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CONTRATTI

Consenso e situazioni esistenziali: valore e limiti

1. Profili introduttivi.

Quando si parla del consenso, quasi inevitabile appare lo scontro con una realtà concettuale

complessa e diversificata in cui l’espressione assume sfaccettature e significati differenti a seconda

che la si guardi da una visuale patrimonialistica o la si osservi da una prospettiva personalistica ed

esistenziale. Altro è il consenso di cui si parla nei contratti, altro il consenso di cui si è soliti ripetere

la definizione di unilaterale manifestazione di volontà con la quale si conferisce ad altri la facoltà di

agire nella propria sfera di interesse. E così l’eterogeneità strutturale delle figure impongono al

giurista di trascorrere dalla fattispecie dell’art. 1321 c.c. a categorie meno nitide e definite che

appaiono sempre più numerose ed articolate per effetto dell’evolversi delle conoscenze umane.

Sotto questo profilo i richiami potrebbero essere molteplici: dal valore che il consenso assume

all’interno del diritto di famiglia al rilievo sempre maggiore che gli si ascrive in ambito scientifico-

sanitario.

L’interprete si interroga su quali siano il valore ed i limiti del consenso e cioè se rifuggano

dalla logica kafkiana di un potere decisionale del singolo decisamente secondario ed irrilevante.

2. Il (falso) problema della natura giuridica del consenso: superamento della dicotomia atto-

negozio alla luce della funzionalizzazione degli interessi. La "tragi-comica" sconfitta del

consenso nelle vicende esistenziali.

Il denominatore comune delle singole vicende esistenziali è la persona umana, il soggetto da cui il

consenso promana ed al quale il consenso ritorna sotto forma di utilitas che nella veste di genitore,

paziente o di fruitore di una qualche utilità, egli mira a perseguire. Una volta valutata la posizione

del singolo. I punti di contatto tra le distinte fattispecie si risolvono nel riconoscimento di una

duplice identità, soggettiva ed oggettiva, in ragione della comune origine e sul piano teorico della

stessa natura giuridica dell’atto che le sottende. Quest’ ultimo profilo, registra tra gli autori,

posizioni contrastanti e a volte contraddittorie e non può dubitarsi di come la rigida dicotomia atto –

negozio traslata in un ambito personalistico - esistenziale, perda i suoi contorni netti e definiti.

Quindi si è costretti a recuperare la visione negoziale nel tentativo ad esempio di spiegare il potere

dei genitori di accettare o rifiutare l’intervento medico in luogo del figlio ovvero di chiarire la

rilevanza della volontà del soggetto che dispone la donazione dei propri organi. Così se per molti

non sembrano sussistere incertezze circa la natura negoziale del consenso nella generalità dei casi si

ritiene al contrario preferibile non sciogliere in chiave formalistica l’alternativa negozio – atto

giuridico ogni qualvolta si controverte in ambiti strettamente personalistici ma risolverla nella

corretta prospettiva della funzionalizzazione degli interessi sottesi. Sotto il profilo soggettivo lo

sfumare dell’autonomia privata nella libertà di iniziativa economica svela la sostanziale debolezza

insita nella logica del consenso, non in grado da sola di assicurare l’attuazione di un principio di

giustizia ed il contraente, il consumatore, il professionista, il lavoratore, il malato e così via, anche

quando sembrino in condizione di effettuare una scelta consapevole sono in realtà vittime di una

fragilità che riduce le riflessioni sulla libertà di autodeterminazione a meri esercizi teorici. Il

consenso esce così sconfitto proprio in quelle situazioni nelle quali maggiore dovrebbe essere la sua

esaltazione. Il consenso e il rifiuto all’atto medico finiscono per dipendere dall’uso che il medico fa

delle tecniche di comunicazione e dall’atteggiamento che egli assume nei riguardi del paziente,

secondo lo schema delle tecniche anglosassoni di counselling che legittimano l’intervento

volontario e consapevole del sanitario nei processi decisionali del suo malato.

3. Lo squilibrio fra le diverse sfere di interesse e la conseguente impossibilità della prestazione

di un consenso tout court.

È da tempo acquisito che il consenso del soggetto deve essere libero, informato e consapevole

laddove il richiamo alla libertà sembra eliminare ogni possibile ricostruzione proprietaria delle

vicende esistenziali. Il consenso può essere considerato libero non soltanto se la volontà non è

viziata ma altresì se la stessa non è influenzata da profili ultronei rispetto alla tutela della propria

integrità fisica . altrimenti dovrebbe ammettersi che il soggetto, proprietario del proprio corpo,

possa liberamente disporne ed autorizzarne ad esempio pratiche sperimentali sulla propria persona

in vista di una controprestazione monetaria. L’informazione concorre a restituire un qualche

equilibrio tra le parti del rapporto affinché l’uomo illuminato sia in grado di decidere

consapevolmente infatti non a caso si ripete che una volta messi da parte i profili di qualificazione

del consenso, la vera partita si giochi proprio sul terreno dell’informazione. In Germania la

violazione dell’obbligo di informazione rappresenta una lesione personale, l’onere di provare la

presenza dell’informazione da sempre grava sul medico non raramente trasformandosi in una vera e

propria arma a disposizione del paziente che la giurisprudenza tenta di controbilanciare attraverso

l’impossibilità di dare accesso a richieste eccessive. Il consenso espresso alla donazione e il silenzio

