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Diritto alla libertà religiosa e trattamento differenziato
La legge regionale prevede un trattamento differenziato per l'ammissione al contributo pubblico in base alla presenza nel territorio delle diverse confessioni religiose. Questo criterio è logico ed legittimo, in quanto mira a garantire che ogni individuo possa esercitare il proprio culto religioso in modo agevole. Tale diversità di trattamento non costituisce una discriminazione, ma semplicemente condiziona e proporziona l'intervento pubblico all'esistenza e all'entità dei bisogni che tale intervento si propone di soddisfare.
Rispetto,
però, alla esigenza sopra enunciata di assicurare edifici aperti al culto pubblico mediante l'assegnazione delle aree necessarie e delle relative agevolazioni, la posizione delle confessioni religiose va presa in considerazione in quanto preordinata alla soddisfazione dei bisogni religiosi dei cittadini, e cioè in funzione di un effettivo godimento del diritto di libertà religiosa, che comprende l'esercizio pubblico del culto professato come esplicitamente sancito dall'art. 19 della Costituzione.
In questa prospettiva tutte le confessioni religiose sono idonee a rappresentare gli interessi religiosi dei loro appartenenti. L'aver stipulato l'intesa prevista dall'art. 8, terzo comma, della Costituzione per regolare in modo speciale i rapporti con lo Stato non può quindi costituire l'elemento di discriminazione nell'applicazione di una disciplina, posta da una legge comune, volta ad agevolare l'esercizio di un diritto di libertà religiosa.
libertà dei cittadini.
Invero, tutte le confessioni religiose sono - secondo il dettato dell'art. 8, primo comma, della Costituzione - egualmente libere davanti alla legge. A questo principio generale si aggiunge, nella disciplina del citato art. 8, l'affermazione del diritto delle confessioni di "organizzarsi secondo i propri statuti in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano" (secondo comma), cui segue la facoltà di aver rapporti con lo Stato, da disciplinare per legge sulla base di intese con le rappresentanze delle confessioni organizzate (terzo comma).
Possono quindi sussistere confessioni religiose che non vogliono ricercare un'intesa con lo Stato, o pur volendola non l'abbiano ottenuta, ed anche confessioni religiose strutturate come semplici comunità di fedeli che non abbiano organizzazioni regolate da speciali statuti. Per tutte, anche quindi per queste ultime - ed è ipotesi certo più rara
Rispetto a quella della sola mancanza d'intesa - vale il principio dell'uguale libertà davanti alla legge. Una volta, dunque, che lo Stato e i poteri pubblici in genere ritengano di intervenire con una disciplina comune, quale è quella urbanistica, per agevolare la realizzazione di edifici e di attrezzature destinati al culto mediante l'attribuzione di risorse finanziarie ricavate dagli oneri di urbanizzazione, l'esclusione da tali benefici di una confessione religiosa in dipendenza dello "status" della medesima, e cioè in relazione alla sussistenza o meno delle condizioni di cui al secondo e terzo comma dell'art. 8 della Costituzione, viene a integrare una violazione del principio affermato nel primo comma del medesimo articolo. Resta fermo che per l'ammissione ai benefici sopra descritti non può bastare che il richiedente si autoqualifichi come confessione religiosa. Nulla quaestio quando sussista un'intesa con lo Stato.
In mancanza di questa, la natura di confessione potrà risultare anche da precedenti riconoscimenti pubblici, dallo statuto che ne esprima chiaramente i caratteri, o comunque dalla comune considerazione.