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La Costituzione del 1947 e la disciplina del fenomeno religioso
La Costituzione del 1947, nel dettare i principi fondamentali della disciplina del fenomeno religioso, ha seguito un duplice criterio: ha garantito la libertà religiosa individuale e dei gruppi informali (articolo 2, 3° comma, 19, ecc. Cost.), ma ha anche garantito la libertà delle confessioni religiose in misura uguale per tutte (art. 8, 1° comma Cost.), riconoscendo il carattere originario e indipendente dell'ordinamento della Chiesa cattolica (art. 7, 1° comma) e delle altre confessioni religiose (art. 8, 2° comma).
Inoltre, la Costituzione nell'art. 20 ha garantito la libertà e il trattamento paritario, nei confronti degli altri enti civili, degli enti ecclesiastici e con fine di religione o di culto, e negli artt. 7 e 8 ha dettato norme riguardanti le fonti del diritto idonee a disciplinare i rapporti fra lo Stato e le confessioni religiose. Anche gli altri articoli sui diritti di libertà possono essere estesi alla tutela del fenomeno religioso.
Fenomeno religioso, in quanto per esempio l'art. 18 Cost. riguardante la libertà di associazione può tranquillamente essere esteso a questa materia, così come pure l'art. 17 Cost. sulla libertà di riunione o l'articolo 21 sulla libertà di manifestazione del pensiero, et... Sicuramente però nell'ambito della disciplina fra Stato e Chiesa e Stato e confessioni religiose in generale, gli articoli più importanti sono il 7 e l'8 Cost. : l'articolo 7 Cost. dispone: "Lo Stato e la Chiesa cattolica sono ciascuno nel proprio ordine indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale." L'articolo 8 invece dispone: "Tutte le confessioni religiose sono eguali e libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di
organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze."
Per quanto riguarda l'approvazione del primo comma dell'articolo 7 non ci sono stati problemi: è stato approvato subito senza difficoltà; per quanto riguarda invece il secondo comma, questo è stato frutto di una lunga e laboriosa elaborazione e di un lungo dibattito. Il tema su cui verte il dibattito fu quello del valore che l'art. 7 Cost. avrebbe attribuito ai Patti, dal momento che era dubbio se tale valore fosse uguale o no a quello delle norme stesse della Costituzione. Sembra poi che il legislatore del tempo non intendesse vincolare internamente i rapporti fra i due ordinamenti ai Patti del 1929, tanto è che la stessa disposizione prevede nella sua seconda parte, il procedimento per la modifica di tali accordi. Comunque il
relatore di maggioranza negò che la norma in questione valesse a costituzionalizzare i Patti del 1929; comunque il problema maggiore era che con o senza costituzionalizzazione del testo, l'articolo in questione serviva a mantenere ancora in vigore i Patti del 1929.
Un problema che si è posto circa i rapporti fra Stato e Chiesa, è a chi spetti la competenza delle competenze, cioè la determinazione del soggetto cui spetti risolvere un eventuale conflitto di competenza insorto fra Stato e Chiesa. Essendo impensabile che la Santa Sede possa sottomettersi al giudizio dello Stato o di terzi, anche se membri dell'ordinamento internazionale, e dovendosi escludere, proprio in forza della norma costituzionale in esame, che possa essere lo Stato a rimettersi al giudizio della Santa Sede, non resta altro che il tentativo di risolvere la controversia di comune intesa. Questa soluzione, fra l'altro, per quanto riguarda la materia del Concordato, è stata
esplicitamente prevista dalla parti. Ovviamente però quando le due parti nondovessero riuscire a raggiungere un accordo, lo Stato potrebbe sempre decidere in modo unilaterale se la materia rientri o no nella propria competenza; cioè, in base all'ordinamento statuale, è allo Stato che appartiene la competenza delle competenze. Per quanto poi riguarda la linea di demarcazione dell'ambito delle rispettive competenze di Stato e Chiesa da parte dell'operatore del diritto, questi è tenuto a compiere tale operazione sulla base dell'ordinamento italiano, considerando tutte le disposizioni positive di esso e ogni altra norma statuale che dovesse risultare utile. Per quanto riguarda le c.d. materie miste", le parti negli Accordi dell'84 hanno stabilito che spettano ad entrambe di comune accordo. Pochi anni dopo l'entrata in vigore della Costituzione, i giuristi che dedicarono la loro attenzione all'art. 7 Cost., hanno sostenuto
che i Patti lateranensi erano stati "costituzionalizzati"; questo voleva significare che ogni norma degli Accordi del 1929 aveva avuto lo stesso valore formale delle norme costituzionali; in realtà questa tesi fu presto accantonata, e a questa se ne sostituì un'altra che diceva che piuttosto che di costituzionalizzazione delle singole norme di origine concordataria, bisognava parlare di costituzionalizzazione del principio concordatario. A questa tesi si contrappose un'altra ancora, che afferma che invece ad essere costituzionalizzato sarebbe stato il "principio pattizio". Tale principio, accolto dall'articolo 7 Cost., oltre alle norme di origine concordataria del 1929, garantirebbe i nuovi accordi solo se riguardassero le stesse materie disciplinate dai Patti lateranensi; invece gli accordi su materie diverse non usufruirebbero di tale garanzia. Un'altra tesi ancora ha stabilito che l'art. 7 Cost.Garantirebbe oltre alle norme di origine pattizia vigenti nel 1947, qualsiasi altro accordo concluso in qualsiasi tempo fra l'Italia e la Santa Sede.
