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Sciolgimento della comunione
La comunione legale si scioglie per:
- Morte di uno dei coniugi.
- Divorzio.
- Dichiarazione di assenza o morte presunta di uno dei coniugi.
- Annullamento del matrimonio (non ha, tuttavia, effetto retroattivo).
- Separazione legale (non solo di fatto).
- Fallimento di uno dei coniugi.
- Sostituzione del regime patrimoniale con un'altra convenzione ammessa.
- Separazione giudiziale dei beni.
Prima della L. 55/2015, che introdusse il "divorzio breve", le coppie separate dovevano rimanere in comunione per lungo tempo, in quanto la giurisprudenza riteneva che per sciogliere la comunione dovesse passare in giudicato la sentenza di separazione (Cass. sez. un. 15279/2001). Con il divorzio breve la comunione fra i coniugi si scioglie dal momento della sentenza del giudice, in caso di separazione personale, dalla data del processo dinnanzi al presidente omologato, in caso di separazione consensuale. È in ogni caso prevista la comunicazione.
All'ufficiale di stato civile e la conseguente annotazione nei registri, ai fini della conoscibilità di terzi.
La separazione giudiziale dei beni può essere richiesta da uno dei coniugi per:
- Interdizione di uno dei 2.
- Inabilità di uno dei 2.
- Cattiva amministrazione della comunione.
- Disordine che metta in pericolo gli interessi dell'altro o della famiglia.
- Mancata o insufficiente contribuzione di uno dei 2 (in relazione a sostanze e capacità lavorative).
La norma non lo prevede espressamente, ma può essere nominato un amministratore di sostegno. La sentenza di separazione dei beni retroagisce dal giorno in cui è stata richiesta (art.198 c.c.).
Dall'inizio degli effetti, tutti i beni individualmente acquistati rimangono di proprietà esclusiva tranne nel caso dei cespiti acquistati, i quali devono essere egualmente divisi fra coniugi e gli eredi, in base al principio di inalienabilità delle quote della comunione.
(art.210 comma 3 c.c.). Tale divisione può essere richiesta in via giudiziale o convenzionale, deve tener conto delle passività gravanti sulla comunione, se possibile con pari divisione dei singoli beni o con un'eventuale compensazione con conguagli in denaro (art.728 c.c.). Ai sensi dell'art.195 c.c., i coniugi possono prelevare, durante la divisione, beni mobili acquistati dall'altro coniuge o pervenutigli tramite successione, salvo che non sia data prova che siano beni personali regolati dall'art.179 c.c. COMUNIONE CONVENZIONALE Come già detto, il regime patrimoniale automaticamente assegnato è quello della comunione legale, tuttavia un'eventuale altra convenzione non esclude necessariamente la comunione ma può anche disciplinarla diversamente (art.210 c.c.). Non sono consentite modifiche che: - Deroghino al principio dell'eguaglianza delle quote della comunione limitatamente ai beni che la compongono. - Deroghino alprincipio che da pari poteri all'amministrazione della comunione.- Comprendano in essa beni personali regolati dall'art.179 lettere C,D,E.Possono essere compresi tutti i beni ad eccezione di quelli citati e tutti i redditi di pertinenza individuale, altrimenti regolati solo dalla comunione de residuo (art.177 c.c.).
SEPARAZIONE DEI BENI
Prima del 1975 le coppie venivano assoggettate alla separazione dei beni mentre dopo la riforma la situazione è stata capovolta. Tuttavia le coppie possono richiedere con atto pubblico, in qualsiasi momento, o comprendere nell'atto di matrimonio, di venire assoggettati alla separazione. In presenza di questo ciascun coniuge conserva il godimento e l'amministrazione dei beni di cui è titolare, tranne nei casi in cui essi siano debbano essere destinati ad sustinenda onera matrimonii (art.210 c.c.). Dunque, in ogni caso, la convivenza genera una comunione e i beni mobili non registrati devono essere regolati opportunamente.
