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CELEBRAZIONE E TRASCRIZIONE DEL MATRIMONIO CONCORDATARIO
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Il matrimonio religioso acquista effetti civili mediante un collegamento tra
celebrazione canonica ed ordinamento statuale. Il matrimonio concordatario
deve essere preceduto dalle pubblicazioni
affisse alle porte della chiesa parrocchiale e da quelle affisse alla casa
comunale. Trascorso il periodo senza che vi siano state opposizioni, l’ufficiale
di stato civile rilascia nulla osta alla celebrazione del matrimonio. La
celebrazione avviene secondo il rito cattolico e il parroco ha l’obbligo di dar
lettura degli art.143,144,147 sui diritti e doveri dei coniugi, una mancanza non
comporta invalidità. Al termine il celebrante compila l’atto di matrimonio in
doppio originale.
Il matrimonio celebrato davanti al ministro del culto cattolico produce gli effetti
del matrimonio civile dal giorno della celebrazione se trascritto. Il parroco
trasmette uno dei due originali
all’ufficiale di stato civile del comune, immediatamente o entro 5 giorni dalla
celebrazione, questi entro 24 ore dalla ricezione deve provvedere alla
trascrizione. Oltre alla trascrizione tempestiva,
abbiamo la trascrizione tempestiva ritardata, dovuta alla presenza di
possibilità di errori e quindi l’ufficiale di stato prende tempo per poter svolgere
le dovute indagini, e la trascrizione tardiva, che per metto a uno dei due
contraenti di poter effettuare la trascrizione con il consenso dell’altro
in un secondo momento, conservando però nel periodo che va dal momento
della celebrazione al momento della trascrizione, lo stato libero
ininterrottamente.
IL MATRIMONIO DEI CULTI ACATTOLICI CON EFFETTI CIVILI
Il matrimonio acattolico consiste in un matrimonio celebrato dinanzi a ministro
di culto diverso da quello cattolico (art.83). I presupposti necessari per
l’efficacia civile s’individuano nella capacità del ministro del culto, nella
dichiarazione delle parti all’ufficiale di stato civile di voler contrarre matrimonio
religioso valido agli effetti civili e nell’autorizzazione di quest’ultimo. Il
matrimonio acquista efficacia civile in forza della trascrizione.
I rapporti interni della famiglia si configurano come “equilibrio delle libertà” o
meglio dei diritti fondamentali, in funzione di una loro espansione sia pure nel
segno del rispetto e della solidarietà poiché il singolo, calato nel contesto
sociale e della famiglia, è necessariamente legato agli altri dai “doveri di
solidarietà politica, economica e sociale” e dunque familiare. La legge 19
maggio 1975 n°151, di riforma del diritto di famiglia si è posta il dichiarato
intento di adeguare la previgente disciplina alle norme costituzionali.
Abbiamo quindi la rivalutazione del modello
associativo nell’assetto dei rapporti coniugali e familiari, con l’affermazione
della posizione paritaria, sul piano morale, sociale e giuridico di tutti i membri
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della famiglia; il principio solidaristico di collaborazione di tutti i componenti
della famiglia e nell’interesse della famiglia;
una più accentuata strumentalizzazione dei rapporti patrimoniali alla
realizzazione di quelli personali; la parificazione della filiazione.
La solenne dichiarazione contenuta nell’articolo 143 secondo cui “con il
matrimonio il marito e la moglie acquisiscono gli stessi diritti assumono i
medesimi doveri”, il legislatore è andato ad affermare l’eguaglianza morale e
giuridica dei coniugi nei rapporti personali e patrimoniali reciproci e dei
genitori nei rapporti personali e patrimoniali con i figli.
I SINGOLI DOVERI
A) FEDELTA’: va intesa come dedizione fisica e spirituale di un coniuge
all’altro. È giustificato individuarne il contenuto nell’impegno di non tradire la
fiducia che ciascun coniuge ripone nell’altro;
B) ASSISTENZA MORALE E MATERIALE: assume il contenuto di reciproca
attesa di aiuto e cura in ogni circostanza. Si traduce nell’obbligazione di
conferire i mezzi economici necessari perché entrambi i coniugi godano del
medesimo tenore di vita
indipendentemente dalla consistenza patrimoniale di ciascuno;
C) COLLABORAZIONE NELL’INTERESSE DELLA FAMIGLIA: si esprime con
il richiamo a quei doveri d’impegno e di sacrificio necessari alla realizzazione
tra i coniugi della comunione di vita materiale e spirituale;
D) DOVERE DI COABITAZIONE: può essere intesa sia come convivenza
materiale, sessuale e morale, sia come ristretto di comunanza fisica nel luogo
in cui si svolge la vita coniugale;
E) DOVERE DI CONTRIBUZIONE AI BISOGNI DELLA FAMIGLIA: ciascun
componente deve
contribuire in relazione alle proprie capacità di lavoro professionale o
casalingo.
La parità dei coniugi si manifesta con pienezza nel principio della necessità
dell’accordo nel governo della famiglia per decisioni riguardanti gli stessi
coniugi o di quelle concernenti i figli soggetti alla potestà dei genitori. È l’unica
regola che può garantire una partecipazione a pari titolo nella conduzione di
vita familiare ed è l’unica compatibile con i principi di eguaglianza e pari
dignità.
