale.
I registri dello stato civile adempiono, pertanto, anche alla funzione di pubblicità-notizia delle vicende principali della persona
fisica. LA SEDE
Il luogo in cui la persona fisica vive e svolge la sua attività ha molto rilievo specie in ambito processuale (es. per la
determinazione della competenza territoriale a anche in ambito sostanziale (es. la successione si apre nel luogo dell’ultimo
domicilio del defunto)
In relazione alle persone fisiche la legge distingue:
Il domicilio (luogo in cui una persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari ed interessi , non solo patrimoniali ) si
distingue in legale se fissato dalla legge (es. L’interdetto ha domicilio del tutore e il minore quello del luogo di residenza della
famiglia o del tutore) e volontario se eletto dall’interessato
La residenza (luogo in cui la persona ha la dimora abituale)
La dimora (luogo in cui la persona attualmente si trova).
Se i genitori non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive Inoltre, per determinati
affari si può stabilire un luogo diverso (domicilio speciale es. posso per un procedimento giudiziale eleggere a domicilio lo
studio del mio avvocato) da quello in cui è la sede principale dei propri affari (domicilio generale). Mentre unico è il domicilio
generale, si possono avere più domicili speciali. LA CITTADINANZA
La cittadinanza è la situazione di appartenenza di un individuo ad un determinato Stato.
- è cittadino per nascita il figlio di madre o padre con cittadinanza italiana (acquisto originario). Anche i figli adottivi, se
stranieri, acquistano la cittadinanza italiana ove l’adottante o uno degli adottanti sia cittadino italiano, ma naturalmente
l’acquisto avviene non per nascita per effetto di adozione;
- è cittadino chi è nato nel territorio della repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi;
- acquista la cittadinanza il coniuge straniero o apolide, di cittadino italiano purché ne faccia richiesta e in quanto o risieda da
almeno 6 mesi in Italia o sia unita in matrimonio da almeno 3 anni;
- per naturalizzazione: la cittadinanza può essere concessa al cittadino di uno dei Paesi della CEE che risieda per almeno 4
anni in Italia; all’apolide che risieda in Italia da almeno 5 anni; a qualsiasi straniero che risieda in Italia da almeno 10 anni.
Con la nuova disciplina si è ammessa la possibilità che un cittadino abbia anche contemporaneamente un’altra cittadinanza e
si è ammessa la possibilità di riacquistare la cittadinanza anche avendola in precedenza perduta.
Art. 22 nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici
LA PERSONA NELLA FAMIGLIA
La parentela è il vincolo che unisce le persone che discendono dalla stessa persona e quindi dallo stesso stipite Ai fini della
determinazione dell’intensità del vincolo occorre considerare le linee e i gradi.
La linea retta unisce le persone di cui l’una discende dall’altra (nonno-nipote, padre-figlio);
La linea collaterale quella che, pur avendo uno stipite comune non discendono l’una dall’altra (es. fratelli, zio-nipote).
I gradi si contano calcolando le persone e togliendo lo stipite. Così tra padre e figlio vi è parentela di primo grado; tra fratelli,
di secondo grado tra nonno e nipote vi è parentela di secondo grado tra cugini vi è parentela di 4°grado …..
Di regola, la legge riconosce effetti alla parentela solo fino al 6° grado
L’affinità è il vincolo che unisce un coniuge e i parenti dell’altro coniuge.
Per stabilire il grado di affinità si tiene conto del grado di parentela con cui l’affine è legato al coniuge; così suocera e nuora
sono affini in primo grado; i cognati sono affini di secondo grado. Di regola la morte di uno dei coniugi, anche se non vi sia
prole, non estingue l’affinità. Questa cessa, invece, se il matrimonio è stato dichiarato nullo.
Rimane fermo il divieto di matrimonio tra gli affini di linea retta
Tra coniugi non v’è né rapporto di parentela né di affinità ma di coniugio.
SCOMPARSA – ASSENZA – MORTE PRESUNTA
La Persona scomparsa è quella rispetto alla quale concorrono questi due elementi: l’allontanamento dal luogo del suo ultimo
domicilio o residenza e la mancanza di notizie oltre il lasso di tempo giustificato dagli ordinari spostamenti per ragioni di
lavoro svago ecc. Accertati questi requisiti, il tribunale dell’ultimo domicilio o residenza può nominare un curatore il quale
rappresenterà lo scomparsi negli atti che siano necessari per la conservazione del suo patrimonio.
L’assenza è la situazione che si verifica quando la scomparsa della persona si protrae da oltre due anni . Essa è dichiarata
con sentenza, trascorsi due anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia della persona.
Il tribunale ordina l’apertura dei testamenti, se vi sono, e i presunti eredi, legittimi o testamentari, sono immessi nel possesso
temporaneo dei beni non possono alienarli o sottoporli ad ipoteca ma li possono amministrare e godere con il diritto di far
propri frutti e rendite.
La dichiarazione di assenza non scioglie però il matrimonio dell’assente se l’assente ritorna ha diritto alla restituzione dei suoi
beni.
La morte presunta viene pronunciata con sentenza del tribunale quando la scomparsa si protrae per un periodo di tempo
pari a 10 anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia dell’assente (termini minori sono richiesti nell’ipotesi di scomparsa in
operazioni belliche, prigionia di guerra, infortunio: in quest’ultimo caso sono sufficienti due anni).
Gli aventi diritto possono disporre liberamente dei beni; il coniuge può contrarre nuovo matrimonio. Si applicano i principi che
l’art.128 c.c. stabilisce per il matrimonio putativo (si parla di esso quando vi è una sentenza di annullamento del matrimonio,
che ha di regola effetto retroattivo e che i coniugi ritenevano valido).
Essa tuttavia da luogo solo ad una presunzione di morte, quindi, se la persona ritorna e se ne prova l’esistenza, recupera i
beni nello stato in cui si trovano ed ha diritto di conseguire il prezzo di quelli alienati il nuovo matrimonio contratto dal suo
coniuge è invalido.
B) I DIRITTI DELLA PERSONALITA`
DIRITTI DELLA PERSONALITA’: sono un sottoinsieme dei diritti soggettivi assoluti, sono diritti previsti nel codice civile anche
se sono nati nella seconda metà del ‘900 (prima infatti esisteva una concezione patrimonialista del codice civile e quindi tutto
era incentrato sul diritto di proprietà.)
ART. 2 DELLA COSTITUZIONE
“ La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, ove si svolge
la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economia e sociale.”
I diritti della personalità sono:
Necessari: competono a tutte le persone
Imprescrittibili: il non uso prolungato non ne determina l’estinzione
Assoluti: in quanto implicano un dovere di astensione da parte dei consociati a lederli e sono tutelati dalla giurisdizione.
Non patrimoniali: tutelano valori della persona non suscettibili di valutazione economica
Indisponibili: non vi si può rinunciare DIRITTO ALLA VITA
Il diritto alla vita è il fondamentale interesse della persona umana alla propria esistenza fisica
Il diritto a nascere trova tutela immediata nei soggetti diversi dalla madre (è sanzionato chiunque cagioni l’interruzione di
gravidanza senza il consenso della donna).
Nei confronti della madre l’interruzione della gravidanza entro i primi 90 giorni è rimessa alla sua libera determinazione
mentre l’interruzione della gravidanza dopo novanta giorni è possibile se la continuazione della gravidanza comporti un grave
pericolo per la vita della donna.
Nel nostro ordinamento, il tentativo di suicidio non è sanzionabile mentre è punita la istigazione al suicidio.( colui che con la
sua condotta rafforzi i propositi suicidi) è invece punibile.
Anche chi cagioni la morte altrui con il consenso della persona interessata è punibile penalmente.
Ampiamente discussa più sul piano etico che giuridico è oggi l’ipotesi dell’eutanasia ovvero la morte cagionata a persona
affetta da malattia incurabile con il suo consenso [và quindi prendendo corpo nel nostro paese un movimento di opinione che
riconosca efficacia alle dichiarazioni rese preventivaente dal paziente (testamento biologico)]
DIRITTO ALLA SALUTE
Art. .32 Cost. ”La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce
cure gratuite agli indigenti”. “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di
legge”: ma un trattamento sanitario può diventare obbligatorio solo dove si tratti di neutralizzare una malattia diffusa
considerata pericolosa per le sorti della collettività e di ciascun individuo (es. vaccinazione antipoliomelitica).
Vi è un indennizzo a carico dello Stato a favore dei soggetti che siano “danneggiati da complicazioni di tipo irreversibile a
causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni, somministrazioni di emoderivati “.
Il singolo può acconsentire a diminuzioni transitorie della propria integrità fisica (es. trasfusione di sangue), ma sono vietati
atti di disposizione del proprio corpo quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica (es. un espianto di un
organo).
Il paziente deve venire correttamente informato in ordine a natura ed esiti possibili dei trattamenti prospettatogli (cd
consenso informato).
La legge consente l’espianto da vivente del rene e di parti del fegato e la modificazione dei caratteri sessuali se per pulsioni
sessuali o al livello psicologico si avverta di appartenere al sesso opposto.
Il diritto alla salute compete anche al nascituro egli ha diritto di nascere sano e se vi è incuria dei medici nel segnalare che
egli non lo sarà (es. errore dell’ecografo che non segnali malformazioni congenite) la struttura ospedaliera ne dovrà
rispondere alla madre e al figlio nato con handicap
E’ consentito, il prelievo di organi e di tessuti, purché da un soggetto di cui sia stata accertata la morte e che abbia
previamente concesso il suo assenso ( che può anche solo essere presunto, dove il cittadino non abbia espresso volontà
contraria).
Il prelievo deve essere effettuato in modo da evitare mutilazioni non necessarie e dopo il prelievo il cadavere deve essere
ricomposto con la massima cura. Gli espianti devono essere finalizzati a trapianti a favore di soggetti che ne abbiano
necessità, assicurando, per la relativa scelta, criteri di trasparenza e di pari opportunità tra i cittadini.
Le parti staccate dal corpo sono beni autonomi di proprietà del soggetto a cui appartenevano possono perciò essere oggetto
di atti di disposizione (posso vendere i capelli per farci confezionare extension)
Se si è in stato di incoscienza il medico deve provvedere a fare quanto necessario per salvargli la vita
La persona può disporre della propria salma per testamento o attraverso l’iscrizione ad associazioni riconosciute.
DIRITTO AL NOME
Il nome si comprende il prenome e il cognome esso svolge funzione di identificazione sociale della persona
Il figlio legittimo assume il cognome del padre
Il figlio naturale acquisisce il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto
I bambini non riconosciuti acquisiscono il nome a loro attribuito dall’ ufficiale dello stato civile
Il figlio adottivo acquisisce il nome del padre adottivo
La moglie aggiunge al suo cognome quello del marito lo conserva anche in vedovanza lo perde a nuove nozze e in caso di
divorzio può chiedere al giudice di mantenerlo quando sussista un interesse (ad es. è nota nell’ambiente lavorativo con il
nome del marito).
Il nome è tendenzialmente immodificabile: il mutamento di cognome può essere concesso dal ministero dell’interno il
mutamento del prenome può invece essere concesso dal Prefetto del luogo di residenza (quest’ultima procedura semplificata
si applica anche al cognome se ridicolo o vergognoso o perché rileva l’origine naturale)
Il Nome è tutelato contro:
la contestazione un terzo copie atti che ostacolano l’utilizzo del nome es. il marito separato non vuole far
•
usare il cognome maritale
l’usurpazione es. un terzo utilizza un nome altrui per indicare la propria persona es. per accreditarsi nel
•
mondo degli affari
l’utilizzazione abusiva un terzo utilizza il nome altrui per identificare un personaggio di fantasia o un prodotto
•
commerciale
Esempio: nomi che vengono usati soprattutto nei film quando si deve ricostruire la vita di un personaggio esistente come
quelli politici, i papi, Falcone e Borsellino…molto spesso i familiari contestano come la descrizione fatta dallo sceneggiatore
non sia veritiera rispetto alla vita del personaggio si chiede così l’inibizione, quindi o il film viene censurato o inibito o ancora
si scrive che il riferimento ai personaggi è meramente casuale.
Oltre all’azione inibitoria che evita che il film venga prodotto si richiede anche un risarcimento per il danno prodotto anche ai
familiari.
In caso di contestazione per queste tre cause il soggetto può richiedere la cessazione del fatto lesivo il risarcimento del danno
e la pubblicazione su uno o più giornali della sentenza che accerta l’illecito.
Anche Lo pseudonimo (nome in cui si è conosciuti in certi ambienti) usato da una persona in modo che abbia acquistato
l'importanza del nome, è tutelato come il nome.
L’avente diritto al nome ne può concedere l’utilizzo a titolo oneroso per fini commerciali
DIRITTO ALL’INTEGRITA’ MORALE
Sotto il punto di vista dell’integrità morale, ha importanza il diritto all’onore, (insieme dei valori morali di un soggetto) al
decoro (insieme dei valori intellettuali fisici e altre qualità dell’individuo e alla reputazione (opinione che altri hanno del
soggetto) protetto oltre che sul piano penale, anche sul piano civile, specie con l’obbligo di risarcire la vittima (anche con la
pubblicazione della sentenza su uno o più giornali) se così asserisce il giudice per ogni danno arrecato illecitamente,
compresi quelli c.d. “non patrimoniali” o morali (art.2059 c.c.).
Il Diritto all’onere al decoro e alla reputazione è destinato a venire in conflitto con i diritti di cronaca e critica giornalista: il
diritto all’integrità morale cede se concorrano i presupposti della veridicità della notizia, dell’utilità sociale dell’informazione e
inoltre devono essere utilizzati toni non eccedenti lo scopo informativo ovvero privi di insinuazioni sottintesi ecc.
Notizie lesive possono essere pubblicate se vi è l’assenso dell’avente diritto
DIRITTO ALL’IMMAGINE
E’ tutelato il diritto alla propria immagine (art.10 c.c.), intendendosi per tale sia le sembianze fisiche del soggetto che
possono essere riprese da un ritratto, sia le caratteristiche individuanti di una persona che possono risultare da una
rappresentazione cinematografica o televisiva [vietato perciò anche la rappresentazione tramite un attore un sosia o di oggetti
notoriamente utilizzati da un personaggio per caratterizzare la sua persona (es. copricapo a zucchetto di Lucio Dalla)]
Qualora l’immagine di una persona sia esposta o pubblicata senza il consenso di questa, l’autorità giudiziaria può disporre
che cessi l’abuso (azione inibitoria), oltre al diritto del soggetto leso al risarcimento degli eventuali danni.
Tuttavia non occorre il consenso dell’interessato quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o
dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici o culturali, ovvero, quando la riproduzione
è collegata a fatti di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.
Anche il Diritto all’immagine è destinato a venire in conflitto con i diritti di cronaca e critica giornalista (ovviamente il titolare
può prestare la sua immagine a scopi sia gratuiti che onerosi).
Anche il ritratto non può essere esposto o messo in commercio in nessun caso qualora ciò rechi pregiudizio all’onore, alla
reputazione od anche al decoro della persona ritrattata (n.b. invece l’atto in sé del ritrarre se leso non lede il diritto
all’immagine ma quello alla riservatezza) DIRITTO ALLA RISERVATEZZA
A ciascuno va anche riconosciuto il diritto di escludere ogni invadenza estranea nella sfera della propria intimità personale e
familiare (c.d. diritto alla riservatezza).
Questo a meno che non concorra l’interesse pubblico che lo giustifichi
Con il d.lgs del 30/06/03 l’interessato può vietare il trattamento dei dati personali e ha anche il diritto di vigilare sul loro
utilizzo
Per il trattamento dei dati personali occorre il consenso espresso dell’interessato che è validamente espresso se
documentato per iscritto e se sono state fornite finalità e modalità di trattamento cui i dati sono destinati (diritto di informativa)
l’interessato ha il diritto di chiedere a chiunque conferma se detiene o meno i dati che lo riguardano con l’indicazione dell’
origine dei dati detenuti (diritto di accesso) ha anche diritto di aggiornare rettificare o integrare i dati che lo riguardano.
In ogni caso i dati personali devono essere trattati in modo lecito e secondo correttezza: essi sono custoditi e controllati per
prevenire i rischi di distruzione e perdita (diritto alla sicurezza dei dati)
Chiunque cagioni danni per l’esercizio improprio dell’utilizzo dei Dati personali è tenuto al risarcimento.
DIRITTO ALL’IDENTITA’ PERSONALE
Il diritto all’identità personale è il diritto a vedersi rappresentato con i propri reali caratteri (es. illegittimo è attribuire ad un
soggetto orientamenti politici diversi da quelli condivisi)
La differenza con il principio della riservatezza e con quello dell’integrità morale è che qualora essi siano rappresentati
devono esserlo nel principio della verità.
C) GLI ENTI
Tutte le situazioni giuridiche possono far capo ad un ente senza particolari limitazioni.
C’è una Soggettività dell’ente, ha una capacità giuridica.
L’ente può essere associativo, composto da una pluralità di soggetti ma si distingue dall’interesse dei soggetti e l’interesse
dell’ente (ad esempio posso diffamare un ente, ovvio che si sentiranno offese le persone che partecipano all’ente ma c’è un
interesse distinto dell’ente che è un’entità a sé, autonoma).
Gli enti possono avere la personalità giuridica (una cosa è la soggettività e una cosa è la personalità giuridica).
Personalità giuridica (si acquista con il riconoscimento): non tutti gli enti ce l’hanno, è propria di quegli enti che hanno
un’autonomia patrimoniale perfetta (autonomia patrimoniale perfetta rispetto ai soggetti che partecipano o hanno creato
l’ente). Esempio: le fondazioni riconosciute oltre ad avere un proprio patrimonio queste rispondono solo con il proprio
patrimonio.
L’ente può o non avere la personalità giuridica.
Nel nostro ordinamento dotati di soggettività giuridica sono le persone fisiche e gli enti.
E’ dotata di soggettività giuridica quel organizzazione cui l’ordinamento attribuisce la capacità giuridica di essere titolare di
situazioni giuridiche soggettive
Mentre le persone fisiche acquisiscono la personalità giuridica alla nascita solo gli enti che godono di autonomia patrimoniale
perfetta (ovvero enti dotati di un patrimonio e che rispondono delle loro obbligazioni sono con detto patrimonio) ne sono
dotate
L’ente ha una piena capacità giuridica, una piena capacità d’agire tramite gli organi rappresentativi.
Gli organi dell’ente possono essere esterni ed interni a seconda che abbiano o meno il potere di assumere impegni con terzi
in nome e per conto dell’ente stesso.
Il potere di gestione è quello di decidere una determinata operazione (acquistare o meno un macchinario) il potere di
rappresentanza è il potere di porre in essere l’operazione decisa (stipulare il contratto di acquisto del macchinario)
Alcuni diritti della personalità (diritto alla vita e alla salute) sono propri solo della persona fisica altri (diritto al nome all’integrità
morale all’identità personale alla protezione dei dati personali) compete anche agli enti. Sia dotati che non di personalità
giuridica.
Si discute se competa o meno agli enti il diritto all’immagine: la risposta è negativa se si ritiene che quest’ultimo abbia ad
oggetto solo le sembianze esteriori della persona è positiva se si ritiene che esso possa avere ad oggetto qualunque
elemento visibile (ad. Es. uno stemma o un marchio)
Gli enti si distinguono in base ai diversi criteri di classificazione:
Persone giuridiche pubbliche e Persone giuridiche private
Tra le prime vi è innanzitutto lo Stato e poi gli altri enti pubblici territoriali (regioni, province, comuni), nonché altri numerosi
enti pubblici (Inps Inail Aci…); Gli enti pubblici possono operare attraverso strumenti di potere pubblicistici (ad es. il comune
può indennizzarmi ed espropriare la mia proprietà se necessario ai fini sociali) o anche di strumenti privatistici (il comune può
stipulare un contratto di compravendita per l’acquisto del mio terreno).
Tra gli enti privati suddividiamo:
enti registrati (art. 34 e 2200 c.c. associazioni riconosciute fondazioni ecc. iscritte in un pubblico registro
•
accessibile a chiunque) ed enti “non registrati” (quali le associazioni non riconosciute, le società semplici);
enti dotati di personalità giuridica che hanno autonomia patrimoniale perfetta ed enti privi di personalità
• enti a struttura associativa (organizzazione con la partecipazione di una pluralità di persone per l’esercizio di un
•
attività volta al perseguimento di uno scopo comune es. distribuzione degli utili) ed enti a struttura istituzionale, ovvero
organizzazioni stabili per la gestione di un patrimonio finalizzata al perseguimento di scopi altruistici es. fondazioni che
amministrano un patrimonio con le cui rendite vengono erogate borse di studio ai meno abbienti
Tra gli enti a struttura associativa distinguiamo enti con finalità economiche,disciplinate nel libro quinto in cui cioè gli operatori
intendono appropriarsi degli eventuali utili ricavati, ed enti senza finalità economiche, (ricordiamo tra queste le associazioni
riconosciute e non, le fondazioni, i comitati riconosciuti e non e le altre istituzioni a carattere privato )disciplinate nel libro
primo in cui gli operatori, invece, si impegnano a non distribuirsi gli utili, ma o a reinvestirli nell’impresa o a destinarli ad altri
scopi non lucrativi IL FENOMENO ASSOCIATIVO
Nell’Ottocento gli enti senza finalità economiche erano visti con una certa reticenza: questo perché si pensava che l’accumulo
di patrimoni presso organizzazioni con finalità diverse dallo scopo di lucro potesse risolversi con un loro inefficace inutilizzo:
per questo il codice predispose due modelli: quello delle associazioni riconosciute (avevano posizione giuridica favorevole) e
non riconosciute.
Le associazioni non riconosciute avevano delle limitazioni es. gli acquisti mortis causa erano preclusi e gli ordinamenti erano
rimessi agli accordi degli associati senza regolamentazione normativa esterna
Scenario del tutto diverso con la costituzione del 1948
Art. 18 “I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente senza autorizzazione”
Le associazioni non riconosciute diventano ora un perno importante nella vita sociale in quanto considerate strumento
privilegiato per la partecipazione dei cittadini alla vita politica e sindacale del paese vengono perciò tutelate e promosse (es.
partiti sindacati) anche perché le associazioni non riconosciute subiscono minor intrusione da parte dello Stato assicurando
maggior libertà e democraticità all’ente stesso
Differenza tra associazione e società = L’associazione è un organizzazione collettiva che ha come scopo il perseguimento di
finalità non economiche si distingue dalla società che è finalizzata a scopi lucrativi (divisione degli utili conseguiti attraverso
l’esercizio in comune di un attività economica).
Gli associati non traggono perciò benefici economici dalla loro attività ( A volte accade indirettamente come nel caso dei
lavoratori che fruiscono dell’aumento salariale dato dalle conquiste sindacali).
Le associazioni possono svolgere attività economica per procurarsi entrate da destinare al perseguimento del loro scopo
ideale solo se saltuariamente escludendo il lucro soggettivo ovvero che gli utili vengano distribuiti tra gli associati
L’ASSOCIAZIONE RICONOSCIUTA
L’associazione riconosciuta prende vita in forza di un vero e proprio contratto che deve rivestire la forma di atto pubblico (è
l’atto redatto generalmente dal notaio è una forma solenne, la più solenne)
L’atto costitutivo deve contenere la denominazione dell’ente, lo scopo, il patrimonio la sede norme sul ordinamento e sul
amministrazione diritti ed obblighi degli associati condizioni di ammissione: tutto questo deve essere contenuto in un
documento detto statuto
L’atto costitutivo và presentato alla prefettura unitamente alla richiesta di riconoscimento dell’associazione come persona
giuridica: la prefettura verificherà:
a) che siano soddisfatte le condizioni previste dalle norme di legge per la costituzione dell’ente
b) che lo scopo sia possibile e lecito
c) che il patrimonio risulti adeguato alla realizzazione dello scopo
se il controllo risulta positivo il prefetto provvede all’iscrizione dell’associazione nel registro delle persone giuridiche (con
l’iscrizione si acquista la personalità giuridica)
Questi non sono controlli sulla meritevolezza, questi non sono consentiti, ma sono dei controlli di vera leggittimità al fin di
verificare che ci siano i requisiti minimi soprattutto in riferimento all’ autonomia patrimoniale dell’ente.
Nel lasso di tempo tra la stipula e l’iscrizione l’associazione può operare ma come “non riconosciuta”
L’ordinamento interno deve prevedere l’assemblea (ha competenza per le modifiche dell’atto costitutivo e dello statuto e per
l’approvazione del bilancio essa delibera a maggioranza di voti in prima convocazione con la presenza di almeno la metà
degli associati in seconda con qualsiasi numero degli intervenuti maggioranze qualificate sono richieste per le modifiche
dell’atto costitutivo e per lo scioglimento dell’associazione ) degli associati e gli amministratori (rappresentano l’associazione
nei confronti dei terzi nei limiti inseriti in Statuto(es. se occorre un immobile da locare è l’amministratore che decide quale
adibire allo scopo e finalizzare la transazione)
L’associazione ha un suo patrimonio e può effettuare liberamente qualsiasi tipo di acquisto
Gli associati non hanno diritto sul patrimonio dell’associazione
La responsabilità delle obbligazioni verte sul patrimonio della società quindi sulle obbligazioni del singolo non risponde la
società e sulle obbligazioni della società non risponde il singolo
All’accordo associativo si può aderire in un secondo momento si dice perciò che l’associazione è aperta all’adesione di terzi
l’accoglimento della domanda è subordinato a valutazione degli organi competenti
L’associato ha diritto a rimanere nell’associazione può essere escluso per gravi motivi ed in forza di una delibera motivata
dall’assemblea
Per esigenze di tutela della libertà individuale l’associato può recedere in qualsiasi momento; se ha assunto l’obbligo di
rimanere per un tempo determinato deve motivare il recesso anticipato solo se ricorra giusta causa
L’associazione si estingue per delibera assembleare per raggiungimento dello scopo impossibilità della sua realizzazione o
venir meno di tutti gli associati.
Il verificarsi di una delle cause di estinzione è accertata dal prefetto su istanza di chiunque interessato che ne faccia richiesta
o anche d’ufficio.
Una volta dichiarata l’estinzione si procede alla liquidazione del patrimonio con il pagamento de debiti esistente chiusa la
procedura di cancellazione si procede alla cancellazione dell’ente dal registro delle persone giuridiche.
L’ASSOCIAZIONE NON RICONOSCIUTA
Le associazioni non riconosciute prendono vita in forza di un atto di autonomia tra i fondatori non sono richiesti né requisiti né
forma né contenuti specifici, l’iter costitutivo si perfeziona perciò con il solo accordo tra i fondatori.
Non deve necessariamente esserci l’atto pubblico.
Sono comunque soggetti di diritto, autonomi rispetto agli associati, dotati di patrimonio (eventuale) che prende il nome di
fondo comune.
Teoricamente l’ associazione non riconosciuta può costituirsi anche oralmente, la forma di costituzione è libera, non ha
personalità giuridica (in quanto ha un’autonomia patrimoniale imperfetta) ma soggettività giuridica (è cioè un centro di
imputazione di situazioni soggettive giuridiche) ed è titolare di un fondo patrimoniale.
L’ordinamento interno e l’amministrazione vengono integralmente rimessi agli accordi degli associati.
I contributi degli associati ed i beni acquistati con essi costituiscono il fondo comune dell’associazione Questo fondo comune
è destinato a soddisfare i creditori dell’associazione; gli associati non possono chiederne la divisione ne pretenderne una
quota parte in caso di recesso. L’associazione può effettuare liberamente qualsiasi tipo di acquisto.
Vi è un’autonomia patrimoniale imperfetta. L’autonomia è imperfetta in quanto per le obbligazioni dell’associazione
rispondono anche, personalmente e solidalmente, non tutti gli associati ma le persone che hanno agito in nome e per conto
dell’associazione quand’anche non membri della stessa
(es. a fronte di una bolletta non pagata posso rifarmi al fondo comune e a colui o coloro che hanno stipulato il contratto di
somministrazione)
Importante è ricordare che il debitore non ha l’obbligo di escutere in prima istanza il fondo comune può anche rivalersi in
prima ipotesi su chi ha agito in nome e per conto dell’associazione.
DIFFERENZA TRA ASSOCIAZIONE RICONOSCIUTA E NON RICONOSCIUTA
Associazioni riconosciute sono quelle che hanno chiesto e ottenuto il riconoscimento dello Stato: allo Stato spetta cioè di
emettere un provvedimento, il riconoscimento appunto, che concede specifiche prerogative alle associazioni che lo hanno
chiesto e che si trovino in determinate condizioni.
Le prerogative principali che l'associazione acquista col riconoscimento sono due: la prima consiste nella cosiddetta
autonomia patrimoniale, in base alla quale il patrimonio dell'associazione si presenta distinto e autonomo rispetto a quello
degli associati e degli amministratori, e la seconda si può ritrovare nella concessione di una limitazione di responsabilità degli
amministratori per le obbligazioni assunte per conto dell'associazione.
Le associazioni non riconosciute non possono godere di tali prerogative: la loro autonomia patrimoniale non è perfetta, inoltre
per le obbligazioni assunte in nome e per conto dell'associazione rispondono anche le persone che le hanno contratte.
Occorre quindi vedere caso per caso, a seconda di quelli che sono gli scopi dell'associazione, il numero degli associati,
l'attività che si presuma debba svolgere la complessità delle operazioni che verranno affrontate, l'entità dei contributi che
saranno versati ecc., se convenga costituire un'associazione che miri al riconoscimento o un'associazione che di tale
provvedimento possa farne a meno." LA FONDAZIONE
La fondazione è un organizzazione stabile che si avvale di un patrimonio per il perseguimento di uno scopo non
economico.
L’atto di fondazione deve contenere: denominazione dell’ente,scopo,patrimonio,sede,norme sull’ordinamento e
sull’ammissione,criteri e modalità di erogazione delle rendite il documento contenente queste informazioni è lo statuto.
Non esistono fondazioni di fatto; la fondazione deve essere costituita con atto solenne, l’atto pubblico è indispensabile
affinché venga riconosciuta.
In mancanza di riconoscimento le fondazioni non possono operare come fondazioni non riconosciute
Il legale rappresentante di una fondazione non può compiere atti prima dell’ottenimento del riconoscimento questo appunto
perché, come già detto, non esistono fondazioni di fatto.
Un’ altro modo per costituire una fondazione è il testamento; ovviamente diventa efficace con la morte del soggetto, se
strappo il testamento o ne faccio uno successivo, la fondazione non viene ad esistere.
Dotazione: la fondazione abbiamo visto deve avere un fondo e abbiamo detto che ruota attorno ad un fondo patrimoniale che
è assoggettato al vincolo di destinazione (cd atto di dotazione) ovvero il perseguimento dello scopo indicato dal fondatore)
Tradizionalmente si fanno le fondazioni per tramandare il ricordo della famiglia e allora si destinano dei beni (che possono
essere immobili, denaro) destinati ad un certo scopo.
Le università ne hanno molte di dotazioni.
Le fondazioni, come le associazioni, non possono esercitare attività di impresa.
La fondazione è gestita da un organo amministrativo e di regola non ha assemblea essa ha un suo patrimonio con cui
risponde solo con quest’ultimo delle obbligazioni (autonomia patrimoniale perfetta).
La fondazione può essere trasformata perché lo scopo può diventare non perseguibile, questo però solo se lo statuto lo
prevede, in caso contrario la fondazione viene estinta, si apre la fase della liquidazione in cui avviene la dismissione di quanto
di proprietà dell’ente che non può proseguire la sua attività.
Il fondatore può prevedere che nel verificarsi delle cause di scioglimento siano devoluti i beni della fondazione a terze
persone in mancanza di questo sarà l’autorità governativa d’ufficio ad attribuire i beni ad altri enti che hanno fini analoghi.
Le fondazioni un tempo svolgevano esclusivamente attività che si limitavano alla mera gestione del patrimonio con il
devolvere delle rendite alle finalità previste (cd fondazioni di erogazione); oggi è pacificamente ammesso che esse svolgano
anche attività di impresa o per ricavare utili destinati allo scopo non lucrativo o per realizzare immediatamente il proprio scopo
istituzionale.
Fino a tempi relativamente recenti la fondazione ha avuto importanza marginale mentre ai giorni d’oggi la rinata disponibilità
di cittadini ed imprese a destinare risorse a fini d’utilità sociale senza la mediazione politica ha trovato nella fondazione uno
strumento duttile ed efficiente (es. La Fondazione TELETHON) in più nell’ambito delle privatizzazioni si è imposto il fenomeno
della trasformazione di singoli enti pubblici in fondazioni (es. il centro sperimentale per la cinematografia si è trasformato
nell’omonima fondazione) e di intere categorie di enti pubblici in fondazioni (es. gli enti lirici e le istituzioni concertistiche
divenute fondazioni liriche-sinfoniche).
Aggiungiamo che la legge prevede che possano assumere la veste di fondazioni anche i cd fondi pensione e le casse di
previdenza sociale ed assistenza COMITATO
Il comitato è un organizzazione di più persone che attraverso una raccolta pubblica di fondi costituisce un
patrimonio con il quale realizza finalità di natura altruistica
Il comitato nasce da un accordo di tipo associativo in forza del quale più soggetti (promotori)si vincolano all’esercizio in
comune di un attività di raccolta tra il pubblico di mezzi con cui successivamente realizzeranno il programma enunciato..
L’attività del comitato si articola in due fasi:
a) i promotori annunciano al pubblico la volontà di perseguire un determinato scopo (es. soccorrere i terremotati)
invitando gli interessati (sottoscrittori) ad effettuare offerte in denaro o in altri beni (es. medicinali per i terremotati) le cd
oblazioni
b) i stessi promotori normalmente indicati nel programma gestiscono i fondi raccolti
Il patrimonio del comitato è composto dai fondi pubblicamente raccolti: su questi fondi grava il vincolo di destinazione allo
scopo programmato (solo l’autorità governativa può dare alle oblazioni un'altra destinazione)
Art. 39 lo scopo del comitato deve essere di pubblico interesse o comunque altruistico,non è necessario che sia di durata
limitata nel tempo anche se spesso questo si verifica.
Il comitato può vivere sia come ente non riconosciuto (degli obbligazioni rispondono anche i componenti del comitato)che
riconosciuto ottenendo così la personalità giuridica dotandosi perciò di autonomia patrimoniale perfetta.
I sottoscrittori sono tenuti solo ad effettuare le oblazioni promesse (art.41)
Art. 42 Qualora i fondi raccolti siano insufficienti allo scopo, o questo non sia più attuabile, o, raggiunto lo
•
scopo, si abbia un residuo di fondi, l'autorità governativa stabilisce la devoluzione dei beni, se questa non è stata disciplinata
al momento della costituzione. ALTRE ISTITUZIONI
Personalità giuridica è riconosciuta agli enti ecclesiastici appartenenti alla chiesa cattolica.
Poiché la legge annovera tra gli enti privati anche le altre istituzioni di carattere privato l’opinione prevalente sembra
ammettere la possibilità della costituzione di enti caratterizzati dalla combinazione di più modelli organizzativi tipici (es.
associazione e fondazione)
E’ sempre più frequente il ricorso alla Fondazione di partecipazione si pone come figura intermedia tra le fondazioni e le
associazioni, perché coniuga l’aspetto patrimoniale, proprio delle prime con quello personale delle seconde.
Infatti, a fianco dell’esistenza di un patrimonio vincolato ad uno scopo, esiste in questa particolare tipologia di Fondazione la
possibilità che l’elemento patrimoniale si associ con l’elemento personale e, quindi, con la possibilità di nuove adesioni: è
possibile, infatti, anche in un momento successivo rispetto a quello dell’atto costitutivo della Fondazione, diventare “soci” della
medesima, conferendo contributi in denaro ovvero in servizi, ovvero anche solo attraverso la prestazione di un’attività
professionale, o prestazioni di lavoro volontario o beni materiali o immateriali, nella misura e nelle forme determinate dal
Consiglio di gestione. IL TERZO SETTORE
Il terzo settore consiste nella realizzazione di attività di utilità sociale ad opera di enti senza fini di lucro (cd enti no
profit) espressione della cd società civile.
Sono stati molti gli interventi normativi atti a promuovere e sostenere il terzo settore si ricordano: le associazioni di
volontariato le cooperative sociali le ONLUS (organizzazioni non lucrative di utilità sociale) che possono assumere qualsiasi
forma giuridica (comitato fondazione associazione ecc.)
Và ricordato in questo ambito il principio della sussidiarietà:In tale ambito viene indicato con principio di sussidiarietà quel
principio sociale e giuridico amministrativo che stabilisce che l'intervento degli Enti pubblici territoriali (Regioni, Città
Metropolitane, Province e Comuni), nei confronti dei cittadini debba essere attuato esclusivamente come sussidio (ovvero
come aiuto) nel caso in cui il cittadino o l'entità sottostante sia impossibilitata ad agire per conto proprio o il livello di servizio
offerto dai privati sia inferiore al minimo essenziale.
Si parla di sussidiarietà verticale quando i bisogni dei cittadini sono soddisfatti dall'azione degli enti amministrativi pubblici, e
di sussidiarietà orizzontale quando tali bisogni sono soddisfatti dai cittadini stessi, magari in forma associata e\o
volontaristica.
L’OGGETTO DEL RAPPORTO GIURIDICO
IL BENE
Cosa è una parte di materia; non ogni cosa è un bene
Sono beni solo le cose che possono formare oggetto di diritti, cioè quelle suscettibili di appropriazione e di utilizzo.
Quindi non sono beni le cose da cui non si può trarre vantaggio (le stelle o il fondo del mare qual’ora non raggiungibili e
sfruttabili) né le cose di cui tutti possono fruire senza impedire la pari fruizione ad altri (la luce del sole,i venti ecc.)
Quindi il termine bene designa un genus assai ampio diviene sinonimo di “diritto” in ambito codici stico non solo indicando i
diritti sulla res ma anche altri diritti (es. i crediti)
Le cose oggetto dei diritti reali si caratterizzano per la loro corporeità oltre che per la loro suscettibilità di valutazione
economica. Tra i beni materiali ritroviamo pure le energie naturali (energia elettrica) purché anch’esse abbiano valore
economico (art.814 c.c.).
Tra i beni immateriali vanno considerati gli stessi diritti quando possono formare oggetto di negoziazione (es. un credito
ceduto a fronte di un corrispettivo)
Le opere di ingegno (poesia, brani musicali, quadri,…) sono considerate beni immateriali (in alcuni casi vi è sia diritto sulla res
che sull’opera dell’ingegno ad es. l’autore che vende un quadro non è più proprietario della tela ma può impedire che esso
venga riprodotto)così come gli strumenti finanziari i dati personali e i contenuti della banche dati
Sono considerati beni anche marchi le invenzioni e il know-how (patrimonio di conoscenze e informazioni necessarie per
attuare un processo produttivo).
Immobile è il suolo e tutto ciò che naturalmente (es. alberi) o artificialmente (es. edifici) è incorporato ad esso (art.812. c.c.).
L’art.812.2 c.c. considera immobili anche alcuni beni che non sono incorporati al suolo: i mulini, i bagni e gli edifici
galleggianti, quando siano uniti saldamente per destinazione permanente alla riva.
Tutti gli altri beni sono mobili
I beni registrati sono oggetto di iscrizione in registri pubblici che chiunque può liberamente consultare. Nel nostro
ordinamento sono istituiti: il registro immobiliare il pubblico registro automobilistico (PRA) il registro relativo alle navi e ai
galleggianti e il registro aereonautico nazionale (RAN)
Fungibile è il bene che può essere sostituito indifferentemente con un altro, in quanto non interessa avere proprio quel bene,
ma una data quantità di beni di quel genere. (es. banconote)
Per adempiere l’obbligazione di dare una quantità di beni fungibile e renderne proprietaria un’altra persona è necessaria la
separazione, la quale consiste nella numerazione, nella pesatura o nella misura della parte dovuta (es. se compro un metro di
stoffa ne divento proprietario quand’essa viene misurata e tagliata)
I beni infungibili sono quelli indicati nella loro specifica identità (es. l’immobile di via verdi 3)
Molto importante per i beni fungibili è ricordare l’importanza dell’aforisma “Genus numquam perit” (il genere non si esaurisce
mai) sta a significare che il diritto di credito che si vanta esula dalla reale proprietà del bene (se mi sono obbligato a vendere
un certo quantitativo di beni fungibili (es. vino) ed essi vanno perduti io non mi libero dall’obbligazione poiché non vi è un
impossibilità assoluta posso procurarmi altro vino anche acquistandolo a mia volta per onorare l’obbligazione)
Consumabili sono quei beni che non possono prestare utilità all’uomo senza perdere la loro individualità ovvero senza che il
soggetto se ne privi (es. danaro).
Gli altri beni sono inconsumabili ovvero sono suscettibili di plurime utilizzazioni senza essere distrutti nella loro consistenza
ancorché soventemente si deteriorino con l’uso (es. i vestiti). I beni consumabili, siccome capaci di una sola utilizzazione,
sono anche detti beni di utilità (o fecondità) semplice;i beni inconsumabili, in quanto suscettibili di una serie di utilizzazioni,
sono invece detti beni di utilità (o fecondità permanente)
Altro aspetto della distinzione tra beni consumabili e inconsumabili è nella distinzione tra comodato e mutuo. Con il comodato
si consegna una cosa con l’obbligo di riconsegnare la stessa cosa ricevuta non è concepibile rispetto ai beni consumabili (es.
prestito di un libro ad un amico con l’obbligo di restituirlo) mentre con il mutuo si ha l’obbligo di riconsegnare non la stessa
cosa ricevuta ma la stessa quantità di beni dello stesso genere.
Eccezionalmente si può avere la figura del comodato di beni consumabili (es. presto denaro ad un amico che vuol fare vedere
un portafoglio rigonfio alla persona su cui vuole fare colpo)
Divisibili sono le cose suscettibili di essere ridotte in parti omogenee senza che se ne alteri la destinazione economica (es.
un edificio, un animale morto); è indivisibile, invece, il suo contrario (es. un animale vivo, un appartamento.)
La nozione di bene divisibile assume rilievo in caso di contitolari età di diritti sul bene, se un bene è divisibile si può sempre
ottenere lo scioglimento della comunione se non lo è ciò può avere luogo solo con l’attribuzione dell’intero ai condividenti che
ne facciano richiesta con addebito dell’eccedenza a beneficio degli esclusi.
Presenti sono i beni già presenti in natura; solo questi possono formare oggetto di proprietà o di diritti reali.
Futuri sono invece i beni non ancora presenti in natura essi possono formare oggetto di rapporti obbligatori salvo i casi in cui
ciò non sia vietato dalla legge.
La ragione per cui non è concepibile un rapporto di natura reale su un bene futuro è ovvia: non si può esercitare un potere
immediato su una cosa che non esiste. Comunque può darsi che chi acquista un bene futuro non voglia assumere nessun
rischio: è perciò stabilito che, se esso non viene ad esistenza, il contratto non produce effetto e nessun corrispettivo è dovuto
dall’altra parte (es. l’acquirente dei frutti di un fondo nulla deve pagare a titolo di prezzo se i frutti non sono prodotti.)
Del tutto diversa è, invece, l’ipotesi in cui le parti si affidano alla sorte (e perciò il contratto è detto aleatorio): comprano ciò
che si ricaverà dal getto della rete, e quindi lo stesso prezzo sarà dovuto sia nel caso che la rete esca dal mare piena di pesci
sia in quello in cui risulti vuota.
Bene semplice è quella i cui elementi sono talmente compenetrati tra di loro che non possono staccarsi senza distruggere o
alterare la fisionomia del tutto (es. un animale, un minerale, un fiore).
Bene composto è, invece, quella risultante dalla connessione, materiale o fisica, di più cose, ciascuna delle quali potrebbe
essere staccata dal tutto ed avere autonoma rilevanza giuridica ed economica (es. un autovettura è composta dal motore la
carrozzeria ecc)
Se vendo un bene composto la vendita riguarda tutti gli elementi ciò non esclude l’individualità dei singoli elementi
(nell’esempio sopra ho facoltà di vendere solo il motore della macchina).
