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L’INTERPRETAZIONE DELLE NORME GIURIDICHE
L’interpretazione della legge consiste nella ricerca e spiegazione del senso della norma e nella
individuazione della volontà del legislatore in essa racchiusa. L’interpretazione di una norma è
un’attività delicata ed è il principale compito del giudice.
In base ai soggetti che la compiono, possiamo distinguere:
• un’interpretazione dottrinale compiuta dagli studiosi del diritto a fini scientifici o
didattici; tale interpretazione non ha valore giuridico, ma solo scientifico;
• un’interpretazione giudiziale che è quella compiuta dal giudice nell’applicazione della
norma astratta al caso concreto;
• un’interpretazione autentica, fornita dal potere legislativo, nel caso in cui una norma,
precedentemente emanata, risulti poco chiara ed abbia bisogno di ulteriori chiarificazioni.
In base al metodo, si distinguono due tipi di interpretazione: letterale e logica. L’interpretazione
letterale è volta alla ricerca del significato delle parole: in questo caso l’interprete legge ed
interpreta la norma individuando il significato delle parole secondo la loro connessione, cioè in
collegamento tra loro e non prese singolarmente. L’interpretazione logica vuole arrivare alla
volontà del legislatore. Interpretazione letterale ed interpretazione logica devono coordinarsi ed
integrarsi a vicenda.
In base ai risultati cui si perviene possiamo distinguere tra:
• interpretazione dichiarativa, che si ha quando interpretazione letterale ed interpretazione
logica coincidono;
• interpretazione estensiva che evidenzia un significato della norma giuridica più ampio di
quello che risulta dalla semplice lettura del testo della stessa;
• interpretazione restrittiva che si ha quando la norma dice più di quanto volesse.
Va a questo punto evidenziato che i casi che possono verificarsi nella vita sono molteplici e tali che
non sempre il diritto ne prevede la soluzione. Si parla, in tal caso, di lacune del sistema normativo.
Ciò non esonera il giudice dall’intervenire per risolvere una controversia che, apparentemente, non
è contemplata dall’ordinamento. Quando sorge un problema di questo tipo il giudice deve ricorrere
all’analogia, cioè all’analisi ed applicazione di norme che regolano casi o materie simili; quando,
poi, non esistono nemmeno tali norme dovrà ricorrere ai principi generali dell’ordinamento.
Il procedimento analogico non può essere applicato alle norme penali e alle leggi eccezionali (il
diritto eccezionale devia, a causa di esigenze particolari che esso deve soddisfare, dai principi che
reggono tutto un ramo del diritto). È comunemente ammessa in questi casi l’interpretazione
estensiva in quanto essa mira unicamente ad individuare il vero contenuto di una disposizione e ad
affermare la sua applicabilità ad una fattispecie concreta solo apparentemente non prevista, in
quanto non espressamente menzionata.
L’EFFICACIA DELLE NORME GIURIDICHE
L’organo preposto alla creazione delle norme in Italia è il Parlamento, questo infatti rappresenta il
potere legislativo. Dopo che il Parlamento ha approvato una legge, è necessario che questa sia
promulgata dal Presidente della Repubblica, il quale, controfirmandola, ufficialmente ne afferma
l’esistenza nell’ordinamento giuridico. Perché abbia validità e diventi così obbligatoria per tutti, è
necessario, però, un ulteriore passaggio fondamentale: la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica Italiana. Trascorsi 15 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta, il testo normativo
entra ufficialmente in vigore. Il periodo intermedio tra la pubblicazione e l’entrata in vigore è
chiamato vacatio legis. Tale periodo, però, non è perentorio: può, infatti, essere abbreviato (per
provvedimenti particolarmente importanti ed urgenti), allungato (in caso di provvedimenti
particolarmente complessi e articolati) o annullato.
L’articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale introduce un concetto giuridico
fondamentale: l’irretroattività delle leggi. In particolare, l’articolo 11 sancisce che la legge non
può regolare situazione antecedenti alla sua entrata in vigore. Il principio dell’irretroattività delle
leggi non è, però, un principio assoluto. È il caso, ad esempio, delle norme che stabiliscono sanzioni
più leggere rispetto al passato o addirittura non riconoscono più come punibile una certa condotta.
Questo tipo di disposizione è retroattività, cioè viene applicata anche alle situazioni createsi prima
della sua entrata in vigore. Non è possibile far retroagire gli effetti delle leggi penali che, al
contrario, stabiliscono nuovi reati e le relative pene.
Il principio di irretroattività delle leggi si giustifica per la necessità di garantire la certezza del
diritto. Ma non si tratta di una cosa semplice: spesso, infatti, accade che sorgano gravi dubbi sulla
necessità di applicare la vecchia o la nuova disciplina. E così, per evitare fraintendimenti, molti testi
normativi comprendono anche delle disposizioni dette transitorie, proprio per agevolare il
“passaggio di consegne” dalla vecchia alla nuova legge.
Le norme perdono la loro efficacia solo se vengono abrogate o annullate. Per abrogazione si
intende la perdita di efficacia di una norma giuridica. L’abrogazione può avvenire:
• per dichiarazione espressa del legislatore (in questo caso il legislatore crea una nuova
legge che espressamente ne abroga un’altra) o in seguito a referendum popolare abrogativo;
• per incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti: è la cosiddetta abrogazione
tacita e può aversi quando una nuova legge contiene disposizioni in contrasto con quelle
precedenti.
