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Regime di separazione dei beni e acquisti durante la convivenza

In presenza del regime di separazione il coniuge conserva godimento e amministrazione dei beni di cui è titolare esclusivo (art. 217), restando fermo l'obbligo di contribuire ai bisogni familiari. Durante la convivenza, peraltro, i coniugi compiono acquisti per i quali non è necessario un regime formale per stabilire ex post quale coniuge abbia effettuato l'acquisto, come nel caso dei mobili non registrati. La legge comunque stabilisce regole per tali situazioni, ad esempio: se in regime di separazione un coniuge abbia di fatto il godimento di beni dell'altro, è soggetto a tutte le obbligazioni cui sarebbe tenuto se fosse usufruttuario; se sorge controversia sulla titolarità di tali beni, si presume che si tratti di beni comuni ad entrambi per pari quota, a meno che un coniuge non fornisca con ogni mezzo di prova di essere il titolare o di avere una quota maggiore.

Fondo patrimoniale - La riforma del 1975 prevede che venga costituito un fondo patrimoniale, assoggettato a un particolare regime.

Per far fronte ai bisogni della famiglia. Può essere costituito da ciascun coniuge, da entrambi o anche da un terzo. La costituzione deve avvenire con atto pubblico o, se il costituente è un terzo, anche mediante testamento. Possono rientrare nel fondo solo beni immobili, mobili registrati o titoli di credito (167). La proprietà dei beni che costituiscono il fondo, a meno che non sia disposto diversamente nell'atto costitutivo, spetta ad entrambi i coniugi (168, co.1). Amministrazione del fondo è regolata dalle stesse norme che regolano amministrazione comunione legale (168 co.3). Frutti dei beni del fondo non possono che essere utilizzati per bisogni famiglia. Salvo diversa disposizione nell'atto costitutivo, beni del fondo non possono essere alienati, dati in garanzia o vincolati in ogni modo, se non con consenso entrambi coniugi o, se vi sono figli minori, con autorizzazione giudiziale, da concedersi solo per necessità o utilità evidente per la famiglia. Legge prevede che i beni facenti

parte del fondo e i frutti non possono essere sottoposti a esecuzione forzata per debiti che il creditore conosceva esserestati contratti per scopi estranei alla famiglia (170). Questa norma che limita esecuzione sui beni del fondo ha indotto ad un abuso di istituto, infatti è stato utilizzato più che per assicurare risorse alla famiglia per sottrarre cespiti di uno dei coniugi all'aggressione legittima di un creditore, simulando che tali cespiti rientrino nel fondo. In tali casi in frode ai creditori, la giurisprudenza ammette che conferimento di beni al fondo patrimoniale sia suscettibile di azione revocatoria, secondo disciplina duraprevista per atti a titolo gratuito. La Cassazione ha confermato di recente che la costituzione di un fondo patrimoniale non integra di per sé l'adempimento di un dovere giuridico, non è infatti obbligatoria per legge, ma configura un atto a titolo gratuito. L'impresa familiare - Assoluta novità introdotta dalla riforma del

1975 è stato l'art. 230 bis, disciplinate l'impresa familiare. Tale 230 bis mira a tutelare i familiari imprenditore che lavorino continuativamente nell'attività di famiglia o nell'impresa del loro congiunto, trova applicazione solo quando non sia espressamente pattuita diversa disciplina volta a regolare apporto di collaborazione lavorativa del familiare (contratto di società, di lavoro subordinato,...). Prima della riforma non era riconosciuto alcun diritto di ordine economico al familiare che prestava lavoro nell'impresa familiare.

Familiari dell'imprenditore tutelati dal 230 bis sono coniuge, parenti fino al terzo grado, affini fino al secondo. A costoro, ricorrendo presupposti, si riconosce il diritto al mantenimento e il diritto di partecipare agli utili dell'impresa e agli incrementi dell'azienda. Difficile stabilire entità di partecipazione agli utili, quindi il legislatore ha stabilito che sia proporzionata.

alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, criterio molto elastico, spesso stabilito convenzionalmente. Giuris ha ribadito che impresa familiare non ricorre nel caso di imprese a stampo societario, ma ha riconosciuto al familiare dell'imprenditore che ha i requisiti ex 230bis lavoratore in una società il diritto al mantenimento. Per quanto riguarda il lavoro prestato nella famiglia, rientra nella categoria dell'impresa familiare solo l'attività domestica che, permettendo agli altri familiari di non dedicarsi ad essa, consente loro di portare avanti attività di impresa al meglio. Teoricamente le decisioni che riguardano impiego utili e incrementi e decisioni straordinarie dovrebbero essere adottate a maggioranza familiari che partecipano all'impresa, solo che essendo decisioni anche delicate e tecniche, l'imprenditore le può prendere comunque e esse saranno in ogni caso efficaci nei confronti di terzi. Diritto di

Partecipazione è intrasferibile, se non ad un altro familiare con consenso di tutti altri familiari. I familiari partecipanti hanno diritto di prelazione sull'azienda in caso di cessione o divisione ereditaria (rinvio a previsione al 732).

