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RAPPORTO TRA CODICE CIVILE E CODICE DI CONSUMO: questo
legame ce lo spiegano due norme, in primo luogo l'articolo 38 del codice
del consumo, in maniera concorrente l'articolo 1469-bis del codice civile.
Articolo 38 dice che "per quanto non previsto dal codice, ai contratti conclusi
tra il consumatore ed il professionista si applicano le disposizioni del codice
civile". Dunque il codice del consumo non ha quella valenza onnicomprensiva
che ha il codice civile, per cui se il codice del consumo ha dei vuoti questi
vuoti vengono colmati con la disciplina del codice civile. Le disposizioni del
presente titolo, cioè quelle dall'articolo 1321 al 1469, quindi quelle che
disciplinano il contratto in generale si applicano ai contratti del consumatore,
quindi abbiamo la compatibilità tra il codice civile e il codice di consumo però
ove non derogate dal codice del consumo o da altre disposizioni più
favorevoli al consumatore. Quindi rimane ferma l'applicabilità generale delle
norme sul codice civile però se ci sono delle norme sul codice del consumo o
se ci sono leggi più favorevoli al consumatore rispetto alla disciplina prevista
nel codice civile non vi è dubbio che andiamo ad applicare la disciplina più
favorevole del codice civile. Quindi da una lettura congiunta dell'articolo 38 e
del 1469 si può dedurre che il codice civile completa la disciplina dei codici di
settore (l'articolo 38), i codici di settore contengono deroghe alla disciplina del
codice civile, e proprio perché sono lex speciali rispetto alla lex generale del
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codice civile, troverà applicazione la disciplina consumeristica proprio perché
più favorevole.
CODICE DEL CONSUMO
Il codice del consumo ha contenuti orizzontali e contenuti verticali. Per
contenuti orizzontali si intende che il codice del consumo va a disciplinare
determinate tipologie di contratti: quindi disciplina l'ipotesi della svendita dei
beni di consumo, l'ipotesi del danno da prodotto difettoso e altre singole
fattispecie. Invece i contenuti verticali trovano applicazione a tutti i contratti,
quindi come se fossero una sorta di parte generale che si applicano a tutti i
contratti: per esempio la disciplina sulle clausole vessatorie si applica a tutti i
contratti stipulati tra un professionista e un consumatore.
Le definizioni di consumatore e di professionista vengono date dall'articolo 3
del codice del consumo il quale ci indica chi è il consumatore e chi è il
professionista. Consumatore è persona fisica che agiste per scopi estranei
all'attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale
eventualmente svolta. Non è consumatore sicuramente una persona giuridica
perché la norma dice che è consumatore la persona fisica, quindi
un'associazione non potrà mai essere consumatore, un'impresa non potrà
mai essere consumatore, una fondazione non potrà mai essere consumatore;
dunque qualunque persona giuridica non potrà mai rivestire la qualità di
consumatore. Ma l'altra caratteristica è che non può essere consumatore chi
compra un bene di consumo con lo svolgimento di un'attività professionale.
Quindi una persona fisica può ritrovarsi ad essere allo stesso tempo tanto
professionista quanto cosumatore, dipende dalla finalità con il quale sta
facendo quell'attività. Professionista è persona fisica o giuridica che agisce
nell'esercizio della propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o
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professionale ovvero con un suo intermediario. Il contratto che viene
concluso tra un professionista e un consumatore è un contratto concluso tra
una persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività professionale che
svolge normalmente e un soggetto invece che può essere tanto persona
fisica quanto persona giuridica che per professione svolge quell'attività.
Quindi tutte le volte che entrano in contatto professionista e consumatore e
tutte le volte in cui professionista e consumatore stipulano un contratto
dovranno trovare applicazione tutte quelle tutela che sono indicate nel codice
del consumo.
CLAUSOLE VESSATORIE
L'ipotesi è la seguente: un professionista stipula un contratto con il
consumatore e in questo contratto sono inserite tutta una serie di clausole
vessatorie, che ad esempio sono finalizzate ad escludere la responsabilità
del professionista per determinate tipologie di vizi. La definizione di clausola
vessatoria è data dall'articolo 33 del codice del consumo: nel contratto tra
il consumatore e il professionista si considerano vessatorie le clausole che
malgrado la buona fede determinano a carico del consumatore unsignificativo
squilibrio di diritti e di obblighi. Questa clausola a svantaggio per il
consumatore produce l'effetto di determinare il significativo squilibrio di diritti
e di obblighi. A fronte di questa situazione rappresentata da un professionista
che inserisce una clausola sfavorevole che determina un eccessivo squilibrio
da qui vi è l'esigenza di una tutela: cioè predisporre delle forme di tutela
speciali perché speciali e inderogabili per il consumatore perché è evidente
che se io prevedo delle forme di protezione che poi sono derogabili allora non
vi è alcuna garanzia. Lo strumento per risolvere questo significativo squilibrio
è indicato dall'articolo 36 del codice del consumo le c.d. nullità d i
protezione: le clausole considerate vessatorie ai sensi degli articoli 33 e 34
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sono nulle mentre il contratto rimane valido per il resto. Quindi questa
clausola che determina il significativo squilibrio è una clausola nulla, ma ciò
che è nullo non produce effetti, però non è nullo l'intero contratto ma è nulla
solamente la singola clausola.