L’annullamento delle leggi riguarda quelle norme che sono riconosciute invalide perché in
contrasto con una norma di rango superiore. L’annullamento deve essere dichiarato con sentenza di
un giudice.
Fino ad ora abbiamo analizzato quella che viene detta efficacia delle norme nel tempo. Ora
dobbiamo esaminare l’efficacia delle norme nello spazio. Le leggi vigenti in uno Stato valgono
esclusivamente per le persone che risiedono in quello Stato (principio di territorialità). Può accadere
che un giudice sia chiamato a decidere di una questione che travalica i confini del territorio italiano
e che non sappia quale legge applicare. La soluzione a casi così intricati è rinvenibile nella legge n.
218 del 1995 che disciplina il cosiddetto diritto internazionale privato: tale legge dispone quali
norme i giudici italiani debbano applicare nel caso siano coinvolti cittadini o beni stranieri.
LE FONTI DEL DIRITTO E LA GERARCHIA DELLE FONTI
Il termine fonte del diritto ha un duplice significato:
• per fonte si intendono i testi che contengono le norme giuridiche (cd. fonti di cognizione)
da cui il cittadino ha la possibilità di conoscere l’esistenza e il contenuto della norma;
• per fonte si intendono anche gli atti o i fatti idonei a produrre norme giuridiche. Solo queste
(cd. fonti di produzione) sono in realtà vere e proprie fonti del diritto in quanto solo da esse
traggono origine le norme giuridiche.
Nell’ordinamento giuridico italiano esiste una gerarchia delle fonti del diritto, cioè un ordine
d’importanza: una sorta di piramide con un vertice e una base. Ordinare le fonti secondo una rigida
gerarchia significa riconoscere a ciascuna fonte un particolare valore che conferisce ad essa la
possibilità di prevalere o meno sulle altre. Le attuali fonti del diritto italiano sono:
Costituzione e leggi costituzionali;
1. Norme comunitarie;
2. Leggi ordinarie del Parlamento;
3. Atti del Governo aventi valore di legge: decreti legge e decreti legislativi;
4. Leggi regionali;
5. Regolamenti governativi e degli altri enti pubblici;
6. Usi e consuetudini.
7.
Tra le fonti del diritto italiano troviamo le fonti comunitarie, cioè gli atti normativi che traggono
origine dagli organi della Comunità europea, per disciplinare in modo uniforme su tutto il territorio
dell’Unione talune materie che rientrano nella sua competenza. Alcuni di questi atti, come ad
esempio i regolamenti, hanno un’efficacia immediata all’interno degli Stati membri, addirittura
prevalendo sulle norme interne difformi. Tra le fonti comunitarie vi sono anche le direttive; sono
gli atti dell’Unione che si caratterizzano per il fatto di essere indirizzate a uno o più Stati membri,
vincolando il destinatario per quanto riguarda il risultato da raggiungere, ma lasciando allo Stato
membro la libertà di scegliere i mezzi ritenuti più opportuni. Per le direttive la necessità di un
intervento normativo da parte dello Stato s’impone.
LA COSTITUZIONE E LE LEGGI COSTITUZIONALI
Il vertice della gerarchia delle fonti è rappresentata dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali.
La Costituzione della Repubblica italiana è la carta fondamentale che regola l’organizzazione
statale ed istituzionale del nostro Paese. È entrata in vigore il 1° gennaio 1948 ed è composta da 139
articoli e 18 disposizioni transitorie e finali.
LE FONTI PRIMARIE E SECONDARIE
Immediatamente sotto la Costituzione e le leggi costituzionali troviamo le fonti primarie che sono
le leggi ordinarie e gli atti aventi del Governo aventi valore di legge. La legge è la fonte per
eccellenza.
Tra le fonti primarie, oltre alle leggi ordinarie, vanno annoverati i cosiddetti atti aventi forza di
legge, che sono i decreti legge e i decreti legislativi. Questi sono anche detti leggi sostanziali o
materiali per distinguerli dalle leggi formali che sono le leggi ordinarie approvate dal Parlamento.
In linea di principio, l’unico organo in grado di emanare leggi è il Parlamento, in quanto titolare
della funzione legislativa. In casi eccezionali, previsti dalla stessa Costituzione, tale potere è
riconosciuto anche al Governo.
Tra le fonti primarie vi sono anche le leggi regionali che, al contrario delle leggi statali che si
applicano su tutto il territorio nazionale, hanno un ambito di applicazione limitato al territorio
regionale.
I regolamenti sono classificati come fonti secondarie. Il potere regolamentare spetta in primo luogo
al Governo.
GLI USI
L’ultimo gradino della scala gerarchica è occupato dagli usi o consuetudini. Non si tratta di
comandi giuridici, ma di comportamenti seguiti nel tempo da tutti i consociati e rispettati come
fossero leggi dello Stato. La consuetudine è una fonte di produzione non scritta, l’unica del nostro
ordinamento giuridico. Perché si possa avere consuetudine