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SULLE TRACCE DI AIACE, IL QUALE HA COMPIUTO DURANTE LA
NOTTE QUALCOSA DI INAMISSIBILE CONTRO DI NOI.
È interessante in questa scena quello che nella civiltà della vendetta non
rilevava, e cioè l’intenzione di fare del male a qualcuno, lì rilevava
esclusivamente il malefatto, non l’imputabilità a qualcuno che aveva
internamente voluto fare del male. Nella civiltà della vendetta, si punisce
l’atto per le conseguenze di questo atto e non per il dolo di chi lo ha posto
in essere.
Tutto questo episodio muove dalla certezza che quello che c’è di
davvero riprovevole in un delitto è l’intenzione, non il delitto stesso. Tanto è
vero che anche i delitti che poi non si sono compiuti, rilevano come se
fossero compiuti se l’intenzione era quella di compierli. Cosa era avvenuto?
Era avvenuto che quella mattina era stato scoperto qualcosa di terribile
nel campo acheo, e cioè le mandrie e le greggi erano state in parte
depredate e in parte sterminate da qualcuno. Bestie dilaniate da colpo di
spade e asce. Una sentinella riferisce di aver visto Aiace che si allontanava
a grandi falcate. Dopodiché, Odisseo si reca alla tenda di Aiace per
verificare se effettivamente è stato Aiace, seguendo le norme lasciate da
questo personaggio che la sentinella aveva riconosciuto come Aiace e
giunge alla tenda di Aiace. Ovviamente, Atena sa tutto e informa Odisseo
del fatto che è stato proprio Aiace a sterminare tutte quelle bestie e a
portarne via altre e la ragione di tutto questo è che era stato sconvolto dalla
decisione di negargli le armi di Achille, non di non essere considerato con
tale onore, e la cosa lo aveva indotto nel corso di una notte insonne a
decidere di farsi giustizia. La sua donna Tecmessa aveva cercato invano di
fermarlo, Aiace l’aveva messa a tacere ed era andato a fare quel che
riteneva un atto di giustizia, e cioè sanzionare gli atridi responsabili ai suoi
occhi di questa ingiustizia da lui subita e con loro a uccidere tutti coloro che
riteneva responsabili di questo affronto a cominciare da Odisseo. Era stata
proprio Atena a deviare i suoi propositi omicidi facendolo impazzire,
agendo sulla sua vista in modo tale che egli abbia scambiato le bestie
custodite nei recenti (razzie nei confronti della guerra contro Ilio che
all’alimentazione dell’esercito acheo) a scambiare queste
doveva servire
bestie per gli atridi e in questo modo aveva ritenuto di fare la sua vendetta.
Una vendetta terribile nella descrizione di Atena (gli piomba sopra, spezza
la schiena alle bestie). Atena aveva salvato in questo modo i duci degli
achei e ora, attraverso l’impazzimento di Aiace, che come vedremo ha
portato con sé alcune di queste bestie, in particolare ce n’è una ancora viva
che ha appeso all’interno della sua capanna-tenda. Il montone che è
appeso è proprio Odisseo.
Questo impazzimento turba Odisseo che non accetta l’invito di Atena a
guardare il suo nemico Aiace in questo spettacolo umiliante per lui di pazzo
che si aggira avendo con la realtà un rapporto inverso a quello reale.
connotazione positiva di Odisseo perché all’invito
Qui abbiamo la prima
di Atena a godere di questo spettacolo, ridere dei propri nemici. Odisseo
che è generalmente un personaggio visto in negativo, qui è ritratto nella
massima grandezza che un essere umano può sperare di poterli vendicare.
È l’uomo nel quale l’etica prevale su ogni altro sentimento. Vedremo che la
sua etica è per noi particolarmente moderna, perché potremmo attribuirgli
addirittura dei principi da etica kantiana. Cioè, è giusto solo ciò che può
essere universalizzato. Vedremo come questo è possibile, ma a noi serve
ritroveremo Odisseo soltanto alla fine dell’Aiace e ci riproporrà questa
componente etica del suo rapporto con gli altri e anche con gli altri nemici,
e cioè l’etica dell’umanità. Sono uomo e niente di umano mi è estraneo, mi
riconosco nel destino di ogni uomo. Atena non coglie questo, intuisce
– –
soltanto o crede di intuire che Odisseo sia particolarmente turbato dalla
pazzia di Aiace e che abbia paura di vederlo e di essere visto da Aiace
perché non è in grado di fronteggiare lo spettacolo e anche le terribili
conseguenze che potrebbero derivare dalla vista di Aiace. Nonostante
–
Atena lo rassicuri lei farà annebbiare la vista ad Aiace, così non potrà
–
vedere Odisseo la sua titubanza di Odisseo è anche una forma di paura,
secondo Atena, la quale invece vuole ridere dello spettacolo del nemico
umiliato.
Questa Atena è disumana. Non può apprezzare l’umanità che induce
Odisseo a vedere in un altro uomo un suo simile, e che potrebbe essere al
suo posto. No, Atena vuole ridere spietatamente dello spettacolo del
dolore, della sofferenza, dell’umiliazione di un uomo. Atena è così spietata
da irridere il povero Aiace.
Prosegue un dialogo in cui Aiace è visto da Atena. Sappiamo che ha
appeso quello che per lui è Odisseo, dove prima di farlo morire, lo farà
frustare a morte. Avendo invitato Atena a continuare proteggerlo sempre
dopo quel giorno, rientra nella tenda per portare a termine questa tortura di
Odisseo dal suo punto di vista che dovrà essere portato a morire di
sofferenza.