Quando più cose appartenenti a diversi proprietari siano state unite sino a formare una cosa unica e non sono più separabili
se non con notevole deterioramento, la proprietà della cosa composta diventa, in via generale, comune in proporzione del
valore delle cose originarie, salvo il caso in cui una delle cose possa considerarsi come principale e di maggior valore rispetto
alla cosa accessoria, nel qual caso la proprietà della cosa composta è del proprietario della cosa principale che è unicamente
tenuto a corrispondere il valore della cosa accessoria al proprietario.
Nel bene composto i vari elemento diventano parti di un tutto (es. non sussiste macchina senza motore)
Se invece una cosa è posta a servizio o ad ornamento di un’altra, senza costituirne parte integrante e senza rappresentare
elemento indispensabile per la sua esistenza, ma in guisa da accrescerne l’utilità o il pregio, si ha la figura della pertinenza.
Per la costituzione del rapporto di pertinenza occorrono sia l’elemento oggettivo (ornamento tra cosa e cosa) sia l’elemento
soggettivo (volontà di effettuare la destinazione dell’una cosa a servizio od ornamento dell’altra) ovvero vi è un rapporto di
subordinazione.
Esempi di pertinenza di immobile ad immobile: il box di una casa
Esempi di pertinenza di mobile ad immobile: il bestiame di un fondo
Esempi di pertinenza di mobile a mobile: le scialuppe di una nave
La destinazione di una cosa al servizio o all’ornamento dell’altra fa sì che l’una cosa abbia carattere accessorio rispetto
all’altra, che assume posizione principale.
Se manca il vincolo di accessorietà, non vi è figura della pertinenza.
Il vincolo che sussiste tra due cose deve essere durevole, ossia non occasionale e deve essere posto in essere da chi è
proprietario della cosa principale ovvero ha diritto reale su di essa e non occorre che la cosa accessoria appartenga al
proprietario della cosa principale anche se spesso vi è la convinzione che il proprietario sia il medesimo.
La cessazione della pertinenza non può essere opposta ai terzi che abbiano acquistato diritti sulla cosa principale ovvero se
un soggetto ha un diritto sulla cosa principale, non potrà perdere i diritti sulla pertinenza in caso che questa cessi di esserlo.
In pratica, se ho un diritto (ad esempio abitazione) su un appartamento con giardino, l'appartamento è la cosa principale, il
giardino una pertinenza. Se il proprietario vende il giardino (e solo quello, art. 818 CC: "Le pertinenze possono formare
oggetto di separati atti o rapporti giuridici"), ma il mio diritto sull'abitazione e le sue pertinenze è precedente alla vendita, ho
diritto che questo resti così com'era al momento della nascita del mio diritto di abitazione. Ovvero, la pertinenza resta tale
finchè esiste il mio diritto sulla cosa principale.
Le pertinenze seguono, di regola, lo stesso destino della cosa principale, a meno che non sia diversamente disposto.
Se io vendo , dono , permuto un bene, il negozio si riferisce , anche alle pertinenze , pur se di queste non si fa cenno nell'atto
e naturalmente purché le parti non manifestino una diversa volontà ovvero se hai già venduto il bene principale senza
specificare che non veniva trasferita anche la pertinenza, viene tutelata la posizione del nuovo proprietario e non puoi più
rivenderla separatamente.
L’universalità di mobili è la pluralità di cose mobili che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria
(es. i libri di una biblioteca, le pecore di un gregge).
L’universalità di mobili si distingue dalla cosa composta perché non vi è coesione fisica tra le varie cose; si distingue dal
complesso di pertinenza in quanto le cose non si trovano l’una rispetto all’altra in rapporto di subordinazione: l’una non è
posta a servizio o a ornamento dell’altra, ma tutte insieme costituiscono una entità nuova dal punto di vista economico-
sociale: la biblioteca, il gregge.
I beni che formano l’universalità possono essere considerati a volte separatamente a volte come un tut tuno. Ciò dipende
dalla volontà delle parti (posso vendere il libro singolo o l’intera biblioteca)
Il principio “possesso vale titolo” non si applica all’universalità di mobili
Se acquisto un universalità di mobili da chi non ne è proprietario ne acquisto il possesso trascorsi 10 anni (usucapione).
Inoltre, il possesso di un’universalità di mobili può essere tutelato con l’azione di manutenzione (art.1170 c.c.), che non è
concessa, invece, per i beni mobili.
La dottrina distingue tra universalità di fatto che è costituita da più beni mobili unitariamente considerati dal proprietario (es.
una biblioteca) ed universalità di diritto che è costituita da più beni in cui la riduzione ad unità è operata dalla legge che
considera e regola unitariamente l’insieme di detti beni e rapporti (es. l’eredità).
Il legislatore ha individuato una particolare categoria di beni i cd prodotti finanziari per assoggettarli ad una specifica
disciplina a tutela degli investitori a sua volta strumentale al buon funzionamento del mercato dei capitali.
Tra i prodotti finanziari una posizione di particolare rilievo occupano i cd strumenti finanziari (azioni ed obbligazioni emesse
dalle società di capitali, titoli di stato ecc.)
La legge impone a chiunque intenda effettuare un offerta al pubblico di strumenti finanziari l’obbligo di predisporre un
prospetto informativo contenente in una forma facilmente analizzabile e comprensibile tutte le informazioni necessarie
affinché gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria e sulle prospettive
dell’emittente.; il prospetto contiene anche una nota di sintesi recante i rischi e le caratteristiche essenziali dell’offerta. Detto
prospetto sottoposto al controllo della Consob deve essere reso conoscibile al pubblico tramite pubblicazione.
Di beni pubblici si parla in due sensi:
a) beni appartenenti ad un ente pubblico ovvero ad una società denominata Patrimonio dello stato spa istituita dal ministero
dell’economia e delle finanze (beni pubblici in senso soggettivo);
b) beni assoggettati ad un regime speciale, per favorire il raggiungimento dei fini pubblici cui quei cespiti sono destinati
(ovvero fa riferimento alla natura del bene; un bene pur appartenente al patrimonio di un ente pubblico ma non utilizzato per
fini di pubblica utilità non è un bene pubblico il regime speciale si riferisce ad una particolare legge/regolamento/atto con cui si
stabilisce la particolare destinazione alla pubblica utilità di un bene che fino a quel momento ne era sprovvisto) es. villa
certosa residenza ufficiale :-)
Sotto questo secondo profilo sono pubblici i beni demaniali, e i beni del patrimonio indisponibile
I beni demaniali si distinguono in:
Beni del demanio necessario che appartengono solo ad enti pubblici territoriali. E così vi appartengono:
il demanio marittimo (spiaggia, porti);
1) il demanio militare (fortificazioni, impianti militari)
2) il demanio idrico (fiumi, torrenti, laghi).
3)
Beni del demanio accidentale possono appartenere ai privati e sono demaniali se appartengono allo stato ovvero alla
patrimonio dello stato spa
1) il demanio stradale (strade, autostrade);
2) il demanio aeronautico (aerodromi acquedotti)
il demanio culturale, immobili riconosciuti di interesse storico archeologico ed artistico raccolte dei musei delle
3)
pinacoteche ecc.
I beni demaniali sono inalienabili non possono formare oggetto di possesso e non possono essere acquistati per usucapione
da privati. Essi sono disciplinati dal diritto pubblico.
I beni che non appartengono al demanio, ma sono pubblici. si chiamano beni patrimoniali.
Si distinguono in due categorie:
a) beni del patrimonio indisponibile (foreste, miniere, edifici destinati a sedi di uffici pubblici …), che non possono essere
sottratti alle loro destinazioni;
b) beni del patrimonio disponibile che non sono destinati direttamente ed immediatamente a pubblici servizi e sono soggetti,
salvo leggi speciali, alle norme del c.c. .
Da oltre un decennio è stato avviato un processo di dismissione del patrimonio immobiliare pubblico ovvero lo stato è abilitato
a costituire Srl cui trasferire a titolo oneroso beni facenti parte del patrimonio immobiliare pubblico affinchè queste vengano
alienate sul mercato (la differenza con la costituzione di srl è che le srl costituite dallo stato non hanno il solo scopo
dell’alienazione ma hanno un oggetto sociale più ampio possono anche solo svolgere attività di valorizzazione e gestione
degli stessi) per il pagamento del corrispettivo le società si devono procurare la provvista necessaria mediante
cartolarizzazione.
Le chiese possono appartenere anche a privati e sono soggette alla disciplina del diritto privato, possono essere quindi
alienate, usucapite…, ma finché non siano sconsacrate secondo le regole del diritto canonico, non possono essere sottratte
alla loro destinazione e al culto.
I frutti
I frutti si distinguono in: frutti naturali e frutti civili.
I frutti naturali provengono direttamente da altro bene, con o senza l’opera dell’uomo, come i prodotti agricoli, i prodotti delle
miniere.
Finché non avviene la separazione dal bene che li produce i frutti naturali si dicono pendenti: essi formano parte della cosa
madre, non hanno ancora esistenza autonoma. Si può tuttavia disporre di essi come di beni futuri chi li vende non trasferisce
al compratore il diritto di proprietà su di essi, ma si obbliga a trasferirlo allorché verranno ad esistenza.(cd rapporti obbligatori)
Solo con la separazione i frutti naturali acquistano una loro individualità (cd frutti separati); solo quando questa si sarà
verificata, si acquisirà il diritto di proprietà sui frutti.
Frutti civili sono i redditi che si conseguono da un bene, come corrispettivo del godimento che ne venga concesso ad altri.
Tali sono gli interessi di capitali, i dividendi azionari, le rendite vitalizie, il corrispettivo delle locazioni.
I frutti civili devono avere il requisito della periodicità. Essi si acquistano giorno per giorno in ragione alla durata del diritto:
così ad es. se viene venduta la cosa locata, il canone in corso di maturazione va diviso tra alienante ed acquirente in
proporzione della durata dei rispettivi diritti.
L’azienda
Art. 2555 cc L’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa:ossia per la
produzione di beni o di servizi ovvero per lo scambio di beni o di servizi.
Disputata è la natura giuridica dell’azienda; si tratta di una figura sui generis non inquadrabile in una qualche categoria essa
non è un bene unitario suscettibile di diritti reali ma può formare oggetto unitario di negozi giuridici o di rapporti obbligatori o di
provvedimenti.
Tra gli elementi che formano l’azienda ha particolare importanza l’avviamento che si può definire come la capacità di profitto
dell’azienda. Secondo la cassazione, l’avviamento è una qualità dell’azienda, che può anche mancare come accade nel caso
di un’azienda di nuova costituzione, o di azienda già in esercizio che abbia cessato temporaneamente di funzionare.
Uno dei fattori che costituiscono l’avviamento , la sede, è tutelata dalla giurisprudenza che ha previsto il diritto a conseguire
da parte dell’imprenditore un indennità nel caso venga a cessare la locazione dell’immobile purché non a seguito di sua
inadempienza o recesso
Per quanto riguarda l’impresa, il c.c. non dà la definizione, ma dà quella dell’imprenditore, che, secondo l’art.2082 c.c., è chi
esercita professionalmente (cioè non occasionalmente)un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello
scambio di beni o di servizi
Ha dato luogo a dispute il rapporto tra le nozioni di impresa e azienda:e possiamo dire che
L’impresa, , è l’attività economica svolta dall’imprenditore; l’azienda è, invece, il complesso dei beni di cui l'imprenditore si
avvale per svolgere l’attività di impresa.
Il patrimonio
Si chiama patrimonio il complesso dei rapporti attivi e passivi suscettibili di valutazione economica facenti capo ad un
soggetto. (diverso nella nozione comune anche se il patrimonio di una persona è fatto di soli debiti è cmq soggetto passivo di
rapporti giuridici)
Ogni soggetto di regola ha un patrimonio ed un patrimonio solo con il quale risponde dei propri debiti ovvero non può
distaccarne una parte ad es. per riservarla ad alcuni creditori ciò è previsto solo nei casi previsti dalla legge (cd patrimonio
separato esso continua a far capo al soggetto vi si distacca semplicemente una parte)
Diverso è il patrimonio autonomo che è quello che viene attribuito ad un nuovo soggetto mediante la creazione di una
persona giuridica. (es. società di capitali associazione riconosciuta ecc.)
IL FATTO, L’ATTO ED IL NEGOZIO GIURIDICO I fatti giuridici
Per fatto giuridico si indica un avvenimento o una situazione prevista dalla fattispecie di una norma
(se un fiume si costituisce in un nuovo letto quello abbandonato rimane assoggettato al regime del demanio pubblico).
Si distinguono fatti materiali quando si verifica un mutamento della situazione preesistente nel mondo esterno, percepibile
dall’uomo con i sensi (es. abbattimento di un albero) e fatti in senso ampio, comprensivi sia di omissioni (es. mancato
esercizio di un diritto che se si protrae oltre il tempo di legge cade in prescrizione) che di c.d. fatti interni o psicologici
(es. L’azione revocatoria è un mezzo di tutela del credito e costituisce ulteriore rafforzamento delle garanzie patrimoniali a
difesa delle legittime aspettative del creditore)
Si parla di fatti giuridici in senso stretto o naturali quando le conseguenze giuridiche sono ricollegate ad un evento in cui
non sia intervenuto l’uomo (morte per cause naturali di una persona, un’inondazione, i frutti civili).
Spesso i fatti presi in considerazione dalle norme per ricollegarli a conseguenze giuridiche sono fatti già qualificati legalmente
(es. il contratto,il matrimonio,la sentenza ecc.) Gli atti giuridici
Per atto giuridico si indica un avvenimento o una situazione prevista dalla fattispecie di una norma ove l’evento
causativo postula un intervento umano ( i reati, i contratti, le sentenze).
Gli atti giuridici si distinguono in due categorie: atti conformi alle prescrizioni dell’ordinamento giuridico (atti leciti) e atti
compiuti in violazione di doveri giuridici e che producono la lesione del diritto soggettivo altrui (atti illeciti.).
Gli atti leciti si distinguono in operazioni che consistono in modificazioni del mondo esterno (es. la presa di possesso di una
cosa), e dichiarazioni, che sono atti diretti a comunicare ad altri il proprio pensiero. Tra le dichiarazioni la maggior importanza
và ai negozi giuridici ossia le dichiarazioni coni quali i privati esprimono la volontà di regolare in un determinato modo i propri
interessi
Si dicono invece dichiarazioni di scienza di atti con quali si comunica ad altri di essere a conoscenza di un atto o di una
situazione del passato(es. nella confessione).
Tutti gli atti umani consapevoli e volontari, che non siano negozi giuridici, sono denominati atti giuridici in senso stretto,
essi sono disposti dall’ordinamento giuridico senza riguardo all’intenzione di colui che li pone in essere (es. se un creditore
intima al debitore di saldare quanto dovuto questi è costituito in mora anche se il creditore non aveva intenzione di provocare
questi effetti)
Per ogni atto giuridico si esige la capacità di intendere e di volere
Il negozio giuridico
È una manifestazioni di volontà poste in essere per ottenere un determinato effetto giuridico
Il negozio giuridico è un fatto giuridico
Nel negozio giuridico principe sono il contratto , il testamento, il matrimonio.
Il negozio giuridico, categoria essenzialmente non nominata nel c.c., ma a cui fa riferimento la dottrina, è l'atto che rileva non
solo in quanto consapevole e volontario (come l'atto giuridico in senso stretto), ma anche in quanto vi è anche la volontà degli
effetti collegati all'atto stesso; in parole povere, le parti si rappresentano e vogliono gli effetti giuridici che conseguono alla loro
manifestazione di volontà (cosa che non accade nell'atto in senso stretto, dove l'effetto si verifica con il semplice porre in
esser l'atto). In tal senso, è giusto definire, come fatto da autorevole dottrina, il negozio giuridico quale atto con cui si dispone
della propria sfera giuridica, e quindi atto di autonomia privata
Gli elementi del negozio giuridico si distinguono in elementi essenziali, senza i quali il negozio è nullo ed elementi
accidentali (es. la condizione il termine e il modo), che le parti sono libere di apporre o meno.
Gli elementi essenziali si dicono generali, se si riferiscono ad ogni tipo di contratto (es. la volontà, la dichiarazione, la causa);
particolari, se si riferiscono a quel particolare tipo considerato (es. elemento essenziale particolare della vendita è il prezzo).
Dagli elementi essenziali distinguiamo i presupposti del negozio, che sono circostanze estrinseche al negozio, indispensabili
perché il negozio sia valido. Tali sono la capacità della persona che pone in essere il negozio, l’idoneità dell’oggetto, la
legittimazione del negozio.
Distinguiamo anche i c.d. elementi naturali. In realtà si tratta di effetti naturali del negozio: essi si producono senza bisogno di
previsione delle parti, salva la loro contraria volontà manifestata (es. se acquisto un bene da chi non e è proprietario anche se
il contratto non contiene clausole in merito sono comunque garantito dalla garanzia per evizione.
(L'evizione è la garanzia che la cosa venduta non appartiene ad altri che la possano rivendicare)
La volontà del soggetto diretta a produrre effetti giuridici deve essere dichiarata
A seconda dei modi con cui la dichiarazione avviene, essa si distingue in dichiarazione espressa (se fatta con parole, cenni,
alfabeto Morse…) e dichiarazione tacita comportamento che secondo il comune modo di pensare risulti incompatibile con la
volontà contraria (es. se chiedo una dilazione di un debito caduto in prescrizione rinuncio tacitamente alla prescrizione)
N.B. la prescrizione produce l'estinzione di un diritto per effetto dell'inerzia del titolare del diritto stesso che non lo esercita o
non lo usa per il tempo stabilito dalla legge.
In alcuni casi l’ordinamento giuridico richiede per forza una dichiarazione espressa, per evitare le incertezze circa l’esistenza
della dichiarazione (es. prestazione di una fidejussione)
Il silenzio può avere valore di dichiarazione tacita di volontà solo in concorso di determinate circostanze; oppure se, in basa
alle regole della correttezza e della buona fede, il silenzio, dati i rapporti tra le parti, ha il valore di consenso. (es. se un librario
manda un cliente dei libri ed egli mantiene solo quelli che acquista la mancata restituzione ne comporta l’acquisto se invece
un editore con cui non ho rapporti mi manda un periodico anche se vi aggiunge l’avvertenza che chi non restituisce la copia è
considerato abbonato la mancata restituzione non significa accettazione della proposta di abbonamento).
La dichiarazione deve avere una forma.
(il principio generale del nostro ordinamento è che la forma è libera, non si prevedono dei formalismi rigidi, tranne quando si
parla di forma solenne, la prescrizione di una forma specifica è imposta dall’ordinamento per una questione di conoscibilità
dell’atto.)
Talvolta si ha la necessità di subordinare la validità di un atto a forme solenni:
si pensi al matrimonio o al testamento.
Nel caso del contratto specifici vincoli risultano imposti in relazione all’oggetto del contratto (per gli atti relativi ai diritti reali su
beni immobili è richiesta la forma scritta)al tipo (es. il contratto di donazione deve essere perfezionato mediante atto pubblico
e alla presenza di sue testimoni) o ai connotati di una certa categoria di contratti (es. i contratti relativi alle operazioni bancarie
devono essere stipulati per iscritto)
In alcuni casi il requisito della forma è richiesto ai fini processuali in quanto l’atto può essere provato solo mediante
l’esibizione del relativo documento.
Per molti negozi lo Stato, per ragioni fiscali, impone l’uso della carta bollata.
Le parti acquistandola versano all’erario l’importo dei valori bollati acquistati. L’inosservanza di tale prescrizione non dà luogo,
tuttavia, alla nullità del negozio, ma ad una sanzione pecuniaria notevole. Solo la cambiale e l’assegno bancario, se non sono
stati regolarmente bollati al momento della emissione, pur essendo validi a tutti gli altri effetti, non hanno efficacia a titolo
esecutivo.
Anche la registrazione serve prevalentemente a scopi fiscali. La registrazione ha notevole importanza sotto l’aspetto del
diritto privato essa è il mezzo di prova più comune per rendere certa, mediante l’attestazione dell’ufficio stesso sul
documento, la data di una scrittura privata di fronte ai terzi
Determinati fatti per avere conseguenze giuridiche rilevanti devono essere conosciuti o conoscibili da chi è interessato, la
legge soddisfa questa esigenza con l’iscrizione del negozio in registri tenuti dalla pubblica amministrazione, che chiunque può
consultare, o in giornali ufficiali, bollettini…La pubblicità serve, pertanto, a dare ai terzi la possibilità di conoscere l’esistenza
ed il contenuto di un negozio giuridico o lo stato delle persone fisiche e le vicende delle persone giuridiche.
Distinguiamo tre tipi di pubblicità:
Si distinguono tre tipi di pubblicità giuridica:
La pubblicità notizia serve a dare semplice notizia di determinati fatti, ma la sua omissione non influisce né sulla validità né
sull'efficacia dei fatti stessi. È prevista solo una sanzione in caso di omissione. Gli imprenditori che hanno l'obbligo di
iscrizione alla sezione speciale del Registro delle imprese sono iscritti, di regola, con pubblicità notizia, Altri esempi di
pubblicità notizia sono le pubblicazioni matrimoniali (art. 93 c.c.) e l'annotazione a margine dell'atto di nascita della sentenza
di interdizione (art. 423 c.c.).
La pubblicità dichiarativa serve a far sì che l'atto sia opponibile a chiunque. Senza tale pubblicità l'atto esiste comunque ed
è valido, ma diminuisce i suoi effetti: i suoi effetti, cioè, non sono opponibili ai terzi. Gli imprenditori iscritti nella sezione
ordinaria del Registro delle imprese sono iscritti con pubblicità legale dichiarativa, escluse le società di capitali. Altri esempi di
pubblicità legale dichiarativa sono la residenza (art. 19 c.c.) e le trascrizioni immobiliari (art. 2644 c.c.).
La pubblicità costitutiva, infine, condiziona sia la validità che l'efficacia dell'atto, e in mancanza di essa non si produrranno
effetti neppure tra le parti. Altri esempi sono l'iscrizione dell'ipoteca nei registri immobiliari.
Classificazioni dei negozi giuridici
Se il negozio giuridico è perfezionato con la dichiarazione di una sola parte, il negozio si dice unilaterale (es. il testamento)
non si confonda il concetto con quello di persona, più persone possono effettuare un negozio unilaterale es. più persone che
effettuano una procura a vendere costituiscono un negozio unilaterale (si parla di negozi pluri-personali)
Se le parti sono più di una, si ha il negozio bilaterale (se sono due) o plurilaterale (se sono più di due). Non deve essere
confuso con il caso di un contratto bilaterale a struttura plurisoggettiva (es. se due coniugi acquistano una casa da destinare
ad abitazione comune il contratto rimane cmq bilaterale).
Se le dichiarazioni di volontà sono dirette a formare la volontà di un a collettività organizzata di individui si ha l’atto collegiale
(es. deliberazione dell’assemblea di una s.p.a.). nell’atto collegiale si applica il principio della maggioranza: la deliberazione è
valida ed efficace anche se è approvata dalla maggioranza e non da tutti coloro che hanno diritto di partecipazione alla
formazione della volontà della persona giuridica.
L’atto collegiale differisce dall’atto complesso (volontà di più parti che si fondono in modo da formarne una sola) la
distinzione con l’atto collegiale è che nel atto complesso se vi è un vizio di una sola parte vizia la dichiarazione complessa
mentre nell’atto collegiale se una dichiarazione di voto ad es. viziata si procede se vi è maggioranza escludendo quel voto.
I negozi giuridici unilaterali si distinguono in recettizi, se, per produrre effetto, la dichiarazione negoziale deve pervenire a
conoscenza di una determinata persona, alla quale, pertanto, deve essere comunicata o notificata (es. disdetta di un
contratto)e non recettizi, se producono effetto indipendentemente dalla comunicazione ad uno specifico destinatario (es.
riconoscimento di un figlio naturale)
Ulteriori distinzioni del negozio giuridico si ricollegano alla sua funzione (o causa)
Si distinguono così i negozi mortis causa (unico es. il testamento), i cui effetti presuppongono la morte di una persona dai
negozi inter vivos, che prescindono da tale presupposto (es. vendita).
Secondo che si riferiscano ad interessi economici o meno si distinguono i negozi apatrimoniali (es. i negozi di diritto
familiare in cui prevale sull’interesse del singolo l’interesse superiore del nucleo familiare) dai negozi patrimoniali che a loro
volta si distinguono in negozi di accertamento (che si propongono solo di eliminare controversie, dubbi sulla situazione
esistente) e negozi di attribuzione patrimoniale (spostamento di diritti patrimoniali da un soggetto ad un altro (es. vendita).
I negozi di attribuzione patrimoniale, a loro volta, si distinguono in negozi di obbligazione (che danno luogo solo alla nascita
di una obbligazione diretta al trasferimento di un bene (es. vendita di cosa altrui nella quale il venditore si obbliga ad
acquistare la cosa dal proprietario in maniera che il compratore possa, di conseguenza, diventarne a sua volta
immediatamente proprietario) e negozi di disposizione (che importano una immediata diminuzione del patrimonio mediante
alienazione o rinuncia).
I negozi di disposizione si distinguono in negozi traslativi (se attuano il trasferimento o la limitazione del diritto a favore di
altri) o traslativo-costitutivi (se costituiscono un diritto reale limitato su di un bene del disponente) e abdicativi.
Es. di Negozio abdicativo è la rinunzia, che è la dichiarazione unilaterale del titolare di un diritto soggettivo, diretta a
dismettere il diritto stesso senza trasferirlo ad altri.
Se la rinunzia ha per oggetto un diritto di credito si chiama remissione.
I vari negozi patrimoniali si distinguono in negozi a titolo gratuito e negozi a titolo oneroso.
Un negozio a titolo oneroso si ha quando un soggetto, per acquistare qualsiasi tipo di diritto, accetta un correlativo sacrificio;
mentre si dice a titolo gratuito il negozio per effetto del quale un soggetto acquisisce un vantaggio senza alcun correlativo
sacrificio.
In genere l’acquirente a titolo gratuito è protetto meno intensamente dall’acquirente a titolo oneroso.
La gratuità non coincide con la liberalità che rappresenta la causa della donazione: la gratuità è categoria più ampia poiché
comprende tutti i casi a fronte dei quali non si ponga una controprestazione da parte del destinatario che sono sorrette da un
intento non liberale del disponente
L’INFLUENZA DEL TEMPO SULLE VICENDE GIURIDICHE
Tra i fatti giuridici naturali particolare importanza ha il tempo; spesso le attività giuridiche si devono compiere entro periodi di
tempo determinati da ciò la necessità di regole che stabiliscano come i termini devono essere calcolati; soccorre in proposito
l’art. 2963 del cc:
Art. 2963. Computo dei termini di prescrizione.
I termini di prescrizione contemplati dal presente codice e dalle altre leggi si computano secondo il calendario
comune.(calendario gregoriano)
Non si computa il giorno nel corso del quale cade il momento iniziale del e la prescrizione si verifica con lo spirare dell'ultimo
istante del giorno finale (es. se conto un termine di 5 giorni da oggi la giornata di oggi non è compresa nel calcolo)
Se il termine scade in giorno festivo, è prorogato di diritto al giorno seguente non festivo.
La prescrizione a mesi si verifica nel mese di scadenza e nel giorno di questo corrispondente al giorno del mese iniziale.(es. a
scadenza un mese a decorrere dal 2 ottobre scade il 2 novembre e non l’1 come sarebbe se calcolassimo trenta giorni)
Se nel mese di scadenza manca tale giorno, il termine si compie con l'ultimo giorno dello stesso mese. (es. termine di un
mese dal 31 gennaio è il 28 febbraio)
Il decorso di un determinato periodo di tempo insieme con altri elementi può dar luogo all’acquisto o all’estinzione di un diritto
soggettivo. Se il decorso del tempo serve a far acquistare un diritto soggettivo, l’istituto che viene in considerazione è
l’usucapione; invece, l’estinzione del diritto soggettivo per decorso del tempo forma oggetto di altri due istituti: la prescrizione
estintiva e la decadenza. LA PRESCRIZIONE ESTINTIVA
La prescrizione estintiva produce l’estinzione del diritto soggettivo per l’inerzia del titolare del diritto stesso che non
lo esercita o non ne usa per il tempo determinato dalla legge.
Le parti non possono rinunciare preventivamente alla prescrizione in quanto trattasi di istituto di ordine pubblico le cui norme
sono inderogabili né prolungare né abbreviare i termini stabiliti dalla legge questo perché se fosse consentito rinunziare alla
prescrizione una tale rinunzia diverrebbe una clausola apposta in tutti i contratti e le disposizioni sulla prescrizione
diverrebbero lettera morta.
E’ possibile rinunziare alla prescrizione (sia in maniera espressa che tacita) ma solo successivamente al decorso del suo
termine (es. in altre parole potrebbe darsi che il diritto sia effettivamente estinto, ma il debitore in ossequio ad una sua regola
morale, decida di adempiere lo stesso. Ciò può farlo rinunziando espressamente alla prescrizione, oppure dimostrando nei
fatti la sua volontà di rinunzia come, ad esempio, il pagamento di un acconto.)
Il debitore che paga spontaneamente il debito, non può farsi restituire quanto ha pagato.
Si verifica così, una ipotesi di obbligazione naturale (art.2034 c.c.).
Tutti i diritti sono soggetti a prescrizione estintiva; ne sono esclusi i diritti indisponibili come gli status personali, la potestà
dei genitori sui figli minori,ecc … (diritti imprescrittibili).
La ragione dell’esclusione è che questi diritti sono attribuiti al titolare nell’interesse generale e costituiscono, spesso, oltre che
un potere anche un dovere.
Anche il diritto di proprietà non è soggetto a prescrizione estintiva perché anche il non uso è un espressione della libertà
riconosciuta al proprietario: inoltre la prescrizione ha sempre come finalità il soddisfacimento di un interesse, la dove
l’estinzione del diritto di proprietà per non uso non avvantaggerebbe nessuno anche se ricordiamo che il proprietario può
perdere il suo diritto qualora un terzo usucapisca il bene.
Sono inoltre imprescrittibili sia l’azione di petizione di eredità (art.533.2 c.c. ovvero l'azione che l'erede può esercitare per
vedere riconosciuta la sua qualità di erede contro chiunque possiede in tutto o in parte i beni ereditari a titolo di erede o senza
titolo alcuno, scopo ultimo dell'azione è la restituzione dei beni ereditari) sia l’azione per far dichiarare la nullità di un negozio
giuridico.
Non sono prescrittibili nemmeno le singole facoltà che formano il contenuto di un diritto soggettivo (il proprietario non perde
mai la facoltà di chiudere il proprio fondo)
La prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto avrebbe potuto essere esercitato; quindi se il diritto deriva
da un negozio sottoposto a condizione o a termine, la prescrizione decorre dal giorno in cui la condizione si è verificata o il
termine è scaduto.(se acquisto una casa a Roma a condizione che mi trasferisca entro un anno il venditore può far agire le
sue ragioni successivamente a quel termine).
Rispetto alla durata si distinguono la prescrizione ordinaria e le prescrizioni brevi.
La prescrizione ordinaria è applicata in tutti i casi in cui la legge non dispone diversamente dura 10 anni
Il periodo più lungo (20 anni) è stabilito in armonia con il termine per l’usucapione e per l’estinzione dei diritti reali su cosa
altrui.
Le prescrizioni brevi riguardano diritti particolari ad es. il diritto al risarcimento del danno conseguentemente ad un atto illecito
extracontrattuale che si prescrive in 5 anni (si riducono a 2 nel caso di danni derivanti dalla circolazione di veicoli), i diritti a
prestazioni periodiche sempre 5 anni (es. i corrispettivi di affitti e locazioni)
N.B. il termine locazione si usa per gli edifici adibiti ad abitazione mentre il termine affitto si usa per gli edifici destinati ad usi
commerciali (es. negozi, uffici etc.)
Un anno è la prescrizione dei diritti derivanti da taluni rapporti commerciali (società, spedizione, trasporto, assicurazione).
Le prescrizione presuntive si basano sulla considerazione che vi sono rapporti della vita quotidiana nei quali l’estinzione del
debito può avvenire senza che il debitore abbia cura di richiedere e conservare una quietanza che gli garantisca la possibilità
di provare anche a distanza di tempo, di avere già provveduto ad estinguere il debito (es. somministrazione cibi al ristorante o
acquisto medicinali in farmacia)
A sua tutela perciò, la legge, trascorso un breve periodo sei mesi un anno o tre anni a seconda dei casi , presume che il
debito si sia già estinto.
Si noti bene: non è che il debito si estingua, ma si presume che si sia estinto ossia il debitore è esonerato dall’onere di fornire
in giudizio la prova dell’estinzione.
Il creditore, il quale abbia lasciato trascorrere imprudentemente l’intero periodo prescrizionale prima di pretendere il
pagamento, ove la prescrizione presuntiva sia stata posta in giudizio, può cercare di vincerla solo ottenendo dal debitore la
confessione che il debito, in realtà, non è stato pagato altrimenti occorre deferire all’altra parte il giuramento decisorio ossia
l’invito ad assumere tutte le responsabilità inerenti ad una dichiarazione solenne davanti al giudice con la quale il debitore
confermi che l’obbligazione sia davvero estinta e il creditore può qualora abbia elementi da cui risulti la falsità del giuramento
denunciare la controparte per il reato di falso in giuramento.
Il debitore è esonerato dall’onere di provare quale fatto avrebbe determinato l’estinzione del debito: il giudice deve assolverlo
dalla domanda di pagamento, senza bisogno che dimostri di avere effettivamente già pagato ovvero che si sia davvero
verificata la causa di estinzione del debito.
La prescrizione non opera allorché sopraggiunga una causa che giustifichi l’inerzia stessa.
Entrano qui in gioco gli istituti della sospensione e dell’interruzione.
La sospensione è determinata o da particolari rapporti fra le parti (tra i coniugi, tra il genitore che esercita la potestà sue figli
minori), o dalla condizione del titolare (minori non emancipati o interdetti per infermità di mente o militari in servizio attivo in
tempo di guerra).
Le cause sono tassative, cosicché i semplici impedimenti di fatto non valgono ad impedire il decorso della prescrizione.
L’interruzione ha luogo o perché il titolare compie un atto (es. costituisce in mora il debitore) con il quale esercita il diritto o
perché il diritto viene riconosciuto dal soggetto passivo del rapporto (es. mi riconosco debitore promettendo il pagamento il
prima possibile)
Nella sospensione l’inerzia del titolare del diritto continua a durare, ma è giustificata;
Nell’interruzione invece è l’inerzia stessa che viene a mancare o perché il diritto è stato esercitato, o perché esso è stato
riconosciuto dall’altra parte.
La differenza tra la sospensione e l’interruzione è
La sospensione spiega i suoi effetti per tutto il periodo per il quale gioca la causa giustificativa dell’inerzia (quindi per esempio
finché dura la minore età), ma non toglie valore al periodo eventualmente trascorso; nella sospensione quindi, il tempo
anteriore al verificarsi della causa di sospensione non perde la sua efficacia e si somma con il periodo successivo.
L’interruzione, facendo venir meno l’inerzia, toglie ogni valore al tempo anteriormente trascorso: una volta terminata
l’interruzione (es. la sentenza passa in giudicato) comincia a decorrere un nuovo periodo di prescrizione
LA DECADENZA
La decadenza produce l’estinzione del diritto in virtù del fatto oggettivo del decorso del tempo, esclusa, in genere,
ogni considerazione relativa alla situazione soggettiva del titolare.
La decadenza provoca l'estinzione di un diritto per non aver svolto determinate attività previste dalla legge o dalle parti nel
termine stabilito
La decadenza implica, quindi, l’onere di esercitare il diritto esclusivamente entro il tempo prescritto dalla legge.
La decadenza può, quindi, essere impedita solo dall’esercizio del diritto mediante il compimento dell’atto previsto
Con l’esercizio del diritto cade, infatti, la stessa ragione d’essere della decadenza.
A differenza della prescrizione la decadenza può essere iscritta in un contratto e non è suscettibile di applicazione per
analogia.
N.B. Differenza prescrizione e decadenza:
Sia la prescrizione che la decadenza sono due cause di estinzione di un diritto per il mancato esercizio dello stesso entro un
termine indicato dalla legge.
Per la decadenza però a differenza della prescrizione non è previsto alcun tipo di interruzione del termine per poi ricominciare
a decorrere e alcun tipo di sospensione. Inoltre i termini per la decadenza sono molto più brevi rispetto a quelli della
prescrizione e possono essere stabiliti non soltanto per legge ma anche per volontà delle parti attraverso l'indicazione dei
termini in un contratto.
Le fattispecie della prescrizione sono numerose visto che sono previste, oltre alla prescrizione ordinaria di 10 anni, anche
prescrizioni brevi (di 5, 3 o 1 anno) e prescrizioni lunghe (20 anni per i diritti reali di godimento su cosa altrui).
Nella prescrizione si ha riguardo alle condizioni soggettive del titolare del diritto, mentre nella decadenza si ha riguardo solo al
fatto obiettivo del trascorrere del tempo.
Altra differenza è quella secondo cui mentre la prescrizione comporta la perdita di un diritto che era già nella sfera del
soggetto, la decadenza impedisce, invece, l'acquisto di un nuovo diritto e cioè comporta la perdita della possibilità
dell'acquisto di un diritto.
Uno stesso diritto può essere soggetto a decadenza e prescrizione, è il caso, ad esempio, la garanzia
art. 1495 c.c. - che prevede un termine per la denuncia del vizio di 8 giorni dalla scoperta a pena di decadenza e la
prescrizione del diritto al risarcimento in un anno dalla denunzia.
Questo articolo spiega correttamente quanto sopra: entro 8 giorni il compimento di un'attività per esercitare il diritto ed
estinzione dello stesso entro un anno se non viene esercitato.
Altro es.
Termini di prescrizione dei crediti del rapporto di lavoro
I termini entro i quali è possibile contestare il contenuto della busta paga sono;
• un anno per gli errori di calcolo;
• cinque anni per le interpretazioni delle norme contrattuali e di legge.
I crediti del rapporto di lavoro si prescrivono entro 5 anni, (con la sola eccezione dei diritti connessi alla persona (ad esempio:
la salute), i quali sono per legge imprescrittibili)
Il lavoratore quindi deve contestare entro un anno un errore di calcolo (decadenza) ed entro 5 iniziare il procedimento di
risarcimento nei confronti del datore di lavoro debitore perché non cada in prescrizione
LA TUTELA GIURISDIZIONALE DEI DIRITTI
Se il diritto soggettivo non è spontaneamente rispettato dai consociati solo in casi eccezionali l’ordinamento ammette che il
suo titolare possa provvedere direttamente alla sua tutela (cd autotutela) di regola il soggetto deve rivolgersi al giudice ipotesi
eccezionali di difesa consentita al privato sono il diritto di ritenzione, l’eccezione di inadempimento, la diffida di adempimento,
la difesa del possesso e finché la violenza dell’aggressore è in atto la legittima difesa.
Il cittadino ha diritto di rivolgersi agli organi all’uopo istituiti per ottenere la giustizia che non può assicurarsi da sé
questo diritto si chiama azione.
Chi esercita l’azione proponendo la domanda giudiziale si chiama attore (perché agisce), colui contro il quale l’azione si
propone convenuto (perché è invitato nel suo interesse a presentarsi, se lo crede, nel giudizio e ad esporre le sue ragioni). Il
diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti non può essere soppresso o limitato nei confronti di nessuno e per
nessuna ragione ed i meno abbienti hanno assicurati i mezzi idonei per essere ugualmente difesi davanti un giudice..
Se tra me e un’altra persona sorge controversia circa la sussistenza di un diritto soggettivo a mio favore, s’instaura un
processo di cognizione che ha il compito di individuare il comando contenuto nella norma di diritto sostanziale sia
applicabile al caso concreto (ovvero il giudice afferma in base a quale articolo ho la ragione o il torto)
Se io ho ottenuto la sentenza con cui Tizio viene condannato a pagarmi i danni e, ciò nonostante, egli non ottempera a
quest’obbligo, io posso instaurare contro di lui un processo di esecuzione, la cui finalità consiste nel realizzare il comando
contenuto nella sentenza (in questo caso, mediante l’espropriazione dei beni di Tizio e la loro vendita; sul danaro ricavato io
soddisferò il mio credito). Per impedire che, nel corso del processo di cognizione, Tizio si spogli dei suoi beni, io posso
avvalermi del processo cautelare (per es. posso chiedere ed ottenere il sequestro conservativo di quei beni), infatti, la
finalità di tale processo è quella di conservare lo stato di fatto esistente per rendere possibile l’esecuzione della sentenza.
Il processo di cognizione può tendere ad una di queste tre finalità:
1) all’accertamento dell’esistenza o dell’inesistenza di un rapporto giuridico incerto e controverso (se Tizio sia o meno
proprietario di una cosa: azione e sentenza di mero accertamento);
2) all’emanazione di un comando, che il giudice rivolgerà alla parte soccombente di eseguire la prestazione che egli stesso
riconosce dovuta all’attore (azione e sentenza di condanna);
3) alla costituzione, modificazione o estinzione di rapporti giuridici ovvero il giudice non si limita ad accertare la situazione
giuridica o ad esprimere un comando completo ma modifica la situazione fino a quel momento vigente. (es. la separazione
coniugale i coniugi prima erano tenuti alla coabitazione e all’assistenza reciproca per effetto della sentenza questi obblighi
cessano o si modificano.)
E’ concesso alle parti di promuovere il riesame della lite impugnando la decisione a questo riesame non può andare all’infinito
verificatesi certe condizioni (decorso dei termini esaurimento dei mezzi di impugnativa) il comando contenuto nella sentenza
non può più essere modificato.
Ad eventuali ulteriori tentativi di una delle parti di proseguire il dibattito si può opporre la cosa giudicata o il passaggio in
giudicato della sentenza
L’efficacia del giudicato concerne anzitutto il processo, esso preclude ogni ulteriore riesame ed impugnazione della sentenza.
La cosa giudicata ha anche un valore sostanziale: non solo non si può impugnare la sentenza, ma, se in essa è stato
riconosciuto il mio diritto di proprietà o di credito, ciò non può formare più oggetto di riesame tra me e l’altra parte in futuri
processi.
Art. 2909 dice che l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti i loro eredi
ed aventi causa
Se non viene adempiuto il comando contenuto nella sentenza, colui a cui favore è stato emesso può iniziare il processo
esecutivo.
Solo in alcuni casi detto procedimento riesce ad assicurare coattivamente proprio quel risultato voluto dal comando di quella
sentenza. Quindi o può avere per oggetto la consegna di una cosa determinata mobile o immobile(es. l’obbligo dell’inquilino
di riconsegnare l’appartamento) ed l’avente diritto otterrà tramite l’intervento dell’ufficiale giudiziario la consegna o il rilascio
del bene medesimo. Se si tratta di un facere infungibile,(es. l’obbligo dell’appaltatore di ultimare l’edificio) nel qual caso può
soltanto ottenere il risarcimento del danno.Se l’obbligo riguarda quel particolare facere infungibile il processo esecutivo si
conclude con la conclusione del contratto (es. il venditore che si impegna con un contratto preliminare a vendere l’immobile
ad un determinato acquirente) in questo caso il giudice può emettere una sentenza che produca gli effetti del contratto non
concluso.
Se non è stato adempiuto un obbligo di non facere, l’avente diritto può ottenere la distruzione a spese dell’obbligato (es. il
vicino sopraeleva un muro ove non potesse)
La forma più importante di processo esecutivo è quella che ha per oggetto l’espropriazione dei beni del debitore, nel caso che
egli non adempia l’obbligazione di pagare una somma di danaro (espropriazione forzata).i beni vengono venduti all’incanto e
con gli introiti pagati i creditori
L’ espropriazione forzata ha inizio con il pignoramento, l’atto con il quale si assoggetta il bene all’azione esecutiva.
