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Il problema della "competenza delle competenze"

La Costituzione non pone esplicitamente in materia, e sembrerebbe neppur implicitamente, il principio della "competenza delle competenze"; principio del resto incompatibile col riconoscimento reciproco di indipendenza e sovranità, se rapportato ad ordinamenti - come appunto quello statale e quello canonico - insistenti sul medesimo territorio e sulle stesse persone. La Costituzione pone, invece, il principio pattizio o dell'accordo nei rapporti fra Stato e Chiesa cattolica, il quale risulta costituire lo strumento volto a definire nelle "zone di frontiera" (le res mixtae) la delimitazione fra gli ordini propri dell'una e dell'altra autorità.

La determinazione concreta dell'effettivo ordine proprio della libertas Ecclesiae nell'ordinamento italiano non va ricavato dalla norma costituzionale generale di cui al comma I del 7 {«Lo Stato e la Chiesa

cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani»}, che si limita invero ariconoscere in linea di principio tale libertà: il concreto contenuto della libertas Ecclesiaenell’ordinamento statale non può che esser desunto dal complesso di norme positive esistenti indetto ordinamento. Ma ciò nella misura in cui dette norme non sono di produzione unilateralestatale, bensì di origine pattizia.

In sede di Assemblea costituente il problema fu posto con estrema lucidità nei suoi terminiessenziali da Dossetti, affermando che il principio dell’autonomia originaria dello Stato e dellaChiesa cattolica implica l’altro principio della bilateralità necessaria della disciplina dei rapporti frale due società.

Partendo infatti dalla distinzione fra ordinamento statuale e ordinamento canonico, e dallarilevazione della reciproca irrilevanza della maggior parte dei fenomeni e dei rapporti che formanooggetto diretto e

interesse tra Chiesa e Stato è la forma più adeguata per regolare i rapporti tra i due ordinamenti.interesse per la Chiesa e per lo Stato – e solo essa – non implica confusione tra le due potestà, come non implica limitazione né della sovranità dell'una né della sovranità dell'altra. Il principio della necessaria disciplina bilaterale non rappresenta altro che la recezione costituzionale del "principio concordatario" di cui alle tesi canonistiche classiche, proprie dello Juspublicum ecclesiasticum. Riassumendo, sembra potersi convenire sulle radici canonistiche dei principi di originarietà dell'ordinamento canonico, di libertà della Chiesa e di bilateralità nella definizione dei rapporti fra le due potestà, che sono contenuti nella Costituzione. In particolare per ciò che attiene al fondamentale principio della libertas Ecclesiae risulta che esso è stato recepito dalla Costituzione ad un duplice livello. Al primo e più ampio, in quanto l'ordinamentocanonico è riconosciuto originario e quindi esterno all'ordinamento statuale: a questo livello i concreti contenuti di detta libertas non possono che essere desunti esclusivamente dai principi e dalle norme che costituiscono l'ordinamento canonico. Al secondo e più definito livello, che attiene alle dimensioni di tale libertas non considerata in sé ma in rapporto all'ordinamento italiano, dove i relativi contenuti concreti non possono che essere desunti dalle norme dell'ordinamento statuale, peraltro esclusivamente nella misura in cui sono definite bilateralmente fra Stato e Chiesa. 5. LA RECEZIONE AMMODERNATA DELLE TESI FONDAMENTALI DELLO JUS PUBLICUM ECCLESIASTICUM, CON RIFERIMENTO AL PRINCIPIO DI PARITÀ FORMALE FRA STATO E CHIESA, ALL'AFFERMAZIONE DELLA LAICITÀ DELLO STATO ED ALLA LIBERTÀ RELIGIOSA La veduta recezione di tesi fondamentali dello Jus publicum ecclesiasticum viene moderata ed ammodernata alla luce diAltri apporti. Si pensi innanzitutto all'apporto del magistero pacelliano {Pio XII}, sia per ciò che riguarda, all'interno della Chiesa, l'approfondimento della sua natura di "Corpo Mistico"; sia per ciò che attiene, al suo esterno, a quello che è stato definito il "progetto storico di relazioni fra Chiesa e società civile". Ma si pensi anche all'influsso delle tradizioni di pensiero italiano risalenti a Rosmini da un lato ed a Sturzo dall'altro; e soprattutto all'influenza del pensiero filosofico e teologico francese, in particolar modo di Maritain. Il primo elemento di innovazione sembra doversi cogliere nell'affermazione del principio di parità giuridica fra Stato e Chiesa. Le tesi classiche dello Jus publicum ecclesiasticum, al riguardo, erano caratterizzate dal principio secondo cui licet Ecclesia et Status duae societates sint in suo ordine supremae et indipendentes, excellentior tamen et.< p >ordine praestantior seu superior est Ecclesia; principio dal quale derivava il corollario dell’indiretta subordinazione dello Stato alla Chiesa. Su di esso si fondava, in ultima analisi, la nota teoria controriformistica della potestas indirecta Ecclesiae in temporalibus. È evidente come la formula del 7, comma I Cost. {«Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani»} escluda decisamente, ancorché in modo implicito, ogni forma di subordinazione dello Stato alla Chiesa. Questa tesi dell’assoluta parità delle due potestà, ecclesiastica e civile, rispondeva sul piano politico alle attese del mondo laico, soprattutto in quella parte di esso che risultava attraversata dalla tradizione di pensiero liberale, tutta dominata dai princìpi separatistici e di laicità dello Stato. Sul piano della dogmatica giuridica, poi, tale tesi rispondeva alla costruzione romaniana delle relazioni fra ordinamenti.

