Il ruolo dei principi generali di diritto nella Corte Internazionale di Giustizia
L'articolo 38 dello statuto della Corte Internazionale di Giustizia annovera tra le fonti i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili. Secondo la comune interpretazione, tali principi si collocherebbero al terzo posto dopo le consuetudini e gli accordi e sarebbero applicabili quando manchino norme pattizie o consuetudinarie applicabili al caso concreto. Il ricorso ai principi generali di diritto costituirebbe una sorta di analogia iuris destinata a colmare lacune del diritto pattizio o consuetudinario. Essi sono esprimibili con principi come: ne bis in idem, nemo iudex in re sua, in claris non fit interpretatio.
La varietà di opinioni può essere facilmente accertata: alcuni negano che i principi generali abbiano valore di norme giuridiche internazionali, altri sottolineano che essi abbiano una funzione integratrice del diritto internazionale, infine c'è chi li pone al primo grado della gerarchia delle fonti, al di sopra della consuetudine.
dell'accordo. A nostro avviso, perché possano essere applicati questi principi devono sussistere due condizioni: 1. devono essere uniformemente applicati nella maggior parte degli stati; 2. devono essere sentiti come obbligatori. Così intesi non sarebbero altro che una categoria sui generis di norme consuetudinarie internazionali. Per quanto riguarda la sovranità territoriale, vediamo che lo Stato ha una serie di obblighi circa il trattamento degli stranieri, esso è internazionalmente libero di trattare i propri sudditi come meglio crede (dominio riservato). Quest'opinione però, è ancora vera solo per il diritto consuetudinario salvo talune eccezioni. Riguarda il primo punto, bisogna sottolineare che la contrarietà di una legge ordinaria italiana al diritto internazionale generale comporta l'illegittimità costituzionale della legge stessa per violazione dell'articolo 10 della costituzione: tale.l'illegittimità potrà dichiararsi anche in caso di contrarietà ad un principio generale di diritto riconosciuto dalle nazioni civili. Questo tema è trattato nella sentenza della Cassazione 7/7/1971 n.2134 in una controversia di lavoro conseguente a licenziamento. Il lavoratore aveva sollevato l'eccezione di incosciente serenità dell'art.2118 c.c. alla luce dell'art 10 della Cost, sostenendo che la contrarietà dell'art. 2118 ad una norma di diritto internazionale che riconosceva che l'ordinamento interno di molti altri paesi tutelano maggiormente i lavoratori contro i licenziamenti arbitrari. La cassazione respinge l'eccezione osservando che in campo internazionale esistono semplici raccomandazioni. Altra sentenza importante è quella della corte costituzionale del 18/4/1967 n.48, relativa al cosiddetto ne bis in idem internazionale. La sentenza affronta il problema dell'incostituzionalità ex art. 10,
I co, della costituzione, dello art.11, Ico del cod. penale (possibilità di sottoporre di nuovo a giudizio in Italia che sia stato già giudicato all'estero per reati commessi in Italia). Era stato sostenuto che l'art.11, Ico, contrastasse con il principio ne bis in idem e che questo fosse un principe generale di diritto (processuale) riconosciuto in tutti gli ordinamenti. La corte respinge la tesi dell'incostituzionalità, fondandosi sulla circostanza che in nessun ordinamento statale il principio ne bis in idem è prevista in rapporto alle sentenze penali straniere (mancanza quindi della prassi). Identica soluzione è adottata dalla corte nella sentenza del 8/4/1976 n.69 a proposito dell'art.11,II co del cod. penale (possibilità di sottoporre di nuovo a giudizio in Italia, su richiesta del ministro di giustizia che sia stato già giudicato all'estero per reati commessi all'estero). Nella recente sentenza 3/3/1997 n.58,
La corte, in riferimento all'art.705,I co, cod. proc. penale, che accoglie entro certi limiti il ne bis in idem internazionale, trova modo di sostenere che questo pur non essendo ancora assurto a regola di diritto internazionale generale, è tuttavia principio tendenziale cui si ispira oggi l'ordinamento internazionale.
Altre presunte norme generali non scritte.
6.1. Una parte della dottrina pone al di sopra delle norme consuetudinarie un'altra categoria di norme generali non scritte: i principi. Si è così sostenuto l'esistenza di una serie di principi costituzionali dell'ordinamento internazionale. Secondo il Quadri, vigoroso sostenitore di questa teoria, i principi costituirebbero le norme primarie del diritto internazionale, in quanto espressione immediata e diretta della volontà del corpo sociale. Tra i principi alcuni avrebbero carattere formale, in quanto si limiterebbero ad istituire fonti ulteriori di norme internazionali, altri carattere materiale.