L’art. 2913 c.c. stabilisce che gli atti di disposizione del bene pignorato non hanno effetto nei confronti del creditore
precedente e dei creditori intervenuti.. (ovviamente la legge tiene conto dei terzi che in buona fede abbiano acquistato ad es.
se l’immobile non è iscritto “possesso vale titolo”)
LA PROVA DEI FATTI GIURIDICI
Tutte le volte che su una circostanza le parti forniscano ricostruzioni diverse, il giudice è tenuto, per poter arrivare a definire la
lite, a scegliere tra le contrapposte versioni.
Nel giudizio civile, sono le parti che devono preoccuparsi di indicare quali siano i mezzi di prova, ossia gli elementi in base ai
quali ciascuna di esse ritiene che la propria versione dei fatti litigiosi risulti più convincente di quella della controparte. Al
giudice spetta valutare anzitutto se i mezzi di prova che le parti offrono siano ammissibili (es. è inammissibile la testimonianza
di un soggetto che ha un diretto interesse nella controversia), cioè conformi alla legge; e rilevabili, cioè abbiano ad oggetto
fatti che possano influenzare la decisione della lite.
Dopo aver ammesso e assunto le prove, egli valuterà, con la sentenza, la loro concludenza, ossia la loro idoneità o meno a
dimostrare i fatti sui quali vertevano.
In ogni caso, comunque, il giudice deve motivare la sua decisione, spiegando le ragioni del suo convincimento.
Può darsi che, riguardo ai fatti oggetto di opposte versioni delle parti, nel processo siano del tutto mancanti mezzi di prova. In
questo caso, il giudice, non potendo rifiutarsi di decidere, dovrà per forza scegliere una soluzione.
La regola di giudizio che il legislatore gli offre si chiama “onere della prova” in ordine a ciascun fatto grava sempre su una
sola delle parti l’onere di persuadere il giudice, ossia, se il giudice non considera convincente o provata la versione offerta
dalla parte gravata dall’onere, dovrà dare ragione, su quel punto, alla controparte, anche se consideri parimenti non
convincente la versione che a quel fatto è stata data da quest’ultima. L’onere della prova, quindi, è una regola da applicare al
termine del giudizio, risolvendosi nel rischio che sia accolta la versione sostenuta dalla controparte, se il soggetto gravato
dall’onere non riesce ad offrire al giudice elementi di prova sufficientemente convincenti.
Il problema più delicato rimane quello di accertare su quale delle due parti grava l’onere della prova la legge stabilisce che la
buona fede è presunta (art. 1147 ovvero il giudice fa ricadere su chi vuol contestare gli effetti della buonafede l’onere di
provare la malafede dell’altra parte e non su questi ultimi l’onere di provare la propria buonafede) Quindi l’onere della prova
può ben definirsi come il rischio per la mancata prova di un fatto rimasto incerto nel giudizio.
Per mezzo di prova s’intende qualsiasi elemento (un documento una fotografia) idoneo ad influenzare la scelta che il giudice
deve fare per stabilire quale tra le contrapposte versioni di un fatto sostenute dalle parti in lite sia più convincente. Il principio
fondamentale è quello della loro libera valutazione da parte del giudice. (art. 116 del codice di procedura civile il giudice deve
valutare secondo il suo prudente apprezzamento)
Vi sono deroghe al principio del libero apprezzamento le cd prove legali (es. atto pubblico confessione…) la cui rilevanza è
già predeterminata dalla legge, cosicché il giudice non ha alcuna discrezionalità nel valutarle egli non ne potrebbe decidere in
contrasto in quanto si considerano pienamente provate
I mezzi di prova si distinguono in due specie: prova precostituita o documentale (atto pubblico, scrittura privata), detta
precostituita perché esiste già prima del giudizio; e prova costituenda (prova testimoniale, confessioni, presunzioni,
giuramenti), detta costituenda perché deve formarsi nel corso del giudizio.
Per “documento” s’intende ogni cosa idonea a rappresentare un fatto, in modo da consentirne la presa di conoscenza a
distanza di tempo.
Importanza preminente tra i documenti, rivestono l’atto pubblico e la scrittura privata:
L’atto pubblico è il documento redatto, con particolari formalità stabilite dalla legge, da un notaio o da altro pubblico ufficiale
autorizzato ad attribuire all’atto quella particolare fiducia nella sua veridicità che si chiama “pubblica fede” es. i rogiti notarili i
verbali di udienza del cancelliere del tribunale ecc
L’atto pubblico fa piena prova della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha sottoscritto e di tutto quanto
egli attesta essere avvenuto alla sua presenza (art. 2700 c.c.).
Ciò significa che il giudice è vincolato a considerare senz’altro vere le circostanze, senza che siano possibile alternative,
dubbi o controprove. Se una parte intende contrastare tale speciale forza probatoria privilegiata deve fare necessariamente
ricorso ad un particolare procedimento che si avvia mediante una querela di falso: ossia mediante la richiesta che il giudice
accerti, ,che quel documento è in realtà oggettivamente falso.
L’atto pubblico se nullo per difetto di qualche formalità può avere la stessa efficacia della scrittura privata se sottoscritto da
una o più parti (conversione formale)
Scrittura privata è qualsiasi documento che risulti sottoscritto da un privato essenziale è la sottoscrizione tramite la
quale ci si assume la paternità del testo., quindi, la responsabilità in quanto in esso sia dichiarato. La scrittura privata, proprio
perché non proviene da un pubblico ufficiale, non ha la stessa efficacia probatoria dell’atto pubblico. Essa, infatti, fà prova
soltanto contro chi ha sottoscritto il documento e non a suo favore. Se, invece, la sottoscrizione è autenticata o è riconosciuta,
da un notaio o da un altro pubblico ufficiale essa, come l’atto pubblico fa piena prova legale fino a querela di falso, ma della
sola provenienza delle dichiarazioni di chi ha sottoscritto. Elemento importante della scrittura privata è la data, ossia
l’indicazione del giorno in cui la scrittura è stata sottoscritta. La legge stabilisce che la data della sottoscrizione (cd data certa)
se si tratta di scrittura privata autenticata consiste nella data dell’autenticazione se la scrittura è registrata nella data della
registrazione.
Efficacia probatoria è riconosciuta al telegramma alle carte e i registri domestici i libri e le scritture contabili dell’impresa e il
fax se colui contro il quale è prodotto non lo contesta.
Quanto ai documenti informatici occorre distinguere tra quelli con firma elettronica che è liberamente valutabile in giudizio e
quelli sottoscritti con firma digitale (firma ottenuta attraverso una procedura informatica che garantisce la connessione
univoca al firmatario) che al pari di qualsiasi scrittura privata costituisce piena prova (se autenticati dal notaio costituiscono
scrittura privata autenticata).
Quando la forma è richiesta ad substantiam, essa costituisce un elemento essenziale del negozio, cosicché ove il requisito
formale non sia osservato l’atto è irrimediabilmente nullo. (es. una vendita immobiliare stipulata con contratto verbale è nulla)
Il legislatore non consente sia provata per testimoni o giuramento unica eccezione è se perduto senza sua colpa (es. incendio
o infortunio) occorre dimostrare quindi l’originaria esistenza, la perdita incolpevole e il suo contenuto.
Il legislatore impone quindi come abbiamo visto alla parte l’onere di custodire il documento onde poterle in qualsiasi
momento, esibire al giudice: altrimenti, mancando il documento o, in alternativa, la prova della sua perdita incolpevole, il
giudice deve presumere che esso non sia mai stato formato.
Diversa è la situazione, invece, quando l’osservanza di una forma sia stabilita ad probationem
In tal caso, infatti, l’atto compiuto senza l’osservanza della forma stabilita dalla legge non è nullo (es. transazioni non
immobiliari) l’unica conseguenza della inosservanza della forma è il divieto della forma testimoniale e di quella presuntiva.
La mancanza del documento non pregiudica la possibilità di provare atto e contenuto: se la formazione del negozio
costituisce fatto non contestato il giudice deve considerarlo provato se invece sia contestato la parte che intenda dimostrare il
perfezionamento dell’atto (ovvero quale ne sia il vero contenuto) può chiedere l’interrogatorio nella speranza di ottenere una
confessione (giuramento decisorio)
Per presunzione (o prova indiretta) si intende ogni argomento, illazione, attraverso cui, essendo già provata una determinata
circostanza (c.d. fatto base o indizio), si giunge a considerare provata altresì un'altra circostanza, sfornita di prova diretta
(così ad es., dalla circostanza che sia decorso già un certo periodo di tempo dal momento in cui si poteva pretendere il
pagamento di certi debiti, per i quali doveva avvenire entro breve tempo, si trae la presunzione che il debito sia già stato
pagato o comunque si sia già estinto, sebbene manchino prove dirette del pagamento o del verificarsi di un'altra causa di
estinzione dell’obbligo: prescrizione presuntiva).
Le presunzioni si dicono legali quando è la stessa legge che attribuisce ad un fatto, valore di prova in ordine ad un altro fatto,
che quindi viene presunto (es. presunzione che chi ha il possesso di una cosa altrui sia in buona fede).
Le presunzioni legali, a loro volta, possono essere assolute se non ammettono prova contraria (es. durata della gestazione)
o relative se ammettono prova contraria. (es. art 1142 il possessore attuale che ha posseduto in tempo più remoto si
presume che abbia posseduto anche nel tempo intermedio)
Le presunzioni si dicono invece semplici quando non sono prestabilite dalla legge, ma sono lasciate al prudente
apprezzamento del giudice, il quale non deve ritenere provato un fatto, di cui manchino prove dirette, se non quando ricorrano
indizi gravi, precisi e concordanti (art.2729 c.c.).
La testimonianza (detta anche prova orale) è la narrazione fatta al giudice di una persona estranea alla causa in relazione a
fatti controversi di cui il teste abbia conoscenza. (è considerata con diffidenza dal legislatore sia per il rischio di testi
interessati o compiacenti sia per il rischio di deformazioni nello sforzo di ricordare avvenimenti del passato)
La prova testimoniale incontra limiti legali di ammissibilità:
essa non è ammissibile quando sia: invocata per provare il perfezionamento o il contenuto di un contratto avente un
a)
valore superiore alle 5000 lire ovvero 2,58 € e se la parte è in impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta
(es. contratto tra familiari stretti e quando la parte ha perduto senza sua colpa il documento che forniva la prova)
essa non è ammissibile se tende a dimostrare che anteriormente, contemporaneamente o successivamente alla
b)
stipulazione di un accordi scritto siano stati stipulati altri patti, non risulti però dal documento (art.2722, 2723);
non è ammissibile se tende a provare un contratto che, deve essere stipulato o anche solo provato per iscritto.(in questo
c)
caso la prova è ammissibile solo se il documento che forniva la prova è perduto senza colpa)
Il giuramento è un mezzo di prova di cui si può chiedere l’acquisizione nel corso di un giudizio civile. Vi sono due tipi di
giuramento: il decisorio e il suppletorio. Quello decisorio si chiama così perché deve riguardare circostanze che abbiano
valore decisorio in ordine ad una quaestio facti su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi, cosicché l’esito del giuramento
preclude ogni ulteriore accertamento al riguardo.
Il giuramento è ammissibile solo quando sia relativo ad un fatto proprio della parte cui è definito, ovvero quando sia relativo
alla conoscenza che essa ha di un fatto altrui..
Se la parte si rifiuta di giurare o non si presenta, senza giustificato motivo, all’udienza fissata, la sua versione del fatto non
può più essere considerata vera dal giudice. Se invece presta il giuramento, il giudice deve definitivamente considerare vera
la sua affermazione e decidere in conformità la questione per la quale il giuramento è stato ammesso.
Non si possono fornire prove contrarie si può denunciare penalmente chi attesti il falso chiedendo risarcimento dei danni se
sia intervenuta condanna penale ma non la revocazione della sentenza civile pronunciata in base al falso giuramento
Il legislatore richiedeva che il giudice ammonisse la parte sull’importanza religiosa e orale dell’atto ma la corte costituzionale
con una sentenza del ‘96 ha eliminato il richiamo ai valori religiosi ed etici sicché il significato del giuramento è divenuto
orale-individuale
Il giuramento non è ammissibile quando si tratti:
a) di diritti indisponibili (es. questioni di stato);
b) di fatto illecito (qualunque fatto doloso o colposo che cagioni ad altri un danno ingiusto;
c) di atto per cui sia richiesta la forma scritta ad substantiam;
d) di contestare l’attestazione, contenuta in un atto pubblico, che un determinato fatto è alla presenza del pubblico ufficiale
che lo ha firmato.
Il giuramento suppletorio può essere deferito in base ad un potere discrezionale dello stesso giudice, quando questi si trovi di
fronte ad un fatto rimasto incerto, ma per il quale la parte che aveva l’onere di provarlo abbia fornito elementi abbastanza
rilevanti, sebbene non definitivamente persuasivi: in tal caso il giudice può offrirle di perfezionare la prova, già quasi
raggiunta, confermando con il giuramento che i fatti affermati sono veri.
Una particolare specie di giuramento suppletorio è il giuramento estimatorio, che può essere deferito per stabilire il valore di
una cosa quando non sia possibile accertarlo diversamente.
La confessione è la dichiarazione che la parte fa della verità di fatti all’altra parte
Essa è una dichiarazione di scienza.
Essa è giudiziale, se resa in giudizio e, in questo caso, fa piena prova stragiudiziale, se resa fuori dal giudizio. Se la
confessione stragiudiziale è fatta alla parte o al suo rappresentante, ha lo stesso valore di quella giudiziale; se è fatta ad un
terzo, può essere apprezzata liberamente dal giudice.
A differenza della giudiziale, la confessione stragiudiziale deve essere, a sua volta, dimostrata.
La confessione può essere revocata solo se si dimostri che essa è stata determinata da errore di fatto o da violenza.
La confessione si dice qualificata quando la parte riconosce la verità dei fatti a sé sfavorevoli, ma vi aggiunge altri fatti o
circostanze tendenti a modificarne o ad estinguerne gli effetti (ammetto che abbiamo concluso un contratto ma aggiungo che
è simulato). In questo caso bisogna distinguere:
a) se l’altra parte non contesta la verità dei fatti o delle circostanze aggiunte, le dichiarazioni fanno piena prova nella loro
integrità;
b) se l’altra parte contesta è rimesso al giudice di apprezzare, secondo le circostanze, l’efficacia probatoria delle dichiarazioni
(art.2734 c.c.).
Diversa dalla dichiarazione confessoria è la dichiarazione ricognitiva essa ha ad oggetto l’asseverazione (N.B. Le
asseverazioni vengono rilasciate dal Tribunale ai fini di attestare il giuramento) di diritti o rapporti giuridici (es. dichiaro di
essere tuo debitore di euro mille)
. I DIRITTI REALI
DIRITTI REALI IN GENERALE E LA PROPRIETA’
A) I DIRITTI REALI
Diritto reale è un diritto che ha per oggetto una cosa (in latino res) e la segue indipendentemente dal suo proprietario.
Nel nostro sistema giuridico sono a numero chiuso, e tra di essi spicca
il diritto di proprietà (il diritto reale fondamentale),
•
affiancata dai cosiddetti "diritti reali minori" (o "diritti reali su cosa altrui"), che si distinguono in:
diritti reali di godimento:
• l'enfiteusi,
o il diritto di superficie,
o l'usufrutto,
o il diritto reale d'uso,
o il diritto reale di abitazione,
o le servitù (o servitù prediali);
o
diritti reali di garanzia:
• il pegno,
o l'ipoteca.
o
I diritti reali sono caratterizzati:
1. Immediatezza: possibilità che il titolare eserciti direttamente il potere sulla cosa, senza necessità della cooperazione
di terzi (es. il proprietario può utilizzare il bene senza la collaborazione di altri e sufficiente che questi ultimi non vi
frappongono ostacolo)
2. Assolutezza: dovere di tutti i consociati di astenersi dall’interferire nel rapporto fra il titolare del diritto reale ed il bene
che ne è oggetto e, correlativamente, dalla possibilità per il titolare di agire in giudizio contro chiunque contesti o pregiudichi il
suo diritto (c.d. efficacia erga omnes)
3. Inerenza: opponibilità del diritto a chiunque possieda o vanti diritti sulla cosa (es.: il proprietario può agire nei
confronti di chiunque possieda il bene per ottenerne la restituzione)
I diritti reali costituiscono un numerus clausus (sia cioè precluso ai privati di creare diritti reali diversi da quelli disciplinati dalla
legge) e contestualmente sono connotati dal carattere della tipicità (sia cioè precluso ai privati di modificare la disciplina dei
singoli diritti reali) questo perché si vuole impedire che i privati possano moltiplicare limiti e vincoli destinati a comprimere i
poteri del proprietario e tutelare i terzi che volendo acquisire i diritti sulla cosa devono essere posti in grado di conoscere con
esattezza i vincoli che gravano su di essa.
Nell’ambito dei diritti reali si è soliti distinguere tra la proprietà privata (in re propria) e i diritti reali che gravano su beni di
proprietà altrui e che sono destinati a coesistere (in re aliena) comprimendo così i diritti del proprietario (es.: su un medesimo
fondo possono gravare il diritto di proprietà di Tizio ed una servitù di passaggio a favore di Caio: è evidente che quest’ultimo
diritto limitarà il potere del primo, il quale potrà sì utilizzare il proprio fondo, ma gli saranno precluse tutte quelle attività che
impediscano a Caio l’esercizio del suo diritto).
I diritti reali in re aliena si distinguono in diritti reali di godimento (superficie, enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione, servitù
prediali) e diritti reali di garanzia (pegno ed ipoteca): i primi attribuiscono al loro titolare il diritto di trarre dal bene talune
delle utilità che lo stesso è in grado di fornire; i secondi attribuiscono al loro titolare il diritto di farsi assegnare, con prelazione
rispetto agli altri creditori, il ricavato dell’eventuale alienazione forzata del bene, in caso di mancato adempimento dell’obbligo
garantito.
Da non confondere con i diritti reali sono le obbligazioni propter rem (o obbligazioni reali) che si caratterizzano per il fatto
che l’obbligato viene individuato in base alla titolarità di un diritto reale su un determinato bene es. l’obbligo di sostenere le
spese necessarie per la conservazione e il godimento della cosa comune grava su ciascun comproprietario.
Da non confondere con l’obbligazione reale è l’onere reale, in forza del quale il creditore, per il pagamento di somme di
denaro o altre cose generiche da prestarsi periodicamente in relazione ad un determinato bene immobile, può soddisfarsi sul
bene stesso, chiunque ne diventi proprietario o acquisti diritti reali di godimento o di garanzia su di esso. Si ritiene che non sia
dato ai privati costituire oneri reali al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge.
L’unica ipotesi di onere reale prevista dal nostro ordinamento è costituita dai contributi consorziali.
B) LA PROPRIETA’
La proprietà è un diritto reale che ha per contenuto la facoltà di godere e di disporre delle cose in modo pieno ed
esclusivo, entro i limiti e con l'osservanza degli obblighi previsti dall'ordinamento giuridico.
Tutte le proprietà sono inviolabili art. 29 dello Statuto Albertino del 1848
Nella formula dello Statuto la proprietà privata (espressione generale del principio di libertà) sarebbe un diritto innato, che i
poteri pubblici possono soltanto eccezionalmente comprimere, ma sempre rispettandone la priorità rispetto alla stessa
organizzazione dello stato.
La proprietà attribuisce al titolare:
1. Il potere di godimento del bene (se, come e quando utilizzarlo; direttamente (abitando la casa di proprietà) o
indirettamente (concedendo un appartamento in locazione)
2. Il potere di disposizione del bene (cedere ad altri, in tutto o in parte, es. l’immobile posso locarlo venderlo donarlo
ecc. )
Entrambi i poteri sono pieni ed esclusivi.
Da qui l’idea che la proprietà sia caratterizzata dai connotati:
1. Assolutezza (diritto del proprietario di fare sulla cosa tutto ciò che vuole anche distruggerla)
2. Esclusività (diritto del proprietario di vietare ogni ingerenza di terzi)
Le caratteristiche della assolutezza e della esclusività sono tipiche ormai solo della proprietà dei beni di uso strettamente
personale. Quanto agli altri beni l’ordinamento non rimette integralmente al proprietario le scelte in ordine al loro utilizzo. Già il
codice civile detta una disciplina differenziata per le proprietà dei beni di interesse storico e artistico, per la proprietà rurale,
per la proprietà edilizia, per la proprietà fondiaria: elaborando per ciascuna categoria di beni una serie di previsioni miranti a
conciliare l’interesse egoistico del proprietario con l’interesse degli altri proprietari o della collettività.
Con l’avvento della Carta costituzionale, inoltre, la proprietà non solo non viene più dichiarata inviolabile, ma non viene
neppure disciplinata fra i principi fondamentali, né fra i diritti di libertà: essa è contemplata nel titolo relativo ai rapporti
economici.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge: tale garanzia implica che non è consentito al legislatore ordinario di
sopprimere l’istituto della proprietà privata, e che sarebbe altresì in contrasto con i principi costituzionali un’eventuale
trasformazione del nostro sistema in un ordinamento in cui i beni siano prevalentemente collettivizzati.
Tuttavia l’art. 43 Cost. espressamente prevede che a fini di utilità generale il legislatore ben potrebbe escludere l’ammissibilità
della proprietà privata per quanto riguarda una determinata categoria di beni che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o
a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale (es. nel 1962 si è
proceduto alla nazionalizzazione delle imprese elettriche con la fondazione dell’ ENEL anche se ricordiamo che oggi è stato
trasformato in spa con titoli diffusi tra il pubblico).
A ciò si aggiunge l’art. 42 Cost. demanda espressamente al legislatore ordinario il compito di determinare i modi di acquisto,
di godimento ed i limiti, allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti. In altre parole il
legislatore è legittimato ad intervenire per delineare, con riferimento a singole categorie di beni, il contenuto dei poteri (di
godimento e di disposizione) che competono al proprietario; e ciò al fine di garantire che il relativo esercizio seppur com’è
normale abbia finalità egoistiche comunque realizzi una funzione sociale (da ricollegarsi sia all’esigenza di realizzare uno
sfruttamento economicamente efficiente dei beni, sia all’esigenza di instaurare più equi rapporti sociali.
La proprietà si ritiene tradizionalmente caratterizzata:
1. Imprescrittibilità (la proprietà non decade mai non si può perdere per “non uso” si può rivendicare solo per
usucapione, art. 948 c.c.)
2. Perpetuità è opinione diffusa che un proprietà ad tempus sia una nozione contraddittoria qualora ci sia non si parla
più di proprietà ma di diritto parziale
3. Elasticità i poteri che normalmente competono al proprietario possono essere compressi in virtù della coesistenza
sul bene di altrui diritti reali (es. usufrutto servitù ecc.)o di vincoli di carattere pubblicistico; tali poteri sono però destinati a
riespandersi automaticamente non appena dovesse venire meno il diritto reale o il vincolo pubblicistico concorrente (es. a
termine dell’usufrutto il proprietario si riappropria in toto dei suoi poteri di godimento del bene)
Modi di acquisto della proprietà.
1. Modi di acquisto “a titolo derivativo”, che importano la successione nello stesso diritto già appartenente ad altro
soggetto, per cui gli eventuali vizi che inficiavano il titolo del precedente proprietario si riversano anche sul successore
2. Modi di acquisto “a titolo originario”, che determinano invece la nascita di un diritto nuovo, del tutto indipendente
rispetto a quello eventualmente spettante sullo stesso bene ad altro precedente proprietario.
I modi di acquisto della proprietà a titolo derivativo più importanti sono (art. 922 c.c.) il contratto e la successione a causa di
morte.
Modi di acquisto della proprietà a titolo originario sono:
a) L’occupazione (art. 923 ss. c.c.): consiste nella presa di possesso con l’intenzione di acquisirla in via
permanente e definitiva, di cose mobili che non sono in proprietà di alcuno (es. i pesci che vivono allo stato naturale) o
abbandonate (es. gli oggetti lasciati nei cestini dei rifiuti). Non sono invece suscettibili di occupazione i beni immobili, in
quanto se non sono di proprietà di alcuno (sono, cioè, vacanti) spettano al patrimonio dello Stato. Eccezionalmente possono
acquistarsi per occupazione, , mammiferi e gli uccelli facenti parte della fauna selvatica; gli sciami d’api e gli animali
mansuefatti sfuggiti al proprietario, di cui chi li ritrova acquista la titolarità, se non vengono reclamati tempestivamente; i
conigli, i pesci ed i colombi che passano ad altra conigliera, peschiera o colombaia; nonché i frutti spontanei (funghi, tartufi
etc.)
b) L’invenzione (art 927 ss. c.c.): riguarda solo le cose mobili smarrite (di cui, cioè, il proprietario ignori il luogo
in cui si trovano). Queste debbono essere restituite al proprietario o, qualora non se ne conosca l’identità, consegnate al
sindaco ; trascorso un anno, se la cosa è stata consegnata al sindaco e non si presenta il proprietario, la proprietà spetta a
colui che l’ha trovata. Se invece si presenta il proprietario, questi deve al ritrovatore un premio proporzionale al valore della
cosa smarrita.
Una particolare forma di invenzione è quella che riguarda il tesoro, per tale intendendosi una cosa mobile di pregio, nascosta
o sotterrata, di cui nessuno può provare di essere proprietario: esso diviene immediatamente di proprietà del titolare del fondo
in cui si trova; ma, se è trovato, per solo effetto del caso, nel fondo altrui, spetta per metà al proprietario e per metà al
ritrovatore. I c.d. beni culturali, da chiunque e in qualunque modo ritrovati nel sottosuolo o sui fondali marini, appartengono
allo Stato e al proprietario dell’immobile dove è avvenuto il ritrovamento e allo scopritore fortuito compete un premio (d.lgs.
42/2004).
c) L’accessione (art. 934 ss. c.c.): opera in caso di stabile incorporazione (per opera dell’uomo od anche per
evento naturale) di beni di proprietari diversi: in tale ipotesi di regola il proprietario della cosa principale acquista la proprietà
delle cose che vengono in essa incorporate.(es. se si vende un terreno e si tace circa le costruzioni su essa esistenti, il
compratore acquista a titolo derivativo il terreno, e a titolo originario (per accessione) le costruzioni.
Al riguardo occorre distinguere fra:
a) L’accessione da mobile ad immobile (934 ss. c.c.): importa che di regola qualunque piantagione, costruzione od
opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo. Il proprietario del suolo acquista ex lege la proprietà
di quanto nello stesso luogo venga da chiunque incorporato: il suolo è sempre considerato “cosa principale”, quand’anche le
cose incorporate dovessero avere un valore di mercato maggiore. Siffatta regola (peraltro derogabile per volontà delle parti)
importa la necessità di contemperare i contrapposti interessi del proprietario del suolo con quelli del proprietario di questi
ultimi, se diverso:
La regola secondo cui “superficies solo cedit” viene peraltro derogata (anzi, ribaltata, nel senso che è il suolo a cedere a
quanto in esso impiantato) in ipotesi di c.d. “accessione invertita” (938 c.c.), che si configura allorquando nel realizzare una
costruzione, il proprietario sconfina sul fondo altrui, sicché l’edificio viene ad insistere a cavallo tra due fondi: se la parte
realizzata sul terreno altrui non ha una propria autonomia funzionale, se l’autore dello sconfinamento opera nel ragionevole
convincimento di edificare sul proprio suolo (buona fede), se il proprietario del fondo occupato non fa opposizione entro 3
mesi dal giorno in cui la costruzione sul suo fondo ha avuto inizio, il proprietario sconfinante può chiedere che il giudice gli
trasferisca la proprietà del suolo occupato a fronte del pagamento, a favore del confinante, di una somma pari al doppio del
valore della superficie occupata.
b) L’accessione di immobile ad immobile (941 ss. c.c.), che si articola nelle seguenti figure:
1) l’“alluvione”, che consiste nell’accrescimento dei fondi rivieraschi di fiumi e torrenti per l’azione dell’acqua
corrente: siffatti terreni alluvionali appartengono al proprietario del fondo incrementato;
2) l’“avulsione”, che consiste nell’unione al fondo rivierasco di porzioni di terreno, considerevoli e riconoscibili
staccatesi da altro fondo per forza istantanea dell’acqua corrente: dette porzioni di terreno appartengono al proprietario del
fondo incrementato, che è peraltro tenuto a pagare all’altro proprietario un’indennità nei limiti del maggior valore recato al suo
fondo dall’avulsione. In altre parole la corrente stacca da un fondo e trasporta più a valle o sull'altra riva una parte
considerevole e riconoscibile di suolo: chi ha ricevuto l'incremento ne diventa proprietario, ma deve un'indennità all'altro
proprietario
Non costituiscono più oggi ipotesi di accessione né quella dei terreni abbandonati dalle acque correnti né quella dell’alveo
derelitto (cioè, i terreni abbandonati dalle acque di un fiume che si forma in un nuovo letto), né quella delle isole che si
formano nel letto di fiumi o torrenti: detti beni sono, ora, parte del demanio pubblico.
c) L’accessione da mobile a mobile (art. 939 ss. c.c.), che dà luogo alle seguenti figure:
1) l’“unione”, che consiste nella congiunzione di beni mobili appartenenti a proprietari diversi che vengono a
formare un tutto inseparabile senza dar luogo ad una “cosa nuova”: la proprietà diventa comune. Se però, una delle due cose
si può considerare principale o è molto superiore per valore, il suo proprietario acquista la proprietà del tutto e deve
corrispondere una somma di denaro alla controparte Egli ha l'obbligo di pagare all'altro il valore della cosa che vi è unita o
mescolata; ma se l'unione o la mescolanza è avvenuta senza il suo consenso ad opera del proprietario della cosa accessoria,
egli non e obbligato a corrispondere che la somma minore tra l'aumento di valore apportato alla cosa principale e il valore
della cosa accessoria. E' inoltre dovuto il risarcimento dei danni in caso di colpa grave.;
2) la “specificazione”, che consiste nella creazione di una cosa del tutto nuova con beni mobili appartenenti ad altri
(es.: produzione di sapone con materie prime altrui): qui si ha trasformazione della materia mediante l’opera umana. Il codice
ha dato conseguentemente importanza all’elemento “lavoro”: infatti, se è superiore il valore della mano d’opera, la proprietà
spetta allo specificatore (salvo l’obbligo di pagare al proprietario il prezzo della materia); altrimenti prevale il diritto del
proprietario della materia (che peraltro deve pagare il prezzo della mano d’opera).
Azioni a difesa della proprietà.
“Azioni petitorie” (hanno natura reale, in quanto volte a far valere un diritto reale):
a) L’“azione di rivendicazione” (c.d. reivindicatio)(art. 948 c.c.): è concessa a chi si afferma proprietario di un bene, ma
non ne ha il possesso, al fine di ottenere, da un lato, l’accertamento del suo diritto di proprietà sul bene stesso e, dall’altro, la
condanna di chi lo possiede o detiene alla sua restituzione.
“Legittimato attivamente” è perciò chi sostiene di essere proprietario del bene senza trovarsi nel possesso della cosa.
“Legittimato passivamente” è colui che, avendo il possesso o la detenzione della cosa, ha la c.d. facultas restituendi. È
sufficiente che il convenuto possieda o detenga la cosa al momento della domanda giudiziale: se successivamente abbia
cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa (es.: perché l’ha ceduta a terzi), l’azione può essere
legittimamente proseguita nei suoi confronti, anche se non potrà più avere l’effetto restitutorio del possesso che le è proprio. Il
convenuto sarà obbligato a recuperare la cosa per l’attore a proprie spese, oppure, in mancanza, a corrispondergliene il
valore, oltre a dovergli in ogni caso risarcire il danno. Comunque il proprietario può sempre rivolgersi direttamente contro il
nuovo possessore, al fine di ottenerne direttamente da quest’ultimo la restituzione del bene.
Per quel che riguarda la prova, l’attore ha l’onere di dimostrare il suo diritto di proprietà. Se l’acquisto è a titolo originario, gli
sarà sufficiente fornire la prova di tale titolo. Se invece l’acquisto è a titolo derivativo (es.: usucapione), non basterà la
produzione in giudizio del suo titolo di acquisto (in quanto l’alienante potrebbe non essere stato il proprietario del bene e
quindi legittimato a trasferirne la titolarità), sicché l’attore dovrà dare la prova anche del titolo di acquisto dei precedenti titolari
fino ad arrivare ad un acquisto a titolo originario: in questo caso la prova sarebbe, se non impossibile, estremamente difficile
(“probatio diabolica”).
Soccorrono peraltro due istituti:
Rispetto ai beni mobili sarà sufficiente che l’attore provi che, quand’anche avesse acquistato da chi non era
legittimo proprietario del avrebbe comunque acquisito la proprietà della cosa per effetto della regola del “possesso vale titolo”
(art. 1153 c.c.), avendo a suo tempo ricevuto, in buona fede ed in base ad un titolo idoneo al trasferimento della proprietà, il
possesso del bene di cui ora lamenta di non avere il godimento;
Rispetto ai beni immobili (e ai beni mobili relativamente ai quali non possa dimostrarsi l’operatività della regola
“possesso vale titolo”) occorrerà invece che l’attore provi che, quand’anche avesse acquistato a non domino, avrebbe
comunque acquisito la proprietà della cosa per usucapione (art. 1158 c.c.), avendone avuto il possesso continuato per il
tempo necessario a maturarsi dall’usucapione stessa.
L’”azione di rivendicazione” è imprescrittibile, perché anche il non uso è una manifestazione dell’ampiezza di poteri che
spettano al proprietario. Essa deve essere però rigettata se il convenuto dimostra di avere acquistato la proprietà della cosa
per usucapione.
Dall’azione di rivendicazione si distingue l’azione di restituzione: la prima presuppone che colui che si afferma
proprietario pretenda la consegna del bene proprio per il fatto di esserne proprietario; l’azione di restituzione, invece, che
l’attore agisca in giudizio vantando un diritto alla restituzione nascente da un rapporto contrattuale, oppure dalla sua
risoluzione, dalla sua scadenza, etc.: nell’azione di restituzione non occorre, ovviamente, la prova del diritto di proprietà;
basta quella dell’obbligo di restituzione.(es. diritto alla restituzione del veicolo consegnato al meccanico per la riparazione)
b) L’“azione di mero accertamento della proprietà” è dalla giurisprudenza riconosciuta a chi (abbia o non abbia il
possesso della cosa) ha interesse (es.: perché da altri contestato) ad una pronuncia giudiziale che affermi, con l’efficacia del
giudicato, il suo diritto di proprietà su un determinato bene: l’azione è rivolta non già a recuperare la cosa (che, magari, è già
nel possesso dell’attore), ma semplicemente a rimuovere la situazione di incertezza venutasi a creare in ordine alla proprietà
di essa.
c) L’“azione negatoria” (art. 949c.c.) è concessa al proprietario di un bene al fine di ottenere l’accertamento
dell’inesistenza di diritti reali vantati da terzi sul bene stesso (es.: Tizio sostiene di essere titolare di una servitù di passaggio
sul mio fondo), oltre che (nell’ipotesi in cui le relative pretese si siano tradotte nel compimento di atti corrispondenti di detti
diritti) la condanna alla cessazione delle conseguenti molestie e turbative ed al risarcimento del danno. Per quel che riguarda
la prova (poiché l’azione negatoria è diretta non già all’accertamento della proprietà di chi agisce, ma solo al riconoscimento
della libertà del bene da diritti di terzi) l’attore non deve fornire la prova rigorosa della proprietà sul bene stesso, come accade
invece in caso di rivendicazione, ma è sufficiente che dimostri un valido titolo di acquisto (es. il rogito notarile dell’acquisto
dell’immobile). Sarà il convenuto a dover, se vuole ottenere il rigetto dell’azione, dimostrare l’esistenza del diritto che vanta.
Anche l’azione negatoria è imprescrittibile. Ma dovrà essere rigettata, qualora il convenuto dovesse dimostrare di aver
acquistato il diritto vantato per usucapione.
d) L’“azione di regolamento di confini” presuppone l’incertezza del confine tra due fondi: i rispettivi titoli di proprietà
delle parti non sono contestati; incerta è solo l’estensione delle proprietà contigue; si ha dunque un “conflitto tra fondi”, non
già un “conflitto di titoli”. L’azione (che spetta al proprietario nei confronti del confinante) è volta appunto ad accertare
giudizialmente il confine tra due fondi contigui, ed eventualmente ad ottenere la condanna alla restituzione della striscia di
terreno, che dalla fissazione della linea di confine dovesse risultare posseduta dal non proprietario. La prova dell’ubicazione
del confine può essere fornita con ogni mezzo (art. 950 c.2 c.c.); in mancanza di altri elementi il giudice si atterrà al confine
allineato dalle mappe catastali, prova (art. 950 c.3 c.c.). Anche l’azione di regolamento di confini è imprescrittibile.
e) L’“azione per apposizione di termini” (art. 951 c.c.): a differenza del precedente presuppone la certezza del confine
e serve a far apporre o a ristabilire i segni lapidei, simboli del confine tra due fondi, che manchino o siano divenuti
irriconoscibili.
Le azioni fin qui esaminate si distinguono dalle azioni a tutela del possesso, c.d. “azioni possessorie”.
Espropriazione e indennizzo
Art. 42, la proprietà privata può esser, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse
generale (interesse della collettività ad utilizzare il bene del proprietario, ove occorra, a fini di pubblico interesse:realizzazione
di ponti scuole ospedali ecc.).
La Costituzione prevede che la posizione del privato possa essere sacrificata solo in presenza:
a) di un interesse generale;
b) di una previsione legislativa che lo consenta (cd riserva di legge);
c) di un indennizzo che compensi il privato del sacrificio che subisce nell’interesse della collettività.
Nozione ormai superata di “espropriazione” è che fosse il trasferimento della titolarità di un bene dal precedente proprietario
ad un altro soggetto, pubblico o privato (cd espropriazione traslativa);
La Corte Costituzionale ha invece ritenuto che rientrassero nella nozione d’espropriazione anche quelle limitazioni che pur
non determinando per il proprietario la perdita del suo diritto siano tali da svuotare di contenuto il diritto di proprietà, incidendo
sul godimento del bene tanto profondamente da renderlo inutilizzabile relativamente alla destinazione inerente alla natura del
bene stesso o determinando il venir meno o una penetrante incisione del suo valore di scambio (cd espropriazione larvata).
In sostanza, in simili ipotesi il soggetto in questione è ancora formalmente proprietario di un bene ma, in virtù di dette
limitazioni, non può goderne appieno. Si potrebbe concludere quindi che, in questa ipotesi non sussiste vera e propria
espropriazione (che incide sulla TITOLARITA' del diritto di proprietà), ma piuttosto una forma di espropriazione "attenuata",
che interessa e incide sull'ESERCIZIO del diritto; un esempi,o sono le c.d. servitù militari (che concedevano alle autorità
militari poteri discrezionali di imporre vincoli, senza indennizzo, sulle proprietà vicine ad opere militari - sono state poi
dichiarate incostituzionali)..
La Corte Costituzionale tende a distinguere da un lato fra disposizioni che si riferiscono ad intere categorie di beni,
sottoponendo tutti i beni appartenenti alla categoria ad un particolare regime di godimento, dall’ altro di disposizioni che si
riferiscono invece a singoli cespiti, restringendo i poteri del proprietario rispetto a quelli riconosciuti in via generale agli altri
titolari di beni appartenenti a quella medesima categoria oppure annullandone o diminuendone in modo apprezzabile il valore
di scambio: le prime non rientrano nel concetto di espropriazione, bensì in quello di “conformazione” del contenuto del diritto
di proprietà sui beni appartenenti a quella determinata categoria e, conseguentemente, non comportano indennizzo (es. le
restrizioni ai poteri di godimento a cui sono sottoposti i proprietari dei cd beni culturali) ; le seconde rientrano invece nel
concetto di “espropriazione” e necessitano di indennizzo (es. proprietario agricolo il cui fondo è gravato da vincoli alla
coltivazione a tutela della sicurezza dei voli che si effettuano nel limitrofo aeroporto)
Su questa linea, il DPR 327/2001 prevede che nella nozione di espropriazione di beni immobili rientri non solo l’ipotesi di
passaggio del diritto di proprietà dall’espropriato al beneficiario dell’espropriazione, ma anche quella del vincolo
sostanzialmente espropriativo, cioè quella in cui il fondo sia gravato da una servitù o subisca una permanente diminuzione di
valore per la perdita o la ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà
Quanto al problema relativo ai criteri di determinazione dell’indennizzo da parte del legislatore, la Corte Cost. ha escluso che
l’indennizzo debba necessariamente consistere unicamente nel integrale risarcimento del pregiudizio economico sofferto
dall’espropriato in base al solo valore venale (di mercato) del bene ; di contro ha escluso anche che l’indennizzo possa
essere dal legislatore stabilito in termini meramente simbolici o irrisori, dovendo piuttosto rappresentare un serio ristoro del
pregiudizio conseguente all’espropriazione. Il già citato DPR del 2001 ha stabilito dei criteri di valutazione dell’indennizzo
relativi all’espropriazione di aree non edificabili (l’indennizzo è pari al valore agricolo più un indennità aggiuntiva se il
proprietario è coltivatore diretto) aree edificabili, (l’indennizzo è pari all’importo diviso per due e ridotto nella misura del 40%
risultante dalla somma del valore venale del bene e del reddito dominicale netto rivalutato moltiplicato per dieci) costruzioni
legittimamente edificate (l’indennizzo è pari al valore venale) e vincoli sostanzialmente espropriativi.(l’indennizzo è
commisurato al danno effettivamente prodotto)
Al fine di incentivare la cessione volontaria della proprietà del bene dall’espropriando al beneficiario senza necessità di
addivenire ad un formale decreto di esproprio, la legge prevede che il corrispettivo della cessione sia, di regola, maggiore
rispetto all’indennizzo (es. per la cessione volontaria del di un area edificabile non è prevista la riduzione del 40%)
In relazione al caso in cui la PA abbia realizzato un’opera pubblica su un fondo privato occupato illegittimamente, senza un
provvedimento espropriativo o d’occupazione d’urgenza la giurisprudenza ritenne che la p.a. acquisisse ex lege la proprietà
della stessa (cd acquisizione acquisitiva) con l’obbligo di risarcire il danno in conseguenza della perdita del diritto domenicale,
Il DPR del 2001 ha previsto invece che l’acquisto del fondo al patrimonio indisponibile dell’ente pubblico si verifichi non già
automaticamente, bensì in forza di un atto di acquisizione rimesso alla discrezionalità della PA, che deve altresì determinare
la misura del risarcimento del danno che compete al proprietario. Con la riforma dell’articolo V acceso è il dibattito se ed in
che misura l’espropriazione sia competenza legislativa esclusiva dello stato o residuale singole regioni
La proprietà dei beni culturali.
Beni culturali: cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, storico, archeologico, archivistico, bibliografico, o
che comunque costituiscono testimonianze aventi valore di civiltà.
Art. 19 c.c. La repubblica tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Art. 839 c.c.: postula un particolare regime dominicale per le cose di proprietà privata, immobili o mobili, che presentano
interesse artistico, storico o etnografico.
D.lgs. 42/2004: impone al proprietario, cui sia stata notificata dal Ministero per i beni e le attività culturali, la c.d. dichiarazione
dell’interesse culturale, tutta una serie di limiti relativi al potere di godimento (es.: i beni culturali non possono essere distrutti,
danneggiati, o adibiti ad usi incompatibili con il loro carattere storico o artistico, oppure tali da arrecare pregiudizio alla loro
conservazione) e al potere di disposizione (es.: obbligo di denuncia al Ministero per i beni e le attività culturali degli atti che
trasferiscono, in tutto o in parte, a qualsiasi titolo, la proprietà o la detenzione di detti beni e il diritto di prelazione dello stato
nel caso di alienazioni a titolo oneroso). La proprietà edilizia.
