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NELLO SPORT
Sono poche le norme dedicate al dilettantismo sportivo, sia, come abbiamo visto,
avuto riguardo allo svolgimento dell’attività sportiva ed alla qualificazione del
rapporto tra atleta e società sportiva, sia avuto riguardo alle forme societarie che le
organizzazioni sportive possono darsi. Dalla normativa vigente emerge che il CONI
può riconoscere le seguenti tre tipologie di sodalizi dilettantistici:
1. associazioni sportive di diritto privato, con o senza personalità giuridica
(ASD), scelta, in Italia, nel 95% dei casi, essendo più semplice e con
maggiori vantaggi fiscali;
2. società sportive di capitali senza finalità di lucro (SSD);
3. società cooperative senza scopo di lucro (SCSD);
4. organizzazioni non lucrative di utilità sociale (ONLUS), nel caso in cui lo
svolgimento dell’attività sia volto ad arrecare benefici a “persone
svantaggiate”.
L’ASD, la SSD e la SCSD nascono, per l’ordinamento , con la sottoscrizione
dell’atto costitutivo, obbligatoriamente in forma scritta, nonché dello statuto, il quale
deve indicare, al suo interno:
a) denominazione;
b) oggetto sociale riferito a organizzazione attività sportive dilettantistiche;
c) attribuzione legale rappresentata ad un soggetto;
d) assenza di fini di lucro e previsione che proventi non possono essere in alcun
modo suddivisi tra associati;
e) norme dell’ordinamento interno ispirate a principi di democrazia ed
uguaglianza tra associati;
f) obbligo di redazione rendiconti economico-finanziari;
g) modalità di scioglimento dell’ente;
h) obbligo di devoluzione del patrimonio a fini sportivi, in caso di scioglimento
anticipato della società (o associazione).
Una volta sottoscritti l’atto costitutivo e lo statuto, il sodalizio sportivo potrà dar
luogo ad attività agonistica dilettantistica laddove l’ASD, SSD o SCSD:
• si affili ad una Federazione;
• si iscriva al registro telematico delle società e associazioni sportive
dilettantistiche tenute dal CONI;
• si impegni a rispettare le direttive e i regolamenti del CONI e della
Federazione presso cui è affiliato.
N.B. è vietato agli amministratori di associazioni e società sportive dilettantistiche di
ricoprire la medesima carica in altri sodalizi sportivi dilettantistici nell’ambito della
stessa Federazione.
E’ consentita, a seguito della costituzione, la trasformazione da ASD a SSD/SCSD,
o viceversa, con passaggio diretto ed immediato di tutti i rapporti intrattenuti, con
tutte le conseguenze che ciò comporta: anzitutto, una associazione è di proprietà di
tutti i soci che approvano i bilanci, rappresentando le assemblee, di fatto, l’organo
sovrano delle associazioni; nelle società ,invece, la titolarità è limitata a coloro che
decidono di acquistare una quota del capitale sociale, potendo conseguentemente
decidere in misura proporzionale alla propria quota.
IMPIANTI SPORTIVI
Prima chiave di volta, in Europa, dell’approccio agli impianti sportivi ed alla loro
progettazione è rappresentata dai casi di violenza negli stati inglesi durante gli anni
Ottanta. Cambiano le norme, aumenta la sicurezza, ed il nuovo modello inglese
(con stadi all-seater di proprietà dei club) ha iniziato ad essere visto come quello da
imitare in Italia, in cui la maggior parte (circa il 57% di 150.000 impianti censiti) è di
proprietà pubblica.
Il modello inglese non è stato ancora, di fatto, importato. Sono tuttavia aumentate,
nel corso del tempo, le cautele finalizzate a garantire la sicurezza degli impianti. In
particolare le principali norme in materia sono:
1. il d. m. 18 marzo 1996, contenente norme di sicurezza degli impianti a tutela
non solo degli atleti, ma anche del pubblico, nelle fasi di afflusso, deflusso, e
di svolgimento dell’evento sportivo;
2. nel 2005 è stato invece introdotto normativamente il concetto di complesso
sportivo multifunzionale, in base al quale è ora possibile ubicare, all’interno
degli impianti, anche esercizi commerciali;
3. N.B. a seguito della modifica dell’art. 17 Cost. nel 2001, attribuzione a
Regioni di potestà normativa concorrente con quella dello Stato in materia di
ordinamento sportivo, ha frammentato il quadro nazionale e reso impossibile
l’adozione di un modello unico di riferimento.
E nella pratica? Nel 2006 gli stadi di serie A di calcio a norma erano 6 (Roma,
Torino, Genova, Siena, Palermo e Messina), oggi ben 15 stadi non hanno le
caratteristiche minime richieste per accedere alla più bassa categoria UEFA.
Ciò premesso, le tipologie di impianti sportivi esistenti nel nostro Paese sono due:
a) gli impianti destinati ad ospitare lo svolgimento di attività di carattere
agonistico, organizzate in campionati sotto la tutela delle federazioni e del
CONI;
b) gli impianti rivolti allo svolgimento di attività sportiva a livello dilettantistico/
amatoriale.