primari.Ma a ben guardare essa trovava ascendenze e convergenze in filoni di pensiero più propriamentecattolici, soprattutto di quello francese. Si trattava di apporti di pensiero i quali finivano per forzarela canonistica verso le più evolute concezioni della c.d. potestas directiva, intesa nel senso di unamera influenza morale e non giuridica della Chiesa sulla realtà secolare.Altro elemento innovativo rispetto alle consolidate teorizzazioni dello Jus publicum ecclesiasticumdeve essere sicuramente individuato nel principio della non confessionalità dello Stato, nonesplicitamente formulato nella Carta costituzionale, eppure agevolmente desumibile da uncomplesso di princìpi racchiusi in varie norme del testo, fra cui – ancora – il principio di distinzionedel quale al comma I del 7 Cost.Invero assunto fondamentale della dottrina canonistica classica sullo Stato era che questo – secondol’icastica espressione del Syllabus errorum

Di Pio XI – era tenuto ad assumere la cattolica tamquam unica Status religionem, ceteris quibuscumque cultis exclusis.

Ma anche qui si deve rilevare come l’affermazione della laicità dello Stato, se politicamente favoriva il convergere delle forze laiche sull’approvazione della formula di cui al comma I del 7 Cost. {«Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani»}, essendo tale affermazione patrimonio comune sia alla cultura liberale che a quella socialista, poteva d’altra parte vantare significative ascendenze nell’àmbito della stessa cultura cattolica. Basterebbe pensare al profondo influsso della tradizione del popolarismo sturziano, così radicata in una nota e influente porzione dei costituenti.

Si tratta di un concetto di laicità – ben distinto da quello di laicismo – che appare chiaramente nei suoi contenuti dall’intervento di Giorgio La Pira in sede di

teorico, della possibilità di coesistenza di diverse confessioni religiose all'interno dello stesso Stato. Tuttavia, l'assemblea costituente del 1947 ha sancito il principio di libertà religiosa, riconoscendo il diritto di ogni individuo di professare liberamente la propria fede e di aderire alla comunità religiosa di sua scelta. Inoltre, l'assemblea ha ribadito l'importanza di non creare uno Stato confessionale, cioè uno Stato in cui i diritti civili, politici ed economici derivino da una specifica professione di fede. Al contrario, si è deciso di costruire uno Stato che rispetti l'orientamento religioso intrinseco di ogni individuo e della collettività, conformando tutta la sua struttura giuridica e sociale a questo principio. Queste decisioni hanno rappresentato un importante passo avanti nella tutela della libertà di religione e nella promozione di una società pluralista, in cui diverse confessioni religiose possono coesistere pacificamente e contribuire al progresso e al benessere comune.del diritto positivo, della concreta previsione di un diritto soggettivo pubblico di libertà religiosa negli ordinamenti statuali. La Costituzione, invece, garantisce nella maniera più ampia la libertà religiosa, sia ai singoli sia alle formazioni sociali (artt. 8, comma I {«Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge»}, 19 {«Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume»}), configurandola appunto come diritto soggettivo pubblico e tutelandola congiuntamente al divieto di discriminazione per motivi religiosi (artt. 3, comma I {«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni

personali e sociali»}, 20 {«Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative.

Dettagli
Publisher
A.A. 2009-2010
44 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/11 Diritto canonico e diritto ecclesiastico

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Novadelia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto ecclesiastico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Scienze giuridiche Prof.