DPR 380/2001: l’attività di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio è subordinata:
a) al previo rilascio, da parte dell’autorità comunale, di un permesso di costruire, quanto agli interventi di maggiore
impatto (es. nuova costruzione, ristrutturazione urbanistica). Tale permesso può essere rilasciato solo se l’intervento sia
conforme alle previsioni degli strumenti urbanistici e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comporta l’obbligo a favore
del Comune di un contributo di costruzione,commisurato che consenta all’amministrazione municipale di provvedere alle
indispensabili opere di urbanizzazione primaria (strade parcheggi ecc.) e secondaria. (asili scuole chiese)
b) Alla denuncia di inizio di attività (D.I.A) da presentarsi all’autorità comunale da parte del proprietario dell’immobile,
almeno trenta giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori, accompagnata da una relazione a firma del progettista che asseveri la
conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici.
Al fine di evitare l’abusivismo edilizio la legge fa ricorso a strumenti di tipo amministrativo (es. sospensione dei lavori sanzione
pecuniaria,) ma anche di tipo privatistico ovvero:
a) sanzione di nullità per gli atti aventi ad oggetto il trasferimento o la costruzione di diritti reali su terreni, ove agli atti stessi
non sia allegato il certificato di destinazione urbanistica;
b) sanzione di nullità per gli atti aventi ad oggetto il trasferimento o la costruzione di diritti reali su edifici, la cui costruzione sia
iniziata dopo il 17 marzo 1985, ove dagli stessi atti non risultino, per dichiarazione dell’alienante, gli estremi del permesso per
costruire;
c) divieto alle aziende erogatrici di servizi pubblici, di somministrare (contratto con il quale una parte si obbliga, verso
corrispettivo di un prezzo, a eseguire, a favore dell’altra, prestazioni periodiche o continuative di beni o servizi) le loro forniture
per l’esecuzione di opere prive di permesso di costruire;
d) imposizione a chi abbia violato le disposizioni che regolamentano l’attività edilizia dell’obbligo di risarcire i danni che i terzi
ne abbiano eventualmente sofferto, e, se si tratta di disposizioni tese a disciplinare le distanze tra costruzioni, permesso ai
terzi “vicini” di chiedere la riduzione in pristino (eliminazione delle opere abusive).
L’art. 117, Cost. demanda oggi alla potestà legislativa concorrente dello stato e delle regioni ordinarie la materia del governo
del territorio, che sicuramente ricomprende l’urbanistica (disciplina dell’assetto e dell’utilizzazione del territorio.)
Tuttora fondamentale rimane la L. 1150/1942 (Legge urbanistica), la quale prevede che la pianificazione del territorio (dove,
che cosa e come si può fare su di esso) avvenga principalmente attraverso due strumenti ad iniziativa pubblica: il “piano
regolatore generale” (P.R.G) esso indica la divisione in zone del territorio comunale i vincoli da osservare le aree destinate a
formare spazi di uso pubblico ecc. e, in sua attuazione, il “piano particolareggiato di esecuzione” (P.P). indica in dettaglio le
reti stradali i dati altimetrici di ciascuna zona ecc.
Tuttavia la legge oggi, accanto a strumenti di pianificazione attuativa ad iniziativa pubblica, ne conosci altri che fanno invece
ricorso a meccanismi di tipo privatistico: in particolare, la “convenzione di lottizzazione”, in forza della quale, a fronte
dell’autorizzazione da parte del Comune di un piano di lottizzazione proposto dai proprietari delle aree interessate, questi
ultimi si assumono una serie di impegni nei confronti del Comune stesso. (es. cessione gratuita di aree per le opere di
urbanizzazione primaria e secondaria assunzione di parte di oneri per la realizzazione delle stesse ecc.)
La proprietà fondiaria.
Secondo una suggestiva definizione medievale in linea verticale la proprietà fondiaria (proprietà della terra) si estenderebbe
sia nel sottosuolo che nello spazio aereo soprastante, cioè all’infinito.
Peraltro L’art. 840 dispone che il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel
sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante, che egli non abbia interesse ad escluderle (es.: il proprietario non può
opporsi all’escavazione di una galleria che non pregiudichi la statica del suo edificio o al passaggio di aeroplani su di esso).
Dunque la proprietà del suolo si estende a quella sola parte del sottosuolo suscettibile di utilizzazione secondo un criterio di
normalità, tanto quanto per il soprassuolo. Una limitazione all’estensione della proprietà si ha quando venga costituito un
diritto di superficie.
In senso orizzontale, invece, ciascuna proprietà fondiaria si estende nell’ambito dei propri confini. Il proprietario ha la facoltà,
da un lato, di cintare in qualsiasi momento il proprio fondo (art. 841 c.c.) e, da altro lato, di impedirne l’accesso a chiunque
(salvo esercizio per la caccia, 842 c.c.; per la costruzione o riparazione di un muro od altra sua opera che si trovi sul confine o
presso di esso, 843 c.c. per riprendere la cosa sua che vi si trovi accidentalmente o l’animale che vi sia riparato sfuggendo
alla custodia, 843 c.c.).
Le consuetudini consentono talora l’accesso ai fondi altri per passeggiarvi, raccogliere fiori o funghi, sciare ecc.
I rapporti di vicinato.
Le singole proprietà immobili sono necessariamente destinate a convivere fianco a fianco. L’eventuale riconoscimento, in
capo a ciascuno dei titolari, di un potere di godere in modo pieno del proprio fondo (art. 832 c.c.) darebbe inevitabilmente
luogo a conflitti tra i loro contrapposti interessi. (es. voglio svolgere un attività produttiva sul mio fondo ma allo stesso tempo il
mio vicino non vuole subire immissione di fumi o rumori durante lo svolgimento dell’attività)
Proprio al fine di contemplare i contrapposti interessi dei proprietari di fondi contigui, disciplinando i “rapporti di vicinato”, il
codice detta tutta una serie di regole in materia di: a) atti emulativi (immissioni (844 c.c.); c) distanze (873, 878 ss. c.c.); d)
muri (874 ss. c.c.); e) luci e vedute (900 ss. c.c.); f) acque (908 ss.). Tradizionalmente, dette regole venivano intese come
volte ad imporre alla proprietà immobiliare limiti legali nell’interesse privato (nell’interesse cioè dei proprietari dei fondi
contigui). Viene superata quindi la concezione che la proprietà è un diritto che, indifferente alla natura del bene su cui ricade,
attribuisce sempre e comunque al suo titolare un potere di godimento pieno sul bene stesso. In realtà, le norme in
discussione sono semplicemente tese a conformare la proprietà immobiliare, in modo da assicurare un coordinamento fra i
diritti riconosciuti ai singoli titolari. Gli atti emulativi.
Al proprietario sono preclusi gli atti di emulazione, per tali intendendosi quelli che non hanno altro scopo che quello di nuocere
o arrecare molestia ad altri. (cd abuso del diritto soggettivo)
Perché l’atto di godimento di un bene sia vietato, debbono concorrere due elementi:
a) l’uno oggettivo, ossia l’assenza di utilità per il proprietario;
b) l’altro soggettivo, ossia la sola l’intenzione di nuocere o arrecare molestia ad altri (non posso piantare alberi solo per
togliere la veduta panoramica al mio vicino)
Si ritiene non incorra invece nel divieto di atti emulativi un comportamento omissivo del proprietario, quand’anche finalizzato a
nuocere al vicino (es. faccio crescere arbusti spontanei per togliere la veduta panoramica al mio vicino)
Le immissioni.
Il diritto di godere del bene in modo esclusivo (832 c.c.) importa che lo stesso è legittimato ad opporsi a qualsiasi attività
materiale di terzi che abbia a svolgersi sul suo fondo (es. scarico di rifiuti smaltimento di liquami le cd “immissioni materiali”).
Egli non può invece opporsi, almeno di regola, ad attività che si svolgono sul fondo del vicino.
E’ peraltro frequente che talune attività importino la produzione di fumi, calore, esalazioni, rumori, scuotimenti e simili,
destinati a propagarsi nelle proprietà circostanti (cd “immissioni immateriali”). In questo caso occorre distinguere
:a) se le immissioni rimangono al di sotto della soglia della normale tollerabilità, chi le subisce deve sopportarle;
b) se le immissioni superano la soglia della normale tollerabilità, ma sono giustificate da esigenze della produzione (es.
immissioni sonore degli impianti industriali che superino il cd rumore di fondo della zona). L’interesse collettivo in termini di
produzione e occupazione impone il mantenimento dell’attività , chi le subisce non ha diritto di farle cessare, ma può solo
ottenere un indennizzo in denaro per il pregiudizio eventualmente sofferto;
c) se le immissioni superano la soglia della normale tollerabilità senza essere giustificate da esigenze della produzione, (es. il
vicino suona la chitarra emettendo emissioni sonore che superando il cd rumore di fondo della zona chi la subisce ha diritto
che, per il futuro, ne venga inibita la prosecuzione e, per il passato, che gli sia riconosciuto l’integrale risarcimento del danno
eventualmente sofferto.)
La soglia della “normale tollerabilità” di un’immissione non coincide con i limiti variamente previsti da leggi e regolamenti a
tutela di interessi di carattere generale (es. salute quiete pubblica ecc ). La tollerabilità o meno di un’immissione va valutata
caso per caso, dal punto di vista del fondo che la subisce, tenendo conto della “condizione dei luoghi”: cioè, della loro
destinazione naturalistica ed urbanistica, delle attività normalmente svolte nella zona, del sistema di vita e delle abitudini di
chi vi opera, ecc. Non rilevano invece, né le condizioni soggettive di chi utilizza il fondo (es.: un soggetto particolarmente
irritabile perché affetto da esaurimento nervoso), né l’attività svolta da quest’ultimo (es.: una guardia notturna che riposa nelle
ore diurne).
L’immissione che supera la soglia della normale tollerabilità proveniente dall’espletamento di attività produttive sarà ammessa
(salvo indennizzo) solo: a) se non sia eliminabile (o quantomeno riducibile) attraverso l’adozione di accorgimenti tecnici non
particolarmente onerosi; b) se la cessazione dell’attività produttiva causerebbe alla collettività un danno più grave del
sacrificio inflitto ai proprietari dei fondi vicini.
Al riguardo si può (ma il criterio è accessorio e facoltativo) anche “tener conto della priorità di un determinato uso” (es.: chi
costruisce in adiacenza ad un’officina sa benissimo ex ante a quali immissioni si espone).
Le distanze legali.
Al fine di impedire che, fra immobili che si fronteggiano da fondi appartenenti a proprietari diversi, possano crearsi anguste
intercapedini in cui i rifiuti si accumulino e l’aria ristagni con effetti negativi sulla vivibilità degli edifici e la salute degli
utilizzatori , il codice civile dispone che le costruzioni su fondi confinanti se non sono unite o aderenti, devono essere tenute a
distanza non minore di 3 metri tra loro.
Se l’immobile risulta a distanza inferiore, il vicino può agire per la rimozione dell’opera abusivamente realizzata, nonché per il
risarcimento del danno sofferto.
Il codice contempla poi tutta una serie di disposizioni aventi ad oggetto i muri che si trovano sul confine o nei pressi del
confine tra proprietà limitrofe. Il proprietario confinante ha diritto di acquisire (mediante sentenza costitutiva, ove l’altro
proprietario non vi consenta) la comproprietà del muro che si trovi sul confine; il proprietario come abbiamo detto deve
lasciare uno spazio di almeno tre metri tra la sua costruzione e quella del fondo confinante (art. 873 c.c.), sempre che le
costruzioni non siano unite o aderenti ; ciò vuol dire che è possibile spingersi, esistendo un'altra costruzione, ad un metro e
mezzo dal confine, ma se la costruzione del vicino si trova a meno di un metro e mezzo dal confine, il proprietario può entrare
nel fondo confinante e edificare in aderenza al muro del suo vicino.
Chi acquisisce la comproprietà del muro deve all’altro confinante un importo pari alla metà del valore del muro e del suolo su
cui esiste, nonché (nel caso in cui il muro non si trovi sul confine) un importo pari al valore dell’area da occupare con la nuova
costruzione.
In considerazione del carattere potenzialmente dannoso che assumono rispetto ai fondi vicini, il codice prevede distanze
minime di sicurezza dal confine per pozzi, cisterne, fosse e tubi, fabbriche e depositi pericolosi o nocivi, fossati e canali,
piantagioni, apiari. Le luci e le vedute.
Il codice civile regola in maniera dettagliata anche la possibilità di ottenere luce e aria dal fondo del vicino aprendo delle
finestre o balconi sul muro che, oltre a far entrare luce e aria nella costruzione, permettono anche di guardare il fondo del
vicino, fatto che non sempre potrebbe essere gradito. In primo luogo si distingue tra luci e vedute (art. 900 c.c.):
Luci: danno passaggio alla luce e all'aria, ma non permettono di affacciarsi sul fondo del vicino
Vedute o prospetti: permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente
In merito alle luci si stabilisce che devono: essere munite di un'inferriata idonea a garantire la sicurezza del vicino e di una
grata fissa in metallo le cui maglie non siano maggiori di tre centimetri quadrati avere il lato inferiore a una altezza non
minore di due metri e mezzo dal pavimento o dal suolo del luogo al quale si vuole dare luce e aria, se esse sono al piano
terreno, e non minore di due metri, se sono ai piani superiori a meno che si tratti di locale che sia in tutto o in parte a livello
inferiore al suolo del vicino e la condizione dei luoghi non consenta di osservare l'altezza stessa.
Si stabilisce, inoltre, che le luci possono essere aperte dal proprietario del muro contiguo al fondo altrui (art. 903 c.c.), ma se il
muro è comune nessuno dei proprietari può aprire luci senza il consenso dell'altro. La presenza di luci, tuttavia, non
impedisce al vicino di acquistare la comunione del muro medesimo né di costruire in aderenza(art. 904 c.c.) In merito alle
vedute è stabilito che: non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del
vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro
e mezzo, né si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che
permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di
dette opere, ma il divieto cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica (art. 905 c.c.) .
I DIRITTI REALI DI GODIMENTO
I diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei diritti reali su cosa altrui (che costituiscono una limitazione del diritto
di proprietà) e comprimono il potere di godimento che spetta al proprietario.: si suddividono in diritti reali di godimento Essi
sono: la superficie, l’enfiteusi, la servitù prediale, l’abitazione (i quali possono avere ad oggetto solo beni immobili), l’uso,
l’usufrutto (i quali possono avere ad oggetto anche beni mobili). e diritti reali di garanzia (pegno e ipoteca)
A) LA SUPERFICIE
Occorre ricordare che, per il principio di accessione, tutto ciò che è stabilmente incorporato sopra o sotto il suolo appartiene al
proprietario del suolo medesimo.
Peraltro questa regola subisce una deroga, allorquando venga attribuito a persona diversa dal proprietario il diritto di
superficie (art. 952 ss. c.c.).
La superficie consiste alternativamente:
a) Nel diritto di costruire al di sopra del suolo altrui un’opera, di cui il superficiario, quando l’abbia realizzata, acquista a titolo
originario la proprietà (proprietà superficiaria) separata da quella del suolo, la quale ultima resta invece al concedente
b) Nella proprietà superficiaria di una costruzione già esistente di cui un soggetto diverso dal proprietario diviene titolare,
mentre la proprietà del suolo resta al concedente
Una separazione analoga si può stabilire per il sottosuolo (es. concedendo a un terzo di realizzare nel sottosuolo del mio
immobile un parcheggio sotterraneo, con diritto di conservarne la proprietà, poniamo, per 50 anni) (art. 955 c.c.), ma non per
le piantagioni (art. 956 c.c.).
È importante tenere distinte le due ipotesi sopra delineate di diritto di superficie. Così ad es.:
Se la costruzione ancora non esiste, non si ha che un diritto reale su cosa altrui, che si estingue se il titolare
• non costruisce per vent’anni (art. 954, c.c.)
Se la costruzione già esiste, si ha invece una proprietà della costruzione separata da quella del suolo; e quindi
non è concepibile l’estinzione per non uso, che non si concilia con la natura del diritto di proprietà.
La superficie può essere perpetua oppure a termine: in quest’ultimo caso, alla scadenza la proprietà della costruzione passa,
gratuitamente (salvo patto contrario), al proprietario del suolo (953 c.c.).
Modi di acquisto della superficie sono il contratto (vuoi a titolo oneroso vuoi gratuito), il testamento e l’usucapione.
Per quanto riguarda i poteri del superficiario, egli ha la libera disponibilità della costruzione, che altro non è che una proprietà
separata: può alienarla e costituire su di essa diritti reali. Ma, se il diritto di superficie è a tempo determinato, la scadenza dal
termine, facendo venir meno i diritti del superficiario, importa da un lato l’estinzione dei diritti costituiti dal superficiario stesso,
e dall’altro l’espansione alla costruzione dei diritti reali costituiti sul suolo.
Salva diversa pattuizione, il perimetro della costruzione non estingue il diritto di superficie (954, c.c.): ciò si spiega
considerando che la costruzione non è che un’estrinsecazione del diritto di superficie e non si confonde con esso. Perciò il
superficiario può ricostruire sul suolo in base al diritto di superficie.
Il diritto di superficie trova ampia applicazione nella pratica: ad es. negli edifici condominiali; negli immobili di edilizia
economico-popolare (in cui, mentre la proprietà del suolo appartiene alla P.A. la proprietà delle singole unità immobiliari
appartiene in via esclusiva a ciascun acquirente, per un massimo di novantanove anni); nella realizzazione di parcheggi
sotterranei (la cui proprietà del suolo appartiene alla P.A. mentre quella dell’edificio appartiene al privato che lo costruisce, al
fine di recuperare l’investimento effettuato attraverso il ricavo della gestione del parcheggio).
B) L'ENFITEUSI
L’enfiteusi attribuisce alla persona a cui favore è costituita (enfiteuta, o concessionario) lo stesso potere di godimento che, su
un bene immobile, spetta al proprietario, salvo l’obbligo di migliorare il fondo e di pagare al proprietario stesso (nudo
proprietario, o concedente) un canone periodico che può consistere in denaro o in una quantità fissa di prodotti naturali, nei
limiti fissati da leggi speciali. A differenza dell’usufruttuario, l’enfiteuta può anche mutuare la destinazione del fondo, purché
non lo deteriori.
Il potere di godimento che, per effetto della costituzione di enfiteusi, spetta all’enfiteuta si suole denominare dominio utile: al
nudo proprietario compete il dominio diretto che, in concreto, si riduce a ben poca cosa (il diritto al canone). Perciò alcuni
giungono ad affermare che, dal punto di vista giuridico, l’enfiteuta si dovrebbe ritenere proprietario del fondo, mentre il diritto
che spetta al concedente si configurerebbe come un diritto reale al canone.
L’enfiteusi può essere perpetua (a differenza dei diritti di usufrutto, uso e abitazione, che hanno sempre durata temporanea) o
a tempo (ma non può mai avere durata inferiore ai vent’anni: se si consentisse un termine più breve, nessuno sarebbe
invogliato ad assumere l’obbligo del miglioramento) (art. 958 c.c.).
Modi di acquisto dell’enfiteusi sono il contratto, il testamento e l’usucapione.
La legge attribuisce:
All’enfiteuta il c.d. potere di affrancazione, per effetto del quale lo stesso enfiteuta acquista la piena proprietà
del fondo mediante il pagamento a favore del concedente di una somma di denaro (971 c.c.).
Al concedente il c.d. potere di devoluzione, per effetto del quale lo stesso concedente (in caso di
inadempimento, da parte dell’enfiteuta, all’obbligo di non deteriorare il fondo od a quello di migliorarlo, oppure
all’obbligo di pagare il canone) libera il fondo dal diritto enfiteutico (972 c.c.).
C) L'USUFRUTTO, L'USO E L'ABITAZIONE
L’usufrutto consiste nel diritto di godere della cosa altrui con l’obbligo di rispettarne la destinazione economica (art. 981 c.c.).
L’usufruttuario può dunque trarre dalla cosa tutte le utilità che ne può trarre il proprietario, ma se, per es., l’usufrutto ha per
oggetto un’area, non può costruirvi, né può trasformare un giardino o parco in un orto o in un frutteto ecc.
L’usufrutto ha necessariamente durata temporanea, perché non presenterebbe alcuna utilità pratica la proprietà del
concedente (nuda proprietà), se la facoltà di godimento le fosse definitivamente sottratta.
Così: Se costituito a favore di una persona fisica, l’usufrutto (se non diversamente previsto) s’intende per tutta la
durata della vita dell’usufruttuario; in ogni caso la morte di quest’ultimo determina l’estinzione del diritto,
quand’anche non fosse ancora scaduto il termine finale eventualmente previsto.
Se costituito a favore di una persona giuridica, oppure di un ente non personificato (es.: un’associazione non
riconosciuta), la durata dell’usufrutto non può essere superiore a trent’anni (979 c.c.).
Oggetto dell’usufrutto può essere qualunque specie di bene, con esclusione dei soli beni (corporali) consumabili. Questi ultimi
non potrebbero infatti essere restituiti al proprietario alla cessazione dell’usufrutto (es.: cibi, bevande ecc.)
Se il godimento di beni consumabili viene attribuito a persona diversa del proprietario, si avrà una situazione che non coincide
con quella dell’usufrutto; ma che si suole definire “quasi usufrutto”: in tal caso la proprietà dei beni (consumabili) passa al
quasi-usufruttario (quindi il quasi usufrutto non è un diritto reale su cosa altrui) salvo l’obbligo di quest’ultimo di restituire non
già gli stessi beni ricevuti (cosa impossibile), bensì il loro valore, oppure altrettanti beni dello stesso genere (995 c.c.).
Oggetto di un usufrutto possono essere anche beni deteriorabili (es.: vestiti, autovetture, ecc.): in tal caso l’usufruttuario ha
diritto di servirsene secondo l’uso al quale sono destinati (conformemente al limite normale dell’usufrutto). Perciò, se si tratta
di abiti di gala, non possono essere indossati ogni giorno, se si tratta di cavalli da gara non possono essere utilizzati come
cavali da tiro ecc. ecc. Alla fine dell’usufrutto, l’usufruttuario è tenuto a restituirli nello stato in cui si trovavano (996 c.c.).
Possono essere:
a) La legge, per quel che riguarda l’usufrutto legale dei beni del figlio minore da parte dei genitori
b) La volontà dell’uomo: contratto, testamento ecc.
c) L’usucapione (1158 c.c.)
d) Il provvedimento del giudice che in relazione alle necessità della prole può costituire, a favore di uno dei coniugi,
l’usufrutto su parte dei beni spettanti all’altro coniuge a seguito della divisione dei cespiti già in comunione legale.
Quanto alla costituzione dell’usufrutto volontario, è opportuno ricordare che gli atti che costituiscono l’usufrutto su beni
immobili devono farsi per iscritto e sono soggetti a trascrizione. È soggetta a trascrizione anche l’accettazione dell’eredità e
l’acquisto del legato, che importino l’acquisto dell’usufrutto su detti beni.
Fino a tempi relativamente recenti il modo d’acquisto dell’usufrutto più diffuso è stato l’attribuzione di tale diritto al coniuge
superstite in sede di successione mortis causa (c.d. usufrutto uxorio). La riforma del diritto di famiglia del ’75 ha peraltro
eliminato siffatto istituto contemplando la proprietà piena su la quota di questi
All’usufruttuario competono:
a) Potere di godimento sul bene
Per conseguirne il possesso, se questo è esercitato da altri, l’usufruttuario può esperire l’actio confessoria.
Quest’azione è diretta ad accertare l’esistenza del diritto di usufrutto ed ottenere la condanna del terzo al rilascio
del possesso.
L’acquisto dei frutti naturali e civili della cosa. La legge (821 c.c.) distingue tra frutti civili e frutti naturali, se essi
appartengono a persona diversa dal proprietario: la proprietà dei frutti naturali si acquista con la separazione, i
frutti civili si acquistano giorno per giorno in ragione della durata del diritto. Questa regola si applica anche
all’usufruttuario. Tuttavia nel caso dei frutti naturali prodotti da fondo rustico, la ripartizione tra proprietario ed
usufruttuario ha luogo in proporzione della durata del rispettivo diritto nell’anno agrario. Vengono ripartite anche
le spese necessarie alla produzione.
b) Potere di disposizione del diritto di usufrutto e del godimento del bene (solo inter vivos)
L’usufruttuario può di regola cedere ad altri non certo il diritto di proprietà sul bene, ma il proprio diritto
• d’usufrutto; e può anche concedere ipoteca sull’usufrutto stesso. In ogni caso, la cessione non può danneggiare
il nudo proprietario, prolungando la compressione del suo diritto: perciò l’usufrutto si estinguerà egualmente nel
termine stabilito nell’atto di costituzione e, in mancanza, con la morte non già dell’acquirente, ma del primo
usufruttuario.
L’usufruttuario può concedere in locazione la cosa che forma oggetto del suo diritto, e più in generale,
• concederla in godimento a terzi. (es. in comodato)
Le locazioni concesse dall’usufruttuario dovrebbero estinguersi quando si estingue l’usufrutto. Tuttavia il
legislatore ha consentito che le locazioni in corso al momento della cessazione dell’usufrutto possano
proseguire per la durata stabilita (per assicurare al conduttore una certa continuità del rapporto), ma a
condizione che la locazione e la sua durata risultino da atto pubblico o da scrittura privata con data anteriore, ed
in ogni caso per non oltre un quinquennio dalla cessazione dell’usufrutto. Peraltro, se l’estinzione dell’usufrutto
si verifica per la scadenza del termine fissato per la sua durata, la locazione non può durare se non per l’anno in
corso (999 c.c.).
Dovere fondamentale è quello di restituire la cosa al termine del diritto di usufrutto
Da ciò deriva che egli è tenuto a:
a) Usare la diligenza del buon padre di famiglia nel godimento della cosa
b) Non modificare la destinazione
c) Fare (salvo dispensa) l’inventario e prestare garanzia a presidio dell’osservanza degli obblighi di conservazione e
restituzione dei beni assoggettati ad usufrutto.
La ripartizione delle spese inerenti alla produttività della cosa: l’usufruttuario è tenuto alle spese e, in genere, agli oneri relativi
alla custodia, all’amministrazione, alla manutenzione ordinaria della cosa, e quindi alle riparazioni ordinarie, alle imposte, ai
canoni, alle rendite fondiarie e agli altri pesi che gravano sul reddito. Sono invece a carico del nudo proprietario le riparazioni
straordinarie: cioè in genere quelle che superano i limiti della conservazione della cosa e delle sue utilità per la durata della
vita umana.
Si verifica (1014 c.c.):
1) Per scadenza del termine o morte dell’usufruttuario
2) Per prescrizione estintiva ventennale
3) Per consolidazione (ossia per riunione dell’usufrutto e della nuda proprietà in capo alla stessa persona)
4) Per deperimento totale della cosa
5) Per abuso che l’usufruttuario faccia del suo diritto (es. lasciar perire la cosa per mancanza di ordinarie riparazioni
L’estinzione dell’usufrutto importa, in ogni caso, la riespansione della nuda proprietà nella proprietà piena.
Nell’interesse generale della produzione la legge non ha vietato all’usufruttuario di eseguire miglioramenti, ma ha limitato il
credito dell’usufruttuario per i miglioramenti alla minore somma tra la spesa e l’aumento di valore conseguito dalla cosa per
effetto del miglioramento.
Per quanto riguarda le addizioni (opere che vanno ad aggiungersi ad un preesistente contesto, di cui accrescono l'utilità)
l’usufruttuario ha lo ius tollendi (diritto di togliere le addizioni al termine dell’usufrutto) esse non devono procurare nocumento
alla cosa, tranne che il proprietario non preferisca mantenere le addizioni, nel qual caso deve la minor somma tra la spesa e il
miglioramento.
Uso ed abitazione.
Essi non sono che tipi limitati di usufrutto:
a) L’uso consiste nel diritto di servirsi di un bene e, se fruttifero, di raccoglierne i frutti limitatamente ai bisogni propri e della
propria famiglia (1021 c.c.)
b) L’abitazione consiste nel diritto di abitare una casa limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia (1022 c.c.)
I due diritti si distinguono perciò dall’usufrutto soltanto sotto l’aspetto quantitativo: l’usuario ha le stesse facoltà
dell’usufruttuario, ma solo entro il limite indicato.
Dato il loro carattere personale, i diritti d’uso e abitazione non si possono cedere, né il bene può essere concesso in locazione
o altrimenti in godimento a terzi. I due diritti si estinguono con la morte del titolare: pertanto non possono formare oggetto di
disposizione testamentaria.
D) LE SERVITU'
La servitù prediale (dal latino medievale: che riguarda un fondo) consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un
altro fondo appartenente a diverso proprietario (art. 1027 c.c.)
Ad una compressione delle facoltà del proprietario del fondo servente, corrisponde, quindi, una utilità del fondo dominante Se
non posso sopraelevare, il fondo dominante avrà la veduta del mare.
È essenziale questa relazione tra i due fondi, per cui il fondo dominante si avvantaggia della limitazione che subisce quello
servente e riguarda sempre "il fondo" e non i singoli proprietari.
L’utilità può consistere anche nel ottenere maggior comodità o amenità per il proprietario del fondo dominante. Da ciò
discende che il contenuto del diritto di servitù può essere il più vario: accanto alle c.d. servitù tipiche, (es.: Il diritto alla presa
d'acqua continua) sono altresì ammesse le c.d. servitù atipiche che possono essere liberamente costituite, purché finalizzate
all’utilità del fondo dominante.
La legge consente esplicitamente anche le c.d. servitù industriali, quelle cioè strumentali agli utilizzi produttivi del fondo stesso
(es.: servitù di passaggio per trasportare merci prodotte ecc.). Non costituiscono invece servitù prediali le servitù aziendali,
quelle cioè strumentali all’azienda come tale, indipendentemente dal fondo sul quale la stessa viene esercitata (es.: diritto di
apporre un’insegna luminosa).
Nulla vieta che le servitù possano essere reciproche: poste cioè simultaneamente a favore ed a carico di due o più fondi, a
reciproco vantaggio.
La servitù, consistendo in una relazione tra due fondi, non può nascere come diritto reale se non quando l’edificio sia
costruito. Prima della costruzione il rapporto ha natura obbligatoria ed è soggetto pertanto alla prescrizione decennale.
Non costituiscono servitù prediali le c.d. servitù irregolari, in cui il servizio è prestato da un fondo a favore di una persona, (es.
quella che attribuisce a una persona il diritto di passare sul fondo altrui per esercitarvi la pesca). La ragione consiste nel fatto
che i diritti reali su cose altrui costituiscono un numerus clausus: [(numero chiuso) Espressione latina generalmente usata per
indicare che non è ammessa la creazione di altri istituti affini, oltre quelli previsti dall'ordinamento] manca la caratteristica
della predialità e inoltre non è riconosciuto alla volontà dei privati il potere di foggiare a loro arbitrio tipi di diritti reali su cose
altrui che non siano previsti dalla legge. Quindi la prevalente dottrina esclude l’ ammissibilità della costituzione volontaria di
oneri reali.[oneri reali = consistono in una attività a carattere periodico che è dovuta da un soggetto per il fatto che si trova nel
godimento di un bene (es. canoni, imposte.)]
1) La servitù può imporre al proprietario del fondo servente un dovere negativo di “non facere” (es.: il proprietario del fondo
servente non può elevare la costruzione esistente sul fondo per non togliermi la veduta) o di “pati” (es.: il proprietario del
fondo servente deve sopportare che il proprietario del fondo dominante passi sul suo fondo), non un dovere positivo
(“facere”). Questi obblighi positivi servono soltanto per rendere possibile od agevole l’esercizio della servitù. Art. 1030 il
proprietario del fondo servente non è tenuto a compiere alcun atto per rendere possibile l’esercizio salvo che la legge
disponga altrimenti.
2) La servitù presuppone che i fondi appartengano a proprietari diversi
3) I fondi devono trovarsi in una situazione topografica che l’uno (fondo servente) possa arrecare utilità all’altro (fondo dominante).
La vicinitas non deve intendersi in senso assoluto, ma relativo al contenuto della servitù (es.: una servitù di passaggio può
essere costituita anche quando tra i due fondi non vi sia contiguità fisica e la servitù debba esercitarsi attraverso un fondo
intermedio, ecc.)
Può avvenire (1031 c.c.):
a) In attuazione di un obbligo di legge (servitù coattive)
b) Per volontà dell’uomo (servitù volontarie)
c) Per usucapione (1061 c.c.)
d) Per destinazione del padre di famiglia (1062 c.c.) La destinazione del padre di famiglia ha luogo quando consta, mediante
qualunque genere di prova (2697 e seguente), che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso
proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù. Se i due fondi cessarono di
appartenere allo stesso proprietario, senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa s'intende stabilita attivamente
e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati
In taluni casi la legge, in considerazione della situazione nella quale si trova un fondo, si preoccupa del pregiudizio che lo
stesso arrechi alla possibilità di utilizzazione dell’immobile ed attribuisce al proprietario il diritto potestativo (alias 'attribuzione
di un potere ad un soggetto allo scopo di tutelare un suo interesse.) di ottenere l’imposizione della servitù sul fondo altrui e
così ovviare alla situazione pregiudizievole.(es. servitù di passaggio sul fondo per accedere alla via pubblica). In contropartita
del sacrificio che subisce, il proprietario del fondo su cui viene imposta la servitù, ha diritto ad un’indennità.
Occorre chiarire in che modo si costituiscono queste servitù: se il mio fondo si trova nelle condizioni previste dalla legge, io
non posso coattivamente esercitare la servitù e cominciare a passare sul fondo altrui. La legge mi attribuisce il diritto ad
ottenere la servitù ma, per costituirla concretamente, occorrerà:
a) Un contratto (se l’altro proprietario acconsente a riconoscere bonariamente il mio diritto) (1032 c.c.) servitù coattiva
b) Che mi rivolga al giudice, che con una sentenza (costitutiva) farà nascere la servitù, determinando altresì l’indennità che
devo pagare al proprietario del fondo servente (1032 c.c.). Finché detto pagamento non sia intervenuto, il proprietario del
fondo servente non può opporsi all’esercizio della servitù, si vuol così impedire al proprietario di farsi giustizia da sé e far
sì che il giudice accerti se in concreto sussistono i requisiti dalla legge previsti in astratto per l’imposizione della servitù e
fissi l’indennità dovuta.
c) La legge prevede in talune ipotesi che l’avente diritto ad una servitù coattiva possa richiederne costituzione alla P.A. in
forza di un atto amministrativo
Il venir meno dei presupposti che avevano giustificato la costituzione della servitù coattiva, ne legittima la richiesta di
estinzione.
Le figure più importanti di servitù legali (che sono tipiche in quanto previste dalla legge) sono:
a) Acquedotto coattivo (1033 ss. c.c.), su cui si modellano l’elettrodo coattivo ed il passaggio coattivo di linee teleferiche.
Perciò il proprietario è tenuto a consentire il passaggio delle acque, sia che servano ai bisogni della vita, sia che siano
destinate ad usi agrari o industriali.
Il diritto all’acquedotto coattivo sussiste anche quando l’acqua non è necessaria, ma utile. (es. ho acqua sufficiente a ne
vorrei di più per irrigare meglio il mio fondo in modo che risulti più redditizio)
b) Elettrodo coattivo (1056 c.c.): per l’importanza che l’energia elettrica ha assunto nella vita moderna, ogni proprietario è
tenuto a dar passaggio per i suoi fondi alle condutture elettriche
c) Passaggio coattivo (1051 ss. c.c.): l’accesso di un fondo alla via pubblica è condizione indispensabile per la sua
utilizzazione; la sua mancanza legittima l’imposizione della servitù di passaggio sul fondo vicino.
Il diritto alla servitù sussiste non soltanto nell’ipotesi più grave in cui il fondo non ha né può avere accesso alla via pubblica ma
anche in quella in cui il proprietario non può procurarsi l’uscita senza eccessivo dispendio o disagio (Es. tra il fondo e la strada
c’è un fiume e devo costruire un ponte)
Come si vede, la legge tiene conto delle ragionevoli esigenze inerenti all’utilizzazione del fondo.
Perciò nemmeno il fatto che il fondo abbia già un accesso alla via pubblica (fondo non intercluso) è d’ostacolo alla
costituzione della servitù nelle due ipotesi seguenti:
a) Vi sia bisogno, ai fini del conveniente uso del fondo, di ampliare l’accesso esistente per il transito dei veicoli anche a
trazione meccanica.
b) Il passaggio esistente sia inadatto o insufficiente ai bisogni del fondo e non possa essere ampliato.
Il sacrificio che con l’imposizione della servitù s’impone al fondo servente dev’essere il minore possibile. Dunque la legge
stabilisce i seguenti criteri che il giudice deve tenere presente per la determinazione del luogo del passaggio: maggiore
brevità del passaggio e minor danno del fondo su cui la servitù deve essere costituita.
Quando un fondo non si trova in quelle condizioni sfavorevoli che giustificano la costituzione di una servitù legale, il
proprietario di esso può assicurarsi l’utilità che occorre per il suo migliore sfruttamento mediante la conclusione di un contratto
con il proprietario del fondo su cui vorrebbe acquistare la servitù Il contratto, riferendosi ad un diritto reale immobile, deve farsi
per iscritto ed è soggetto, sia a l’opponibilità ai terzi, (ovvero che costituisce prova anche nei confronti di soggetti che sono
estranei al contratto) sia a trascrizione. (La trascrizione è lo strumento con il quale si da pubblicità legale agli atti riguardanti
diritti reali (si trascrivono le compravendite, le divisioni, le domande giudiziali)]
La servitù può essere costituita anche per testamento. L’accettazione di eredità che importi l’acquisto di una servitù è
soggetta a trascrizione.
Servitù apparenti sono quelle al cui esercizio sono destinate opere visibili e permanenti, obiettivamente e strumentalmente
destinate all'esercizio della servitù, costituenti il mezzo necessario affinché la servitù sia esercitata e tali da rendere evidente
l'esistenza di un peso. Le servitù apparenti si possono costituire anche mediate usucapione (ventennale) o destinazione del
padre di famiglia Si pensi ad un ponte, una passerella, una strada: queste opere possono manifestare l'esistenza di una
servitù di passaggio e palesare l'intenzione di esercitare la servitù. Ai fini dell' usucapibilità della servitù, devono essere visibili
in tutto o in parte, dal fondo servente: ciò è logicamente connesso con la considerazione in base alla quale il proprietario del
fondo servente deve essere in grado di rendersi conto della potenziale insorgenza del diritto reale.
Servitù non apparenti, sono quelle ove non si hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio. Non sono apparenti
servitù come quelle di pascolo e tutte le servitù negative (consistono in un obbligo di non fare del proprietario del fondo
servente es. non edificare non sopraelevare). Non possono acquistarsi per usucapione o per destinazione del padre di
famiglia, solo per contratto o testamento precisando al secondo comma che non apparenti
Per quanto riguarda la destinazione del padre di famiglia (La destinazione del padre di famiglia è un modo di acquisto a titolo
originario, proprio delle servitù apparenti; è il rapporto di servizio stabilito fra due fondi appartenenti allo stesso proprietario.
Ad esempio: su uno dei due fondi, c'e' una sorgente d'acqua, e il loro proprietario ha costruito un acquedotto per portare
l'acqua all'altro fondo.) occorre tener presente che, non può sorgere alcuna servitù perché non si può costituire servitù sulla
cosa propria. Ma se il fondo cessa di appartenere allo stesso proprietario allora è opportuno che lo stato di fatto che
consentiva ad una parte del fondo di trarre utilità e vantaggi dalle opere costruite sull’altra parte del fondo possa continuare
legittimamente: a tal fine il c.c. prevede che si costituisca ex lege (alias in esecuzione diretta di una norma) una servitù
corrispondente allo stato di fatto preesistente; non occorre dunque alcuna manifestazione di volontà negoziale per la
costituzione della servitù, il preesistente rapporto di servizio si trasforma automaticamente in una servitù di un fondo a favore
dell'altro.
L’esercizio delle servitù è regolato dal titolo (contratto, testamento, sentenza); e, in mancanza di esso dalla legge (art. 1063
c.c.).
Il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne: cioè sono incluse anche le facoltà accessorie, se
indispensabili per l’esercizio della servitù (es.: il diritto di attingere acqua comprende il diritto di passaggio sul fondo in cui la
fonte si trova).
Si chiama “modo” d’esercizio della servitù, l’elemento che determina come la servitù deve essere esercitata (a piedi, con
carro, con camion ecc)
Vi è la regola secondo cui le servitù debbono essere esercitate soddisfacendo il bisogno del fondo dominante con il minor
aggravio del fondo servente (principio del minimo mezzo). conseguenza di tale principio è il divieto al proprietario del fondo
dominante di aggravare ed a quello del fondo servente di diminuire l’esercizio della servitù.
Le spese necessarie per l’uso e la conservazione della servitù sono a carico, di regola, del proprietario del fondo dominante.
Rinunzia alla servitù:
a) Per rinuncia da parte del titolare, fatta per iscritto (tramite contratto se presente un corrispettivo, per atto unilaterale se
non c’è contropartita).
b) Per scadenza del termine, se la servitù è a tempo.
c) Per confusione ovvero il proprietario acquista la proprietà del fondo servente o viceversa
d) Per prescrizione estintiva ventennale (c.d. non uso)
In quest’ultimo caso bisogna distinguere, a seconda della natura della servitù, da quale momento comincia a decorrere il
termine per la prescrizione estintiva:
a) Servitù “negative”, quando attribuiscono al proprietario del fondo dominante il potere di vietare al proprietario del fondo
servente di fare qualche cosa, di svolgere un’attività sul proprio fondo; a tale potere corrisponde un obbligo di non facere
da parte del proprietario del fondo servente
b) Servitù. “affermative”, quando attribuiscono al proprietario del fondo dominante il potere di fare qualche cosa, di svolgere
un’attività del fondo servente.(es. passare pascolare ecc).
Esse si distinguono a loro volta in:
Continue, quando l’attività dell’uomo è antecedente all’esercizio della servitù (es. costruisco l’acquedotto a poi
l’acqua scorre naturalmente in base a legge fisica)
Discontinue, quando invece il fatto dell’uomo deve essere concomitante con l’esercizio della servitù (es.
esercito la servitù di passaggio perché passo sul fondo altrui)
Dunque, se la servitù è negativa, il proprietario del fondo dominante nulla deve fare per esercitare la servitù (posto il divieto,
altro non gli rimane che vigilare affinché l’altro non lo violi): la prescrizione non comincia quindi a decorrere se non quando il
proprietario del fondo servente ha violato il divieto (es.: ha innalzato la sua costruzione); se la servitù affermativa è continua,
si riproduce la stessa situazione (costruito l’acquedotto il proprietario non deve far nulla per ritrarre dalla servitù l’utilità voluta):
perciò anche in questo caso la prescrizione non comincia a decorrere se non quando si è verificato un fatto contrario
all’esercizio della servitù (es.: allorquando l’acquedotto è stato ostruito); se la servitù è affermativa discontinua la prescrizione
estintiva comincia a decorrere dall’ultimo atto di esercizio (es.: dall’ultima volta che sono passato sul fondo servente).
L’impossibilità di fatto di utilizzare la servitù, così come la cessazione della sua utilità comportano la sospensione della
servitù:ma non l’estinzione,essa si verifica quando sia decorso il termine (ventennale) per la prescrizione. Questo perchè lo
stato dei luoghi potrebbe mutare ad es. si inaridisce la sorgente che poi si irriga nuovamente.
Il modo di una servitù non è soggetto a prescrizione estintiva (estinzione di un diritto conseguente al suo mancato esercizio il
termine prescrizione viene talvolta usato per indicare il fenomeno inverso (nel qual caso si parla di prescrizione acquisitiva, o
usucapione): la servitù si conserva per intero, ciò perché per non uso si può estinguere solo il diritto, non il modo, che non ha
un valore autonomo (non muore ciò che non ha vita propria).
A tutela della servitù è preordinata l’“azione confessoria”, in forza della quale (di fronte ad una contestazione dell’esistenza o
consistenza della servitù) chi se ne afferma titolare chiede una pronuncia giudiziale di accertamento del suo diritto e,
nell’ipotesi in cui detta contestazione sia tradotta in impedimenti o turbative all’esercizio della servitù stessa, anche di una
pronuncia di condanna alla loro cessazione ed alla remissione delle cose in pristino, oltre che al risarcimento del danno.