In quanto disciplinerebbero direttamente rapporti tra stati. I principi formali sarebbero due: consuetudo est servanda e pacta sunt servanda. L'osservanza delle consuetudini e degli accordi si spiega in quanto voluta e imposta dalle forze prevalenti nell'ambito della comunità internazionale. In tal modo la consuetudine e l'accordo sarebbero entrambe fonti di secondo grado. Dalla dottrina comune in tema di gerarchia delle fonti internazionali, la consuetudine è considerata come fonte primaria, mentre si ritiene che l'accordo, fonte secondaria, tratta la sua forza dalla consuetudine. La concezione del Quadri, alla luce di queste riflessioni, non è più accettabile. Non sono i principi formali, consuetudo est servanda e pacta sunt servanda a suscitare riserve; ciò che invece non convince è la possibilità di ricostruire principi materiali indipendentemente dall'uso e di ricostruirli fino alle estreme conseguenze. Un gruppo di
stati o anche un solo Stato potrebbe imporre, disponendo della forza necessaria, la propria volontà a tutti gli altri membri della comunità internazionale. Inoltre l'interprete esterno, dovendo stabilire quali norme generali siano da applicare ex art 10 cost., si dovrebbe chiedere di volta in volta se non vi siano imposizioni in una determinata materia da parte delle forze dominanti nella comunità internazionale.
Si discute se si fonte di norme internazionali l'equità, definita come il comune sentimento del giusto e dell'ingiusto e in particolare ci si chiede se all'equità possa ricorrere il giudice internazionale o interno che sia chiamato a risolvere una questione di diritto internazionale. Si ritiene che a parte l'equità infra o secundum legem, ossia la possibilità di utilizzare l'equità come ausilio meramente interpretativo, e a parte il caso in cui un tribunale arbitrale internazionale
ègiudicato ad autorizzare ex aequo et bono, la risposta debba essere negativa. L'equità svolge unruolo importante solo (o quasi) nell'ordinamento inglese. Ma la prassi internazionale non avalla unatrasposizione sic et sempliciter dell'esperienza inglese nel diritto internazionale. È da escluderequindi l'equità contra legem, diretta a colmare alcune lacune di diritto internazionale.
In conclusione, possiamo inquadrare l'equità nel procedimento di formazione del dirittoconsuetudinario. Infatti, se si esamina la giurisprudenza interna ed internazionale, si nota che ilricorso all'equità si atteggia come una sorta di opinio iuris sive necessitatis, in quanto esso ha luogonel momento in cui una norma si va formando un modificando. Quando una sentenza interna ricorrea considerazioni di equità nel quadro del diritto consuetudinario, essa influisce direttamente sullaformazione della consuetudine.
7. Inesistenza di
Norme generali scritte. Il valore degli accordi di codificazione.
7.1. Esistono norme internazionali generali scritte? Il problema si pone anzitutto con riguardo alle grandi convenzioni di codificazione promosse dalle Nazioni Unite. L'opera di codificazione è nata con le Nazioni Unite e siccome nella comunità internazionale manca un'autorità con poteri legislativi, il trattato è l'unico strumento per la trasformazione del diritto non scritto in diritto scritto.
7.2. L'articolo 13 della carta delle Nazioni Unite prevede che l'assemblea generale intraprenda degli studi e faccia raccomandazioni per incoraggiare lo sviluppo del diritto internazionale e la sua codificazione. A questo fine l'assemblea costituisce come proprio organo sussidiario la commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite. La commissione ha il compito di preparare i testi di codificazione delle norme consuetudinarie relative a determinate materie.
precedendo a studi, raccogliendo dati e predisponendo in tal modo progetti di convenzioni multilaterali internazionali che vengano poi adottati e aperti alla ratifica e all'adesione da parte degli stati stessi. La commissione ha finora predisposto varie convenzioni di codificazione: la convenzione di Vienna, le quattro convenzioni di Ginevra, ecc. Di queste convenzioni, quelle del 1958 (convenzioni di Ginevra) in tema di diritto marittimo hanno formato oggetto di revisione ad opera della terza conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, che nel 1982, ha dato vita alla convenzione di Montego Bay, che è entrata in vigore il 16/11/1994. 7. 3. Gli accordi di codificazione, vincolano gli stati contraenti. Si può dire che essi hanno valore anche per gli stati non contraenti? Bisogna andare molto cauti nel considerare gli accordi di codificazione come corrispondenti al diritto consuetudinario generale e soprattutto nell'estenderli ai paesi non contraenti. Innanzitutto.Non si può riporre una illimitata fiducia nell'opera di codificazione svolta dalla commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite. In secondo luogo gli stati fanno quello che si fa sempre in sede di trattative per la conclusione di accordi internazionali: essi cercano di far prevalere le proprie convinzioni e di assicurarsi la salvaguardia dei proprio interessi. Infine l'articolo 13 della carta delle Nazioni Unite, parla non solo di codificazione ma anche di sviluppo progressivo del diritto internazionale, ciò fa si che si rischia di far introdurre norme incerte sul piano del diritto internazionale. Per queste ragioni gli accordi di codificazione vanno considerati come normali accordi internazionali che vincolano solo le parti contraenti, cioè valgono solo per gli stati che li ratificano.
Un problema che si pone riguardo gli stati contraenti è quello del ricambio delle norme contenute nell'accordo. È possibile infatti, che in
epoca successiva, il diritto consuetudinario subisce i cambiamenti per effetto della mutata pratica degli stati. Può anche verificarsi il fenomeno dell'invecchiamento dell'accordo di codificazione man mano che gli interessi mutano e i rapporti.