Disciplina della condizione dei figli nati fuori del matrimonio, esercizio funzioni genitoriali, cognome figlio e inserimento nella famiglia del genitore. Fino alla Novella lo status di figli nati fuori del matrimonio presentava profonde divergenze rispetto ai figli legittimi. Anche con la riforma del '75, che pure si è occupata di equiparare in via generale la posizione dei figli naturali riconosciuti a quella dei legittimi, rimaneva una differenza fondamentale, ossia se uno era figlio legittimo acquisiva uno status che gli garantiva un rapporto giuridico con la coppia dei genitori e con i loro parenti, diventando parte di una famiglia; il figlio naturale invece assumeva uno status soltanto nei confronti di ciascun genitore, e anche se

fosse stato riconosciuto da entrambi, non essendo sposati, due rapporti giuridici distinti con ciascun genitore. Ciò implicava importanti ricadute sul regime dei rapporti tra genitori e figli e sull'esercizio della potestà genitoriale, ora responsabilità. L'art. 317 bis, introdotto con la riforma, prevedeva specifica disciplina per il caso in cui uno o entrambi i genitori avessero riconosciuto il figlio, distinguendo tra coppie di genitori naturali conviventi e non. Al genitore che aveva riconosciuto il figlio naturale spettava la potestà su di lui. Se il riconoscimento era stato fatto da entrambi, la potestà poteva essere esercitata congiuntamente se fossero stati conviventi, mentre se non fossero stati conviventi l'esercizio della potestà spettava al genitore con cui il figlio conviveva. Se il figlio non conviveva con nessun genitore, la potestà spettava al primo ad averlo riconosciuto. Il giudice, nell'interesse esclusivo del figlio, poteva escludere entrambi dallapotestà genitoriale e nominare un tutore. Il genitore che non esercitava potestà aveva il diritto di vigilare su istruzione, educazione e condizioni di vita del figlio minore. Con la Novella unitario status di figlio, tuttavia, anche se il figlio naturale non è più contrapposto a quello di figlio legittimo, esistono ancora aspetti peculiari. - Primo aspetto: attribuzione cognome, se il figlio nato fuori del matrimonio viene riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori, assume il cognome del padre, altrimenti assume il cognome del genitore che o ha riconosciuto per primo, art 262, co. 1. Se il riconoscimento del padre o dichiarazione giudiziale di paternità è successivo al riconoscimento della madre, il figlio può scegliere a sua discrezione di assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre; se è ancora minorenne se ne deve occupare il giudice in questo caso. La Corte cost. con una sentenza del

2016 ha ridisegnato sistema regole di attribuzione del cognome materno, ha dichiarato incost. Anche del 262 nella parte in cui non si consentiva ai genitori non coniugati di trasferire di comune accordo anche il cognome materno ai figli. Se il figlio non viene riconosciuto alla nascita da nessun genitore sarà l'ufficiale dello stato civile ad assegnargli nome e cognome, ma quando un genitore dovesse riconoscerlo, il figlio assumerebbe il cognome del genitore che lo ha riconosciuto per primo; tuttavia un tale mutamento dei segni identificativi del figlio, che può essersi costruito una vita e rapporti sociali intorno al cognome attribuitogli dall'ufficiale di stato civile, può arrecargli pregiudizio, così la corte cost. aveva dichiarato incost. La parte dell'art 262 in cui non era previsto che il figlio potesse mantenere il cognome assegnatogli alla nascita, ormai distintivo della sua id. personale. Sent della Corte che è stata confermata dalla Novella,

che ha aggiunto la possibilità per il figlio che vuole mantenere il cognome assegnatogli di aggiungerci anche il cognome paterno/materno, di chi abbia effettuato prima il riconoscimento insomma. - Secondo aspetto: attiene all'affidamento del figlio e alla sua collocazione, se minorenne, se sia stato riconosciuto da persona sposata. Il giudice in tal caso deve valutare tutte le circostanze e decidere, tenendo conto dell'interesse esclusivo del figlio, morale e materiale, se affidarlo o meno, art 252 co.1. Il figlio nato fuori del matrimonio e riconosciuto da un genitore sposato, ma non con l'altro suo genitore, può essere inserito nella famiglia del genitore sposato con il consenso dell'altro coniuge, degli eventuali figli conviventi se > 16 anni e dell'altro genitore qualora lo abbia riconosciuto. Non bastano tutti i consensi, servirà anche l'autorizzazione del giudice che dovrà tener conto di tutti gli int. Morali e materiali del figlio.

Art. 252, co.2. Inoltre, in caso di riconoscimento da parte di persona coniugata di un figlio non riconosciuto dall'altro genitore, l'ufficiale di stato civile deve informare di ciò il tribunale dei minori che deve iniziare indagini volte a verificare il riconoscimento.

Se un genitore si sposa dopo che aveva già riconosciuto un figlio può essere inserito nella casa coniugale se già convive con il genitore che l'ha riconosciuto se l'altro coniuge ne conosceva l'esistenza o se ne concede il consenso, art. 252 co. 3.

La procreazione assistita, L. n. 40/2004

Stato giuridico del nato: il figlio nato mediante procreazione assistita assume status di figlio nato nel matrimonio o di figlio riconosciuto se la coppia non è sposata. Tale status di figlio riconosciuto, in deroga alla regola generale, si acquista non in conseguenza di un atto di riconoscimento, ma immediatamente, per il solo effetto della nascita.

È inibita ogni pos

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A.A. 2019-2020
21 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/01 Diritto privato

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