Legittimato attivamente è colui che si afferma titolare della servitù; legittimato passivamente il soggetto che, avendo un
rapporto attuale con il fondo servente, contesta l’esercizio della servitù o che, comunque, ne turba o impedisce l’esercizio.
L’attore durante l’ Azione confessoria della servitù deve fornire la prova rigorosa dell’esistenza della servitù. A tutela della
servitù possono esprimersi le azioni di reintegrazione e di manutenzione.
LA COMUNIONE E IL CONDOMINIO A) LA COMUNIONE
Un diritto soggettivo può appartenere a più persone, le quali sono tutte contitolari del medesimo (unico) diritto. Il fenomeno
della contitolarità, se ha ad oggetto un diritto reale, (es. Tizio e Caio comprano insieme un appartamento) prende il nome di
“comunione pro indiviso” .
Secondo l’opinione maggiormente accreditata, il diritto di ciascuno dei contitolari investe l’intero bene, seppure il relativo
esercizio trovi necessariamente limite nell’esistenza dell’ugual diritto degli altri compartecipi. (es. in un appartamento il diritto
non cade su l’una o l’altra parte del bene es. primo e secondo piano ma sull’intero immobile)
A ciascuno dei contitolari spetta dunque una quota ideale sull’intero bene: detta quota è di regola disponibile (es.: Tizio potrà
vendere in qualsiasi momento la sua quota) e segna la misura di facoltà, diritti ed obblighi dei rispettivi titolari (Tizio e Caio
dividono i frutti dell’immobile es la locazione e le spese di gestione es. le imposte ecc.)
Nell’ipotesi in cui non sia diversamente previsto, le quote si presumono uguali
La comunione si distingue dalla società per il fatto che, mentre i compartecipi alla comunione si limitano ad esercitare in
comune il godimento di un determinato bene (2248 c.c.), i compartecipi alla società esercitano in comune un’attività
economica volta alla produzione e allo scambio di beni e servizi.
La distinzione diviene più labile allorquando si tratti di una comunione che ha come oggetto un bene produttivo (es.: fondo
rustico, azienda, ecc.). In tal caso si rimane nell’ambito della comunione se i compartecipi non utilizzino il bene, o lo
concedano in godimento a terzi, ovvero si limitano a raccoglierne i frutti naturali, senza che la loro attività possa qualificarsi
come “d’impresa”. Così ad es., se il padre che gestiva un’impresa agricola sul fondo di sua proprietà, morendo, lascia la
propria azienda ai tre figli, fra questi ultimi verrà a costituirsi una comunione sull’azienda paterna; se poi, due dei tre figli
dovessero continuare l’attività del padre, si costituirà tra questi ultimi una società.
Quanto ai modi di costituzione, la comunione si distingue in:
Volontaria, quando scaturisce dall’accordo dei futuri contitolari
Incidentale, quando scaturisce senza un atto dei futuri contitolari (es.: per testamento di Tizio)
Forzosa, quando scaturisce dall’esercizio di un diritto potestativo da parte di uno dei futuri contitolari (es. comunione
forzosa del muro)
Si è soliti distinguere fra:
Comunione ordinaria (1100-1116 c.c.)
Comunioni speciali, che sono quelle figure autonomamente previste e regolate dalla legge. (es condominio
negli edifici)
Per quel che riguarda la comunione ordinaria, la disciplina prevista dal codice può essere derogata dal titolo. La disciplina
della comunione ordinaria risponde alla logica secondo cui il diritto di ciascuno dei contitolari, pur investendo il bene nella sua
totalità, incontra un limite nel diritto degli altri compartecipi.
Per quanto riguarda i poteri di godimento:
a) Ciascuno dei contitolari può servirsi della cosa comune, a condizione però che:
Non ne alteri la destinazione (es.: trasformando la villa comune in un albergo)
Non impedisca agli altri di parimenti utilizzarla in proporzione al diritto di ciascuno (es costruendo un box auto
nell’area comune)
Anche chi possiede una quota minima può fruire del bene in tutta la sua estensione, cioè l’utilizzazione non è
necessariamente proporzionale alla quota.
Le parti possono derogare alla regola legale dell’uso promiscuo concordando una divisione del godimento del bene
comune nello spazio e/o nel tempo. (es due comproprietari possono accordarsi per abitare uno al primo piano uno al
secondo della casa comune)
Al singolo contitolare è consentito apportare alla cosa comune modificazioni che ritiene necessarie, sempre nei limiti in
cui ciò non importi alterazione della destinazione del bene o impedimento del diritto degli altri partecipanti a parimenti
goderne (e purché se ne accolli le relative spese).
b) Ciascuno dei contitolari ha diritto di percepire i frutti della cosa in proporzione della rispettiva quota, pur dovendo
partecipare in ugual misura alle spese per la gestione, al pagamento delle imposte, ecc.
Per quel che riguarda il potere di disposizione, ciascun comproprietario può disporre della propria quota alienandola
ipotecandola ecc: non può ovviamente disporre né della quota altrui né dell’intero, che non gli compete.
Gli atti di disposizione del bene (alienazione locazione superiore a nove anni) richiedono il consenso di tutti i contitolari.
Ciascuno dei compartecipi ha diritto di concorrere all’amministrazione della cosa comune.
Il codice prevede che le deliberazioni relative all’amministrazione della cosa comune vengano adottate in base al principio di
maggioranza, che si calcola con riferimento al valore delle rispettive quote. Così: per gli atti di ordinaria amministrazione
ovvero quelli finalizzati alla conservazione e normale utilizzazione della cosa comune(quote rappresentanti più della metà del
valore complessivo della cosa comune); per gli atti di straordinaria amministrazione (quote rappresentanti i due terzi); per le
innovazioni (quote rappresentanti i due terzi).
Nell’ipotesi in cui non vengano presi i provvedimenti necessari per l’amministrazione della cosa comune, così come
nell’ipotesi in cui la decisione adottata non venga eseguita, ciascun compartecipante può ricorrere all’Autorità giudiziaria
perché emetta i provvedimenti opportuni, eventualmente anche nominando un amministratore. Può essere formato un
regolamento per l'ordinaria amministrazione e l'amministrazione può essere delegata ad uno o più partecipanti, o anche a un
estraneo, determinandosi i poteri e gli obblighi dell'amministratore
Se non vengono deliberati gli interventi necessari alla conservazione della cosa comune, il singolo può addirittura provvedervi
direttamente, dopo aver interpellato gli altri, con diritto al rimborso delle spese sostenute.
Le spese deliberate con le maggioranze sopraindicate gravano su ciascun partecipe alla comunione in proporzione della
rispettiva quota.
La giurisprudenza ritiene che ciascun contitolare sia singolarmente legittimato al compimento di atti di ordinaria
amministrazione (rappresentanza), in quanto deve presumersi che agisca con il consenso degli altri.(es. intimare lo sfratto
all’inquilino dalla cosa comune)
Ugualmente si ritiene che il singolo partecipante sia legittimato a proporre azioni petitorie a difesa del diritto comune, azioni
possessorie a difesa della comune situazione possessoria, azioni risarcitorie per i danni sofferti dalla cosa comune.
Il nostro codice da un lato, attribuisce a ciascuno dei partecipanti la facoltà di chiedere, lo scioglimento della comunione. in
qualsiasi momento ed anche contro la volontà della maggioranza, lo scioglimento. Per evitare, però, che la comunione sia
sciolta poco dopo la sua costituzione, i comunisti possono stipulare un patto per rimanere in comunione per un tempo
determinato. Tale patto, tuttavia, non può avere durata superiore a dieci anni; nel caso sia stato stipulato per un periodo
superiore non sarà invalido, ma il termine originariamente stabilito si riduce a dieci anni.
L’eventuale indivisibilità del bene comune (es un cavallo) non preclude lo scioglimento della comunione: il bene infatti può
essere alienato a terzi o assegnato a uno dei contitolari. Lo scioglimento della comunione non è consentito solo se ha ad
oggetto beni che, se divisi, cesserebbero di servire all’uso cui sono destinati. (es. se il cortile di due immobili che,se diviso,
non consentirebbe l’accesso ai suddetti) B) IL CONDOMINIO
Il condominio si ha allorquando in un medesimo stabile coesistono più porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di
singoli condomini e parti comuni strutturalmente e funzionalmente connesse al complesso delle prime (muri maestri il
suolo (art. 1117 c.c.).
Salvo che sia diversamente previsto nel titolo, le parti comuni appartengono in comunione a tutti i proprietari esclusivi delle
singole unità immobiliari site nel condominio in proporzione al valore di ciascuna di dette unità immobiliari rispetto al valore
dell’intero edificio.
Il singolo condomino:
Può far uso delle parti comuni (entro i limiti della destinazione, dell’esercizio e dei diritti, vantati sulla
• personale porzione, degli altri condomini) (c.d. uso promiscuo). (es. posso installare un antenna sul tetto ma non
un cisterna nel cortile comune)
Deve contribuire, in misura proporzionale alla propria quota, alle spese necessarie per la conservazione ed il
• godimento delle parti comuni, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune, nonché per le innovazioni
deliberate dalla maggioranza. Se le cose sono destinate a servire i condomini in misura diversa le spese sono
ripartite in proporzione all’uso (es un edificio con più scale destinate a servire una parte sola del fabbricato la
manutenzione è a carico dei condomini che ne traggono utilità)
Non può disporre liberamente delle parti comuni nella loro totalità e neppure della propria quota su di esse (es.:
• non può cedere a terzi la propria quota di comproprietà sul cortile comune), se non congiuntamente alla porzione
immobiliare di sua proprietà esclusiva.
Per disporre (ad es.: alienandoli) dei beni condominiali occorre l’accordo di tutti i condomini. Poiché le parti comuni sono
funzionali ad un miglior sfruttamento delle unità immobiliari di proprietà individuale, ne è sancita la indivisibilità (proprio per ciò
la comunione condominiale si dice necessaria).
Organi del condominio sono: se i condomini sono più di quattro è obbligatoria la nomina di amministratore (art. 1129 c.c.) cui
è affidata la gestione delle parti comuni e se i condomini sono più di dieci è obbligatoria la formazione di un regolamento di
condominio che contenga le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi
spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione
Di competenza dell’assemblea sono: l’adozione del regolamento condominiale la nomina dell’amministratore, l’approvazione
del preventivo delle spese occorrenti durante l’anno e la relativa ripartizione tra i condòmini, l’approvazione del rendiconto
annuale e l’impiego del residuo attivo di gestione, la decisione in ordine alle opere di manutenzione straordinaria ed alle
innovazioni, e la decisione in ordine ad eventuali azioni giudiziarie, attive o passive.)
L’assemblea (convocata dall’amministratore con avviso almeno cinque giorni prima) è validamente costituita con l’intervento di
tanti condòmini che rappresentino i due terzi non solo del valore dell’intero edificio, ma anche dei partecipanti al condominio
(quorum costitutivo).
Se non può deliberare per mancato raggiungimento del quorum costitutivo, l’assemblea può essere nuovamente convocata
in un giorno successivo, ma non oltre dieci giorni, per deliberare sul medesimo ordine del giorno: in questo caso, l’assemblea
(di seconda convocazione) è validamente costituita qualunque sia il numero dei condòmini presenti.
Le deliberazioni assembleari sono assunte, in prima convocazione, con un numero di voti che rappresenti la maggioranza
degli intervenuti ed almeno la metà del valore dell’edificio; in seconda convocazione, con un numero di voti che rappresenti il
terzo dei partecipanti ed almeno un terzo del valore dell’edificio. (quorum deliberativo)
Le deliberazioni assunte dall’assemblea sono vincolanti per tutti i partecipanti al condominio. Pertanto i condòmini assenti
all’assemblea o dissenzienti rispetto ad una determinata deliberazione possono impugnarla davanti all’autorità giudiziaria, se
contraria alla legge o al regolamento condominiale.
Il ricorso deve essere proposto a pena di decadenza per i condomini dissenzienti entro trenta giorni dalla data della
deliberazione e, per i condòmini assenti, dalla data in cui è stato comunicato loro il verbale dell’assemblea.
Quorum più elevati sono previsti per la nomina e la revoca dell’amministratore o le deliberazioni che concernono la
ricostruzione dell’edificio.
Le deliberazioni assunte dall’assemblea sono vincolanti per tutti i partecipanti al condominio.
Dalle deliberazioni annullabili poiché impugnabili tramite autorità giudiziaria perché contrarie alla legge o al regolamento di
condominio occorre tener distinte le deliberazioni nulle: tali debbono qualificarsi le delibere prive degli elementi essenziali, le
delibere con oggetto impossibile o illecito (contrario all’ordine pubblico, alla morale o al buon costume), le delibere con
oggetto che non rientra nelle competenze assembleari, le delibere che incidono sui diritti individuali dei condòmini sulle cose o
servizi comuni (es.: la delibera che assegni in via esclusiva ad un condomino l’uso del cortile condominiale). L’azione di nullità
può essere esperita da chiunque vi abbia interesse (non solo dai condòmini assenti o dissenzienti) e non è soggetta a termini
di prescrizione o decadenza.
All’amministratore (nominato dall’assemblea, dura in carica un anno, può essere revocato in ogni tempo dall’assemblea
stessa) compete di eseguire le deliberazioni dell’assemblea, curare l’osservanza del regolamento, disciplinare l’uso delle
cose comuni e la prestazione dei servizi, riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria
delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni, compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti
comuni.
I provvedimenti presi dall’amministratore nell’ambito dei suoi poteri sono obbligatori per i condòmini. Contro detti
provvedimenti è peraltro ammesso ricorso all’assemblea.
L’amministratore, nei limiti delle sue attribuzioni, ha la rappresentanza del suo condominio; e può agire in giudizio sia contro i
condòmini, sia contro i terzi.
L’assemblea approva con le maggioranze richieste per le deliberazioni in prima convocazione un regolamento che contenga
le norme circa l’uso delle cose comuni, la ripartizione delle spese, la tutela del decoro dell’edificio, l’amministrazione del
condominio (1138 c.c.).
Né l’assemblea né il regolamento approvato da essa può imporre limitazioni ai diritti dei singoli condòmini sulle unità
immobiliari di rispettiva proprietà esclusiva ma solo, eventualmente, obblighi intesi a garantire il reciproco rispetto delle comuni
esigenze.
Naturalmente, nulla impedisce che i condòmini concordino (all’unanimità) limitazioni a carico delle proprietà esclusive,
venendo così a costituire servitù reciproche, rispettivamente a favore ed a carico delle singole unità immobiliari di proprietà di
ciascuno: in tal caso, l’accordo avrà natura contrattuale e dovrà essere formalizzato per iscritto. Le clausole che, pur
approvate con il consenso totalitario dei partecipanti, si limitino a disciplinare l’uso dei beni comuni possono essere modificate
con la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio. (mentre per quelle che limitino i diritti dei
condòmini sulle proprietà esclusive o comuni, ovvero siano attributive ad alcuni condòmini di maggiori diritti rispetto ad altri,
devono essere modificate all’unanimità).
Nell’ipotesi in cui una pluralità di edifici, costituiti in distinti condomini, siano legati tra loro dall’esistenza di talune cose,
impianti o servizi comuni (es.: il viale d’accesso, le zone verdi, l’impianto di illuminazione ecc.) in rapporto di accessorietà
rispetto a detti singoli condomini , si ha quello che viene comunemente denominato “supercondominio”.
Secondo la giurisprudenza al supercondominio sono applicabili:
a) Le norme dal codice dettate in tema di condominio, per quanto riguarda le parti comuni caratterizzate da un rapporto di
accessorietà che lega alle singole proprietà individuali, delle quali rendono possibile l’esistenza stessa o l’uso (es. le
portinerie le reti viarie interne)
b) Le norme dal codice dettate in tema di comunione, per quanto riguarda le altre eventuali strutture che invece siano dotate
di una propria autonoma utilità (es. le attrezzature sportive gli spazi di intrattenimento)
c) C) LA MULTIPROPRIETA'
Il termine “multiproprietà” indica un’operazione economica volta ad assicurare al c.d. multiproprietario un potere di
godimento, che arieggia a quello che il codice riconosce al proprietario, su di un’unità immobiliare (completamente arredata e
normalmente inserita in un più vasto insediamento turistico - residenziale, talora anche alberghiero e commerciale) ma solo
per un determinato e normalmente invariabile periodo di ogni anno (es. 1-15 Agosto); mentre analogo potere, per restanti
periodi, compete agli altri multiproprietari.
Per dar veste giuridica all’operazione la prassi italiana ha fatto ricorso, in via prevalente, all’istituto della comunione:A ciascun
multiproprietario viene venduta una quota in comproprietà pro indiviso di un complesso residenziale
La chiave di volta del sistema della multiproprietà è rappresentata dalla comproprietà pro indiviso, (un diritto o un bene
appartiene e più soggetti senza che esso sia però suddiviso in parti distinte....) il cui regime legale viene derogato dal titolo; in
forza cioè di un accordo intercorrente fra tutti i partecipanti attraverso cui ciascuno, pur continuando a rimanere contitolare
dell’intero, rinuncia a servirsene nei tempi ed in relazione agli spazi attribuiti in uso agli altri.
Pur continuando a non dettare alcuna disciplina sostanziale della multiproprietà, il legislatore italiano è intervenuto
introducendo tutta una serie di previsioni volte, principalmente, a garantire che chi effettua un acquisto in multiproprietà sia
pienamente edotto dei termini dell’operazione che va a stipulare, e conseguentemente, presti un consenso informato.
IL POSSESSO
Possesso = è uno stato di fatto che si collega con la detenzione materiale del bene può essere collegato ad altri diritti (per es.
i reali di godimento) o semplicemente alla situazione del momento
Proprietà = il proprietario ha la facoltà di godere della cosa il che significa che egli può usarla per il soddisfacimento dei propri
interessi. assieme alla facoltà di godere sta la facoltà di disporre, la quale si esercita sia trasferendo ad altri la proprietà della
cosa, sia conoscendone altri altri il godimento. Il proprietario può anche avere il possesso
Diritti reali di godimento = i diritti reali di godimento (usufrutto, uso, abitazione, superficie, enfiteusi, servitù) che conferiscono
una serie di diritti tra cui il possesso (es. possesso della servitù )
In diritto si definisce possesso una situazione di fatto che consiste nell'utilizzare una cosa e nel disporne, nei modi e
con i poteri che la legge attribuisce ai titolari di diritti reali sulla cosa stessa.
Esempio: il soggetto titolare di un diritto di passaggio a titolo di servitù, lo esercita attraversando con regolarità il fondo
servente; questa azione di attraversamento indica che essa ha pure il possesso della servitù. Allo stesso modo il
possessore - ad immagine della proprietà - di un'auto ne fa uso in modo esclusivo, paga la tassa di possesso, ne cura
la manutenzione e così via. Il nucleo fondante del possesso (salvo il concorso di altri elementi in ragione della tesi
accolta) consiste, dunque, nello svolgimento, rispetto ad una cosa, di comportamenti propri e peculiari del titolare di un
diritto reale, senza che abbia rilievo la titolarità effettiva del diritto stesso (questa concorre all'identificazione della
buona o mala fede del possessore, ma non alla qualificazione del possesso in quanto tale).
Altro è avere il diritto di godere e disporre di un determinato bene altro è il fatto di effettivamente godere e disporre di detto
bene (esercitare cioè di fatto i poteri riconosciuti per legge al proprietario (es. io godo guidandola e dispongo vendendola
della mia automobile). Può accadere infatti che il proprietario non sia in grado di fatto di esercitare i poteri riconosciutigli dalla
legge (mi rubano l’automobile non posso ne goderne de disporre) ; così come un soggetto, pur non avendo il diritto di
proprietà su un bene, si comporta di fatto come se lo avesse. (il ladro che mi ha rubato l’auto)
Il codice attribuisce giuridica rilevanza alle situazioni di fatto che si estrinsecano attraverso un’attività corrispondente
all’esercizio dei diritti reali e ciò a prescindere dalla circostanza che alle stesse corrisponda o meno la correlativa situazione di
diritto.
Le ragioni della tutela delle situazioni possessorie sono varie:
Proteggendo il fatto esteriore e facilmente accertabile della situazione possessoria la legge assicura allo
stesso proprietario (che di solito è il possessore della cosa) una difesa rapida ed efficace.
Impedendo che si arrechi molestia o violenza al possessore si conserva la pace tra i consociati. Chi contro lo
stato di fatto del possesso esercitato da altri vuole opporre il suo diritto deve agire in giudizio e non può farsi giustizia
da solo, togliendo all’altro la cosa.
A questo punto si può agevolmente intendere la differenza che corre tra ius possessionis e ius possidendi:
Il primo designa l’insieme dei vantaggi che il possesso di per sé genera a favore del possessore
Il secondo designa la situazione di chi ha effettivamente diritto a possedere il bene: diritto che implica il potere
di rivendicare il bene stesso presso chiunque lo possieda senza titolo (così ad es. il ladro ha lo ius possessionis, il
proprietario lo ius possidendi).
Il possesso dunque non è un diritto bensì una situazione di fatto produttiva di effetti giuridici.
Oggetto del possesso sono le “cose”, cioè i beni materiali. Non sono oggetto di possesso le cose di cui non si può acquistare
la proprietà cioè i beni demaniali ed i beni del patrimonio indisponibile dello Stato e degli altri enti pubblici patrimoniali, che
infatti non possono essere acquistati per usucapione.
Occorre distinguere:
Possesso pieno che è caratterizzato dal concorso di due elementi costitutivi: l’uno oggettivo, consistente
nell’avere la disponibilità di fatto della cosa; l’altro soggettivo, consistente nella volontà del soggetto di comportarsi,
con riferimento al bene, come proprietario, ad esclusione di qualsiasi altro (es. il ladro che utilizza la vettura come
fosse sua)
Detenzione, che è caratterizzata dal concorso di due elementi costitutivi: l’uno oggettivo, consistente nell’avere
la disponibilità di fatto della cosa; l’altro soggettivo consistente nella volontà del soggetto di godere e disporre del
bene, ma nel rispetto dei diritti che, sul medesimo bene, riconosce spettare ad altri. (es. l’inquilino dell’immobile
riconosce che non ne è proprietario e rispetta il diritto di quest’ultimo pagando il canone non apportando innovazioni
non consentitegli ecc.)
Possesso mediato, che è caratterizzato dal solo elemento soggettivo , mentre la disponibilità materiale del
bene compete al detentore
Il possesso su un determinato bene può essere esercitato congiuntamente da più soggetti ad un medesimo titolo (es.: una
casa acquistata in comunione): si parla allora di compromesso, che si concretizza in un’attività corrispondente all’esercizio di
diritti (reali in comunione.)
N.B. i diritti reali fanno parte della categoria dei diritti assoluti (come il diritto al nome)
ma si differenziano dagli altri diritti assoluti perché hanno ad oggetto cose
Differenza Possesso e detenzione.
Secondo l’ipostazione tradizionale possesso e detenzione sono caratterizzati dal medesimo elemento obiettivo (cioè la
materiale disponibilità del bene), si distinguono in base all’elemento soggettivo (animus):. detiendi nella detenzione e
possidendi nel possesso. (es. il ladro è possessore l’amico a cui presto l’auto è detentore)
I requisiti soggettivi dell’a.p. e dell’a.d. non trovano riscontro alcuno nelle previsioni codicistiche; in realtà, ai fini della
qualificazione di una situazione di fatto come “possessoria” o “detentoria”, rileva non già lo stato psicologico soggettivo di chi
acquisisce la materiale disponibilità del bene (corpus), bensì il titolo in forza del quale detta acquisizione si verifica. (ad es. lo
studente che prende in prestito un libro di una biblioteca diventa detentore sia se ne rispetta il diritto restituendo il libro sia se
lo faccia proprio non restituendolo)
Invero, ciò che rileva ai fini della distinzione fra possesso e detenzione è non già lo stato psicologico che il soggetto nutre, nel
proprio interno, nel momento in cui acquisisce la materiale disponibilità del bene, bensì lo stato psicologico (animus) che, in
quel momento il soggetto manifesta all’esterno: e, all’esterno, l’animus manifestato dipende in buona sostanza dal titolo in
forza del quale avviene siffatta acquisizione, ovvero delle modalità con cui detta acquisizione si realizza. (tornando al nostro
esempio se il libro non viene riportato in biblioteca chi lo ha preso in prestito mostra all’esterno di voler rispettare i diritti della
biblioteca nulla rivela se questa volontà coincida o meno con quella effettiva)
Nel dubbio l’esercizio del potere di fatto su un bene si presume integrare la fattispecie del possesso: spetta a chi nega la
sussistenza del possesso l’onere di provare che, nel caso di specie, ricorre un’ipotesi di semplice detenzione.
Art.1141 - Mutamento della detenzione in possesso - Si presume il possesso in colui che esercita il potere di fatto, quando
non si prova che ha cominciato a esercitarlo semplicemente come detenzione.
A nulla rileva il mutamento psico - comportamentale della detenzione in possesso ovvero se in cuor suo il detentore intenda
comportarsi come un vero e proprio proprietario (es. se colui che prenda il libro in biblioteca decida nel suo intimo di non
restituirlo più)
Il mutamento della detenzione in possesso (interversione del possesso) può avvenire solo se la modificazione dello stato
psicologico del detentore venga manifestata all’esterno, in forza:
a) Di opposizione del detentore rivolta al possessore: in forza di un atto (giudiziale o stragiudiziale) scritto od orale con cui il
detentore manifesti inequivocabilmente l’intenzione di continuare a tenere la cosa per sé non più come detentore bensì
come possessore per conto ed in nome proprio (es. dichiarazione alla biblioteca nella quale si neghi di dover restituire il
libro)
b) Di causa proveniente da un terzo: in forza cioè di un atto con il quale l’attuale possessore (quand’anche non legittimato a
disporre del bene) attribuisca al detentore la propria posizione possessoria. (es. il ladro che dopo avermi concesso la
detenzione dell’auto perché la esaini e la venda
Il possesso si distingue in:
a) Possesso legittimo, che si ha allorquando il potere di godere e disporre del bene è esercitato dall’effettivo titolare del
diritto di proprietà: in tal caso la situazione di fatto coincide esattamente cin la situazione di diritto (es. il pescatore gode e
dispone di fatto del pesce pescato ed ha il diritto di goderne e disporne)
b) Possesso illegittimo, che si ha allorquando il potere di godere e disporre del bene è esercitato di fatto da persona diversa
dall’effettivo titolare del diritto di proprietà: in tal caso la situazione di fatto non coincide con la situazione di diritto; e si
articola a sua volta in:
P.i. di buona fede, dove il possessore ha acquisito la materiale disponibilità del bene ignorando di ledere l’altrui
diritto, sempre che detta ignoranza non dipenda da sua colpa grave. La qualifica di possessore di buona fede
dipende insomma dalle circostanze nelle quali avviene l’acquisto del possesso (buona fede oggettiva). (es.
acquisto un quadro in una casa d’aste senza aver ragione di sospettare che si tratti di refurtiva)
P.i. di mala fede, dove il possessore ha acquisito la materiale disponibilità del bene, conoscendo il difetto del
proprio titolo d’acquisto, ovvero dovendolo conoscere con l’ordinaria diligenza (ad es.: occupo abusivamente
un appezzamento di terreno)
P.i. vizioso, dove il possessore ha acquisito la materiale disponibilità del bene non solo in mala fede, ma
addirittura con violenza, (es.: mediante rapina) ovvero clandestinità (es. mediante furto)
In materia di possesso, si presume. la buona fede: grava su chi contesta la buona fede del possessore l’onere di provare la
sua mala fede.
La detenzione si distingue a sua volta in:
a) D. qualificata, quando il detentore ha acquisito la materiale disponibilità del bene nell’interesse proprio (es.: l’inquilino)
b) D. non qualificata, quando il detentore ha acquistato la materiale disponibilità del bene per ragioni di ospitalità (es amico
che accolgo nel mio appartamento) ovvero di servizio (es. meccanico a cui affido la mia auto per la manutenzione)
La legge attribuisce alle diverse distinzioni fra le varie situazioni possessorie una diversa rilevanza giuridica.
Il possesso di diritti reali minori.
Vi possono essere anche situazioni di fatto che corrispondono all’esercizio di diritti reali cd minori: così ad (es. se su un fondo
viene fatto passare un acquedotto, si ha possesso della servitù; se su un fondo esercito i poteri tipici dell’usufruttuario, si avrà
possesso dell’usufrutto.)
Sul medesimo bene possono coesistere possessi di diverso tipo. (es. la proprietà di tizio può coesistere con l’usufrutto di
Caio e la servitù di Sempronio)
Il codice limita la figura del possesso alle situazioni di fatto corrispondenti all’esercizio di diritti reali, ad esclusione del diritto di
superficie.
Chi ha il possesso corrispondente all’esercizio di un diritto reale minore (es. servitù o usufrutto) può modificare il titolo del
proprio possesso solo attraverso uno di quei mezzi idonei a consentire la trasformazione della detenzione in possesso
(interversione del possesso) es. trasformando l’usufrutto in proprietà cioè:
a) L’opposizione fatta dal possessore del titolo di diritto reale minore nei confronti del possessore a titolo di proprietà
b) La causa proveniente da un terzo
L’acquisto e la perdita del possesso.
Può avvenire:
a) In modo originario, con l’apprensione della cosa contro o senza la volontà di un eventuale precedente possessore
(impossessamento) ed il conseguente esercizio sulla cosa stessa di poteri di fatto corrispondenti a quelli spettanti al
titolare di un diritto reale. (es. mi approprio di un autovettura incustodita)
Non si ha acquisto del possesso se l’apprensione del bene e il relativo esercizio di fatto del diritto reale si verificano per
mera tolleranza del possessore: ossia, quando chi potrebbe impedire l’acquisto del corpus se ne astiene per spirito di
amicizia, di gentilezza, di cordialità, di buon vicinato, ecc. (es.: se un amico per mia condiscendenza, si trattiene nella mia
villa quando non ci sono, non per questo ne diventa possessore)
b) In modo derivativo, con la consegna materiale (es. consegna di un plico al destinatario) o simbolica (es consegna di un
appartamento mediante consegna delle chiavi) del bene da parte del precedente al nuovo possessore. Non è necessaria,
perché si abbia consegna, la materiale apprensione del bene, essendo sufficiente che quest’ultimo consegua la
possibilità attuale ed esclusiva di agire liberamente su di esso. (es. consegna delle merci tramite le chiavi del magazzino
dove esse sono depositate)
L’esperienza conosce due figure di Traditio Ficta, ( [Consegna fittizia] Modo di trasferimento della proprietà o del possesso,
caratterizzato da una fittizia consegna della cosa, mancando in pratica un materiale atto di apprensione o un fisico
spostamento della cosa dal precedente, al successivo possessore).
La traditio brevi manu, quando il detentore acquista il possesso del bene (es. l’inquilino che acquista la casa
che deteneva ne acquisisce il possesso non mutando la sua relazione con essa)
Il costituto possessorio, quando il possessore acquista la detenzione del bene (es. acquisto un immobile
contemporaneamente concedendolo in locazione al venditore egli conserva la relazione materiale a ne perde il
possesso)
La perdita del possesso si verifica per il venir meno di uno od entrambi gli elementi del possesso: cioè del corpus e/o
dell’animus possidendi. (se abbandono il bene viene meno il corpus se cedo il possesso del bene conservandone la
detenzione viene meno l’animus)
Per la perdita del corpus non è sufficiente una semplice dimenticanza momentanea del bene (es. scordo l’ombrello a casa di
amici) e tanto meno un occasionale distacco fisico della cosa, (es lascio la macchina parcheggiata per strada che non
precluda al soggetto di ripristinare il rapporto materiale con la stessa) occorrendo invece la sua definitiva irreperibilità od
irrecuperabilità da parte del possessore (smarrimento, furto, rapina, ecc).
Il possesso degli animali selvatici si perde allorché essi riacquistino la naturale libertà;
Per quanto riguarda gli immobili, la dottrina tradizionale ritiene che la conservazione possa avvenire anche per solo effetto
della persistenza dell’animus, nonostante si sia perduta la disponibilità fisica, (Chi è stato violentemente od occultamente
spogliato del possesso può, entro l'anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l'autore di esso la reintegrazione del possesso
medesimo.)
Il possessore illegittimo è di norma tenuto a restituire al titolare del diritto non solo il bene ma anche i frutti dal bene
prodotti a partire dal momento in cui ha avuto inizio il suo possesso.
La regola trova peraltro eccezione in caso di possesso illegittimo di buona fede: in tale ipotesi il possessore ha infatti diritto di
tenere per sé i frutti percepiti anteriormente alla proposizione, da parte del titolare del diritto, della relativa domanda giudiziale.
Solo i frutti percepiti durante la lite spettano al proprietario. Anzi dal giorno della domanda (ad evitare che il possessore,
sapendo di doverli restituire, trascuri la coltivazione o lasci perire i frutti), e fino alla restituzione della cosa, il possessore
stesso risponde verso il rivendicante non solo dei frutti percepiti durante la lite, ma anche di quelli che avrebbe potuto
percepire usando la diligenza del buon padre di famiglia.
Quanto alle spese occorre distinguere fra:
a) Spese ordinarie (quelle che servono per la produzione dei frutti ed il loro raccolto, nonché per le riparazioni ordinarie del
bene), di cui il possessore ha diritto al rimborso limitatamente al tempo per il quale è tenuto alla restituzione dei frutti: non
sarebbe giusto che chi deve restituire i frutti non abbia il diritto al rimborso delle spese effettuate per la loro produzione.
b) Spese straordinarie (quelle che servono alle riparazioni straordinarie), di cui il possessore ha sempre diritto al rimborso:
non sarebbe giusto che il proprietario si avvantaggiasse di spese che superano il limite della conservazione del bene.
c) Spese per i miglioramenti, di cui il possessore ha diritto al rimborso, purché detti miglioramenti sussistano al tempo della
restituzione: e la ragione è che, nell’interesse generale della produzione, non si è voluto distogliere chi di fatto si trova ad
utilizzare la cosa dal compimento di opere che ne accrescono il valore. Tuttavia, per quanto concerne l’importo del
rimborso, bisogna distinguere se il possesso era qualificato da buona o mala fede: al possessore di buona fede
l’indennità si deve corrispondere nella misura dell’aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti; a
quello di mala fede, nella minor somma tra lo speso ed il migliorato.
Al possessore (purché di buona fede) è riconosciuto il diritto di ritenzione: cioè, il diritto di non restituire il bene fino a che non
gli siano state corrisposte le indennità dovute per spese, riparazioni e miglioramenti.
183.L’acquisto in forza del possesso: a) la regola “possesso vale titolo”.
Colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non ne è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso,
purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un Titolo idoneo al trasferimento della proprietà. La proprietà
si acquista libera da diritti altrui sulla cosa, se questi non risultano dal Titolo e vi è la buona fede dell'acquirente. Nello stesso
modo si acquistano diritti di usufrutto, di uso e di pegno
Se acquisto un bene da chi non ne è il proprietario (acquisto a non domino), non ne divento proprietario, perché chi mi ha
alienato il bene non era legittimato a farlo.
Tale principio non è applicato rigorosamente in quanto altrimenti per essere sicuri di non restare esposti all’azione di
rivendicazione da parte del proprietario, prima di qualsiasi acquisto occorrerebbe indagare se l’alienante è davvero il legittimo
proprietario del bene, o se egli ha a sua volta acquistato correttamente a domino, e così via; tutto ciò comporterebbe un grave
ostacolo alla circolazione della ricchezza.
Ora (se per i beni immobili sono costituiti appositi registri di consultazione) per quel che riguarda i beni mobili il legislatore ha
dettato la regola del “possesso vale titolo” (1153 c.c.), in forza della quale chi acquista un bene a non domino, ne diventa
proprietario, purché concorrano i seguenti presupposti:
a) Che l’acquisto riguardi beni mobili (esclusi quelli registrati e delle universalità di mobili) suscettibili di possesso.
b) Che l’acquirente possa vantare un titolo idoneo al trasferimento della proprietà: cioè un contratto non solo astrattamente
atto al trasferimento del diritto dominicale ma anche che non presenti vizi (es., una compravendita nulla per difetto di
forma).
c) Che l’acquirente, oltre ad aver stipulato l’atto d’acquisto del bene mobile, ne abbia altresì acquistato il possesso.
d) Che l’acquirente sia in buona fede nel momento in cui il bene gli viene consegnato: peraltro a tale fine non basta che
l’acquirente ignori che l’alienante non aveva diritto di disporre della cosa, ma occorre altresì che tale ignoranza non
dipenda da sua colpa; colpa che sussisterebbe se le circostanze in cui l’acquisto ha avuto luogo avessero indotto in
sospetto l’uomo medio, il buon padre di famiglia. Tuttavia siccome per chi si trova nel possesso di una cosa la buona fede
è presunta, incombe su chi intenda contestarne l’acquisto l’onere della prova di mala fede del possessore, adducendo
ogni indizio utile a dimostrare che una persona di media diligenza, in quelle circostanze, avrebbe preferito astenersi
dall’acquisto, non potendo non avere dei dubbi sulla reale titolarità dell’alienante. La buona fede è esclusa se l’acquirente
conosce l’illegittima provenienza della cosa.
Quello realizzato in forza dell’applicazione della regola “possesso vale titolo” costituisce acquisto a titolo originario.
Art.1153 La proprietà si acquista libera da diritti altrui sulla cosa (se questi non risultano dal titolo e vi è buona fede
dell’acquirente). Quindi, se acquisto a non domino, in buona fede, un quadro e chi me lo vende non mi dice che su di esso è
costituito un pegno, non soltanto divento proprietario del quadro, ma contro di me non può neppur essere fatto valere il diritto
di un pegno dal creditore pignoratizio.
Un ulteriore conseguenza della regola “possesso vale titolo” è prevista nel 1155 c.c.
Può darsi che taluno alieni il medesimo bene mobile a più persone o costituisca lo stesso diritto a favore di più persone,
ovvero cerchi di trasferire a persone diverse diritti tra loro incompatibili. (es. l’usufrutto più persone) Il 1155 c.c. stabilisce che,
se taluno con successivi contratti aliena a più persone un bene mobile, tra esse quella che per prima ne acquista in buona
fede il possesso è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.
I principi fin qui esaminati non si applicano per le università di beni mobili e dei beni mobili iscritti in pubblici registri: per
quanto riguarda le prime (es.: biblioteche, greggi, ecc.) il legislatore preferisce sollecitare l’attenzione di chi voglia acquistare
un siffatto complesso di beni, evitando che questi possa accontentarsi dell’apparente titolarità di chi si accinga a compiere atti
di disposizione dell’universitas. Ragion per cui, con riferimento alle universalità di mobili, trova applicazione rigorosa il
principio secondo cui nessuno può trasferire di diritto più di quanto abbia, con la conseguenza che viene tutelato non già chi
per primo acquista il possesso in buona fede, bensì chi può vantare un valido titolo d’acquisto di data anteriore.
Per quanto riguarda invece i beni mobili iscritti in pubblici registri (autoveicoli aeromobili ecc.), trovano applicazione i principi
relativi alla trascrizione, in base ai quali viene tutelato non già chi per primo acquista il possesso in buona fede, bensì chi per
primo provvede alla trascrizione del suo titolo.
184. L’acquisto della proprietà in forza del possesso: b) l’usucapione.
Può accadere che un bene abbia per anni un possessore non proprietario e un proprietario non possessore. Al protrarsi di
questa situazione la legge ricollega una precisa conseguenza: il proprietario perde il diritto di proprietà, il possessore lo
acquista. È irrilevante agli effetti dell’usucapione, che il possesso sia di buona o di mala fede. Questa circostanza può influire
solo sulla durata del possesso necessario per l’usucapione. Occorre però che il possesso sia goduto alla luce del sole: se il
possesso è stato conseguito con violenza o in modo clandestino, il tempo utile per l’usucapione comincia a decorrere solo da
quando sia cessata la violenza o la clandestinità. È cruciale però distinguere la detenzione dal possesso: nel primo caso si
tiene l'oggetto soltanto in custodia, ci si comporta cioè come se il possesso fosse altrui e ciò non da inizio ad alcun ciclo di
usucapione. Ad esempio un libro preso in prestito da un amico, anche se mai chiesto indietro, non darà mai inizio a un
processo di usucapione, se non interverrà un fatto oggettivo con il quale si manifesti la volontà di trasformare la detenzione in
possesso vero e proprio. Seguendo il citato esempio solo quando colui che ha preso in prestito il libro comunicherà al
prestante la volontà di appropriarsi del libro (per esempio negandone la restituzione in seguito a una richiesta del prestante)
avrà inizio il calcolo del tempo di usucapione.
Il fondamento dell’usucapione è in un’esigenza di ordine generale, che è quella di eliminare le situazioni di incertezza circa
l’appartenenza dei beni: una consolidata situazione di fatto come il possesso di un bene protratto per un certo tempo è di per
sé stessa considerata modo di acquisto della proprietà. Chi compera sa di comperare bene se compera da chi ha posseduto
la cosa per il tempo necessario per usucapirla.
Il possesso protratto per un certo lasso di tempo fa acquistare al possessore la titolarità del diritto reale corrispondente alla
situazione di fatto esercitata: l’usucapione costituisce dunque un modo di acquisto a titolo originario della proprietà e dei diritti
reali minori.
La ratio dell’usucapione va ricercata nell’opportunità dal punto di vista sociale, di favorire chi nel tempo utilizza e rende
produttivo il bene a fronte del proprietario che lo trascura.
L’usucapione agevola altresì la prova del diritto di proprietà: se non soccorresse l’usucapione, chi si afferma proprietario
dovrebbe dare la prova di aver acquistato il suo diritto da un soggetto che era effettivamente proprietario del bene per averlo,
a sua volta, acquistato da quello precedente e così via.
L’usucapione si distingue dalla prescrizione estintiva (art. 2934 c.c.):
in entrambi gli istituti hanno importanza il fattore tempo e l’inerzia del titolare del diritto: ma nella prescrizione
questi elementi danno luogo all’estinzione, nell’usucapione all’acquisto di un diritto;
la prescrizione ha una portata generale, in quanto si riferisce a tutti i diritti, salvo eccezioni; l’usucapione
riguarda invece solo la proprietà e i diritti reali minori.
Per usucapione possono acquistarsi solo la proprietà ed i diritti reali di godimento che sono il diritto di superficie, l'enfiteusi,
l'usufrutto, l'uso, l'abitazione e le servitù. (ad eccezione delle servitù non apparenti), con esclusione quindi dei diritti reali di
garanzia.
I diritti usucapibili possono avere ad oggetto tutti i beni corporali, ad esclusione dei beni demaniali e dei beni del patrimonio
indisponibile dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali.
Perché si verifichi l’usucapione, debbono concorrere i seguenti presupposti:
a) Il possesso, in buona o mala fede del bene; Se il possesso (illegittimo, di mala fede) viene acquistato con violenza (rapina
o clandestinità,) il possesso utile per usucapire decorre solo dal momento un cui sono cessate la violenza e la
clandestinità (furto: è da tale momento che il precedente possessore, vittima dell’atto violento o clandestino, potrebbe
agire in giudizio per ottenere il recupero del bene; se omette di farlo, deve subire le conseguenze negative della sua
colpevole inerzia).
b) La continuità del possesso per un certo lasso di tempo: peraltro, al fine di dimostrare la continuità del suo possesso, il
soggetto interessato non ha l’onere di fornire la prova di aver posseduto il bene per tutto l’arco richiesto, istante per
istante: la legge, infatti lo agevola con la presunzione di possesso intermedio (1142 c.c.), in forza della quale basta che il
possessore dimostri di possedere ora e di aver posseduto in un tempo più remoto: ciò è sufficiente per far presumere che
abbia posseduto anche nel periodo intermedio; spetterà eventualmente sostenga il contrario di dimostrare il suo assunto.