Indipendentemente dalla tipologia di impianto, chi intenda costruirlo deve superare
alcuni step molto importanti:
1. il primo è l’analisi di fattibilità, tramite la quale si valuta se la struttura che si
intende costruire o ampliare risponde alle reali esigenze della popolazione, e
di stabilirne la possibile redditività. Superato questo step, occorre superarne
altri in relazione alla specifica attività sportiva per cui l’impianto è da
costruire:
2. parere del CONI (in merito all’idoneità dell’impianto ai fini prefissati ad alla
conformità rispetto alla normativa tecnica vigente);
3. parere igienico-sanitario dell’ASL;
4. parere dell’ARPA su previsioni di impatto acustico;
5. parere preventivo e successiva visita di constatazione da parte della
commissione di vigilanza del rispetto delle norme in materia di pubblica
sicurezza
6. omologazione di impianto sportivo da parte della federazione sportiva
nazionale di riferimento.
Al di là dell’obbligo di rispettare tutte le norme necessarie ad ottenere i pareri di
conformità, l’aspetto più complicato e delicato è quasi sempre rappresentato dal
finanziamento, soprattutto se il progetto dell’impianto è privato. Le banche chiedono
garanzie fideiussorie per concedere mutui. Nessun istituto di credito accetta di
stipulare un mutuo in cui la garanzia è rappresentata da un impianto ancora da
costruire. Pertanto, spesso si ricorre ai Comuni chiedendo loro il terreno in diritto di
superficie ad un prezzo simbolico per un periodo di tempo sufficiente, e
costituendoli fideiussori a garanzia dei mutui concessi dalle banche. In
tali casi, il privato costruttore solitamente si impegna a garantire ai cittadini vantaggi
nell’utilizzo del futuro impianto (tariffe agevolate, spazi riservati ecc.).
Barriere architettoniche: altro aspetto da tenere in considerazione è quello della
accessibilità degli impianti sportivi a tutti, ossia la possibilità di raggiungerlo,
entrarvi, e fruire dei suoi spazi in condizioni di sicurezza ed autonomia anche per
persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. Tale
requisito risulta soddisfatto se:
• ci sia almeno un collegamento dalla viabilità pubblica ad accesso dell’edificio;
• ci siano posti auto riservati, posti riservati alle carrozzine e bagni attrezzati;
• siano accessibili tutte le parti dell’edificio.
Prima norma volta a rendere accessibili a tutti anche gli edifici sportivi privati risale
al 1989: fu previsto l’abbattimento delle eventuali barriere architettoniche da tutti i
grandi impianti sportivi. Nel 1992 la norma fu estesa a tutti gli impianti.
Criticità italiane a confronto con altri modelli europei: un altro modello, oltre a quello
inglese, ugualmente vincente ed efficace è quello tedesco, attuato in vista dei
mondiali di calcio 2006. In quell’occasione furono costruiti 5 nuovi stadi e
ristrutturati altri 7, con grande apporto ed intervento privato (si pensi che il solo 40%
è stato finanziato da autorità locali, il restante 60%, infatti, è stato finanziato dai
club cittadini e da altri finanziatori commerciali). Il risultato è che oggi in Bundesliga,
8 impianti sono di proprietà di enti locali; la maggior parte (9) è di proprietà di
holding finanziarie, ed 1 del club che vi gioca. Si è puntato tantissimo anche sulla
eco-sostenibilità; in Italia la stragrande maggioranza degli impianti non sfruttano
fonti di energia rinnovabili.
Rispetto alle percentuali europee che, come visto, attestano una presenza sempre
maggiore del privato nella proprietà degli impianti sportivi, le percentuali italiane
sono del tutto diverse: 94% proprietà dei Comuni, 3% dei club e 3% di terzi. Alcuni
ipotesi di riforma:
incremento di eco-sostenibilità e complessi sportivi multifunzionali nelle
1. grandi città, ed abbattimento dei vecchi impianti;
costruzione o ristrutturazione degli impianti favorendo la proprietà privata
2. degli stessi;
diminuzione del numero dei club nei vari gironi attraverso fusioni societarie in
3. grado di diminuire i costi e avere più risorse.
SPONSORIZZAZIONE E PUBBLICITÀ NELLO SPORT:
a) la sponsorizzazione: è un contratto atipico (non essendo riconducibile ad alcuna
figura prevista dal codice civile), consensuale, a forma libera, di natura
patrimoniale e a carattere oneroso, in forza del quale il soggetto sponsorizzato
(c.d. sponsee) si obbliga a consentire ad altri (c.d. sponsor) l’uso della propria
immagine pubblica e del proprio nome per promuovere un marchio o un
prodotto, dietro corrispettivo (che può sostanziarsi in una somma di denaro,
beni, servizi o entrambi) da erogarsi, direttamente o indirettamente, da parte
dello sponsor. Nonostante
libertà della forma, gli accordi di sponsorizzazione vengono solitamente stipulati
per iscritto. In linea generale in contratto di sponsorizzazione rientra nella
categoria dei “contratti pubblicitari”, vale a dire contratti che vengono stipulati
dagli operatori della pubblicità nell’esercizio di attività pubblicitarie. Da un lato, lo
sponsee è tenuto a svolgere le attività richiestegli dal contratto per pubblicizzare
il prodotto dello sponsor senza dovere garantire, però, il cosiddetto “ritorno
pubblicitario” (obbligazione di mezzi, non di risultato): pertanto, la mancata
realizzazione delle aspettative economiche dello sponsor non legittima una
risoluzione per inadempimento né una richiesta risarcitoria, da parte dello
sponsor nei confronti dello sponsee. Quest’ultimo deve, tuttavia, agire in buona
fede e nell’interesse del creditor