I coniugi devono fissare di comune accordo la residenza familiare (art.144).
Con il termine residenza si fa riferimento al luogo o ai luoghi dove si svolge la
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vita in comune della famiglia, per assicurare, soprattutto in presenza di figli,
un’armoniosa vita familiare. Nell’art.145 si regola l’intervento del giudice nel
caso in cui i coniugi non riescano a concordare una decisione comune
su uno degli affari essenziali della famiglia.
Il giudice svolge un’attività conciliativa, se soltanto uno dei coniugi chiede il
suo intervento tentando di aiutare gli stessi coniugi a individuare una
soluzione concordata. Se ciò risulta impossibile, il giudice può sostituire la
sua volontà a quella
dei coniugi.
L’art.146 sospende il diritto all’assistenza morale e materiali nei confronti del
coniuge che si allontana senza giusta causa dalla residenza familiare e rifiuta
tornarvi. Il giudice può disporre il sequestro dei beni del coniuge in questione
nella misura idonea a garantire gli obblighi di contribuzione.
La norma enumera come ipotesi di giusta causa di allontanamento, la
proposizione
della domanda di separazione o di annullamento o di scioglimento del
matrimonio.
In seguito al matrimonio, la moglie aggiunge al proprio il cognome del marito
e lo conserva finchè non passa a nuove nozze. I figli legittimi assumono nella
tradizione italiana il cognome del padre e quindi anche la moglie assume il
cognome del marito per facilitare l’individuazione di quel nucleo familiare. A
norma delle vigenti leggi sulla cittadinanza, la donna italiana che sposa uno
straniero può acquistare la cittadinanza del marito, pur continuando a
mantenere la propria (doppia cittadinanza). Il coniuge straniero o apolide di
cittadino italiano può acquistare la cittadinanza italiana dopo 6 mesi di
residenza legale in Italia o, se è all’estero, dopo 3 anni dalla data di
matrimonio, se non vi è stato scioglimento, annullamento o cessazione degli
effetti civili del matrimonio e se non sussiste separazione legale.
La patria potestà è stata sostituita con la potestà di entrambi i genitori. Ciò è
dovuto all’eguale responsabilità dei genitori nei riguardi della prole per il fatto
della procreazione. Questo principio si affianca al principio dell’eguale
responsabilità dei coniugi nelle funzioni di governo della famiglia. Rilevante
significato assume il richiamo alle capacità, inclinazioni naturale e alle
aspirazioni dei figli che devono guidare i genitori nell’adempimento dei
fondamentali doveri di istruire ed educare la prole. Anche il figlio è chiamato a
contribuire in relazione alle proprie sostanze e capacità. L’obbligo al
mantenimento non cessa con la maggiore età ma solo nel momento in cui il
destinatario abbia acquistato un’indipendenza patrimoniale che gli consenta
di distaccarsi dall’originario nucleo familiare.
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Nel nostro ordinamento l’unità della famiglia riceve tutela soltanto se assicuri
all’individuo nel
gruppo familiare l’armonico sviluppo della personalità e la garanzia dei diritti
di libertà e di dignità umana.
Se viene a mancare, cade l’interesse della collettività al mantenimento della
sua
coesione. Divorzio e separazione personale dei coniugi appaiono come gli
estremi mezzi di tutela.
La separazione di fatto è la separazione che corrisponde alla cessazione
della convivenza tra i coniugi senza alcuna formalizzazione dinanzi al giudice.
Secondo l’opinione prevalente la separazione di fatto di per sé è prima di
effetti e nel nostro ordinamento assume rilievo solo la separazione legale.
La separazione legale è quella che consegue ad un procedimento disciplinato
e regolamentato dalla legge.
La separazione legale può essere chiesta anche quando si verificano fatti tali
da rendere intollerabile la convivenza per i coniugi oppure da recare
pregiudizio all’educazione della prole.
La separazione legale può essere giudiziale ossia pronunciata dal giudice,
oppure consensuale cioè concordata dai coniugi.
In entrambi i casi, i coniugi si presentano dal presidente del tribunale per
tentare la conciliazione. In caso di fallimento il presidente emetterà dei
provvedimenti temporanei ed urgenti in favore dei coniugi e della prole, che
andranno a regolari i rapporti personali e patrimoniali fino alla pronunzia
finale della separazione.
Nella separazione giudiziale, il regolamento degli effetti viene determinato dal
giudice. In sede di separazione consensuale, i coniugi presentano un
regolamento concordato dei futuri rapporti tra i coniugi e con la prole affinchè
venga omologato dal tribunale.
Il giudice pretende modifiche nell’interesse della prole nonché della
valutazione
di legittimità, liceità, ma anche meritevolezza della tutela dell’accordo.
Vige il principio della non
ingerenza del giudice per quanto concerne le cause della crisi coniugale.
L’art.151 afferma che la separazione può essere chiesta da entrambi i coniugi
o da uno soltanto, adducendo l’esistenza di una causa che rende intollerabile
la prosecuzione della convivenza o reca grave pregiudizio all’educazione
della prole. Talune visioni riconducono la normativa riformata negli schemi
della separazione colpevole poiché il giudice, pronunziando la separazione,
dichiara a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione. Ma ciò viene
19
smentit