Invece, il solo possesso attuale non fa presumere il possesso anteriore, salvo che il possessore possa invocare un titolo
a fondamento del suo possesso (es esibire un atto dal quale risulti una data certa; in tal caso la legge presume che il
possesso abbia avuto inizio dalla data del titolo (presunzione di possesso anteriore).
c) La non interruzione del possesso, che si ha allorquando, nel lasso di tempo richiesto dalla legge, non intervenga:
Né una causa di interruzione c.d. naturale dell’usucapione, che si verifica allorquando il soggetto perda il
possesso del bene (es. per abbandono o trasferimento); con la precisazione, in ipotesi di perdita del possesso
in conseguenza del fatto del terzo che se ne appropri, l’interruzione si considera verificata solo se chi si è visto
privato del possesso non abbia proposto l’azione diretta a recuperare il perduto possesso entro il termine di un
anno dall’avvenuto spoglio;
Né una causa di interruzione c.d. civile dell’usucapione che si verifica allorquando contro il possessore, che
pure conserva materialmente il possesso del bene, venga proposta una domanda giudiziale volta a privarlo di
esso (es azione di rivendicazione o di spoglio), sempre che si tratti di domanda fondata; ovvero allorquando il
possessore abbia effettuato un riconoscimento del diritto del titolare. Le cause di interruzione civile
dell’usucapione coincidono con quelle di interruzione della prescrizione.
d) Il decorso di un certo lasso di tempo, che il codice fissa in 20 anni (usucapione ordinaria): ai fini del computo del tempo
utile ai fini dell’usucapione, chi abbia acquisito il possesso a titolo particolare può sommare al tempo del proprio possesso
anche il tempo del possesso dei propri danti causa (accessione del possesso: art. 1146 c.c.), mentre chi ha acquisito il
possesso a titolo universale si giova del possesso del suo autore (successione nel possesso: 1146 c.2 c.c.).
Peraltro la legge prevede relativamente a talune ipotesi termini di usucapione più brevi (usucapione abbreviata); e
precisamente:
1) Di 10 anni per i beni immobili e di 3 anni per i beni mobili registrati, quando oltre a quelli fin qui indicati, concorrono
cumulativamente i seguenti presupposti:
Che il possessore possa vantare a suo favore un titolo idoneo a trasferire la proprietà (es. l’usufrutto che và
trascritto in appositi registri pubblici) non inficiato da altri vizi se non quello di essere stato stipulato da chi non è
legittimato a disporre del bene: si tratta di un’ipotesi di acquisto a non domino;
Che l’acquirente avvia acquistato il possesso del bene in buona fede
Che sia stata effettuata la trascrizione del titolo: il termine utile per l’usucapione decorre proprio dalla data della
trascrizione
2) Di 10 anni per le universalità di mobili quando, oltre a quelli fin qui indicati, concorrono cumulativamente i seguenti
presupposti:
Che il possessore possa vantare a suo favore un titolo idoneo all’acquisto del diritto Che l’acquirente abbia
acquistato il possesso del bene in buona fede
3) Di 10 anni per i beni mobili non registrati quando l’acquirente abbia acquistato il suo possesso in buona fede.
4) Di 15 anni per i fondi rustici con annessi fabbricati situati in comuni che per legge sono classificati come montani, e anche per
quelli non situati in comuni montani, ma che abbiano un reddito domenicale iscritto in catasto non superiore a €180,76
(termine che, se concorrono i presupposti della sussistenza di un titolo idoneo della buona fede e della trascrizione del titolo,
si riduce a 5 anni dalla trascrizione della stessa)(c.d. usucapione speciale per la piccola proprietà rurale).
L’acquisto del diritto in forza di usucapione avviene ex lege, nel momento stesso in cui matura il termine normativamente
previsto. Peraltro, l’usucapiente potrebbe avere interesse (es.: per eliminare ogni incertezza relativa al suo acquisto) a
promuovere un giudizio di accertamento dell’intervenuta usucapione, che, in ogni caso, si concluderebbe con una sentenza
avente valore dichiarativo e non già costitutivo.
La tutela delle situazioni possessorie.
Ci si può opporre, finché l’altrui azione illecita è in atto (es.: posso oppormi con la forza al tentativo di furto della mia valigetta
con i preziosi), ciò in virtù del principio della legittima difesa.
Quando l’azione è esaurita, il possessore deve rivolgersi all’Autorità dello Stato attraverso una delle azioni che, proprio perché
poste a tutela del possesso, si dicono “possessorie”.
Il possessore può agire in giudizio a difesa del suo possesso con le azioni possessorie, senza avere l’onere di dare la prova di
essere effettivamente titolare del diritto reale corrispondente
Le azioni petitorie sono azioni che spettano al proprietario per difendere il suo diritto contro turbative altrui.
. Chi riveste contestualmente la qualità sia di possessore che di titolare del correlativo diritto reale, potrà esperire, quale
possessore, le azioni possessorie, oppure, quale titolare del diritto, le azioni petitorie.
Le azioni possessorie garantiscono al possessore una tutela efficiente, in quanto semplice e rapida. Innanzitutto, infatti, egli
non ha l’onere di dare la prova della titolarità del diritto ma soltanto del suo possesso, cioè della situazione di fatto esistente.
Inoltre la procedura è abbreviata e semplificata. L’azione possessoria paralizza quella petitoria (unica eccezione: sentenza
della corte costituzionale del 1992). Prima finalità: La finalità principale delle azione possessorie è quella di rafforzare la tutela
del titolare del diritto reale. Tutto ciò si fonda sul presupposto razionale secondo cui colui che utilizza una cosa a proprio
profitto è, molto probabilmente, anche titolare di un diritto reale su quella cosa. Tuttavia non sempre questo accade, perché
talvolta il possessore possiede senza diritto. Nel procedimento possessorio di regola non è possibile accertare se il
possessore è titolare del diritto reale corrispondente, oppure se non lo è quindi esercita abusivamente il potere di fatto sulla
cosa. Seconda finalità: evitare che il titolare del diritto compia azioni di autotutela, cioè si faccia giustizia da sé, e indurlo a
rivolgersi all’autorità giudiziaria per ottenere giustizia. In tali situazioni il risultato ottenuto è solo provvisorio e non definitivo, è
tale da non pregiudicare in modo irreversibile gli interessi dell’effettivo titolare del diritto. Se il procedimento possessorio si è
concluso con un giudizio a lui sfavorevole, può iniziare un procedimento giudiziario petitorio.
(es. se vengo evocato in giudizio con un azione possessoria da colui a cui ho sottratto il bene non posso giustificare la mia
condotta adducendo che in realtà sono proprietario del bene debbo attendere la definizione del giudizio possessorio ed
eseguire la sentenza che ad es. può condannarmi alla restituzione del bene solo allora potrò avviare l’azione petitoria (nello
specifico quella di rivendicazione)
La regola legale del divieto del cumulo di giudizio petitorio con quello possessorio soffre deroga nell’ipotesi in cui vi sia il
rischio che dalla sua applicazione possa derivare, per il convenuto, un pregiudizio irreparabile.
La lesione di situazioni possessorie obbliga il suo autore a risarcire il danno che ne sia derivato al possessore o al detentore.
La relativa azione può essere proposta congiuntamente all’azione possessoria.
L’azione di reintegrazione (o spoglio).
Essa risponde all’esigenza di garantire a chi possiede un bene una sollecita tutela giudiziaria ed è volta a reintegrare nel
possesso del bene chi sia rimasto vittima di uno spoglio violento o clandestino. (Lo spoglio è violento se è fatto contro la
volontà del possessore, anche se non si ricorre alla violenza ed è considerato occulto o clandestino se il possessore non è a
conoscenza dello spoglio)
Per spoglio si intende qualsiasi azione che si risolva nella durata della privazione, totale (occupo totalmente il fondo) o
parziale, (occupo un parte del fondo) del possesso.
Si ritiene che l’azione di reintegrazione sia esperibile solo quando lo spoglio risulti accompagnato dal c.d. animus spoliandi,
cioè dall’intenzione del suo autore di privare il possessore o il detentore della disponibilità del bene tranne che ciò non risulti
dalle circostanze (es. quando il bene è in stato di abbandono in questo caso manca nell’autore del fatto la coscienza di privare
altri del suo possesso)
La legittimazione attiva ad esercitare l’azione spetta a qualsiasi possessore, sia esso legittimo (diritti di proprietà) o illegittimo
(diritti di godimento), di buona o mala fede; addirittura al possessore che tale sia divenuto con violenza o clandestinità. Spetta
altresì al detentore, tranne che al detentore non qualificato (cioè a chi sia tale per ragioni di servizio od ospitalità): in questa
ultima ipotesi infatti è logico che l’azione venga intentata, anziché dal detentore precario, dal possessore che è l’unico
realmente interessato al recupero del possesso. Il detentore (qualificato) può esperire l’azione di spoglio non solo nei confronti
dei terzi, ma anche nei confronti del possessore (si pensi al caso dell’inquilino che, tornato dalle vacanze, scopra che nel
frattempo il proprietario si è ripreso la disponibilità dell’appartamento locatogli), purché la sua detenzione sia autonoma (cioè
acquisita nel proprio interesse; ad es., l’amico a cui ho affidato un quadro perché lo venda per mio conto non è legittimato ad
esperire l’azione di reintegrazione, nell’eventualità in cui io possessore mi sia ripreso il quadro).
La legittimazione passiva compete (oltre all’autore materiale dello spoglio, quand’anche nel frattempo abbia trasferito ad altri il
possesso del bene) a coloro che debbono rispondere del fatto di quest’ultimo, al c.d. autore morale dello spoglio (cioè a colui
che lo abbia approvato, traendone vantaggio) nonché a chi si trovi attualmente nel possesso del bene, in virtù di un acquisto a
titolo particolare, fatto con la conoscenza dell’avvenuto spoglio.
La proposizione dell’azione è soggetta ad un termine di decadenza di un anno, che decorre dal sofferto spoglio oppure, se
questo è clandestino, dal giorno della sua scoperta. Nel caso in cui lo spoglio non sia stato né violento né clandestino, chi
l’abbia subito può reagire con l’azione di manutenzione, se ed in quanto ricorrano le più restrittive condizioni previste dalla
legge per la proponibilità di tale ultima azione.
L’azione di manutenzione.
Essa (art. 1170 c.c.) è volta alternativamente a:
a) Reintegrare nel possesso del bene chi sia stato vittima di uno spoglio non violento né clandestino.
b) Far cessare le molestie o le turbative di cui sia stato vittima il possessore.
Per molestia o turbativa s’intende qualunque attività che arrechi al possessore un apprezzabile disturbo, tanto che consista in
attentati materiali (es. taglio degli alberi,) quanto che si estrinsechi in atti giuridici. (es. un opposizione a chi intraprende una
costruzione in contrasto con la servitù di passaggio)
L’azione di manutenzione è esperibile (alias attuabile) solo in presenza del c.d. animus turbandi: cioè della consapevolezza
nell’agente che il proprio atto arreca pregiudizio al possesso altrui.
La legittimazione attiva non spetta al detentore e neppure a tutti i possessori: spetta soltanto al possessore di un immobile, di
un’universalità di mobili o di un diritto reale su un immobile, e solo a condizione che sia possessore da almeno un anno, in
modo continuativo e non interrotto (ovvero qualora abbia acquistato il possesso con violenza o clandestinità, da almeno un
anno dal giorno in cui queste siano cessate).
La legittimazione passiva compete all’autore dello spoglio (non violento o clandestino) o della turbativa, ma anche a coloro
che debbono rispondere del fatto di quest’ultimo, nonché al c.d. autore morale.
Anche l’azione di manutenzione è soggetta al termine di decadenza di un anno, che decorre dall’avvenuto spoglio, ovvero dal
giorno in cui ha avuto inizio l’attività molestatrice.
Le azioni di nuova opera e di danno temuto.
Possono essere esercitate a tutela della proprietà del possesso o di altro diritto reale di godimento.
Esse hanno finalità tipicamente di natura cautelare, in quanto mirano a prevenire un danno o un pregiudizio che può derivare
da una nuova opera o dalla cosa altrui, in attesa che successivamente si accerti il diritto alla proibizione.
La denuncia di nuova opera spetta al proprietario, al titolare di un diritto reale di godimento o al possessore che abbia ragione
di temere che da una nuova opera (es scavi) iniziata da meno di un anno e non terminata stia per derivare danno alla cosa
che forma oggetto del suo diritto o del suo possesso. Il giudice può vietare o permettere la continuazione dell’opera,
stabilendo le opportune cautele (1171 c.c.).
La denuncia di danno temuto è data al proprietario, al titolare di un diritto reale di godimento o al possessore nel caso in cui vi
sia pericolo di un danno grave e prossimo derivante da qualsiasi edificio, albero o altra cosa (non quindi da una persona),
senza che ricorra l’ipotesi di nuova opera (1172 c.c.). il giudice dispone i provvedimenti necessari per ovviare il pericolo e, se
del caso, impone idonea garanzia per gli eventuali danni.
Successione nel possesso ed accessione del possesso.
Il possesso alla morte del possessore continua in capo al suo successore a titolo universale (erede) ipso iure, cioè, anche in
mancanza di una materiale apprensione del bene da parte dell’erede e perfino se questi ignori l’esistenza dello stesso e con
tutte le accezioni se il possessore era in malafede lo sarà anche l’erede.
Ben diversa dalla successione nel possesso è l’“accessione del possesso” applicabile solo a chi acquista il possesso a titolo
particolare (compratore legatario ecc.), egli acquista un possesso nuovo, diverso da quello del suo dante causa. Pertanto può
essere in buona fede, benché il dante causa fosse in mala fede, e viceversa. Le qualifiche del possesso vanno valutate cioè
nei confronti dell’acquirente senza dare rilievo alla situazione in cui si trovava l’alienante.
Il successore a titolo particolare dunque può, se lo ritiene utile, sommare al periodo in cui ha egli stesso posseduto, anche il
periodo durante il quale hanno posseduto i suoi danti causa: questa sommatoria dei due periodi può, infatti, risultare utile ai
fini dell’usucapione, dell’azione di rivendicazione, dell’azione di manutenzione, ossia ogni volta che assuma rilievo la durata
del possesso (es.: se compero un bene mobile da chi so non esserne proprietario mi potrà convenire, invocare ricorso alla
regola possesso vale titolo onde poter sommare a quella del mio possesso la durata del possesso del mio dante causa ai fini
del computo tempo necessario per l’usucapione).
IL RAPPORTO OBBLIGATORIO
Nozione
Con il termine obbligazione si intende il rapporto tra due soggetti –il soggetto passivo (cd debitore) ed il
soggetto attivo (cd creditore) in forza del quale il primo è tenuto nei confronti del secondo ad una
determinata prestazione.
Il rapporto obbligatorio dà luogo a due posizioni correlate: la posizione di debito (passiva) fa da contraltare a quella
di credito (attiva).
Al debitore fa capo una determinata obbligazione mentre al creditore fa capo il correlativo diritto di credito che può
essere fatto valere solo nei confronti del debitore (si dice, perciò, che è un diritto personale o relativo ).
Il debitore risponde dell’inadempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri (art.2740 c.c.).
quindi, in caso di inadempimento, il creditore può invocare misure coercitive sul patrimonio dell’obbligato. (cd
responsabilità patrimoniale)
Fonti delle obbligazioni
Secondo l’art. 1173 c.c., l’obbligazione può sorgere per contratto, fatto illecito ed ogni altro atto o fatto idoneo a
produrla secondo l’ordinamento.
Tali fattispecie si dicono fonti delle obbligazioni al suo inadempimento conseguono le sanzioni previste in caso di
inadempimento dell’obbligazione (risarcimento del danno) e in tema di inadempimento del contratto. (risoluzione
dello stesso)
L’obbligazione naturale
Per obbligazione in senso naturale (art.2034 c.c.), si intende qualunque dovere morale o sociale, in forza del quale
un soggetto determinato sia tenuto ad eseguire un’attribuzione patrimoniale a favore di un altro soggetto parimenti
determinato.
Il debitore naturale, quindi, non è obbligato giuridicamente ad adempiere, ma è obbligato solo in forza di doveri
morali e sociali. il creditore naturale, non può ottenerne la restituzione.
Perché sia esclusa la restituzione è necessario che:
la prestazione sia stata spontanea, cioè effettuata senza coazione; (es se pago in adempimento di una
a)
sentenza)
che la prestazione sia stata fatta da persona capace.
b)
C la proporzionalità tra la prestazione eseguita i mezzi di cui l’adempiente dispone e l’interesse da soddisfare.
Il diritto del destinatario di non restituire il bene è l’unico effetto dell’obbligazione naturale
Tale ipotesi di obbligazione naturale sono espressamente previste dalla legge (es il debito di gioco)
La sua inosservanza comporterebbe un giudizio di riprovazione e disistima tra i consociati alla luce di un etica
sociale corrente in un determinato momento storico.
Alla luce di questo criterio costituiscono adempimento all’obbligazione naturale le prestazioni a favore del
convivente il pagamento di interessi pattuiti oralmente l’adempimento di una disposizione testamentaria orale ecc.
Non costituiscono adempimento all’obbligazione le attribuzioni effettuate per riconoscenza o per speciale
remunerazione (es. le mance)
GLI ELEMENTI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
I soggetti del rapporto obbligatorio sono almeno due:
creditore (o soggetto attivo);
debitore (o soggetto passivo.)
Essi sono di regola determinati all’epoca in cui l’obbligazione sorge (es nella compravendita creditore del prezzo è il venditore
debitore l’acquirente,) ma a volte può accadere che uno dei soggetti del rapporto sia determinato solo successivamente al
sorgere del vincolo. (es. prometto un premio a chi mi riporti il cane smarrito)
L’obbligazione a soggetto determinabile è distinta dall’obbligazione cd ambulatoria in cui ignoro il soggetto della trasferibilità
del credito ovvero a chi dovrò effettuare la prestazione (es. pagherò cambiario)
La prestazione cui il debitore è obbligato può consistere in un dare o in un facere.
La prestazione si dice infungibile quando assumono rilievo le qualità personali dell’obbligato; fungibile quando per il creditore
è irrilevante chi gli procura il risultato cui ha diritto.
Non importa che la prestazione corrisponda ad un interesse economico del creditore: anche il soddisfacimento di interessi
culturali, sportivi può essere procurato dal debitore. Ma la prestazione dovuta deve avere carattere patrimoniale, vale a dire
che deve essere suscettibile di valutazione economica.
Perché un’obbligazione sia validamente assunta occorre che la prestazione dovuta sia:
possibile (ad es. non sorge l’obbligazione di consegnare una cosa inesistente);
a) lecita;
b) determinata (nel senso che siano determinati i criteri per giungere alla sua specifica determinazione).
c)
Le parti possono stabilire che l’oggetto della prestazione sia determinato da un terzo (arbitratore). Questi deve procedere con
equo apprezzamento: le parti possono perciò rivolgersi al giudice se la determinazione dell’arbitratore è manifestamente
iniqua o erronea (art.1349.1 c.c.).
Le parti, peraltro, possono anche rimettersi al mero arbitrio del terzo, lasciandogli carta bianca: in tal caso potranno
impugnare la determinazione solo nel caso estremo che si riesca a provare il dolo del terzo. Né è consentito alle parti
rivolgersi al giudice, qualora l’arbitratore non provveda: esse possono solo accordarsi per sostituirlo, altrimenti il contratto è
nullo (art.1349.2 c.c.).
Oggetto dell’obbligazione è la prestazione dovuta (art.1174 c.c.). Nelle obbligazioni di dare, peraltro, pure il bene dovuto viene
talvolta indicato come oggetto (mediato) dell’obbligazione. Nelle obbligazioni generiche il debitore è tenuto a dare cose non
ancora individuate ed appartenenti ad un genere (10 bottiglie di vino di quel certo tipo); nelle obbligazioni specifiche il debitore
è tenuta a dare una cosa determinata (questa auto). In caso di obbligazione generica il debitore deve scegliere di prestare
cose di qualità non inferiore alla media (art.1178 c.c.).
L’obbligazione divisibile e indivisibile
Nell’obbligazione indivisibile, il diritto di richiedere e correlativamente l’obbligo di prestare l’intero derivano dalla natura della
prestazione che ha per oggetto una cosa (o un fatto) che non è suscettibile di essere ridotta in parti per sua natura (es. un
cavallo vivo; indivisibilità oggettiva) o per la volontà delle parti (indivisibilità soggettiva)
L’indivisibilità opera anche nei confronti degli eredi del debitore o di quelli del creditore
Le obbligazioni solidali
.Nell’obbligazione solidale passiva:
-il creditore può rivolgersi per ottenere la prestazione da uno qualsiasi dei obbligati a meno che non vi sia il beneficio di
escussione ovvero l’onere di procedere preventivamente nei confronti di un condebitore
-gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione hanno effetto anche riguardo gli altri condebitori
-la rinuncia da parte del creditore alla solidarietà non incide sulla natura solidale dell’obbligazione degli altri condebitori
-il condebitore può opporre al creditore le cd eccezioni comuni (es invalidità inesigibilità ma non quelle personali altrui (che
attengono al rapporto creditore –debitore (es. il vizio del consenso)
- l’effettuazione integrale della prestazione ad opera di uno dei coobbligati estingue l’obbligazione
-la costituzione in mora di uno dei condebitori non vale a costituire in mora gli altri
-Ciascun condebitore è tenuto solo per la sua parte, a meno che l’obbligazione sia stata contratta nell’interesse esclusivo di
uno dei condebitori (es. nei confronti della banca che ha concesso il mutuo sono solidamente responsabili sia tizio che ha
contratto il mutuo che Caio che ha prestato garanzia fidejussoria)
-. La parte di ciascun condebitore si presume eguale a quella degli altri, se non risulta diversamente
-Il condebitore solidale che abbia pagato l’intero può agire contro gli altri condebitori (azione di regresso)
-se uno dei condebitori risulta inadempiente la perdita va ripartita tra tutti gli altri condebitori
Le obbligazioni pecuniarie
Art. 1282 c.c. obbligazioni pecuniarie: i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto salvo
che la legge o il titolo stabilisca diversamente. Per liquido si intende certi nel loro ammontare per esigibile si intende che sia
scaduto e quindi maturato dal creditore.
Per l’estinzione dell’obbligazione pecuniaria (alias obbligazione generica che ha come oggetto il pagamento di una somma di
denaro) occorre utilizzare moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento
L’obbligazione si dice a termine, quando va adempiuta dopo un certo intervallo di tempo rispetto al momento in cui è sorta
Il principio nominalistico stabilisce che il debitore si libera pagando, alla scadenza, la medesima quantità di moneta
inizialmente fissata, nonostante il tempo passato dalla costituzione del debito ed indipendentemente dal fatto che, nel
frattempo, il potere d’acquisto del danaro sia più o meno diminuito. Il creditore può cercare di cautelarsi contro le oscillazioni
di valore della moneta: il modo più semplice è quello di pattuire degli interessi.
Peraltro il principio nominalistico si applica con certezza ai crediti liquidi, ossia già determinati nel loro ammontare; non
altrettanto può dirsi per i crediti illiquidi, ossia per quei crediti dei quali non risulti ancora fissato il concreto quorum dovuto.
Se il debito pecuniario è espresso in moneta estera, il debitore, di regola, può pagare anche in moneta nazionale, al corso del
cambio nel giorno della scadenza ciò non si applica, se nell’obbligazione è indicata la clausola "effettivo" ovvero che il
pagamento deve effettuarsi proprio in moneta estera , salvo che alla scadenza dell'obbligazione non sia possibile procurarsi
tale moneta.
Un particolare tipo di obbligazione pecuniaria è quella relativa agli interessi che si aggiungono al capitale.
Gli interessi possono essere:
legali: sono interessi dovuti in forza di una norma di legge ovvero salvo diversa pattuizione, qualora la cosa venduta e
a)
consegnata al compratore produca frutti o altri proventi decorrono gli interessi sul prezzo, anche se il prezzo non è ancora
esigibile. Dal 1°gennaio 1999 la misura del tasso dell’interesse legale è stata portata al 2.5% in ragione dell’anno;
convenzionali: sono quelli dovuti in forza di un accordo tra debitori e creditori, l’accordo può essere sia antecente che
b)
successivo al sorgere dell’obbligazione.. Se le parti pattuiscono pure il “saggio” di tali interessi, questi sono dovuti nella
misura concordata (che, però, deve essere determinata per iscritto se è fissata ad un livello superiore rispetto al tasso legale);
se invece le parti pattuiscono che siano dovuti interessi convenzionali, ma non fissano il saggio di questi ultimi, si applica il
tasso legale.
La funzione di questi interessi è corrispettiva in quanto rappresentano il corrispettivo del debitore per il godimento di una
somma di denaro. Esempio è il mutuo in quanto vi è un contratto in forza del quale la somma di denaro è mutuabile per il
godimento per l’acquisto di immobili etc., dietro corresponsione dei relativi interessi.
Un'altra funzione è quella compensativa, sono quelli dovuti per le cosiddette obbligazione di valore, obbligo di risarcire il
danno, quindi la somma che rappresenta il danno deve essere attualizzato e gli interessi compensativi hanno appunto la
funzione di attualizzare la somma
c ) moratori: interessi moratori (danni alle obbligazioni pecuniarie): questa norma recita nelle obbligazioni che hanno per
oggetto una somma di danaro, sono dovuti dal giorno della mora gli interessi legali, anche se non erano dovuti
precedentemente e anche se il creditore non prova di aver sofferto alcun danno. Se prima della mora erano dovuti interessi di
mora in misura superiore a quella legale, gli interessi di mora sono dovuti nella stessa misura.
non sono interessi dovuti per un patto tra le parti, il debitore non paga lo costituisco in mora, da quel momento anche se il
debitore non era tenuto ad interessi li deve corrispondere a titolo di risarcimento del danno.
Al creditore che dimostra di avere subito un danno maggiore spetta un ulteriore risarcimento questo non è dovuto se è stata
convenuta la misura degli interessi moratori il creditore costituendo in mora il debitore percepisca interessi legali ma potrebbe
aver subito danno superiore, basti pensare al fatto che non potendo disporre delle somme sue spettanti non abbia potuto far
fronte alle obbligazioni dell’esercizio d’impresa e abbia dovuto ricorrere ad un finanziamento bancario ad interessi più elevati
quindi lo scostamento percentuale costituisce un ulteriore danno. Quindi il creditore può pretendere il maggiore danno. Tutto
questo fatto salvo non sia convenuto tra le parti che in caso di inadempienza abbiano accordato un determinato interesse di
mora.
d ) usurari: sono quelli superiori ai tassi medi praticati da banche e intermediari finanziari, rilevati trimestralmente dal Ministro
del tesoro, dove risultino sproporzionati; sono invece sempre usurari i tassi che superano del 50% i saggi pubblicati. Dove ci
sono interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi (art.1815.2 c.c.).
In linea di principio è proibito l’anatocismo,( interessi sugli interessi): ossia la capitalizzazione degli interessi dovuti affinchè
questi producano a loro volta altri interessi. gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda
giudiziale o per effetto di una convenzione (contratto) posteriore alla loro scadenza e sempre che si tratti di interessi dovuti
per un periodo di almeno sei mesi.
Le obbligazioni semplici, alternative e facoltative
L’obbligazione semplice nella quale è dedotta un’unica prestazione;
l’obbligazione alternativa è l'obbligazione in cui sono dovute al creditore due o più prestazioni e il debitore si libera
prestandone una sola. Di regola il potere di scelta spetta al debitore una volta effettuata la scelta l’obbligazione si trasforma in
semplice.
l’obbligazione facoltativa, obbligazione in cui una sola è la prestazione, ma il debitore ha la facoltà, ove lo voglia, di liberarsi
prestandone una diversa. Il diritto di scelta (che spetta al debitore, salvo che, per accordo delle parti, non sia attribuita al
creditore o ad un terzo) , una volta esercitata, determina la trasformazione in obbligazione semplice.
Le obbligazioni plurisoggettive
L’obbligazione può far capo a più soggetti non solo il creditore e il debitore
- Obbligazioni solidale: ciascun debitore è obbligato ad effettuare a favore dell’unico
creditore l’intera prestazione (obbligazione solidale passiva); es. due coniugi che contraggono un mutuo
-ciascun creditore ha diritto nei confronti dell’unico debitore all’intera prestazione (obbligazione solidale attiva) es. se due
coniugi hanno un cc cointestato ognuno può prelevare anche l’intera somma
-ciascuno dei più debitori è tenuto ad eseguire una parte dell’unitaria prestazione e l’altra parte deve essere eseguita degli
altri condebitori (obbligazione parziaria passiva) es. se tizio deve cento alla sua morte gli eredi solveranno in proporzione alla
loro quota
-ciascuno dei più creditori ha diritto ad una parte dell’unitaria prestazione mentre la restante deve essere eseguita a favore di
ciascuno degli altri creditori (obbligazione parziaria attiva) es. se tizio e Caio hanno una casa in comunione pro indiviso a
seguito della vendita a sempronio egli dovrà versare il 50% all’uno e il 50% all’altro.
L’art. 1294 c.c. stabilisce una presunzione generale di solidarietà passiva nel senso che nel caso di pluralità di debitori, se
dalla legge o dal titolo non risulta altrimenti, i condebitori sono
tenuti in solido (es. nell’eredità) se non risulta diversamente dalla legge o dal titolo. Questo perchè si tutela il creditore in
quanto egli ha, non solo il fastidio di dover chiedere a ciascuno dei debitori la sua parte, ma anche il rischio di insolvenza di
uno di essi .
In caso di pluralità di creditori la solidarietà ricorre solo nelle ipotesi previste dalla legge o dal titolo
MODIFICAZIONE DEI SOGGETTI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
Ai soggetti originari del rapporto obbligatorio possono sostituirsi od aggiungersi altri soggetti può verificarsi
nell’ambito di una successione a titolo universale (riguarda tutti i rapporti) o per effetto di una successione a titolo
particolare (riguarda il singolo rapporto)
MODIFICAZIONI NEL LATO ATTIVO DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
LA CESSIONE DEL CREDITO
La cessione del credito indica il contratto con il quale il creditore (cedente) pattuisce con un terzo (cessionario) il
trasferimento in capo a quest’ultimo del suo diritto verso il debitore (ceduto);
Per quanto riguarda il contratto di cessione, qualunque credito può formare oggetto di cessione , purchè il credito
non abbia carattere strettamente personale (crediti, per esempio alimentari o quelli relativi al divorzio, i quali non
sono cedibili.) o il trasferimento non sia vietato dalla legge ovvero la cessione non sia stata convenzionalmente
esclusa dalle parti
Avviene tramite un contratto per mezzo del quale il credito circola liberamente.
Le parti possono escludere la cedibilità del credito; ma il patto non è opponibile dal cessionario se non prova che
egli lo conoscesse al tempo della cessione.
Oggetto di cessione possono essere anche i crediti futuri
Il contratto di cessione può avere ad oggetto una somma di denaro o una prestazione di altra natura (es. cedo il
credito a fronte di una partita di merci) può invero anche trattarsi di una donazione avere funzione di garanzia o di
estinzione di un debito diverso del cedente verso il cessionario (cd cessione solutoria). Per le molteplici funzioni la
cessione del credito è detto contratto a causa variabile
Affinché la cessione abbia efficacia nei confronti del debitore occorre che a quest’ultimo la cessione venga
notificata dal cedente o dal cessionario ovvero sia da lui accettata (cd consenso traslativo.).
Il debitore se ha pagato al cedente, non può essere tenuto dal cessionario ad un nuovo pagamento. E poiché la
buona fede si presume, incombe al cessionario l’onere di provare che il debitore era a conoscenza dell’avvenuta
cessione
L’accettazione o la notificazione della cessione servono inoltre ad attribuirle efficacia di fronte ai terzi. (se il
cedente ha ceduto lo stesso credito prima ad A e poi a B ed è stata notificata, o è stata accettata per prima, con
atto di data certa la cessione fatta a B, è questa che prevale sull’altra (art.1265 c.c.).
Quanto agli effetti della cessione, in conseguenza di essa, benché venga ad essere modificato il soggetto attivo del
credito, l’obbligazione rimane, per tutto il resto, inalterata: perciò il credito è trasferito al cessionario con i privilegi,
con le garanzie personali e reali e gli altri accessori (es. gli interessi)
Parimenti, il debitore ceduto può opporre al cessionario le stesse eccezioni che avrebbe potuto opporre al
cedente.(es. se il contratto è annullabile per dolo si fa rivalere anche nei confronti del cessionario)
Se la cessione è a titolo oneroso, il cedente è tenuto a garantire l’esistenza del credito (se inesistente egli dovrà
restituire tutto il ricevuto e risarcire il danno,) ma non risponde affatto se il debitore risulta insolvente (realizzabilità
del credito)
Il cedente può, peraltro, con apposito patto, garantire anche la solvenza del debitore: in tal caso, qualora il debitore
ceduto non adempia, il cedente sarà tenuto a restituire quanto aveva eventualmente ricevuto come corrispettivo
della cessione, oltre agli interessi, alle spese della cessione e a quelle sostenute dal cessionario per escutere il
debitore, salvo sempre l’obbligo ulteriore del risarcimento del danno, ove ne ricorrano i presupposti.
Quando la cessione sia stata effettuata per estinguere un debito del cedente verso il cessionario si presume che la
cessione avvenga pro solvendo (il cedente garantisce non solo l’esistenza ma anche la bontà del credito); qualora
risulti una diversa volontà delle parti, nel senso che il cessionario si accolla, l’intero rischio della solvenza del
debitore ceduto, si parla di cessione pro soluto (la cessione avviene senza alcuna garanzia da parte del cedente.)
Se la cessione è a titolo gratuito il cedente garantisce solo se espressamente promesso e non garantendo
comunque la realizzabilità del credito IL FACTORING
Con il contratto di factoring, un’ imprenditore specializzato (factor) si impegna contro pagamento di una
commissione variabile a seconda dell’entità degli obblighi assunti, a gestire per conto di un’impresa cliente,
l’amministrazione di tutti o di parte dei crediti di cui quest’ultima diventa titolare verso i propri clienti nella gestione
della sua attività imprenditoriale. Spesso il factor concede al cliente anticipazioni finanziarie sull’ammontare dei
crediti gestiti, spesso accompagnati dalla cessione di tali crediti, o pro solvendo, e cioè lasciando a carico del
cliente il rischio dell’eventuale insolvenza dei debitori ceduti, o pro soluto, e cioè accollandosi il factor il rischio
dell’insolvenza dei debitori ceduti, cosicché, in caso di inadempimento di questi ultimi, il factor non potrà
pretendere dal cliente che la restituzione degli anticipi versatigli.
Solo le le banche o gli intermediari finanziari, possono rendersi cessionari, il cedente deve essere un imprenditore
i crediti solo pecuniari e, sorti nell’esercizio dell’impresa, può trattarsi anche di crediti in massa e di crediti futuri
(cioè ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno), il cedente deve garantire la
realizzabilità del credito.
La cessione è opponibile ai terzi LA CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI
La cartolarizzazione è la cessione da parte di un cedente di attività o beni attraverso l'emissione di titoli
obbligazionari.
I beni vengono ceduti a società-veicolo che versano al cedente il corrispettivo economico ottenuto attraverso
l'emissione ed il collocamento dei titoli obbligazionari. Se il credito diviene inesigibile, chi compra titoli cartolarizzati
perde sia gli interessi che il capitale versato e non può rifarsi sul capitale della società veicolo o da altre operazioni
che la stessa abbia in atto. Per lo più i beni ceduti sono costituiti da crediti, tuttavia possono essere immobili,
contratti derivati o altro.
In pratica tramite la cartolarizzazione un soggetto creditore (spesso una banca o un intermediario finanziario) cede
un titolo in cui è inglobato il diritto a riscuotere una somma da un debitore. cedendo questo titolo il creditore rientra
subito dell'esposizione invece chi acquista il titolo diviene creditore.
Un credito di € 1.000 (sul cui rientro ci possono essere dubbi) viene trasformato in due obbligazioni del valore di €
500 ciascuna vendute sul mercato a € 400 ciascuna.
Questo il meccanismo. DELEGAZIONE ATTIVA
Altra figure di successione nel lato attivo del rapporto obbligatorio è la delegazione
Il c.c. si occupa solo della delegazione passiva.
E’ un accordo tra creditore (delegante) , debitore (delegato) e un terzo, (delegatario). con il quale il creditore dà
mandato al debitore che accetta, di pagare al terzo (es. tizio creditore di caio volendo gratificare il figlio sempronio
trasferisce a lui il credito dovuto)
Al creditore originario (delegante) si aggiunge il terzo (delegatario), ma senza estinzione del diritto del primo,
cosicché, in caso di successiva inadempienza da parte del debitore, contro quest’ultimo potrà ancora agire pure il
primo creditore. (effetto cumulativo)
B) MODIFICAZIONI NEL LATO PASSIVO DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO
La sostituzione del debitore non è possibile senza l’espressa volontà del creditore: se questa manca, il precedente
debitore non viene liberato, ma si aggiunge un nuovo soggetto passivo a quello che già c’era. (questo xchè variare
il debitore non è indifferente per il creditore in quanto potrebbe essere una persona non solvibile)
LA DELEGAZIONE PASSIVA
La delegazione passiva si distingue in delegazione a promettere e delegazione di pagamento
La delegazione a promettere consiste in un negozio trilaterale fra debitore (delegante) creditore (delegatario) ed
un terzo (delegato) in forza del quale il debitore delega il terzo ad obbligarsi ad effettuare il pagamento a favore del
creditore.
Il delegante non viene liberato dal debito originario ma resta obbligato insieme al delegato anche se il delegatario
può con dichiarazione espressa acconsentire a liberare subito il delegante conservando come unico debitore il
delegato. (delegazione liberatoria)
La delegazione liberatoria comporta l’estinzione delle garanzie di credito a meno che non diversamente convenuto:
qualora il delegato risulti insolvente il delegatario mantiene il suo diritto di credito verso il delegante nonostante la
liberazione
La delegazione è diversamente regolata se si fa riferimento o meno ai rapporti tra le parti:
Il rapporto di debito che c’è tra vecchio e nuovo debitore è detto "rapporto di provvista" ,
Il rapporto di debito che c’è tra vecchio debitore e creditore è detto "rapporto di valuta".
Se nell'accordo di delegazione si fa riferimento al rapporto di valuta o al rapporto di provvista (o ad entrambi), la
delegazione si dirà titolata; in caso contrario la delegazione sarà pura
Il riferimento nel contratto di delegazione ai rapporti di provvista o valuta consente al delegato di opporre le
eccezioni relative a tali rapporti.
il delegato può in ogni caso opporre al delegatario tutte le eccezioni relative ai suoi rapporti con lui
il delegato non può opporre al delegatario le eccezioni scaturenti dal rapporto di valuta, salvo che non sia
stato fatto espresso riferimento
il delegato non può opporre al delegatario le eccezioni scaturenti dal rapporto di provvista a meno che le
parti non abbiano diversamente convenuto
L'eccezione è, in senso proprio, un fatto giuridico introdotto nel processo che estingue, modifica o impedisce
l'efficacia dei fatti su cui si fonda la domanda di chi ha esercitato l'azione (es. nullita’)
Nella delegazione di pagamento il delegante non ordina al delegato di assumersi un obbligazione, ma gli ordina di
pagare, al suo posto.
Il rapporto è, quindi, tra delegante e delegato, mentre il delegatario ne è sostanzialmente estraneo.
La delegazione di pagamento ha in questo caso effetto immediatamente solutorio (es. la girata dell’assegno
bancario) L’ESPROMISSIONE
Un terzo può assumere verso il creditore il debito di un altro, promettendo che provvederà lui al pagamento.(es.
padre che si fa carico del debito di un figlio)
Quest’obbligo può essere assunto spontaneamente, ossia senza il consenso o l’incarico del debitore, dal momento
che si tratta di un atto vantaggioso per costui.
L’elemento differenziale tra la delegazione e l’espromissione consiste nella spontaneità dell’iniziativa del terzo.
Il terzo subentra nella stessa posizione del debitore originario perciò non può opporre al creditore le eccezioni
relative ai suoi rapporti con il debitore originario (es. il padre non può opporre in compensazione il credito che egli
vanta nei confronti del figlio ma può opporre le eccezioni che quest’ultimo avrebbe potuto opporre al debitore
originario)
Come la delegazione, anche l’espromissione può essere cumulativa (il terzo è obbligato in solido anche con il
debitore originario) o liberatoria, (se il creditore dichiara espressamente di liberare il debitore originario.)
L’ACCOLLO
L’accollo è un contratto tra il debitore (accollato) e un terzo (accollante), con il quale quest’ultimo assume a
proprio carico l’onere di procurare il pagamento al creditore (accollatario).
(es. se acquisto con ipoteca l’acquirente si accolla anche il rimborso dell’ipoteca)
L'accollo, al pari dell'espromissione, ha quale causa quella di assumersi un debito altrui.
Ma mentre con l'espromissione questa funzione viene realizzata da un accordo tra il terzo ed il creditore,
nell'accollo l'accordo interviene tra il terzo ed il debitore originario.
Distinguiamo due tipi di accollo:
l’accollo interno semplice che si ha quando le parti non intendono attribuire nessun diritto al creditore verso
a)
l’accollante: questi si impegna solo verso l’accollato ha perciò una semplice funzione interna (ovvero mette a
disposizione i mezzi perché il debitore provveda all’adempimento dell’ipoteca)
l’accollo esterno che si ha quando l’accordo tra accollante ed accollato si presenta come un contratto a
b)
favore del creditore nel senso che le parti hanno previsto ed accettato che il creditore possa avvantaggiarsi della
convenzione, aderirvi con un suo atto unilaterale, e conseguentemente pretendere direttamente dall’accollante
l’adempimento del suo credito: cosicché l’accordo tra debitore e terzo può essere modificato o posto nel nulla a
seguito di successivi accordi tra loro fin quando il creditore non vi abbia aderito, dopo di che l’impegno assunto
dall’accollante diventa irrevocabile, e il terzo risponde dell’adempimento non solo di fronte all’accollato ma anche di
fronte all’accollatario.
L’accollo esterno può a sua volta essere:
cumulativo, se il debitore originario resta obbligato in solido con l’accollante
a) liberatorio, se il debitore originario resta liberato, rimanendo obbligato in sua vece il solo l’accollante. Perché
b)
tale liberazione si verifichi occorre o una dichiarazione espressa del creditore o che la liberazione del debitore
originario costituisca condizione espressa dell’accordo.
nella.delegazione.il.debitore.“ordina”.al.terzo.di.pagare.il.creditore
nell’espromissione il terzo “si accorda” col creditore per pagare al posto del debitore
nell’accollo il terzo “si accorda” col debitore per pagare al posto suo
L’ESTINZIONE DELL’OBBLIGAZIONE
L’obbligazione è un rapporto tendenzialmente temporaneo destinato perciò ad estinguersi.
Tipico fatto estintivo del rapporto obbligatorio è l’adempiento
Vi sono poi altri modi di estinzione dell'obbligazione, diversi dall'adempimento [es. morte del debitore quando si tratti di
prestazioni infungibili ossia di prestazioni per il cui adepiento sono essenziali le qualità personali dell’obbligato (es. obbligo di
dipingere un quadro).]
L’ADEMPIMENTO
L’adempimento o pagamento consiste nell’esatta realizzazione della prestazione dovuta.
Il debitore deve curare con attenzione, prudenza e perizia deve usare la diligeza del buon padre di famiglia per la conformità
del risultato da procurare al creditore rispetto al contenuto dell’obbligo assunto.
Se il creditore accetta preventivamente di esonerare il debitore da responsabilità per inadempienze che derivino da dolo o
colpa grave di quest’ultimo, il patto è nullo .
Il creditore può, se vuole, rifiutare un pagamento parziale che il debitore abbia ad offrirgli. Il debitore può adempiere
personalmente o a mezzo di ausiliari, del cui comportamento è però sempre responsabile egli stesso di fronte al creditore.
Il debitore allorquando effettua la prestazione può richiedere a proprie spese il rilascio della quietanza cioè una dichiarazione
scritta in forza della quale il creditore attesta di aver ricevuto l’adempiento.