Questo qualcuno più valoroso diventa lo zimbello delle divinità. Alla
disumanità di Atena si oppone l’umanità di Odisseo, odiato da Aiace.
“Provo compassione per lui anche se è mio nemico, perché è infelice, è
soggiogato dalla sventura e io vedo nel suo destino rispecchiato anche il
mio destino. Noi viventi non siamo che fantasmi o ombre vane.”
Atena: “guarda questo spettacolo e ricordati di non pronunciare una
qualche parola contro gli dèi”.
Per Atena si tratta solo di stabilire la distanza necessaria tra uomini e
dèi. L’inferiorità degli uomini che sono degli zimbelli nelle mani degli dèi. Il
più forte e assennato tra gli uomini oggetto di una punizione divina.
A noi interessano le parole di Odisseo che dice che non solo che uomini
sono ombre vane, ma vede nel suo destino rispecchiato anche il proprio.
Che cosa può significare questo che se non questo io posso godere di una
disgrazia altrui a condizione che sia disposto a godere di una mia
disgrazia? Cioè, io non sono diverso da lui. Se io godo del male nel quale
si trova, anch’io devo pensare che potrei essere al suo posto e avere
questa stessa condizione che fa ridere Atena. Non c’è qualcosa che sia
giusto fare che possa essere fatta diversamente a seconda che sia rivolta
agli altri o a se stessa, questo ci dice Odisseo. Atena non sarà mai al posto
di quest’uomo impazzito. Atena non può essere umana, ma Odisseo sì.
Non posso godere di uno spettacolo che potrebbe vedere domani me come
attore. È giusto ciò che sarebbe giusto nei confronti di tutti, anche di se
stessi. Qui, Atena ribadisce questa cosa di riconoscere la superiorità della
divinità e scompaiono sia Atena che Odisseo.
Mentre il Coro, composto dai marinai di Salamina, soldati (Aiace viene
con le truppe di Salamina in guerra), appare questo Coro e subito dopo il
Coro che lamenta, sa dell’accaduto, “figlio di Telamone, mai ti saresti
avventato contro le leggi di Teucro, ma ?”
Comincia allora la parte più drammatica di questa tragedia. Il
personaggio che incarna questo dramma insieme con Aiace è la donna di
–
Aiace, Tecmessa figlia di un sovrano fenicio alleato dei troiani, ma presa
prigioniera durante la guerra, attualmente schiava, concubina, anche se
trattata da moglie da Aiace. Cosa è successo? (Parla Tecmessa e risponde
al Coro che gli ha chiesto cosa è successo). Ha detto che Aiace si è
coperto di ignomia, è arrivato dal campo acheo trascinandosi dietro le
bestie. Tecmessa, dunque, ci informa che a questo punto Aiace è rinsavito
anche se gli aspetta una nuova pena perché scoprire la propria sventura
causa un più grave dolore. È di nuovo lucido, non vaneggia più, ma è
travolto dall’angoscia, dalla consapevolezza che ha fatto qualcosa di
terribile e che lo segnerà per sempre. Il suo grande nome è nella polvere
perché si è comportato come un essere privo di ogni raziocinio. Nel
raccontare ciò che è avvenuto si dice che aveva tentato di trattenere Aiace
durante la notte, avendo come risposta un verso che in epoca non ancora
di emancipazione della donna è stato spesso adoperato per tacitare le
donne. Il verso è: “Donne, per le donne ornamento è il silenzio.” Rifiuta di
giustificarsi con Tecmessa, dunque. Ritornato alla sua lucidità, non parla,
non mangia, sta muto quasi inebetito, immobile, circondato dalle bestie che
ha ucciso. Ora comincia a parlare, ma è straziato dalla consapevolezza di
ciò che ha fatto. Aiace chiede a Tecmessa di portargli il figlio e di chiamare
Guardate il prode, l’eroe, il
il fratello Teucro. Ridicolizza poi se stesso:
coraggioso, guardate che valore ha dimostrato contro delle bestie
inoffensive.
Una cosa che dobbiamo sottolineare, ma qualcosa che si doveva
sottolineare. C’è stato chi ha voluto fare un’analisi diagnostica del
comportamento di Aiace, questo suo passare dallo stare immobile, muto, a
un’esplosione di urla, di risa, è il tipico esempio della sindrome bipolare. Un
alternarsi di fasi. È importante comunque sottolineare un altro aspetto di
questa mania di persecuzione nella quale Aiace tuttavia non è caduto solo
dopo quello che ha fatto, già prima si può diagnosticare una mania di
persecuzione.
Che fare? Sono odiato dagli dèi, mio odia l’esercito dei greci. Tutta Troia
mi odia.
Questo senso di isolamento, di ostilità diffusa che lo circonda forse è
anche quello che spiega la reazione iniziale di Aiace, il quale si è convinto
che la decisione della commissione che gli ha negato le armi sia stata frutto
di una frode, di una volontà persecutoria. Ed è incapace di accettare che di
fronte a una commissione che giudica se ne può uscire sconfitti. Aiace si è
sottoposto alla decisione di questa commissione, non ha rifiutato il giudizio,
ma quando la commissione ha consegnato le armi a Odisseo, Aiace ha
ritenuto che questo fosse inaccettabile, che sarà quello che Agamennone
poi sottolineerà, è qualcosa di difficilmente compatibile con una qualunque
civiltà organi