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Il trasferimento di beni mobili e immobili e i diritti reali di garanzia
In quanto non si applica in materia di beni mobili (qui ciò che determina il trasferimento è il possesso), in materia di immobili (ciò che rileva è la trascrizione), di diritti reali di garanzia (si costituiscono l'ipoteca con l'iscrizione e il pegno con la consegna del bene pignorizzato). Per alcuni studiosi il mutuo ha efficacia reale, ma oggetto del mutuo è un bene fungibile, e questo non è una cosa determinata come è richiesto dall'art 1376, inoltre il mutuo non si perfeziona con il consenso ma con la consegna.
Leggendo attentamente l'art 1376 si nota che vi è un insieme di principi non espliciti:
- non c'è alcun riferimento al possesso
- non gioca alcun ruolo l'atteggiamento psicologico
- occorre che ad alienare sia il proprietario
La dottrina considera l'art 1376 una norma di principio, che concretamente non trova attuazione.
Art 1153 "colui al quale sono alienati beni 1)"
fondamento dell'acquisto è il possesso mobili da parte di chi non ne è proprietario, 2) alienante deve essere il non proprietario ne acquista la proprietà mediante il possesso, riopurché sia in buona fede al momento della 3) occorre la buona fede dell'acquirente consegna e sussista un titolo idoneo al trasfe- 4) occorre un titolo idoneo di trasferi- mento della proprietà". Art 1376 "nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa de- terminata, la costituzione o il trasferimento di un diritto, la proprietà o il diritto si trasmetto- no e si acquistano per effetto del consenso co- delle parti legittimamente manifestato" Non è l'art 1153 una eccezione anche perché parlandosi di usucapione istantanea è un modo di ac- quisto originario che non
Può essere un'eccezione di un modo d'acquisto derivativo. La prova che non si tratti di una eccezione all'art 1376 la si trova in quanto disciplinato all'art 1154. Questo afferma che colui che conoscendo della illegittima provenienza del bene lo acquista facendo affidamento sull'erronea credenza che l'alienante ne sia diventato proprietario secondo l'art 1153.
Norma imperativa: norma che non ammette deroghe, tutto ciò che ad essa è contrario è soggetto a nullità.
Ordine pubblico: principi fondamentali dell'ordinamento. Sono norme di carattere generale e penale che le regole civilistiche non possono derogare.
Buon costume: libertà della persona che attiene alla sfera sessuale. Sono atti contrari al buon costume tutte quelle regole che vincolano la libertà sessuale.
La distinzione è importante per le conseguenze a cui va incontro l'atto. Chi ha adempiuto un contratto contrario a norme.
imperative o all'ordine pubblico, essendo questo nullo, può chiedere al re-stituzione di quanto da lui dato. Se il contratto è contrario al buon costume, non può esserci ripeti-zione, espressamente vietato dal codice.
Successione necessaria
Nel diritto romano tradizionalmente si privilegiava la piena autonomia del pater familia, os-sia questo non era obbligato a lasciare una parte del suo patrimonio ai figli o al coniuge. Di-vennero così sempre più frequenti i fenomeni di diseredazione. Ecco che con il tempo i sog-getti lesi dalle disposizioni del pater familia iniziarono a chiedere all'imperatore la dichiara-zione di nullità del testamento, attraverso l'instaurazione di un processo extra ordinem, so-stenendo l'incapacità naturale del testatore. Questa era dimostrata dalla disposizione di attri-buzione del suo patrimonio ad un soggetto estraneo alla sua famiglia (Quarella inofficiosa te-stamenti sub coloriae insaniae).
Così i cittadini romani più ricchi per evitare che il loro testamento venisse dichiarato nullo prevedevano dei lasciti a favore dell'imperatore. (da cui derivava la tassa che verteva sulle disposizioni testamentarie, oggi non più prevista). Il rimedio di rendere nullo l'intera disposizione testamentaria viene evidenziato da Giustiniano nel corpus iuris civilis. È però un rimedio eccessivo, poiché sacrifica l'autonomia del testatore. I giuristi medievali trovatisi davanti a questo estremismo adottano un rimedio intermedio elaborato da Socino, giureconsulto del cinquecento. Propone di dividere il patrimonio in due parti, una detta indisponibile che doveva necessariamente andare ai soggetti detti legittimari (coniuge dopo la riforma, discendenti e in mancanza di questi ascendenti) e l'altra disponibile. Tale soluzione va a coniugare l'autonomia del de cuius e l'interesse dei prossimi congiunti. NellaCodificazione francese, che vuole far rivivere il diritto romano ecco che sorge il problema se tutelare o meno i legittimari, dunque se attenersi rigorosamente al diritto romano ono. Il codice 1804 opta per l'introduzione della soluzione sociniana. Viene così introdotta la successione necessaria chiamata così perché necessariamente deve garantirsi ai legittimari una quota del patrimonio del de cuius. La successione necessaria non è però un terzo tipo di successione rispetto a quella legittima e a quella testamentaria, bensì un correttivo di entrambe. In quanto il soggetto può andare a ledere l'interesse dei legittimari non esclusivamente con la disposizione testamentaria, disponendo delle sue sostanze a favore di soggetti diversi dei legittimari, ma anche in caso di successione legittima, sperperando il patrimonio attraverso numerose donazioni compiute in vita.
testamento? Da dove deriva il nome? È una scoperta recente.