Per quel che riguarda il destinatario dell’adempiento il codice prevede che di regola il debitore esegua il pagamento
direttamente al creditore che deve accertarsi che il debitore abbia la capacità legale di ricevere, perché altrimenti potrebbe
essere obbligato a pagare una seconda volta a meno che non si provi che l’incapace ha comunque tratto vantaggio dalla
prestazione eseguita (quindi talvolta il debitore deve eseguire il pagaento non nelle mani del debitore ma in quelle del
rappresentante legale o del tutore)
Il debitore può se vuole pagare anziche al creditore ad una persona da lui designata ma in questo caso non si libera
dell’obbligazione a meno che il creditore non ratifichi (convalidi) il pagamento
Il creditore si libera se paga in buona fede a persona che in base a circostanze univoche appariva creditore (chi ha ricevuto il
pagamento è tenuto alla restituzione verso il vero creditore)
Luogo dell’adempimento: è di regola determinato nel titolo costitutivo del rapporto: (inserito nel contratto) ovvero è
determinato dagli usi o dalla natura della prestazione (es. gli obblighi di un giocatore di una squadra di calcio)
Qualora i principi richiamati non soccorrano l’obbligazione di pagare una somma di danaro va adempiuta nel luogo in cui la
cosa si trovava quando l’obbligazione è sorta e al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza ; in tutti gli altri casi
l’obbligazione và adempiuta al domicilio che il debitore ha al tempo della scadenza.
Il termine è spesso indicato nel titolo costitutivo (es nel contratto l’appaltatore ha un termine per ultimare la palazzina)
Ma se l’obbligazione è ad esecuzione continuata o periodica (es. locatore, lavoratore dipendente) occorre determinare il
momento iniziale e quello finale della prestazione dovuta.
Se l’obbligazione è ad esecuzione istantanea occorre determinare il giorno dell’adempimento.
Quando per l’adempiento risulta fissato un termine si presume che esso sia a favore del debitore con la conseguenza che il
creditore non può esigere il pagamento prima della scadenza mentre il debitore può adempiere prima del termine fissato, se il
termine è fissato a favore di entrambi né l’uno né l’altro possono ottenere la prestazione prima del tempo concordato.
Di regola le parti sono libere di definire il tempo dell’adempiento
Deroga: Nelle obbligazioni al pagamento di una somma di denaro a titolo di corrispettivo per la fornitura di merci o la
prestazione di servizi tra imprenditori, tra imprenditori e liberi professionisti, o tra imprenditori liberi professionisti e P.A. (cd
transazioni commerciali) detta norma sanziona con la nullità ogni accordo sulla data del pagamento che risulti iniqua in danno
del creditore finalità di questa norma è quella di contrastare situazioni di abuso di cui possono rimanere vittime le imprese
specie medie e piccole a fronte dello strapotere contrattuale dell altra parte).
Negli altri casi:
Se il titolo non prevede tempo il creditore può richiedere immediataente l’adempiento
Se la natura della prestazione richiede necessariaente un lasso di tempo in mancanza di accordo tra le parti la decisione è
rimessa al giudice
Il debitore decade dal termine fissato a suo favore qualora sia insolvente o abbia diminuito le garanzie che aveva dato o non
abbia dato le garanzie che aveva promesso.
Il creditore ha diritto all’esatta esecuzione della prestazione egli può rifiutare o accettare un prestazione diversa anche qualora
si tratti di prestazione avente valore uguale o maggiore.
Se il creditore accetta la prestazione diversa il debitore resta però comunque obbligato ad eseguire la prestazione originaria
(quindi non confondere con la novazione) se non la esegue il creditore può richiederne il pagamento ed il contratto si
realizzerà soltanto quando il debitore esegua effettivamente la prestazione sostitutiva.
Quando in luogo dell’adempiento è ceduto un credito l’obbligazione si estingue con la riscossione del credito se invece
consiste nella proprietà di una cosa il debitore è tenuto alla garanzia per l’evizione e per i vizi della cosa salvo che il creditore
preferisca esigere la prestazione originaria e il risarcimento del danno.
Di regola per il creditore è indifferente se la prestazione viene eseguita personalmente dal debitore o da un terzo. Quando
però, la prestazione sia infungibile, il creditore può rifiutare la prestazione che il debitore gli proponga di far eseguire da un
suo sostituto (es. attore scritturato per una piece teatrale)
Se invece, la prestazione è fungibile (es. pagamento di una somma di danaro), il creditore non può rifiutare la prestazione che
gli venga offerta da un terzo. E il suo eventuale rifiuto potrebbe comportare la mora accipiendi.
Solo se il debitore gli ha comunicato la sua opposizione, il creditore può rifiutare l’adempimento offertogli dal terzo pur
essendo libero di accettare la prestazione nonostante l’opposizione del debitore.
L’adempiento all’obbligo altrui non và confuso con la promessa di adempiere ad un obbligo altrui (accollo espromissione ecc.)
In ogni caso il terzo, a meno che sia intervenuto per spirito di liberalità, potrà esperire contro il debitore avvantaggiatosi
l’azione di arricchimento
Se una persona, che ha più debiti della stessa specie verso la stessa persona, fa un pagamento che non comprenda la
titolarità dei debiti, è importante stabilire quale tra i vari debiti venga estinto (ad es il tasso di interesse pu essere diverso) Si
riconosce al debitore la facoltà di dichiarare quale debito intende soddisfare: in mancanza il pagamento deve essere imputato
al debito scaduto; tra più debiti scaduti, a quello meno garantito; tra più debiti ugualmente garantiti, al più oneroso per il
debitore; tra più debiti ugualmente onerosi, al più antico. Se tali criteri non soccorrono, l’imputazione va fatta
proporzionalmente ai vari debiti.
Se il debitore ha concordato con il creditore quietanza diversa per la solvenza dei debiti egi non puo più pretendere un
imputazione diversa.
Limitazioni all’uso del contante
Sulla base di una direttiva comunitaria anche in Italia è stata introdotta una disciplina per combattere il c.d. riciclaggio del
denaro sporco: sono stati così imposti limiti alla circolazione di denaro contante o di titoli di credito al portatore (che possono
essere utilizzati solo per effettuare versamenti entro l’importo massimo di lire 20 milioni), 12.500 € mentre per pagamenti
superiori a tale limite occorre necessariamente avvalersi di intermediari abilitati (banche, società finanziarie, assicurazioni). Le
limitazioni all’uso del contante favoriscono il diffondersi di mezzi di pagamento c.d. alternativi (trasferimenti elettronici di fondi,
bonifici bancari,). Ci comporta anche l’aggio di evitare rischi connessi al posseso di contanti (furti rapine ecc..)
La surrogazione
Il pagamento può anche dar luogo alla sostituzione (surrogazione) del creditore con altra persona
La finalità della surrogazione è, quella di agevolare l’adempimento verso il creditore originario con l’attribuire ad un terzo, che
rende possibile l’adempimento, i diritti, e soprattutto le garanzie, che erano inerenti al rapporto obbligatorio.
La surrogazione può avvenire per volontà del creditore che, ricevendo il pagamento da un terzo, può dichiarare
espressamente di volerlo far subentrare nei propri diritti verso il debitore o per volontà del debitore che, prendendo a mutuo
una somma di danaro al fine di pagare il debito, può surrogare il mutuante nella posizione del creditore oppure nei casi di
legge:
1) a vantaggio di chi, essendo creditore, ancorché chirografario, paga un altro creditore che ha diritto di essergli preferito in
ragione dei suoi privilegi, del suo pegno o delle sue ipoteche;
2) a vantaggio dell'acquirente di un immobile che, fino alla concorrenza del prezzo di acquisto,
paga.uno.o.più.creditori.a.favore.dei.quali.l'immobile.è.ipotecato
3) a vantaggio dell'erede con beneficio d'inventario che paga con danaro proprio i debiti ereditari
Differenza surrogazione e cessione del credito:
La surrogazione, come la cessione del credito, dà luogo ad una successione nel lato attivo del rapporto obbligatorio
ma la surrogazione suppone che l’obbligazione sia adempiuta; la cessione, che l’adempimento non si sia ancora
verificato.
LA MORA CREDENDI
Normalmente per la realizzazione dell’adempimento è necessaria la cooperazione del creditore (es. se devo consegnare una
cosa la consegna non si può effettuare se il creditore non è disposto a riceverla.)
Non sempre il creditore ha interesse a liberare il debitore (si pensi al caso in cui gli prema dimostrare il contrario per ottenere
la risoluzione del contratto o per far maturare interessi elevati ad es. un creditore che dimentichi di lasciar aperti i magazzini
ove il debitore doveva consegnare le merci)
La figura della mora credendi ha luogo quando il creditore, senza legittimo motivo, rifiuta di ricevere il pagamento offertogli dal
debitore oppure omette di compiere gli atti preparatori per il ricevimento della prestazione (es. di lasciare aperto il agazzino).
Il rifiuto, da parte del creditore, di ricevere la prestazione offerta dal debitore è giustificabile solo qualora l'offerta non sia
valida, ad es. perché parziale o inesatta.
Il debitore costituisce in mora il creditore con l'offerta dell'adempimento; tale offerta può essere di due tipi:
solenne, ovvero compiuta. da un pubblico ufficiale; se l’obbligazione ha ad oggetto delle res da consegnare a domicilio il
a)
pubblico ufficiale le porta con se per eseguire il pagamento se si tratta di bene diverso (es restituzione del immobile locato)
l’offerta si fà per intimazione mediante atto
secondo gli usi, dove gli effetti della mora non si verifichino dal giorno dell’offerta ma da quello del deposito delle cose
b)
dovute
1. Effetti della mora. Il primo effetto della costituzione in mora del creditore è quello di impedire l'imputazione al debitore del ritardo nell'adempimento, e quindi di
liberarlo dalle conseguenze previste in caso di mora del debitore. Quando il creditore è stato costituito in mora, è a suo carico il rischio che la prestazione diventi
impossibile per causa non imputabile al debitore. Inoltre non sono più dovuti dal debitore gli interessi e i frutti della cosa che il creditore non abbia percepito. Il
creditore moroso, da parte sua, è tenuto a rimborsare le spese sostenute dal debitore per l'offerta, per la custodia e la conservazione della cosa oggetto
dell'obbligazione, quando l'offerta venga successivamente accettata dal creditore o convalidata con sentenza, nonché a risarcire i danni provocati al debitore a
causa della mora. La costituzione in mora del creditore non libera il debitore dalla sua obbligazione: egli resta tenuto ad adempiere la prestazione in qualunque
momento il creditore moroso la richieda.
2. La liberazione del debitore. Il legislatore ha accordato al debitore la possibilità di liberarsi dall'obbligazione, indipendentemente dalla volontà del creditore. Se
costituiscono oggetto dell'obbligazione cose mobili il debitore può liberarsi depositandole presso la Cassa depositi e prestiti o presso un istituto di credito se si tratta
di somme di denaro o titoli di credito, e presso uno stabilimento di pubblico deposito se si tratta di altre cose mobili. Per le obbligazioni di fare il legislatore non
prevede la possibilità per il debitore di liberarsi in caso di mora del creditore. Si ritiene tuttavia che la costituzione in mora implichi, in questo caso, la liberazione del
debitore, fatto salvo a suo favore il risarcimento del mancato guadagno per non aver potuto effettuare la prestazione.
Se l’offerta e il deposito non vengono accettate dal creditore è necessario far seguire un giudizio
Differenza tra ritardo e mora:
In caso di ritardo l'adempimento è ancora possibile, mentre in caso di inadempimento no.
Per esempio se io ti devo 1000 euro entro oggi ma non ti pago, posso pur sempre darteli domani. Sarà un adempimento
ritardato. Ma se tu ha fissato la scadenza di oggi come un termine essenziale e invalicabile
il.superamento.di.questa.scadenza.significa.inadempimento.
Di norma, è la volontà del creditore a far sì che il ritardo nell'adempimento si trasformi in inadempimento se io sono in ritardo e
tu agisci in giudizio per ottenere la risoluzione del contratto ecco che io non potrò più adempiere e quindi il mio ritardo sarà
divenuto un inadempimento vero e proprio e dovrò.restituirti.la.cosa.che.ho.acquistato.
Ad es. se pago in ritardo una rata di affitto se il proprietario di casa rimane acquiescente l'inquilino potrà adempiere anche in
ritardo, ovviamente con gli interessi di mora; ma se il proprietario gli intima lo sfratto per morosità, il contratto si risolve!
Per finire bisogna però ricordare che, la risoluzione del contratto non si può chiedere se il ritardo
nell'adempiere.è.di.scarsa.importanza.
Differenza tra penale e mora:
Mora: situazione qualificata di ritardo nell’adempimento.
Penale: facciamo riferimento ad un accordo tra le parti inserito nel contratto in cui stabiliscono l’importo del risarcimento del
danno nel caso in cui una parte sia inadempiente. È un obbligo risarcitorio convenzionale.
I MODI DI ESTINZIONE DIVERSI DALL’ADEMPIMENTO
LA COMPENSAZIONE
Quando tra due persone intercorrono rapporti obbligatori reciproci, (un soggetto creditore in un rapporto è al tempo stesso
debitore in un altro) questi ultimi possono estinguersi, in modo parziale o totale, senza bisogno di provvedere ai rispettivi
adempimenti, mediante compensazione tra i rispettivi crediti.
Alcuni crediti non posso essere compensati il più importante è il credito degli alimenti chi ha diritto a riceverli non può
provvedere ai propri bisogni se non li riceve e poco gli giova se il debito che lui ha con la controparte viene estinto oppure
cose di cui il proprietario si stato ingiustamente spogliato o cose depositate o date in comodato ecc.
La compensazione non è amessa tra obbligazione civile e naturale
La legge prevede tre tipi di compensazione:
Compensazione legale.
1)
Perché la compensazione legale operi, è necessario che la parte la eccepisca in giudizio: il giudice non può rilevarla d’ufficio.
Tuttavia, i debiti si estinguono non dal giorno della sentenza e per effetto di questa, ma dal momento della loro coesistenza,
Essa richiede:
omogeneità delle prestazioni dovute: i due crediti devono avere per oggetto entrambi o una somma di danaro o una
a)
quantità di cose fungibili dello stesso genere;
liquidità di entrambi i crediti, e cioè che sia già stato determinato il loro ammontare;
b) esigibilità dei crediti stessi: essi devono essere suscettibili di richiesta da parte del creditore di immediato adempiento
c) Compensazione giudiziale.
2)
Qualora nel corso di un giudizio sia invocato un credito liquido ed esigibile, e l’altra parte opponga in compensazione un
controcredito omogeneo ed anch’esso esigibile, ma non ancora liquido, il giudice può dichiarare l’estinzione dei due debiti fino
alla quantità corrispondente, a condizione che il credito opposto in compensazione sia di facile e pronta liquidazione.
3)Compensazione volontaria.
Quando i debiti reciproci non presentano i requisiti per far luogo alla compensazione legale o giudiziale, la loro estinzione per
compensazione può verificarsi solo in forza di uno specifico contratto, con il quale le parti rinunciano scambievolmente, in
tutto o in parte, ai rispettivi crediti.
Questa specie di compensazione può anche essere anteriore alla scadenza dei crediti.
Dalla compensanzione volontaria si distingue la Compensazione facoltativa. Ha luogo quando una parte rinunci ad eccepire
un ostacolo che si frapporrebbe alla compensazione legale: consente, per es., che si operi la compensazione, nonostante il
credito non sia scaduto LA CONFUSIONE
Qualora creditore e debitore sia la stessa persona, l’obbligazione si estingue
Ciò può accadere, per es., perché il creditore diventa erede del debitore o viceversa; oppure perché il creditore diventa
cessionario dell’azienda del debitore ed il suo credito era relativo all’azienda ceduta. L’obbligazione si estingue perciò per
confusione
In caso di successione ereditaria, tuttavia, non si ha confusione se l’erede accetta col beneficio d’inventario (art.490 c.c.).
L’estinzione per confusione comporta anche la liberazione dei terzi che abbiano prestato garanzia
LA NOVAZIONE
La novazione è un contratto con il quale i soggetti di un rapporto obbligatorio sostituiscono un nuovo rapporto a quello
originario.
Se la sostituzione riguarda il debitore, la novazione si dice soggettiva.
Se viene modificato l’oggetto o il titolo, la novazione si dice oggettiva
(dovevo denaro ed invece stabiliamo che darò grano).
Gli elementi che caratterizzano la novazione oggettiva sono due: uno oggettivo, consistente nella modificazione dell’oggetto o
del titolo; e uno soggettivo, la volontà di estinguere l’obbligazione precedente, che può risultare, come ogni dichiarazione di
volontà, anche tacitamente.
Se l’obbligazione originaria era inesistente o nulla, la novazione manca di causa e, perciò, è senza effetto. Può, invece,
novarsi un’obbligazione dipendente da titolo annullabile, se il debitore conosceva il vizio che produceva l’annullabilità
LA REMISSIONE
La remissione è la rinunzia del credito.
Essa consiste in un negozio unilaterale recettizio, che produce effetto quando la dichiarazione è comunicata al debitore, il
quale, peraltro, può dichiarare di non volerne profittare.
Presunzione assoluta di remissione e la restituzione volontaria del titolo.
La remissione estingue oggettivamente il debito. Essa fa cadere le garanzie inerenti al credito e, se si tratta di obbligazioni
solidali, libera tutti gli altri debitori.
Dalla remissione si distingue il pactum de non petendo la remissione estingue il debito invece il pactum de non petendo
attiene alle modalità di esigibilità della prestazione ad es. il creditore si obbliga a non chiedere l’adempiento prima di un dato
tempo e conserva le garanzie agendo verso gli altri debitori solidali.
L’IMPOSSIBILITA’ SOPRAVVENUTA
L’impossibilità originaria impedisce il sorgere del rapporto obbligatorio mentre l’impossibilità sopravvenuta estingue
l’obbligazione liberando il debitore, se essa dipende da cause a lui non imputabili, ossia se la prestazione è diventata
impossibile senza colpa del debitore ovvero una situazione impeditiva non prevedibile e non superabile e che non sia tale da
non poter essere superata con lo sforzo diligente cui il debitore è tenuto: il problema è se la situzione è ritenuta superabile o
meno (es. è esigibile che l’appaltatore paghi il pizzo per realizzare senza inconvenienti l’opera affidatagli o che il lavoratore si
presenti nonostante il grave lutto che lo ha colpito?)
L’effetto estintivo si verifica se l’impossibilità ha carattere definitivo.
Non costituiscono causa di impossibilità della prestazione fatti che si limitano a rendere difficile per il debitore l’adempimento
dell’obbligo. (es. sciopero delle banche o una maggior onerosità dell operazione stessa (es. maggior oneri perché un
interruzione della strada mi obbliga a trasportare le merci con un altro percorso procurando un aggravio nei costi)
L’ impossibilità può essere:
Totale preclude integralmente il soddisfacimento dell interesse (es revoca del permesso di costruire)
Parziale preclude solo in parte il soddisfacimento dell interesse (es voglio costruire cinque piani ma il peresso è per tre) il
debitore dovrà effettuare la prestazione rimasta possibile (tre piani e negli altri due si avrà impossibilità sopravvenuta)
Definitiva determinata da impedimento irreversibile (morte del cavallo) o imprevedibile (improvvisa revoca della concessione
all’appaltatore) esse estinguono automaticamente l’obbligazione
Temporanee determinata da un impedimento di natura transitoria (es sindrome influenzale che colpisce il lavoratore
dipendente) esse determinano l’estinzione solo se il debitore non può più essere ritenuto obbligato ad eseguire la prestazione
(cantante con calo di voce non è obbligato ad eseguire il concerto in altra data modificando la sua tournee) o se il creditore
non ha più interesse a farla eseguire (es canante scritturato per una festa di paese il tal giorno) diversamente da questi casi
l’impossibilta temporanea esonera il debitore dalla responsabilità per il ritardo e la prestazione dovrà essere effettuata senza
indugi una volta venuta meno la causa impeditiva (es lavoratore che torna al lavoro dopo l’ influenza). Se la prestazione ha
per oggetto una cosa determinata e diviene impossibile per cause imputabili ad un terzo il creditore può esigere dal debitore
quanto egli abbia ottenuto a titolo di risarcimento per inadempimento.
L’INADEMPIMENTO E LA MORA
L’INADEMPIMENTO
Il debitore è tenuto ad eseguire esattamente la prestazione dovuta se non lo fa incorre nell’ inadempiento.Perché si abbia
inadepiento è necessario che sia già maturato il tempo dell’ inadempiento (es scaduto il termine in cui l’appaltatore doveva
consegnare l’immobile)
Talora può verificarsi inadempiento ancora prima che sia maturato il tempo dell inadempiento (es. il debitore non ha svolto le
attivita preparatorie necessarie per effettuare la prestazione es l’appaltatore non ha impiantato il cantiere x l’avvio dei lavori) o
non proceda secondo le condizioni stabilite ed a regola d’arte o quando si è certi che il debitore non sarà in grado di eseguire
la prestazione (es ha alienato il bene che doveva consegnarci) o quando il debitore ha formalmente dichiarato che non è in
grado o non intende adempiere.
L’inadempiento è totale se la prestazione è mancata interamente,invece si ha inadempimento parziale quando la prestazione
eseguita differisce quantitativamente o qualitativamente da quella dovuta. (es medico che esgue correttamente l’intervento ma
lascia una garza nell addome o fornitore che i consegna 100 quintali di grano invece che 50).
Si ha inadempimento assoluto quando non soltanto la prestazione non è stata ancora adempiuta, ma ormai l’adempimento
non potrà più verificarsi (es fotografo che non si presenti il giorno delle nozze) . Si ha invece inadempimento relativo quando
il debitore non ha ancora eseguito la prestazione dovuta, ma l’adempimento, sebbene in ritardo, può ancora verificarsi.(es
debitore che non si presenta x versare una somma di denaro)
L’inadempiento che in questo caso è tardivo può sfociare in una definitiva risoluzione nel qual caso il creditore non abbia più
interesse a conseguirla.
L’inadempimento è imputabile al debitore, che ne risponde con l’obbligo di risarcire i danni che la mancata esecuzione della
prestazione provoca al creditore.
Il debitore può evitare la responsabilità che il mancato adempimento dell’obbligazione fa sorgere a suo carico solo qualora sia
in grado di dare la prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da
causa a lui non imputabile. (art.1218)
L’art 1218 c.c. non detta il criterio per individuare le cause di giustificazione ma rinvia ad una pluralità di criteri variamente
rintracciabili nell ordinamento il regime della responsabilità contrattuale varia perciò a seconda del tipo di obbligazione presa
in considerazione.
Inanzitutto il debitore risponde solo se egli non abbia impiegato diligenza perizia e prudenza
(es. l’obbligo del conduttore della cosa locata di servirsene x l’uso determinato nel contratto)
Ma qual’è il grado di diligenza concretamente richiesto nel singolo caso?
L’art. 1176 ci dice che il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia cioè da persona onesta preparata e
coscienziosa.
Ma la diligenza varia a seconda dell’attività dovuta, all’operatore professionale si richiede una diligenza superiore a quella dell
operatore occasionale .
Oppure a chi effettua la prestazione a titolo gratuito si richiede un impegno meno gravoso.
Vi sono dei casi in cui il debitore risponde anche se nessuna negligenza può essergli imputata (es il vettore risponde anche se
la merce è andata distrutta senza sua colpa ad es in un incidente stradale provocato da terzi) il vettore si libera solo
dimostrando il caso fortuito ovvero la sopravvenienza di una circostanza anomala estranea alla sfera della sua attività di
impresa (es attentato terroristico che distrugge il suo mezzo).
In alcuni casi il debitore risponde anche in assenza di colpa dei rischi tipici prevedibili e calcolabili conessi alla sua attivita. (es.
la responsabilità dell’albergatore del deterioramento, della distruzione o sottrazione delle cose portate dal cliente in albergo).
Anche il debito di una somma di denaro risponde in assenza di una condotta colpevole (es crack della banca) salvo che
l’inadepienza sia determinata da sopravvenienze straordinarie e imprevedibili (es terremoto)
Salva diversa volontà delle parti, il debitore che nell'adempimento dell'obbligazione si vale dell'opera di terzi, risponde anche
dei fatti dolosi o colposi di costoro.
Il creditore che agisca in giudizio ha l’onere di fornire la prova del suo credito senza doverne fornire dimostrazione il debitore
dovrà dimostrare di aver esattamente eseguito la prestazione.
In caso di obbligazioni negative (es il lavoratore non sottosta all’obbligo di non svolgere attività concorrenziale) il creditore ha
l’onere di fornire la prova del suo diritto di credito e dell’ inadempiento dell obbligato.
In ogni caso grava sul debitore l’onere di fornire la prova di un eventuale causa di giustificazione atta ad esonerarlo da
responsabilità contrattuale.
Il risarcimento del danno
La conseguenza sanzionatoria principale dell’inadempimento del debitore è l’obbligo a suo carico, di risarcire il danno
arrecatogli a meno che egli non incorra in impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Se l’inadempimento è assoluto, la prestazione risarcitoria si sostituisce a quella originariamente dovuta (la quale ormai non
potrebbe più essere eseguita);
Se l’inadempimento è relativo la prestazione risarcitoraria si aggiunge a quella originariamente dovuta (che è già stata
eseguita,seppur in ritardo, o deve essere ancora eseguita). si verifica quando, pur essendo il debitore inadempiente, la
prestazione può ancora essere eseguita: in questo caso il debitore continua a essere tenuto alla prestazione originariamente
dovuta, ma a essa si aggiunge l'obbligo di risarcire il danno provocato dal ritardo.
Il risarcimento deve comprendere sia la perdita subita dal creditore che il mancato guadagno (es se mi danno una partita
avariata dovranno risarcirmi sia quanto ho speso per procurari la merce altrove sia il lucro che avrei tratto dalla fornitura se
corretamente eseguita)
La liquidazione del danno si dice convenzionale quando le parti si mettono d’accordo al riguardo; o giudiziale quando il
creditore è costretto a richiedere al giudice di stabilire l’importo dovutogli.
Peraltro è risarcibile soltanto il danno che sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. (es se il creditore cessa
l’attività perché esasperato dall’inadempienza del debitore il risarcimento non è dovuto per questo dato che questa è una sua
libera scelta).
Inoltre, se l’inadempimento o il ritardo dipendono da colpa del debitore, ma non da dolo (ovvero dipendono non da una libera
scelta del debitore ma sono provocati da negligenza e imperizia) il risarcimento è circoscritto a quello previsto questo per
evitare che il debitore inadempiente non sia esposto a conseguenza più gravi di quelle calcolate per il rischio di non riuscire
ad adempiere.
In ogni caso il creditore ha l’onere di provare le singole voci di danno (es. se ha organizzato un concerto quanto è costata la
sala la pubblicità della serata ecc)
Il creditore può pattuire con il debitore una clausola penale in forza della quale le parti pattuiscono quanto il debitore dovrà in
caso di insolvenza.
Per il caso in cui il creditore offra prove sufficienti di avere certamente subito il danno, ma senza che riesca a dare la prova del
suo preciso ammontare, il giudice può provvedere alla liquidazione con valutazione equitativa.
Il debitore che non abbia puntualmente fatto fronte alle obbligazioni pecuniarie è tenuto automaticamente (e cioè senza
bisogno che il creditore provi di aver sofferto alcun danno) a pagare dal giorno della mora (in aggiunta al capitale che avrebbe
dovuto versare) gli interessi moratori che possono essere decisi ex ante.
Gli interessi sono dovuti (se non diversamente disposto) al tasso legale poiché la legge presuppone che il creditore se avesse
ricevuto tempestivaente la somma cui aveva diritto l’avrebbe impiegata in modo da trarne un utile non inferiore alla misura
degli interessi legali.
Ma se il creditore non si accontenta di pretendere gli interessi legali, ma sostiene di aver subito un danno maggiore grava su
di lui, l’onere di fornire le prove del supposto maggior danno di cui chiede il risarcimento. (es dimostrare che se avesse avuto
quella somma avrebbe concluso un affare vantaggioso che avrebbe assicurato un lucro superiore).
Il legislatore ammette che per il lavoratore subordinato e per l’assegno al coniuge divorziato la somma spettante venga
rivalutata in conseguenza del deprezzamento del denaro negli altri casi il creditore deve dimostare che il denaro sarebbe
stato utilizzato in modo da evitare le cause negative dell’inflazione.
La liquidazione deve essere diminuita se a determinare il danno ha concorso il fatto colposo del creditore,
Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza ovvero: se ad es. la
mancata fornitura blocca il mio sabilimento devo procurarmi materiale altrove non posso tenere chiuso e poi richiedere i danni
per la chiusura
LA MORA DEBENDI
Il ritardo o “inadempimento relativo” va distinto dalla mora del debitore (cd. mora debendi).
Essa.si.ha.allorquando.sussistano.3.requisiti:
Il.ritardo.nell’adempimento;
L’imputabilità.di.detto.ritardo.al.debitore;
L’intimazione per iscritto da parte del creditore al debitore di adempiere seppure tardivamente.
La.mora.del.debitore.può.essere:
· ex re ovvero automatica quando non è necessario un atto di costituzione in mora che risulta superflua , essa scatta
automaticamente per il solo fatto del ritardo nei seguenti casi:
1. quando il debito deriva da fatto illecito extracontrattuale, in quanto la gravità della lesione causata al diritto altrui
ingenera automaticamente l'esigenza di una pronta riparazione;
2. Il.debitore.dichiara.per.iscritto.di.non.voler.adempiere;
3. quando è scaduto il termine, qualora si tratti di prestazione da eseguirsi al domicilio del creditore, come normalmente
accade nel caso di obbligazioni pecuniarie;
4. .l’obbligazione nasce a favore del subfornitore nei confronti del committente in forza del cd. Contratto.di.subfornitura
5. l’obbligazione pecuniaria nasce a titolo di corrispettivo da una cd. transazione commerciale.
· ex persona quando il creditore richiede per iscritto l'adempimento mediante atto di costituzione in mora..
La costituzione in mora vale anche ad interrompere la prescrizione.
La mora debendi può essere considerata solo nelle obbligazioni positive (di fare, di dare). Se l’obbligazione ha carattere
negativo (di non facere), basta contravvenire all’obbligo assunto perché si verifichi un inadempimento assoluto e non ha
senso parlare perciò di ritardo o mora.
Il debitore non è responsabile del ritardo se gli è stato impossibile adempiere per una causa che non era in grado di
prevedere e prevenire. L’onere della prova di tale impossibilità grava sul debitore.
Il semplice ritardo ovvero quello che non dà luogo alla mora debendi non è improduttivo di conseguenze giuridiche così a
prescindere dalla mora il creditore può chiedere il risarcimento del danno la risoluzione per inadempiento il pagamento della
penale ecc
Gli effetti della mora debendi sono invece:
l’obbligo al pagamento degli interessi moratori
a) il passaggio del rischio. Se il debitore non è in mora, il rischio del imprevisto è a carico del creditore, ovvero se la
b)
prestazione diventa impossibile per causa non imputabile al debitore l’obbligazione si estingue. Quando invece il debitore è in
mora il rischio passa a suo carico perciò l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile al debitore non
sussiste e quindi egli è tenuto al risarcimento del danno (se è in mora) a meno che provi che l'oggetto della prestazione
sarebbe ugualmente perito presso il creditore.
Differenza tra mora debendi e mora credendi
Mentre nella mora debendi il ritardo dipende dal comportamento del debitore, nella mora credendi esso dipende dal
comportamento del creditore.
Il primo degli effetti della mora credendi consiste nell’impedire che il ritardo nell’adempimento sia addebitato al debitore e che
quindi scattino a carico di quest’ultimo le conseguenze pregiudizievoli che deriverebbero dalla mora debendi. In quanto è il
creditore che rende ipossibile l’adempiento (anzi il debitore non deve più gli interessi, né i frutti della cosa e può pretendere il
risarcimento dei danni che il comportamento del creditore gli abbia procurato, oltre il rimborso delle eventuali spese sostenute
per la custodia e la conservazione della cosa dovuta.)
Inoltre, quando il creditore è in mora, è a suo carico il rischio per l’ipotesi che la prestazione divenga impossibile per causa
non imputabile al debitore vale a dire che in tal caso non soltanto il debitore è liberato dell’obbligo, ma il creditore, se il credito
deriva da un contratto a prestazioni corrispettive, non può considerarsi a sua volta libero dall’obbligo di eseguire la
controprestazione, ma deve egualmente quest’ultima (es se il cantante si presenta x il concerto dovrà essere pagato anche
se l’organizzatore non ha predisposto il necessario per lo svolgimento della serata).
Naturalmente la mora credendi non estingue di per sé l’obbligazione e neppure elimina o attenua la responsabilità del
debitore, se questi una volta cessata la mora del creditore rende impossibile la prestazione per colpa sua, non provvedendo
ad adempiere
LA RESPONSABILITA’ PATRIMONIALE DEL DEBITORE
Se il debitore non adempie la prestazione dovuta, tutti i suoi beni, sia quelli che aveva al momento in cui
sorse l’obbligazione, sia quelli che egli ha successivamente acquistato, possono essere espropriati dal
creditore in forza di un accertamento giudiziale (cioè vende i beni del debitore per soddisfarsi sul danaro
ricavato) anche se il denaro non costituiva oggetto della prestazione originariamente dovuta ma magari
merci, il debitore deve essere titolare dei beni e il creditore deve riuscire ad individuarli al fine di sottoporli a
pignoramento.
Si suol dire che tutto il patrimonio del debitore costituisce la garanzia generica del creditore.
Se vi sono più creditori, tutti hanno uguale diritto di soddisfarsi con il ricavato della vendita dei beni del
debitore in proporzione al dovuto se un creditore deve avere 100 l’altro 50 e il debitore ha 135 uno prende 90
l’altro 45 ovvero ogni creditore perde il 10%.
Tuttavia, ad alcuni creditori la legge assicura il soddisfacimento in maniera preferenziale ovvero una
prelazione (es il primo avrebbe ottenuto100 l’altro 35)
Le cause legittime di prelazione, sono i privilegi, il pegno e l’ipoteca. Se la cosa soggetta a pegno, ipoteca
o a privilegio perisce o è deteriorata, il creditore perde la possibilità di esercitare il diritto di prelazione.
Tuttavia, se il debitore si era assicurato contro i danni, si verifica la c.d. surrogazione reale ovvero
l’assicurazione non paga all’assicurato ma ai creditorrei privilegiati.
Il privilegio
Il privilegio è una tra le cause di prelazione che costituisce garanzia patrimoniale su determinati beni del
debitore in relazione alla causa del credito. I privilegi non sono pattuiti dalle parti come nel caso del pegno o
dell’ipoteca, ma sono tipizzati dalla legge stessa la quale attribuisce tale prelazione a determinati tipi di crediti
che appaiono degni di una maggiore tutela in via generale e astratta
Alcuni creditori sono preferiti nella distribuzione di quanto venga ricavato dalla vendita forzata dei beni del
debitore, al contrario dei creditori chirografari, ovvero non assistiti cioè da cause di prelazione. Tra i crediti
privilegiati l’ordine di preferenza è stabilito dalla legge che accorda maggior protezione ai crediti derivanti da
rapporti di lavoro ed assimilati.
Il privilegio è generale (su tutti i beni mobili del debitore) o speciale (su determinati beni mobili e immobili)
Il privilegio generale non attribuisce il diritto di sequela (diritto di sottoporre il bene ad un'esecuzione forzata,
anche se divenuto di proprietà di un terzo)
Il privilegio speciale costituisce un diritto reale di garanzia perciò chi acquista la cosa dopo che è già sorto il
privilegio deve subirla.
Tuttavia, in alcuni casi l’esistenza del privilegio è fatta dipendere dalla condizione che la cosa si trovi in un
determinato luogo
Il pegno è preferito al privilegio speciale sui mobili,
Il privilegio speciale sugli immobili è preferito all’ipoteca
I DIRITTI REALI DI GARANZIA
(PEGNO ED IPOTECA)
Oltre i privilegi, sono cause legittime di prelazione anche il pegno e l’ipoteca.
Tali istituti hanno un tratto caratteristico comune: sono diritti reali ovvero attribuiscono al creditore, relativamente ai
beni su cui sono stati costituiti, il c.d. diritto di sequela: cioè il potere di esercitare la garanzia, espropriando il bene
e soddisfacendosi sul prezzo ricavato dalla vendita, anche se la loro proprietà sia passata ad altri.
Appartengono alla categoria dei diritti reali su cosa altrui, ma si distinguono da essi in quanto finiscono con il
limitare il potere di disposizione del proprietario, in quanto l’eventuale acquirente deve tener conto del debito che il
bene garantisce a favore del creditore.
Pegno ed ipoteca non hanno mai carattere generale, ma concernono sempre beni determinati
La differenza tra pegno ed ipoteca e privilegio speciale consiste:
a) I privilegi sono stati stabiliti dalla legge per la causa del credito, e quindi il credito è privilegiato o meno fin dal
momento della nascita.
b) Il pegno e l’ipoteca richiedono un proprio titolo costitutivo; quindi soggette alla volontà privata.
Ciò spiega come, mentre il privilegio cade sempre su un bene del debitore, pegno ed ipoteca possono essere
concessi anche da un terzo (c.d. terzo datore di pegno o di ipoteca). Egli garantisce il debito di un terzo, ma solo
con il bene su cui è costituito il pegno o l’ipoteca.
Pegno ed ipoteca danno luogo a rapporti accessori, nel senso che presuppongono un credito (anche futuro od
eventuale o condizionato) di cui garantiscono l’adempimento: perciò ne seguono la sorte e si estinguono con
l’estinguersi di esso.
Essi sono funzionali ad assicurare al creditore il soddisfacimento del proprio credito: dunque, qualora la cosa data
in pegno o sottoposta ad ipoteca perisca o si deteriori, il creditore sia pignoratizio che ipotecario, può chiedere che
gli sia prestata altra idonea garanzia e, in mancanza, può esigere l’immediato pagamento del debito (regola della
decadenza del termine).
Il pegno e l’ipoteca attribuiscono al creditore:
a) La facoltà di far espropriare la cosa, se il debitore non paga.
b) La preferenza rispetto agli altri creditori in ordine alla distribuzione di quanto venga ricavato dalla vendita
forzata del bene oggetto della garanzia.
c) Il diritto di sequela, ossia il diritto di sottoporre il bene ad esecuzione forzata, anche se divenuto di proprietà di
terzi.
Il legislatore vuole tutelare il debitore contro il rischio che, confidando di poter riuscire a pagare il debito, lo stesso
accetti di pattuire ex ante, per il caso di mancato adempimento, l’automatico trasferimento in favore del creditore
della proprietà del bene concesso in garanzia. Ha perciò sancito la nullità di un simile patto (c.d. patto
commissorio).
Il legislatore vuole che la cosa ipotecata o costituita in pegno, se il debitore non paga, sia venduta agli incanti e sul
ricavato il creditore si soddisfi nel limite del suo credito: la gara tra gli aspiranti varrà a garantire l’interesse del
debitore a che il prezzo sia il più elevato possibile, in modo che possano eventualmente essere soddisfatti pure altri
creditori.
Differenze tra Pegno ed ipoteca
La differenza sta innanzitutto nella diversità dell’oggetto: il pegno ha per oggetto beni mobili (non registrati),
universalità di beni mobili e crediti, l’ipoteca ha invece per oggetto beni immobili, taluni diritti reali immobiliari
(usufrutto, superficie, enfiteusi), beni mobili registrati e rendite dello Stato.
In più con il pegno si trasferisce materialmente il bene al creditore, sottraendone il godimento al proprietario;
l'ipoteca, invece, ha per oggetto beni immobili, diritti reali immobiliari o beni mobili registrati e, a differenza del
pegno, il bene oggetto di ipoteca rimane in godimento del proprietario,
A questo bisogna aggiungere che il pegno si costituisce per contratto (che deve risultare per atto scritto, tra
debitore e creditore o terzo) e si perfezione con la consegna della cosa; mentre l'ipoteca per la sua costituzione
richiede una specifica formalità: ovvero l'iscrizione in pubblici registri.
IL PEGNO
Esso è un diritto reale su beni mobili (non registrati) del debitore o di un terzo, che il creditore può acquistare
mediante un apposito accordo con il proprietario a garanzia del suo credito.
Possono essere concessi in pegno anche crediti, universalità di beni mobili e altri diritti reali mobiliari.
È vietato il suppegno: ossia il pegno che abbia per oggetto un altro diritto di pegno dal momento che il creditore pignoratizio
non può né usare la cosa, né disporne, concedendone ad altri il godimento o dandola a sua volta in pegno.
Il pegno attribuisce al creditore una prelazione: egli ha diritto di soddisfarsi con priorità, rispetto agli altri creditori, sul ricavato
della vendita coatta del bene costituito in pegno; e ciò perfino se nel frattempo la cosa sia stata trasferita in proprietà di terzi
(diritto di sequela)
Scaduta l’obbligazione, se il debitore non adempie spontaneamente, il creditore per consentire quanto gli è dovuto, può far
vendere coattivamente la cosa ricevuta in pegno previa intimazione al debitore di pagare il debito e gli accessori. La vendita
può essere effettuata, alternativamente, o ai pubblici incanti o, se la cosa ha un prezzo di mercato, anche a prezzo corrente, a
mezzo di privati autorizzati (agenti di scambio, mediatori, ecc.). il creditore può anche domandare al giudice che la cosa gli
venga assegnata in pagamento fino alla concorrenza del suo credito, al valore stimato da un perito o secondo il prezzo
corrente se la cosa ha un prezzo corrente di mercato.
Un diritto di pegno (regolare) deve essere costituito mediante apposito accordo contrattuale, in quanto deve essere reso
opponibile ai terzi (in quanto l’effetto principale è una prelazione rispetto agli altri eventuali creditori) per questo è necessario:
a) Che il contratto costitutivo del pegno risulti da atto scritto
b) Che la scrittura abbia data certa
c) Che nella scrittura risultino specificatamente indicati sia il credito garantito ed il suo ammontare, sia il bene costituito in
pegno.
Infine, per la costituzione del pegno occorre lo spossessamento del debitore (o del terzo costituente), nel senso che la cosa
oggetto del pegno deve essere consegnata al creditore, o ad un terzo di comune fiducia. Può anche essere mantenuta in
custodia di entrambe le parti, ma a condizione che il costituente sia nell’impossibilità di disporne senza la cooperazione del
creditore.
Solo con queste condizioni il crditore acquisisce il diritto di essere preferito agli altri creditori nella distribuzione del ricavato
dell’eventuale vendita coattiva del bene costituito in pegno.
Per il pegno su un credito occorrono, ai fini della prelazione, l’atto scritto e la notifica al debitore della costituzione del pegno
ovvero l’accettazione da parte di quest’ultimo con un atto di data certa. Si applica cioè la stessa regola che disciplina
l’efficacia della cessione del credito rispetto ai terzi ciò è giustificato dalla considerazione che la preferenza deve esercitarsi
appunto in relazione agli altri creditori che, essendo estranei al rapporto di pegno, debbono considerarsi terzi.
a) Il creditore, se la cosa data in pegno non è affidata alla custodia di un terzo, ha diritto di trattenerla, ma per controverso,
ha l’obbligo di custodirla se perde il possesso può esercitare l’azione di spoglio e anche l’azione petitoria di
rivendicazione, se questa spetta al costituente
b) il pegno non può attribuire poteri che vanno al di là della funzione di garanzia: perciò il creditore non può usare o disporre
della cosa; se viola questo divieto, il costituente può ottenere il sequestro della cosa stessa. Peraltro il creditore può fare
suoi i frutti della cosa.
Egli deve restituire la cosa quando il debito è stato interamente pagato
c) Il creditore, per il conseguimento di quanto gli è dovuto può chiedere che il bene sia venduto ai pubblici incanti, previa
intimazione al debitore, e può anche domandare al giudice che la cosa gli venga assegnata in pagamento, fino alla
concorrenza del debito, secondo la stima del bene stesso.