L'articolo 7, nella giurisprudenza della Corte costituzionale, è stato affrontato in un primo momento con molta prudenza cogliendo l'occasione sia per inquadrare i problemi dei rapporti fra la Costituzione e le norme derivanti dal Concordato del 1929, disciplinato dall'articolo 7 Costituzione, sia quelli dei rapporti della prima legge di esecuzione dei trattati delle Comunità europee, disciplinati dell'articolo 11, sia al fine di precisare la propria competenza giurisdizionale, quale giudice di legittimità costituzionale delle leggi (art. 134 Cost.). Come sappiamo la Corte costituzionale giudica della legittimità delle norme di legge ordinaria ma anche della legittimità delle norme poste da leggi di revisione costituzionale e delle altre leggi costituzionali (art. 138, 1°).
comma Cost. ).La Corte costituzionale ha affrontato il problema in questione solo dopo oltre 15 anni dalla sua entrata infunzione: secondo le sue prime pronunce sulla questione, l'articolo 7 Cost. non sancisce solo un genericoprincipio pattizio da valere nella disciplina dei rapporti fra Stato e Chiesa cattolica, ma contiene anche unpreciso riferimento al Concordato in vigore e, in relazione al contenuto di questo, ha prodotto diritto.( sentenza n° 30 del 1971 ). Per precisare quale fosse il diritto prodotto dall'articolo 7, la Corte ha collegatol'ultimo comma di questo articolo con il primo comma dello Stesso articolo, per osservare che, riconoscendoquest'ultima disposizione una posizione reciproca di indipendenza e di sovranità allo Stato e alla Chiesa, ilrichiamo dei Patti non può avere forza di negare i principi supremi dell'ordinamento costituzionale delloStato ( sentenza n° 30 del 1971), e, sotto questo profilo, ha ammesso il
Proprio sindacato di costituzionalità. Se le norme derivate dai Patti lateranensi potevano essere dichiarate incostituzionali solo laddove fossero state in contrasto con i principi supremi dell'ordinamento, ciò stava a significare che l'articolo 7 aveva prodotto diritto nel senso di equiparare tali norme d'origine concordataria alle norme poste da leggi costituzionali. Questo criterio di giudizio è stato confermato più chiaramente da successive pronunce della Corte costituzionale, sia ritenendo ammissibile il giudizio di legittimità costituzionale delle norme di legge ordinaria che si assumeva fossero in contrasto con norme di legge concordataria, sia giudicando su altre questioni di legittimità sollevate a proposito di queste. Il carattere di norme parificate a quelle prodotte dalle leggi costituzionali delle norme derivanti dai Patti lateranensi emerge, più chiaramente, dalla sentenza che ha dichiarato inammissibile il
referendum proposto per l'abrogazione di tali norme proprio perché la legge di esecuzione dei Patti (810 del 1929) era da considerare protetta o garantita dalla Costituzione (sentenza n°16 del 1978) e, come tale, non soggetta a referendum abrogativo, nonché dalla sentenza che, per la prima volta, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di norme poste dalla citata legge 810 del 1929, con riferimento a taluni principi dell'ordinamento costituzionale individuati dalla stessa sentenza (sent. N° 18 del 1982). Quindi riassumendo, le norme di esecuzione dei patti lateranensi possono essere sottoposte ad un controllo di costituzionalità; però bisogna assumere come parametri di giudizio non le norme costituzionali ma solo i principi supremi dell'ordinamento costituzionale. Allo stato attuale della giurisprudenza della Corte costituzionale, l'ordinamento italiano, il diritto positivo vigente, vede la legge di esecuzione dei
Pattilateranensi (810/1929), protetta alla stregua di una legge costituzionale. Il fatto che la legge di esecuzione dei Patti lateranensi sia equiparata a norma costituzionale poi, implica che le norme di essa, possono derogare, quando rispettino i principi supremi, le norme della costituzione formale.
Inoltre la giurisprudenza della Corte è stata oscillante nel determinare quali fossero le norme di legge protette dall'art. 7 Cost. Nelle sue prime sentenze del 1971, (n° 30, 31 e 32), la Corte ha mostrato di ritenere protette non solo le norme di origine concordataria introdotte con la legge 810/1929 che ha eseguito nell'ordinamento interno i Patti del Laterano, ma anche, in modo esplicito, dato che era chiamata a giudicare il merito, quelle poste dalla legge 27 maggio 1929 n° 847. Nella successiva sentenza n° 1/1977, poi, la Corte ebbe a precisare che l'articolo 7 Costituzione, protegge solo la legge 810/1929, che ha dato esecuzione al protocollo del Laterano.
E le cui norme potevano essere dichiarate illegittime solo se in contrasto con i principi supremi dell'ordinamento costituzionale, mentre le leggi di applicazione n. 847 e 848 del 1929 erano comuni leggi ordinarie, le cui norme potevano risultare illegittime per contrasto con norme della Costituzione formale.