– assenso alla stessa, null’altro sono se non una fase di una fattispecie in fieri il cui momento

conclusivo del trapianto realizza l’interesse al quale la volontà stessa è diretta. Eppure, il risultato

finale risente del lamentato squilibrio fra diverse sfere di interesse, fra informazione e decisione da

potersi paventare il rischio dell’impossibilità della prestazione di un consenso tout court: il

consenso esiste ma è condizionato. Sul piano personalistico, causa la delicatezza degli interessi

considerati e proprio siffatta interrelazione sembra suggerire all’interprete un criterio risolutore e

dunque l’opportunità di distinguere le manifestazioni di volontà relative alla fisicità in

autoreferenziali, se finalizzate ad incidere in via esclusiva sulla sfera di interessi del loro autore e

dispositive in senso stretto, se destinate al contrario a spiegare effetti anche nei riguardi dei terzi. La

prima e immediata percezione dell’interprete sembra essere quella di uno scontro tra una volontà

che prevale ed un’altra che soggiace in ragione della diversa meritevolezza riconosciuta

dall’ordinamento agli interessi coinvolti. Resta da chiedersi se il momento del compromesso,

dell’incontro delle volontà abbia ancora valore al di fuori di una logica prettamente

patrimonialistica dove al contrario la formula dell’art. 1321 c.c. ripete: “ il contratto è l’accordo di

due o più parti”. Di primo acchito si sarebbe tentati di rispondere in senso negativo se proprio

quelle vicende mostrano in realtà di rispondere alla logica del primato e correlativamente della

soccombenza e nemmeno la recente prassi giurisprudenziale offre migliori soluzioni e l’interprete

subisce la scelta dei giudici di merito di nominare un amministratore di sostegno con l’incarico di

dare in nome e per conto della beneficiaria tutti i consensi che si rendessero necessari alla cura della

stessa per tutto il tempo in cui la stessa rimarrà ricoverata.

4. Presupposti normativi del consenso: esegesi dell’art. 5 c.c. ed individuazione dei limiti.

Nel nostro ordinamento la ricerca di un fondamento normativo del valore e dei limiti del consenso

passa attraverso la lettura dell’art. 5 c.c. che recita: “ Gli atti di disposizione del proprio corpo sono

vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica o quando siano

altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”. Le prime teorizzazioni

riducevano il corpo umano ad una mera res di cui il soggetto poteva disporre al pari di qualsiasi

altro diritto reale e fu solo con il Windscheid che cominciò a delinearsi l’esistenza di un diritto alla

vita, alla integrità corporale ed al disporre del proprio corpo senza ostacoli, sul presupposto della

sostanziale incompatibilità della visione materialistica della fisicità con la logica propria del

consenso. La persona come ricorda Carnelutti, è di là del corpo dell’uomo nel senso che la persona

può esistere senza il corpo e morire prima della sua morte. La disposizione codicistica appare oggi

inadeguata ad offrire una risposta agli interrogativi sollevati dal progresso scientifico e la stessa

nozione di integrità fisica ha una valenza statica che mal si addice alla più ampia e comprensiva

nozione di salute, di stato di completo benessere fisico, mentale e spirituale. Ogni dibattito che mira

a risolvere la tematica del consenso nelle strette maglie dell’art. 5 c.c. assume un tono speculativo e

dagli interpreti si ripete l’inadeguatezza della norma a reagire ai problemi dell’inseminazione

artificiale, dei trapianti, delle tecniche di intervento sui geni. Il superamento del divieto coincide

con l’emergere di una diversa concezione della persona espressa dalla Costituzione: la salute (art.

32 cost.) è diritto fondamentale ed imprescindibile dell’individuo e questi è tutelato nelle scelte che

più da vicino incidono sulla propria fisicità in quanto libero ( art. 13 cost.) e favorito nello sviluppo

della sua personalità ( art. 2 cost.). E l’incontro tra opposti interessi coinvolti nelle vicende

esistenziali sembra trovare una sua possibilità di realizzazione in quei limiti oggettivi e soggettivi

che arginano il rischio di uno sconfinare indiscriminato dell’autodeterminazione individuale e ne

deriva da un lato la necessità di un controllo di meritevolezza di ogni singolo atto dispositivo e

dall’altro l’epurazione dell’autonomia decisionale da ogni forma di capriccio o arbitrio. Sul piano

normativo, la conclusione rinviene una sua conferma nella recente legge n. 6/2004 in cui l’interesse

pubblico alla tutela del disabile si accompagna alla piena valorizzazione della volontà consapevole

dell’individuo, come si evince dall’art. 409 c.c. nella parte in cui dispone che il beneficiario

conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o

l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno. Il momento più alto dell’asserito primato

della persona e della sua

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A.A. 2014-2015
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SSD Scienze giuridiche IUS/01 Diritto privato

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher cris10 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto privato e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Salerno o del prof Stanzione Pasquale.