È in questa fase che si realizza il più importante degli effetti dell’istituto, il diritto di soddisfarsi con prelazione rispetto agli altri
creditori sul prezzo ricavato dall’espropriazione.
Pegno irregolare.
Talora a garanzia del soddisfacimento di un credito vengono consegnate al potenziale creditore cose fungibili (solitamente
una somma di denaro o titoli di credito). Il creditore ne acquista la disponibilità e diviene debitore della somma: si parla, in tal
caso, di cauzione (o deposito cauzionale). Se sorge il credito, il creditore lo compensa, in tutto o in parte, con il debito che ha
verso chi ha prestato la cauzione. (es cauzione di chi paga l’affitto).Nell’ipotesi esaminata si è evidentemente fuori dalla figura
del pegno, che dà luogo ad un diritto reale su cosa determinata della quale il creditore può disporre. Invece nell’ipotesi in
esame passa al creditore la proprietà della quantità di cose fungibili ricevuta, con l’obbligo di restituirne il tantundem.
L’istituto assume il nome di pegno irregolare. L’IPOTECA
È un diritto reale di garanzia, che attribuisce al creditore il potere di espropriare il bene sul quale l’ipoteca è costituita e di
essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato dall’espropriazione. Attribuisce al titolare di essa il diritto di sequela.
Presenta in comune con il pegno i seguenti ulteriori caratteri:
a) Specialità, in quanto non può cadere se non su beni determinati: non sono ammesse ipoteche generali. Inoltre è
necessaria la determinazione della somma per cui è concessa ipoteca: essa permette ai terzi di conoscere l’entità del
vincolo che esiste sul bene; e consente al debitore di ottenere nuovi prestiti se il valore della cosa è sufficiente a garantirli
b) Indivisibilità: in quanto l’ipoteca grava per intero sopra tutti i beni vincolati, sopra ciascuno di essi e sopra ogni loro parte;
il che significa che se a garanzia di un credito sono ipotecati piu beni il creditore può far espropriare uno qualsiasi di essi
e soddisfarvi l’intero credito l’ipoteca garantisce il credito fino a quando non è estinto anche se il debitore ne solvisca una
parte.
Oggetto dell’ipoteca sono Immobili, mobili registrati e le rendite dello Stato ma anche usufrutto su beni immobili, diritto di
superficie, nuda proprietà, il diritto dell’enfiteuta e quello del concedente sul fondo enfiteutico. Non le servitù, che non possono
formare oggetto di espropriazione separatamente dal fondo dominante, né i diritti d’uso e di abitazione, di cui non è ammessa
la circolazione.
Se il diritto reale di godimento si estingue se si tratta di ipoteca costituita sull’usufrutto, la garanzia si estingue con il
cessare dell’usufrutto stesso; se di ipoteca costituita sulla nuda proprietà l’estinzione dell’usufrutto determina, per il principio
dell’elasticità del dominio (consolidazione), l’acquisto della proprietà piena a favore di chi ha concesso l’ipoteca e
conseguentemente l’ipoteca si estende alla proprietà piena. Un’altra vicenda che può subire l’ipoteca è la riduzione, che ha
luogo quando il valore del bene risulta eccessivo rispetto al credito garantito. Anche la quota di un bene indiviso può formare
oggetto di ipoteca. Poiché la cosa accessoria segue il destino della cosa principale l’ipoteca si estende ai miglioramenti, alle
costruzioni e alle altre accessioni dell’immobile ipotecato.
Proprio per la gravità del vincolo che ne discende, carattere essenziale dell’ipoteca è la sua pubblicità: non esistono ipoteche
occulte.chiunque deve sapere se un bene è ipotecato se è convieniente acquistarlo. La pubblicità dell’ipoteca ha carattere
costitutivo: il diritto d’ipoteca si costituisce mediante iscrizione nei pubblici registri immobiliari. Questa è essenziale per il
sorgere dell’ipoteca:
L’ordine di preferenza tra le varie ipoteche relativamente al medesimo bene è determinato non già dalla data del titolo, ma da
quella dell’iscrizione. L’ipoteca prende grado dal momento della sua iscrizione.
Ogni iscrizione riceve un numero d’ordine esso rappresenta il grado dell’ipoteca.
E importante perché può darsi che due o più persone si presentino contemporaneamente a chiedere l’iscrizione contro la
stessa persona e sul medesimo immobile: le iscrizioni sono eseguite sotto lo stesso numero e i creditori concorrono tra loro in
proporzione dell’importo dei rispettivi crediti.
Non è vietato lo scambio del grado tra creditori ipotecari, purchè esso non leda i creditori aventi gradi successivi.
Pubblicità costitutiva significa sì, che senza la pubblicità l’ipoteca non nasce, ma non vuole affatto dire che la pubblicità valga
a sanare i vizi da cui sia eventualmente affetto l’atto di concessione d’ipoteca
Se il negozio è annullabile o nullo lo è anche l’iscrizione
La pubblicità ipotecaria si attua mediante:
a) Iscrizione
b) Annotazione
c) Rinnovazione
d) Cancellazione
L’iscrizione è l’atto con il quale l’ipoteca prende vita. Si esegue presso l’Ufficio dell’Agenzia del Territorio del luogo in cui si
trova l’immobile. Se il negozio che concede l’ipoteca risulta da scrittura privata, questa deve essere autenticata o accertata
giudizialmente.
L’iscrizione dell’ipoteca a garanzia di un determinato credito fa collocare nello stesso grado, oltre il credito principale, i
seguenti crediti accessori:
a) Le spese dell’atto di costituzione d’ipoteca, quelle di iscrizione e rinnovazione
b) Le spese ordinarie occorrenti per l’intervento nel processo di esecuzione
c) Gli interessi, purchè ne sia enunciata la misura.
L’annotazione serve a rendere pubblico il trasferimento dell’ipoteca a favore di altra persona.Anche l’annotazione ha efficacia
costitutiva: la trasmissione dell’ipoteca non ha effetto finchè l’annotazione non sia eseguita. Resa pubblica l’annotazione, la
cancellazione dell’ipoteca non si può eseguire senza il consenso dei titolari dei diritti indicati nell’annotazione.
La rinnovazione.L’iscrizione dell’ipoteca conserva il suo effetto per 20 anni dalla sua data. La rinnovazione serve appunto ad
evitare che si verifichi l’estinzione dell’iscrizione: essa deve eseguirsi precedentemente all’estinzione ventennale, pena una
necessaria nuova iscrizione e la perdita del grado.
Chi ha lasciato trascorrere il ventennio corre anche il rischio che se il bene è acquistato da un terzo il quale ha trascritto il suo
titolo, non si potrà effettuare una nuova iscrizione né a carico del terzo acquirente (estraneo a l’ipoteca né a carico del suo
dante causa. (che non ha più diritti sul bene).
La cancellazione estingue l’ipoteca e vi si ricorre, di regola, quando il credito è estinto.
Essa può:
a) Essere consentita dal creditore, nel qual caso l’atto di consenso alla cancellazione deve provenire da persona capace e
rivestire le stesse forme richieste per il negozio di concessione dell’ipoteca.
b) Essere ordinata dal giudice: in questo caso peraltro la cancellazione non può essere effettuata se la sentenza non è
passata in giudicato.
L’ipoteca può essere iscritta in forza:
a) Di una norma di legge (ipoteca legale)
b) Di una sentenza (ipoteca giudiziale)
c) Di un atto di volontà del debitore (ipoteca volontaria) o di un terzo che la costituisce a garanzia altrui.
L’ipoteca legale attribuisce a determinati creditori, in vista della causa del credito meritevole di particolare protezione, il
diritto di ottenere unilateralmente l’iscrizione dell’ipoteca (quindi anche senza o contro la volontà del debitore) sui beni del
debitore medesimo.
Anche in questo caso l’ipoteca non nasce se non è iscritta.
L’ipoteca legale spetta
1) All’alienante (sopra gli immobili alienati) a garanzia dell’adempimento degli obblighi derivanti a carico
dell’acquirente, dall’atto di alienazione (es.: per il pagamento del prezzo)
2) Ai coeredi, ai soci e agli altri condividenti a garanzia del pagamento dei conguagli dovuti dall’assegnatario in forza
dell’atto di divisione: cioè a garanzia del pagamento delle somme dovute da chi nella divisione ha ricevuto un bene
il cui valore è maggiore della quota spettantegli, per compensare l’altro o gli altri condividenti
L’ipoteca giudiziale: Il legislatore concede al creditore di chiedere unilateralmente l’iscrizione di un’ipoteca a carico di beni
del debitore ed a garanzia del suo credito, quand’anche già scaduto ed esigibile, quando ottenga una sentenza, anche se non
ancora passata in giudicato, ed anche se non ancora esecutiva, che condanni il debitore a pagargli una somma di denaro,
ovvero all’adempimento di altra obbligazione, ovvero al risarcimento di danni da liquidarsi successivamente.
Il creditore ha diritto all’iscrizione di ipoteca giudiziale anche se la condanna del debitore al pagamento di una somma di
denaro risulti da un provvedimento giudiziale diverso da una sentenza, (es decreto ingiuntivo ovvero da un lodo arbitrale o da
una sentenza straniera.
L’ipoteca volontaria può essere iscritta in base a contratto o anche a dichiarazione unilaterale di volontà del concedente.
Si esclude il testamento, per non dar modo al debitore di alterare la situazione dei suoi creditori con riferimento all’epoca in cui
cesserà di vivere: la legge infatti tende a garantire dopo l’apertura della successione la par condicio dei creditori del defunto.
È richiesta la forma scritta ad substantiam.
Nell’atto devono essere contenute le indicazioni idonee ad individuare l’immobile su cui si concede ipoteca. Legittimato alla
concessione è il proprietario del bene.
L’ipoteca su cosa altrui ha efficacia obbligatoria: chi l’ha concessa è tenuto a procurare al creditore l’acquisto del diritto di
ipoteca; e cioè ad acquistare la cosa su cui ha fatto gravare ipoteca prima di acquistarla definitivamente: L’iscrizione in ogni
caso può essere validamente effettuata solo quando il bene è entrato nel patrimonio del costituente.
Analogo regime si applica in relazione all’ipoteca su cosa futura: anche qui l’ipoteca può essere validamente iscritta soltanto
quando la cosa sia venuta ad esistenza. Prima di quel momento il negozio ha soltanto efficacia obbligatoria: il concedente ha
l’obbligo di fare in modo che la cosa venga ad esistenza, perché l’ipoteca vi possa essere iscritta.
Come abbiamo visto l’ipoteca ha efficacia anche nei confronti di chi acquista l’immobile dopo l’iscrizione (cd terzo acquirente
del bene ipotecato.)
Costui (Il terzo non è obbligato personalmente con tutti i suoi beni verso i creditori che abbiano iscritto ipoteca sull’immobile
acquistato) questi ultimi possono soltanto fare espropriare il bene ipotecato, anche dopo il trasferimento.
Il terzo è esposto all’espropriazione del bene soltanto per averlo acquistato gravato da ipoteca. Perciò la legge lo ritiene
meritevole di considerazione, senza peraltro sacrificare i diritti del creditore. Infatti l’acquirente del bene ipotecato può evitare
l’espropriazione esercitando a sua scelta una delle seguenti facoltà:
a) Pagare i crediti a garanzia dei quali è iscritta l’ipoteca
b) Rilasciare i beni ipotecati in modo che l’espropriazione non avvenga contro di lui, ma contro l’amministratore dei beni
stessi che sarà nominato dal tribunale
c) Liberare l’immobile dalle ipoteche mediante lo speciale procedimento di purgazione delle ipoteche, nel quale egli offrirà ai
creditori il prezzo stipulato per l’acquisto o il valore da lui stesso dichiarato, se si tratta di beni pervenutigli a titolo gratuito
Il terzo datore di ipoteca non può avvalersi delle facoltà che la legge concede al terzo acquirente, appunto per la sua
posizione di persona estranea alla costituzione dell’ipoteca.
Egli non può neppure opporre, se non si è convenuto diversamente, il beneficium excussionis: non può cioè dire al creditore
di fare espropriare prima i beni del debitore e poi quelli ipotecati.
Se paga i crediti iscritti o subisce l’espropriazione, può rivolgersi contro il debitore per farsi rimborsare (diritto di regresso).
L'ipoteca si estingue con la sua cancellazione dal registro.
Anche per la cancellazione occorre un titolo:
l'estinzione dell'obbligazione garantita,
• la rinuncia espressa e redatta per iscritto del creditore all'ipoteca,
• la vendita forzata della cosa ipotecata
• il perimento della cosa
• lo spirare del termine ventennale senza rinnovazione
•
Il conservatore dei registri non può procedere d'ufficio alla cancellazione.
I MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE
Come sappiamo, il patrimonio del debitore costituisce per il creditore la garanzia generica del soddisfacimento
delle obbligazioni gravanti sul debitore medesio
Per impedire che il patrimonio del debitore possa per negligenza o dolo subire diminuzioni che incidano sulla
garanzia anzidetta, la legge riconosce al creditore taluni rimedi, volti ad assicurare la conservazione di tale
garanzia: si tratta dell’azione surrogatoria dell’azione revocatoria e del sequestro conservativo
L’AZIONE SURROGATORIA
In linea di principio i creditori non hanno diritto di sindacare sul modo in cui i debitori amministrano il loro patrimonio
però qualora il debitore dovesse compiere atti che diminuiscono il suo patrimonio (es. non riscuotendo crediti o
impedendo il maturarsi di un usucapione) arrecando con tale inerzia un pregiudizio a carico del patrimonio ed una
più rischiosa meno agevole e onerosa realizzazione dei diritti dei creditori la legge consente a ciscuno di essi di
surrogarsi al debitore inattivo per esercitare i diritti e le azioni che gli spettano.
Percio perché si possa esperire un’azione surrogatoria, non basta l’inerzia del debitore, ma occorre che da questa
inerzia derivi un pregiudizio per le ragioni dei creditori, pregiudizio consistente nel rendere insufficiente la garanzia
generica dei creditori, costituita dal patrimonio del debitore.
L’azione anche se esercitata da un singolo creditore che agisce in surrogatoria manifesta i suoi effetti a tutti i
creditori del debitore: il creditore puo compiere gli atti che avrebbe compiuto quest ultimo (riscuotre un credito,
citare in giudizio un terzo nb in questo caso al procedimento deve partecipare anche il debitore) ovvero il creditore
evoca in giudizio il terzo e il debitore.
I benefici rimangono nel patrimonio del debitore e il creditore se ne avvantaggia soltanto nel senso di conservare e
migliorare le garanzie del suo credito.
La surroga dei crediti deve avere contenuto patrimoniale: Solo i diritti patrimoniali concorrono a formare la garanzia
generica del creditore. Anche perchè egli non ha interesse ad esercitare diritti di natura diversa (es promuovere il
disconoscimento della paternità) e anche se ne avesse un vantaggio (es se disconosco la paternità non devo più
versare gli alimenti) non sarebbe comunque consentita l’azione surrogatoria in quanto l’esercizio dei diritti personali
è rimesso esclusivamente al titolare dei medesimi
Legittimato ad agire è il creditore anche a termine o sotto condizione.
L’AZIONE REVOCATORIA
È un mezzo legale di conservazione della garanzia patrimoniale, il quale consiste nel potere del creditore
(revocante) di agire in giudizio per far dichiarare inefficace, nei suoi confronti, gli atti di disposizione
patrimoniale coi quali il debitore arrechi pregiudizio alle sue ragioni.
Oltre che con l’inerzia il debitore puo peggiorare la situazione dei suoi creditori anche ponendo in essere atti che
rendano piu difficile il soddisfacimento dei diritti di questi ultimi.
Naturalmente non si può impedire al debitore di compiere atti che modificano la consistenza del suo patrimonio (es
acquistare un quadro stipulare un appalto per lavori di manutenzione di un edificio) specie se rientrano nella sua
normale attività ma se il debitore dovesse compiere atti che modificano dal punto di vista quantitativo (es dona un
appartamento, vende un terreno ad un prezzo inferiore di quello di mercato) o anche qualitativo (scambia il suo
appartamento per un altro di pari valore vende un immobile a prezzo di mercato la consistenza del suo patrimonio)
fino a rendere incerta o quanto meno difficoltosa la realizzazione coattiva del diritto di credito
Al creditore è concessa l’azione revocatoria
Per l’esperimento dell’azione revocatoria si richiedono i seguenti presupposti:
un atto di disposizione con il quale il debitore modifica la sua situazione patrimoniale, o trasferendo ad altri un
1)
diritto che gli appartiene, o assumendo un obbligo nuovo verso terzi, o costituendo diritti (pegno, ipoteca, servitù) a
favore di altri su suoi beni;
un pregiudizio per il creditore, consistente nel fatto che il patrimonio del debitore come conseguenza dell atto di
2)
disposizione divenga insufficiente a soddisfare tutti i creditori; (anche con la vendita a prezzo di mercato il debitore
peggiora la sua situazione perché il denaro ottenuto dalla vendita può facilmente essere occultato e sfuggire alle
azioni creditorie non costituisce pregiudizio invece saldare un altro debito poichè questo gia incideva sul patrimonio
del debitore)
la conoscenza del pregiudizio che l’atto arreca alle ragioni del creditore. (ovvero porre a conoscenza il debitore
3)
fatto che spetta in ogni caso a chi agisce in revocatoria)
Non occorre la specifica intenzione di nuocere da parte del debitore, ma basta che si abbia la consapevolezza che
a seguito dell atto dispositivo il patrimonio del debitore divenga incapiente con il rischio di divenire insolvente o di
rendere più difficile ed incerta l’esecuzione creditizia a causa dell’atto posto in essere.
Se l’atto di disposizione è a titolo gratutito è sufficiente che si ponga a conoscenza dell’azione revocatoria il
debitore se è a titolo oneroso occorre per la proponibilità dell’azione che il terzo sia consapevole del pregiudizio
che l’atto arrechi al creditore:
L’azione revocatoria non elimina l’atto impugnato benchè venga dichiarato revocato
Essa non ha effetto restitutorio: il bene non ritorna nel patrimonio del debitore.
Inefficacia non significa nullità: l’atto è valido verso chiunque, tranne che verso il creditore agente, che può far
valere il suo diritto e far valere le sue ragioni , ad esempio, espropriando il bene in questione. L’inefficacia dell’atto
giova solo al creditore che abbia agito, eliminando il pregiudizio che si era creato ai suoi danni: di essa non
potrebbe avvalersi né il debitore (che volesse svincolarsi dall atto) né gli altri creditori (non possono farsi valere sul
bene oggetto di revocatoria) , né il terzo.(se volesse svincolarsi in quanto l’oggetto di revocatoria non è piu di suo
interesse)
Nel caso in cui, chi ha acquistato dal debitore ha disposto a sua volta del bene oggetto del negozio fraudolento a
favore di terzi (subacquirenti), la legge non accorda alcuna protezione all’acquisto a titolo gratuito, perché ritiene
più giusto evitare il pregiudizio al creditore. Se invece, l’acquisto è a titolo oneroso, e in buona fede allora creditore
e terzo si trovano alla pari
La prescrizione è di cinque anni IL SEQUESTRO CONSERVATIVO
Il sequestro conservativo è una misura preventiva e cautelare, che il creditore può chiedere al giudice, quando ha
fondato timore di perdere le garanzie del proprio credito (es. xchè ritiene che il debitore stia vendendo un immobile
che è l’unico cespite di valore del suo patrimonio)
Il giudice autorizza il sequestro conseravativo se:
a) si hanno elementi che consentano di ritenere fondato il diritto di credito cui la parte si ritiene titolare
b) il rischio che nel lasso di tempo in cui il creditore può ottenere il provvedimento il debitore depauperi il suo
patrimonio
Il sequestro ha per scopo di impedire la disposizione del bene da parte del debitore che viene colpito con sanzioni
penali, se sottrae o danneggia i beni sequestrati.
La disciplina del sequestro conservativo appartiene al diritto processuale
Il diritto di ritenzione
Il diritto di ritenzione è il diritto di rifiutare la consegna di una cosa di proprietà del debitore, fin quando il debitore
non adempia all’obbligazione, connessa con la cosa.
Il diritto di ritenzione è un forma di autotutela e sappiamo che l’ordinamento giuridico non permette di farsi giustizia
da se quindi è consentito soltanto nei casi espressamente previsti.
Conseguentemente le disposizioni che prevedono il diritto di detenzione non sono suscettibili di applicazione per
analogia.
I CONTRATTI IN GENERALE
IL CONTRATTO
Il contratto è la figura più importante del negozio giuridico
Art.1321 c.c. il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto
giuridico patrimoniale.
Quindi essenza del contratto è l’accordo ovvero incontro della volontà di due soggetti volta a produrre effetti giuridici questi
effetti giuridici riguardano sia diritti reali (acquisto di una proprietà) che rapporti obbligatori (contratto di lavoro subordinato).
Attraverso il contratto i privati operano sul mercato scambiando beni e servizi (acquistano case locano immobili ricevono
donazioni ecc.)
Il contratto è il fondamentale strumento di esplicazione della liberta o meglio dell’autonomia dei privati (autonomia ovvero
condotta delle parti che dettano una regola che compiono in un atto di disciplina nei reciproci rapporti giuridici) quindi il
contratto è espressione della liberta dei singoli nella gestione dei loro interessi (assumendo obbligazioni acquistando diritti
reali divenendo creditori vs terzi ecc)
Il contratto è tale se produce effetti rilevanti per l’ordinamento giuridico (ovvero se viola norme o difetta di un requisito di
forma per esempio è verbale quando doveva essere per iscritto è nullo e non produce effetto.)
Non parliamo di contratti neanche se una cerchia di amici decide di passare una serata insieme dal momento che questa
intesa non produce alcun effetto obbligatorio ovvero non è rilevante per l’ordinamento giuridico si tratta di un accordo
giuridicamente irrilevante e non di un contratto.
Il contratto non è un semplice atto (come ad esempio l’atto illecito) bensì è un negozio ossia una manifestazione di volontà e
in più essendo un accordo il contratto non può nascere dalla volontà di un solo soggetto ed esiste in quanto due o più parti
concordino nel volere la produzione di effetti giuridici (la vendita esige che il venditore voglia trasferire la proprietà a
fronte del prezzo e che il compratore voglia acquistare impegnandosi a pagarne il prezzo)
L’ordinamento conosce una pluralità di altre ipotesi di accordi che non sono quantificabili come contratti ad es. il matrimonio
non è un contratto (quantomeno perche privo di contenuto patrimoniale) o la separazione tra coniugi che avviene in forza di
un consenso e non di un contratto o ancora i genitori separati raggiungono accordi nella regolazione del rapporto con i figli e
non contratti
Anche quando si occupa di profili patrimoniali il codice per quel che concerne il diritto familiare preferisce utilizzare il termine
convenzione e non contratto (es. convenzione sul assetto dei rapporti economici tra coniugi) l’espressione convenzione
viene utilizzata anche in altri contesti si pensi alle convenzioni internazionali.
Altre volte la legge utilizza il termine patto di solito per alludere ad un accordo parziale o accessorio rispetto ad uno più ampio
(es. il patto di non concorrenza nel lavoro subordinato ovvero il patto con il quale si limita lo svolgimento dell`attività del
prestatore di lavoro, per il tempo successivo stabilito alla cessazione del contratto, o il patto leolino ovvero è` nullo il patto
con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite.)
Altre volte ancora la legge utilizza il termine assenso per esprimere una situazione di convergenza delle volontà in una
struttura negoziale a carattere unilaterale [(es. voglio riconoscere il figlio nato fuori dal matrimonio se lui ha più di sedici anni
occorre il suo assenso la legge intende cosi che l’atto non è bilaterale in quanto il riconoscimento rimane atto unilaterale
anche se l’efficacia di tale atto e subordinata alla volontà di un altro soggetto (il figlio che vuole essere riconosciuto)]
Molto importante è non confondere il contratto che è l’ accordo tra le parti con il contratto nel senso del documento
contrattuale [(la carta ove il contratto è scritto (un contratto può essere concluso anche verbalmente qui sta la differenza)] e
con il rapporto contrattuale che attiene agli effetti giuridici prodotti dal contratto (ovvero ad es. con la cessione del credito
varia il rapporto contrattuale rimanendo inalterato il contratto.)
Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto (autonomia contrattuale), nei limiti imposti dalla legge
ovvero ad es. si può stabilire a che prezzo vendere una cosa ma non estendere il tempo di lavoro del lavoratore oltre i limiti
contrattuali.
Art. 1325 I requisiti del contratto sono:
La causa
L’oggetto
L’accordo tra le parti
La forma, (ove risulti prevista dalla legge sotto pena di nullità)
Se manca uno di questi elementi il contratto è nullo. Non può nascere un contratto se non c’è accordo tra le parti, oppure
se manca un bene che è oggetto del trasferimento; nel contratto di compravendita non può mancare il prezzo. Questa norma
indica in generale gli elementi essenziali.
Anche la forma è un elemento essenziale, ma la norma sul contratto,prevede che la forma sia elemento essenziale solo nei
casi previsti dalla legge.
Se manca uno di questi elementi il contratto non nasce proprio, la volontà non è perciò idonea a produrre determinati effetti.
Questa norma mi dice il minimo di volontà necessaria perché possa esistere un contratto, un negozio giuridico.
Poi ci sono anche degli elementi accidentali (es condizione se l’evento non si verifica, gli effetti non si producono) sono
elementi aggiuntivi al contratto, sono aggiunti dalle parti. Sono elementi che ci possono essere o meno (anche il termine è un
altro elemento accidentale) sono gli elementi necessari che contano.
Le più importanti classificazione dei contratti sono le seguenti:
contratti tipici e contratti atipici; a seconda che alla singola figura contrattuale , il legislatore dedichi o meno una disciplina
a)
specifica;
contratti con due parti o con più di due parti (contratti plurilaterali); es contratti costitutivi di una societa
b) contratti a prestazioni corrispettive o sinallagma (una delle parti trasferisce un diritto e l’altra si obbliga ad effettuare la
c)
prestazione a favore di questa) es. il compratore paga quando il venditore trasferisce la proprieta e contratti con obbligazioni
a carico di una parte sola; (es. fidejussione e comodato)
contratti a titolo oneroso e contratti a titolo gratuito;
d) contratti di scambio (dove la prestazione di ciascuna parte è a vantaggio della controparte) e contratti associativi (dove la
e)
prestazione di ciascuno è diretta al conseguimento di uno scopo comune);
contratti commutativi (si dicono i contratti in cui i reciproci sacrifici sono certi) e contratti aleatori (sono i contratti nei quali
f)
vi è incertezza sui reciproci sacrifici es. assicurazione l’assicurato sa quanto paga l’assicuratore non sa se e quanto dovra
pagare );
contratti a esecuzione istantanea (la prestazione della parti è concentrata in un dato momento, es. compravendita) e
g)
contratti di durata (la prestazione o continua nel tempo, o si ripete periodicamente es. contratto di lavoro subordinato). I
contratti ad esecuzione istantanea possono essere ad esecuzione immediata (pago subito o ad esecuzione differita;(pago tra
sei esi
contratti a forma libera e contratti a forma vincolata;
h) contratti consensuali (si perfezionano con il semplice consenso o accordo delle parti) e contratti reali (che richiedono oltre
i)
al consenso delle parti anche la consegna del bene; es. mutuo, comodato, deposito, pegno);
contratti a efficacia reale (che realizzano automaticamente, per effetto del solo consenso, il risultato perseguito es. il
j)
trasferimento della proprieta ) e contratti a efficacia obbligatoria (che non realizzano automaticamente il risultato perseguito,
ma obbligano le parti ad attuarlo ovvero contratti aventi per oggetto cose determinate solo nel genus
Differenza tra contratto e negozio giuridico
Il contratto è un negozio giuridico (manifestazione di volontà posta in essere per ottenere un determinato effetto giuridico)
Il contratto è una delle categorie possibili nelle quali si articola il negozio giuridico nel suo complesso
Il codice italiano non detta una disciplina specifica per il negozio giuridico mentre dedica numerose norme ai contratti in
generale le quali fungono da termini di riferimento per la discipline dei negozi giuridici.
Il negozio giuridico è di natura astratta, tant'è che non è citato nel Codice, mentre il contratto si configura piuttosto come una
delle categorie del negozio giuridico.
Ad esempio il matrimonio e il testamento sono negozi giuridici e non contratti inoltre il contratto è una fonte di obbligazioni,
oltreché un negozio giuridico bilaterale o plurilaterale, mentre è possibile porre in essere anche negozi giuridici unilaterali
(vedi testamento).
Non esistono, invece, contratti "unilaterali", non ha senso, come recita l' art.1321 ovvero Il contratto è l’accordo di due o parti
per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale.
LE TRATTATIVE E LA CONCLUSIONE DEL CONTRATTO
Un contratto puo essere concluso verbalmente o sottoscrivendo un unico documento attraverso lo scambio di due
dichiarazioni scritte identiche
L’atto con il quale il procedimento inizia è la proposta l’altro è l’accettazione: esse costituiscono dichiarazione di volonta
unilaterali quando si fondono in una sola nasce la volonta contrattuale.
La proposta e l’accettazione possono essere ritirate e private di effetto mediante un atto uguale e contrario che si chiama
revoca.
La trattativa
Spesso è necessario prima un periodo di trattative sia per negoziare gli accordi sia per svolgere accertamenti tecnici e
legali.durante queste trattative le parti possono concludere o meno il contratto ma devono farlo in buona fede è un dovere
giuridico la parte che violi questo dovere incorrere in un particolare tipo di responsabilità (responsabilità precontrattuale o
culpa in contrahendo)
Le condotte che danno luogo alla culpa in contrahendo sono varie:
a) abbandono ingiustificato della trattativa (quando le trattative raggiungano un punto tale da determinare un ragionevole
affidamento e vengano interrotte senza un giustifiato otivo e la parte lesa avra diritto al risarcimento per le spese sostenute in
vista della conclusione del contratto
b) mancata informazione sulle cause di invalidità del contratto (dovere di informare la controparte di eventuali cause di
invalidita del contratto)
c) influenza illlecita sulla determinazione negoziale della controparte se un sogetto induce un altro a stipulare un contratto
traendolo in inganno ovvero minacciandolo ovvero approfitti di un errore in cui sia incorsa l’altra parte per trarne vantaggio il
contratto è annullabile per un vizio della volontà
d) induzione della controparte alla stipulazione di un contratto pregiudizievole nel caso in cui una parte abbia tratto in inganno
l’altra e quell’inganno non sia stato tale da determinare la volonta di contrarre ma abbia indotto la controparte ad accettare
condizioni diverse da quelle che avrebbe sottoscritto se non fosse stata ingannata in questo caso il contratto non è annullabile
la controparte lesa ha però diritto al risarcimento del danno (caso valido anche quando si omette un informazione)
Vi è l’obbligo per le parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza nello svolgimento delle trattative le parti devono
essere reciprocamente leali e sincere e devono nutrire reale interesse al raggiungimento di un accordo. Devono inoltre
scambiarsi informazioni affinché i termini della trattativa risultino trasparenti. Ove la lealtà e correttezza vengano meno (la
parte vuole solo prendere tempo in attesa di recedere, oppure tace un difetto del bene, non ha reale intenzione di pervenire
ad un accordo…) si avrà responsabilità della parte per non aver operato in buona fede Qual è la misura di questa
responsabilità? Dottrina e giurisprudenza sono unanimi nel ritenere che vada risarcito il c.d. interesse negativo e quindi il
danno commisurato per non aver ricevuto la prestazione dovuta e cioè le spese a vuoto sostenute (viaggi ecc) e il tempo e le
occasioni perdute (si sarebbe potuto dedicare ad altre contrattazioni da cui avrebbe tratto profitto),invece che in quella non
andata a buon fine per la scorrettezza della controparte ma non l’utile che avrebbe potuto ottenere poichè la parte avrebbe
avuto diritto all esecuzione solo se il contratto fosse stato stipulato (come nel caso dell inadempimento).In altre parole si
risarciscono i danni subiti per essere entrati in trattativa con la parte inaffidabile (danno da affidamento).
La proposta
La proposta deve essere conforme alla dichiarazione se contiene variazioni equivale ad una nuova .
La proposta può essere revocata fino a che il contratto non sia concluso e la revoca non ha effetto se non giunge a
conoscenza.
Se si revoca la proposta mentre il proponente in buona fede abbia iniziato l’esecuzione (es. acquistando i materiali necessari
per la realizzazione) è tenuto ad essere indennizzato delle spese e delle perdite subite. La proposta perde automaticamente
efficacia se, prima che il contratto si sia perfezionato, il proponente muore o diventa incapace (intrasmissibilità della proposta).
La proposta si può dichiarare irrevocabile
Se la proposta irrevocabile non è accompagnata dalla indicazione della durata della irrevocabilità, questa si intende estesa
per tutto il tempo ordinariamente necessario per la sua accettazione.come una proposta non irrevocabile.
La proposta irrevocabile conserva il suo valore pure in caso di morte o sopravvenuta incapacità del proponente (art.1329 c.c.),
di modo che anche in tali ipotesi il destinatario della proposta potrebbe ancora perfezionare il contratto accettando l’offerta,
purchè l’accettazione giunga all’altra parte entro il termine di validità della proposta.
L’offerta al pubblico è un particolare tipo di poposta essa si ha verso destinatari indeterminati e permette la conclusione per il
solo effetto della dichiarazione di accettazione da parte di colui che intende perfezionare il contratto è valida purchè contenga
gli estremi essenziali del contratto alla cui conclusione è diretta.(es offerta di alloggio in un albergo)
L’offerta al pubblico è revocabile come ogni altra proposta contrattuale è efficace anche nei confronti di chi non sia venuto a
conoscenza della revoca non è necessario portare a conoscenza il contraente dato che quest’ultimo è indeterminato
Talora un regolamento contrattuale può essere aperto all’ adesione di altre parti.
Ad es. le organizzazioni a carattere associativo (es partiti politici) che hanno quindi una struttura aperta e orientata a ricevere
l’adesione di altri soggetti
Non tutti i contratti sono a struttura aperta quelli lucrativi ad es. non lo sono
L’accettazione
L’accettazione deve pervenire al proponente nel tempo da lui stabilito o in quello necessario secondo la natura e gli usi infatti
essa non è efficace a tempo indefinito se il destinatario non risponde entro un termine congruo stabilito dalla parti o dal
giudice la proposta perde efficicacia (se il proponente considera un accettazione tardiva deve darne avviso alla
controparte) e che sia sia compiuta nella forma richiesta dal proponente: se il proponente richiede che sia effettuata per
iscritto non è sufficiente una dichiarazione verbale anche se per il tipo di contratto la legge non richiede forma scritta.
L’accettazione perde efficacia se l’accettante muore o diventa incapace nell’intervallo tra la spedizione della dichiarazione di
accettazione e l’arrivo di questa al proponente.
La conclusione
La legge stabilisce che il contratto si considera concluso nel momento in cui il proponente è a conoscenza dell accettazione
della proposta counicatagli dalla controparte es. tramite raccomandata
Solo in questo momento le parti condividono un regolamento negoziale comune
La legge per ovviare alla al contraente che potrebbe fingere di non aver ricevuto la comunicazione magari xchè non più
interessato a concludere il contratto per un ad es. sopraggiunto rialzo o ribasso dei prezzi stabilisce che qualsiasi
dichiarazione diretta ad una determinata persona si reputa conosciuta non appena giunta all’indirizzo del destinatario.
Grava perci sul contraente in buona fede mostrare se egli ha realmente non ricevuto l’avviso.
I contratti si possono concludere anche senza bisogno di una formale accettazione dando direttamente esecuzione ad un
ordine.
Particolare è il contratto con obbligazioni a carico del solo contraente (es fidejussion)e in questo caso lì accettazione è
facilente desuibile percio la legge non ritiene necesaria un esplicita dichiarazione di accettazione.
Di solito le imprese predispongono moduli contrattuali, nei quali inseriscono clausole uniformi e standardizzate perciò è
prassi definirli contratti standard in quanto definscono clausole e regole uniformi e che il cliente non può discutere: o
aderisce o rifiuta. (es. i telefoni le banche non si contratta con tutti gli acquirenti)
È tuttavia necessario predisporre delle cautele a favore dell’aderente, ad evitare abusi ai suoi danni.:. si prevede già
dal ’42 data la diffusione capillare di questi contratti gia a quel tempo
che nei contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli le clausole aggiunte prevalgono su quelle del
a) modulo con cui siano incompatibili, anche quando queste ultime non siano state cancellate
che le c.d. condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci solo se la parte che le ha
b) predisposte abbia fatto in modo da garantire che l’altro contraente, usando l’ordinaria diligenza, sarebbe stato in
grado di conoscerle
che le clausole inserite nelle condizioni generali di contratto o in moduli predisposti da uno dei contraenti
c) s’interpretano, in caso di dubbio, a favore dell’altro
che, in ogni caso, non hanno effetto, se non specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a
d) favore di colui che ha predisposto i moduli contrattuali, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal
contratto o di sospenderne l’esecuzione, o sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla
facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione
del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria
Queste ultime clausole (dette vessatorie), devono essere approvate con una sottoscrizione autonoma e distinta
rispetto a quella apposta genericamente sul modulo, e che in mancanza di tale specifica approvazione queste clausole
vanno considerate inficiate senz’altro da nullità, rilevabile anche d’ufficio dal giudice.
I VIZI DELLA VOLONTA
Il contratto è espessione di un volere se colui dal quale proviene la manifestazione si trova nella condizione, per
eàa o per incapacita di agire o altro l’atto diviene invalido.
I vizi della volontà sono: l’errore, il dolo e la violenza essi non producono il grave effetto della nullità del negozio,
ma l’annullabilità.
La dichiarazione può essere divergente dalla reale volontà del soggetto (es in una lettera per commercianti per
distrazione si scrive che si vende 1 € al kilo quando il prezzo di mercato è 100)
Vi è contrasto quindi tra volontà e dichiarazione: se la dichiarazione diverge dall interno volere o se questo non si e
correttamente fomrato deve essere protetto l’affidamento dei terzi che hanno regolato la loro condotta considerando
pienaente attendibile ed efficace quella dichiarazione.
valido quando colui che riceve la dichiarazione non era in grado di accorgersi del contrasto usando l'ordinaria
diligenza
in valido: quando colui che riceve la dichiarazione era in grado di accorgersi o comunque sapeva del contrasto tra
la volontà e la dichiarazione
Come si vede la teoria dell' affidamento protegge adeguatamente entrambe le parti, ma non protegge mai la
malafede; anche nel caso in cui fosse molto difficile accorgersi del contrasto tra volontà e dichiarazione, chi riceve
la dichiarazione non è tutelato quando sapeva di detto contrasto.
ERRORE
L'Errore si ha quando il contraente ignora, oppure conosce in modo sbagliato o insufficiente, situazioni
determinanti ai fini della decisione di stipulare o meno il contratto o comunque di stipularlo a certe
condizioni.
L’errore-vizio è un incidente sul processo interno di formazione della volontà (es. compro un oggetto credendo che
sia d’oro, invece è di metallo); l’errore- ostativo è la divergenza tra volontà e dichiarazione (es. voglio scrivere 100,
ma per lapsus scrivo 110) o errata dichiarazione per colpa dell’impiegato via telegrafo quindi volontà del
dichiarante correttamente formata ma espressa o trasmessa in un modo che non rispecchia l’effettiva volontà della
parte.
Il contratto viziato da errore è annullabile a condizione:
che l’errore sia essenziale;
a) che l’errore sia riconoscibile dall’altro contraente.
b)
Peraltro l’azione di annullamento non può più essere proposta se l’altra parte, prima che alla parte in errore possa
derivarne pregiudizio, offra di eseguire il contratto in modo conforme a quanto l’altro contraente riteneva
(erroneamente) di aver pattuito.
Nei negozi bilaterali e plurilaterali un’altra figura di errore ostativo è costituita dal dissenso, che ha luogo quando le
parti, pur sottoscrivendo una identica dichiarazione, non si rendono conto di attribuirle in realtà significati tra loro
divergenti. Anche in tal caso la rilevanza del vizio dipende dalla sua essenzialità e riconoscibilità.
Un contratto non può essere impugnato solo perchè un parte è incorsa in errore ma soltanto quando
l’errore sia di essenziale rilevo rispetto agli interessi realizzati dal contratto
L’errore è essenziale quando:
1) deve essere stato tale da aver determinato la parte a concludere il contratto;
2) non ogni errore può considerarsi essenziale, il c.c. qualifica tale solo quello che cade:
o sull’oggetto del negozio (es. credo che siano viti gli oggetti che voglio comprare ed invece sono chiodi);
a) o sulla natura del negozio (es. credo di dare una cosa in locazione invece il contratto è di enfiteusi);
b) o su una qualità della cosa, oggetto del negozio che, in relazione alle circostanze, deve ritenersi
c) determinante del consenso (es. si crede che sia lana animale ciò che è lana sintetica);
o sulla persona e, cioè, sull’identità o sulla qualità dell’altro contraente; (non e indifferente se ad eseguire
d) un operazione è un noto luminare o un anonimo medico)
può assumere rilevanza anche l’errore sulla quantità della prestazione, sempre che essa sia
e) determinante del consenso e non si riduca ad un errore di calcolo, il quale non dà luogo ad annullabilità
ma a semplice rettifica del negozio
Non ha carattere di essenzialità l’errore che cade sui motivi se compro una casa xchè credo mi trasferiscano per
lavoro e cio non accade il mio erorre è irrilevante.
L’errore sul motivo e determinante solo sul testamento e nella donazione (la gratuita spiega la deroga)
Perché l’errore produca l’annullabilita del negozio e necessario che sia riconoscibile dall’ altro contraente
secondo la teoria dell affidamento
L’errore si considera riconoscibile quando, in relazione al contenuto, alle circostanze del contratto o alle qualità dei
contraenti, la controparte, usando la normale diligenza, avrebbe potuto accorgersene.
La legge non bada al fatto che in concreto si abbia capito ma alla possibilità astratta di riconoscerlo comportandosi
come una persona di media diligenza.
Quanto alla riconoscibilità dell’errore se chiedo cento metri di stoffa per farmi un vestito il commerciante puo
presumere l’errore se compro stoffa per rifornire il mio negozio egli non può sapere quanta me ne occorra.
Nel caso di errore bilaterale o comune, e cioè quando entrambi i contraenti siano incorsi nello stesso errore, la
giurisprudenza ritiene che non vada applicato il principio dell’affidamento, e quindi che sia sufficiente l’ essenzialità
dell’errore per l’annullabilità del negozio, non rilevando la riconoscibilità dal momento che ciascuno dei contraenti
ha dato luogo all’invalidità del contratto indipendentemente dal comportamento dell’altro.
DOLO
Un negozio è annullabile ove sia stato posto in essere in conseguenza di raggiri perpetrati ai danni del suo
autore.
Il dolo cd determinante poichè ha determinato la vittima a stipulare un contratto che se non fosse stata ingannata
non avrebbe concluso è quindi un vizio del consenso.
Il raggiro è un comportamento non conforme alla buona fede
Per l’annullabilità dell’atto devono concorrere:
il raggiro, ossia un’azione idonea a trarre in inganno la vittima;
a) l’errore del raggirato: non è sufficiente che l’autore dell’inganno abbia tentato di farmi credere cose non
b) esatte; se io ho capito come stavano in realtà le cose, non posso trarre a pretesto il comportamento della
controparte.
Il negozio, cioè, è annullabile solo se l’inganno ha avuto successo,
la provenienza dell’inganno dalla controparte: se sono vittima di raggiri di terzi, che nulla hanno a che
c) fare con l’altro contraente, l’atto non è impugnabile, a meno che quest’ultimo ne fosse a conoscenza e
ne abbia tratto vantaggio
DESCRIZIONE APPUNTO
Appunti di Diritto privato del libro Torrente e Schlesinger.
Nello specifico gli argomenti trattati nel testo sono: l’Unione Europea, l’ordinamento di una collettività è costituito da un sistema di regole, caratteri essenziali della norma giuridica avente forza di legge sono la generalità e l'astrattezza, la norma si esprime con una ipotesi di fatto, il diritto privato e le sue fonti.
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