Ricordiamoci che il nostro codice si fonda sul codice Napoleo-ne e che questo a sua volta ha le sue radici nel diritto Giustinianeo. Intorno al 1814 unostudioso leggeva dei manoscritti nella biblioteca di Verona e trovò un'opera di san Ge-rolamo. Si trattava di un palinsesto (= blocco di papiro, che prima dell'invenzione dellastampa, i monaci amanuensi imbiancavano e riutilizzavano per la trascrizione di nuoveopere). Tale studioso si accorse che le lettere del santo, nascondevano uno scritto piùantico. Così cercò di cancellarle con appositi strumenti per ottenere l'opera originaria,da queste nascosta. Scoprì che era un manuale di diritto romano del II secolo d.C.L'opera era un libro delle Istitutiones di Gaio che sembrava un modello al quale si eraispirato Giustiniano. I giuristi studiando tale manoscritto scoprirono che la società giuridica del II secolo era diversa da quella descritta da Giustiniano. Scoperta questamoltoimportante perché significava che l’ordinamento giuridico romano si era profondamen-te modificato nel tempo, concezione questa sconosciuta fino ad allora. L’opera eracomposta da quattro libri: sulle persone, sulla proprietà, sui modi con cui diventare pro-prietario e una sorta di manuale di procedura civile. Gaio affronta gli istituti del suotempo in chiave storia, partendo dalle origini. Grazie a Gaio scopriamo da dove derivail termine testamento. Ai tempi di Gaio il testamento si faceva secondo un particolareforma solenne che è l’adattamento di un istituto, mancipatio, usato dai romani per ogniatto. Il testamento si chiamava mancipatio familiae. Il termine familia, nel periodo ro-mano, non indica un gruppo di persone legate da un vincolo di sangue, ma comprende-va tutto ciò che era soggetto alla patria potestas. Dunque, beni, animali, schiavi…L’atto si chiude con un’invocazione solenne del testatore (verba
solemnia) “vi ordinodi offrirmi testimonianza o cittadini romani”(peribetote mihi testes quirites). Il terminetestamento gioca sulla presenza di testimoni detti in latino testes.Il termine peribeo deriva da iubeo che vuol dire ordinare, comandare. Quirites eral’appellativo più antico, anteriore alla legge delle XII tavole, con cui si chiamavano iromani. È una traslitterazione del termine vires (= uomini). Nel latino arcaico non vi eradifferenza tra la v e la u, quindi tra vir e uir. Probabilmente un tempo la parola era pre-ceduta dalla lettera Q, quindi quir. Di conseguenza i romani anticamente si chiamavanouomini. Non è dunque un caso che Romolo venisse chiamato Dio Quirino.La mancipatio famigliae trova i suoi antenati nei testamenti arcaici del calatis comitis ein procictu.L’istituto del calatis comitis rimasto in vigore fino al III secolo a.C. si svolgeva duevolte l’anno. La parola comitium, plurale comitia, deriva da comites (= compagni).
erano le assemblee legislative. Tito Livio, vissuto (due secoli prima di Gaio) al tempo di Augusto, racconta la leggenda secondo la quale Romolo, all'interno del confine ideale di Roma affidò due ettari di terreno ad un cinquantina di compagni (il nucleo originario e fondante della comunità). A questi comites, spettavano le funzioni di consultazione e decisione. I comitia venivano consultati dai magistrati ad rogationem sulla emanazione o meno di una determinata legge. Chiamate per questo leges rogate. Il comitium era dunque l'organo legislativo fondato su base successoria. Il comitium era convocato oltre che ad rogationem, anche ad relationem (per ascoltare le proposte dei magistrati) e ad contionem (per discutere su materie diverse dalle legificazione). Quelli convocati per i calatis comitis erano convocati ad contionem. Avevano la funzione di ascoltare le volontà testamentarie e di offrire la loro testimonianza. Lo scopo del testamento calatisIl compito dei comites era quello di indicare chi, dopo la morte del defunto, avrà il diritto di sostituirlo nell'assemblea (eres= era il nome di colui che acquistava tale diritto, che non coincideva per forza con il figlio del defunto). Con il tempo, tale forma testamentaria cadde in desuetudine. In quanto rivolta solo ai comites (cioè ai patres, i senatori) e poi perché svolta solo due volte l'anno. Anche il testamento in procictu, che seguiva quello calatis comitis, si concludeva con la formula "peritetote mihi testes quirites". Il termine indica il momento che precede la battaglia, quando l'esercito si schiera davanti al nemico. Ricordiamo che l'esercito romano, originariamente, era formato dagli stessi patres. Il testamento in procictu consisteva nella dichiarazione dell'attribuzione della propria famiglia a un soggetto (considerata l'alta possibilità di trovare la morte nella battaglia). Venuti meno tali testamenti, si tramandò.
l'articolo 480 afferma "il diritto di accettazione e rinuncia" all'interno dei mancipatio familiae, i verba solemnia.