Come si accerta la vessatorietà di una clausola: l'oggetto da accertare è
quel significativo squilibrio di diritti e di obblighi dell'articolo 33. Di tipologie di
clausole vessatorie tendenzialmente la dottrina ne distingue due, sono
clausole di squilibrio che però la dottrina in questo lunghissimo elenco le ha
descritte in due grosse categorie. Ci sono dei criteri positivi e dei criteri
negativi: i criteri positivi sono legati all'interpretazione del contratto, quindi
in primo luogo si interpreta il contratto per cui va ricordato l'articolo 1362 del
codice civile. L'articolo 34 del codice del consumo dice che per valutare la
vessatorietà della clausola bisogna tenere conto della natura e dell'oggetto
del bene o del servizio; bisogna valutare le circostanze esistenti al momento
del contratto. In terzo luogo bisogna valutare non solo le clausole del
contratto che abbiamo espressamente stipulato ma anche le clausole
presenti in contratti eventualmente collegati. Per quanto riguarda i criteri
negativi il legislatore all'articolo 34 del codice del consumatore ci dice che
non sono vessatorie le clausole che riproducono disposizioni normative. La
clausola è una scelta che fa il professionista, la disposizione normativa è una
scelta che ha fatto a monte il legislatore. Poi dice che non sono clausole
vessatorie quelle clausole che riguardano l'accertamento della vessatorietà
non deve riguardare il prezzo e l'accertamento della vessatorietà non attiene
alla determinazione dell'oggetto del contratto purché siano redatte in modo
chiaro e comprensibile. Lo squilibrio che prende in considerazione il
legislatore nell'articolo 33 non è uno squilibrio economico ma è uno squilibrio
di carattere normativo. L'articolo 2 del codice del consumo trai diritti del
consumatore vi è il diritto di essere informato. Se il consumatore non riesce a
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capire qul'è l'oggetto del contratto o non riesce a capire qual'è il prezzo è una
clausola vessatoria perché viene violato il diritto del consumatore ad essere
informato come è previsto espressamente dall'articolo 2. Fondamentale è poi
un'altra disposizione sempre all'articolo 34 la quale ci dice che non sono
vessatorie le clausole che sono state oggetto di trattativa individuale. Qui è
importante il confronto con gli articoli 1341 e 1342 perché il comma 2
dell'articolo 1341 introduce tutta una serie di clausole particolari che possono
essere introdotte nelle condizioni generali del contratto, che sono quelle
condizioni che non vengono pattuite espressamente tra le parti ma sono
quelle condizioni che vengono unilateralmente determinate dal professionista.
Secondo l'articolo 1341 vi troviamo tutta una serie di clausole che se
vengono confrontate con quelle che sono indicate dal codice del consumo
spesse volte sono identiche. Allora la differenza tra l'articolo 1341 e le
clausole vessatorie di cui all'articolo 33 del codice del consumo sta nel fatto
che intanto le condizioni generali dell'articoli 1341 non sono stipulate tra
professionista e consumatore, e perché possano essere rilevanti è
necessario il meccanismo della doppia sottoscrizione, cioè è necessario
semplicemente l'approvazione formale. Quindi perché queste clausole
producano effetto è necessario semplicemente il requisito formale, appena
c'è la doppia sottoscrizione la clausola produce l'effetto. È diverso invece per
i contratti tra consumatore e professionista, perché qui perché la clausola
produca effetto non è importante se c'è stata la sottoscrizione formale, se ho
rispettato il vincolo formale, ma quello che si valuta è la sostanza, se le parti
l'hanno effettivamente questa clausola, se è stata davvero oggetto della
trattativa, solamente se la clausola è stata espressamente pattuita la clausola
può essere considerata efficacia e non importa la doppia sottoscrizione. Se si
guarda alla casistica giurisprudenziale nessun professionista è mai riuscito a
offreire la prova contraria che una specifica clausola vessatoria inserita nel
contratto era stata oggetto di specifica pattuizione. Quindi quello che si deve
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valutare nella trattativa individuale è l'effettività della trattativa: nell'assetto
contrattuale che hanno dato le parti quella clausola che apparentemente in se
considerata potrebbe generare uno squilibrio in realtà quello squilibrio non lo
genera perché è compensata da altre clausole, ecco la differenza con il 1341:
le clausole del 1341 producono effetto o mediante la conoscenza
conoscibilità oppure se sono quelle indicate dal 2 comma mediante il
semplice requisito forma