dovranno essere utilizzati per soddisfare i bisogni della famiglia. Il fondo patrimoniale può essere costituito per tutelare la famiglia da eventuali debiti contratti da uno dei coniugi, in modo che i creditori non possano pignorare i beni del fondo. Tuttavia, è importante sottolineare che il fondo patrimoniale non può essere costituito con l'intento di eludere i creditori o di precludere la divisione dei beni in caso di separazione o divorzio. Inoltre, il fondo patrimoniale non può essere utilizzato per scopi diversi da quelli previsti dalla legge.L'amministrazione è regolata sul modello dell'amministrazione della comunione legale (art.168 c.c.). I beni che lo costituiscono sono destinati alla famiglia e non possono essere vincolati ad altro se non con il consenso di entrambi i coniugi o dal giudice, in presenza di figli minori. In assenza di questi principi e senza nessun controllo giurisdizionale, la Corte di Cassazione ha deliberato che tutti i fondi del genere possano ritenersi simulati e dunque inefficaci. I beni del fondo sono definibili "patrimonio separato" e non possono essere sottoposti ad esecuzione forzata dal creditore che non conosceva la loro natura e destinazione familiare. Il fondo è impugnabile da terzi solo se annotato a margine della convenzione (art.162 c.c.). A tutela dei creditori dei coniugi, la Cass.18065/2004 ha deliberato che l'assegnazione di beni del fondo volontariamente sottoposti al credito, determini un'azione revocatoria e disciplina il fondo sul modello degli
atti a titolo gratuito. Tuttavia, decorso un limite temporale, il fondo non potrà più essere impugnabile dai creditori. La giurisprudenza moderna tende a considerare il fondo come atto a titolo gratuito, non costituendo dovere giuridico, tuttavia, ai fini della revoca, se la costituzione del fondo viene identificato come atto moralmente necessario e la volontà del costituente a perseguire solo questo fine, l'atto non sarà considerabile come gratuito.
IMPRESA FAMILIARE
Con l'art.230-bis la riforma ha istituito l'impresa familiare. Essa tutela i familiari che lavorano nell'impresa del familiare e trova applicazione quando non l'apporto lavorativo del familiare non abbia altra disciplina. Prima della riforma l'attività lavorativa nell'impresa di un familiare era considerata affectionis causa e non produceva alcun diritto economico per il familiare. La riforma tutela il coniuge, il parente entro il terzo grado e
l'affine entro il secondo. Essi sono suscettibili di diritto al mantenimento e di partecipazione agli utili e agli incrementi. Questi ultimi parametri sono di difficile calcolo, in quanto è difficile stabilire la proporzione della partecipazione alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, disposta dal legislatore, per questo spesso, viene determinata convenzionalmente. L'impresa familiare, pur non ricorrendo in presenza di una forma societaria dell'impresa, riconosce al collaboratore, anche se presente tale forma, almeno il mantenimento. Nel lavoro prestato all'impresa non rientra l'attività domestica, rientrante fra i doveri di collaborazione, ma quella che offra un contributo esterno tale da permettere agli altri familiari di dedicarsi integralmente all'impresa.
Le decisioni che riguardano l'impresa familiare devono essere adottate a maggioranza dei familiari che partecipano. Tale coinvolgimento ha mole consensuale, infatti,
L'imprenditore è il solo legittimato a prendere decisioni e gli atti presi contrariamente al consenso familiare rimangono validi nei confronti dei terzi, conseguendo solamente responsabilità interne all'impresa. Il diritto alla partecipazione è intrasferibile se non a un altro familiare con il consenso di tutti i partecipanti ed è liquidabile in denaro in caso di cessazione della prestazione di lavoro. I partecipanti hanno diritto di prelazione sull'azienda, quando essa sia loro alienata senza il consenso, nei confronti dell'acquirente, potendo così riscattare la loro quota che deve essere divisa in parti uguali in presenza di più partecipanti (art.732 c.c.).
DOTE
Anticamente ritenuto un atto solenne con il quale la moglie apportava al marito dei beni per sostenere il peso del matrimonio (art.177 c.c. testo originario), la dote era molto legata all'onere del marito di mantenere la moglie (art.145 c.c. testo originario). Con
La riforma del 1975 ha fatto sì che l'istituto della dote perdesse ogni significato e si è costituito un divieto di costituzione di dote (art.166-bis c.c.). Le doti costituite prima della riforma continuano, tuttavia, ad essere disciplinate dal vecchio art.177 fino allo scioglimento del vincolo matrimoniale.
Con la riforma del diritto di famiglia del 1975 la giurisprudenza ha inteso equiparare la posizione giuridica dei coniugi prescrivendo ad entrambi di contribuire nei confronti della famiglia e, introducendo la comunione legale, cercando di creare una solidarietà economica. La riforma ha lasciato spazio alle famiglie di accordarsi per un regime di separazione dei beni. Per le unioni civili sono previsti dalla L.76/2016 regimi patrimoniali sul modello codicistico precedenti. Anche l'UE ha deciso di esprimersi in merito, con il Regolamento 2016/1103, al fine di armonizzare le reciproche decisioni prese dai coniugi in merito al regime.
sono calcolabili a priori dai coniugi in base all'art.143 c.c. e le eccedenze devono essere conservate a titolo esclusivo dai coniugi. Il matrimonio comporta l'obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia in base alle proprie sostanze e alla capacità lavorativa, sia professionale che domestica (art.143 c.c.). Questo obbligo si estende anche al mantenimento dei figli. Il legislatore ha riconosciuto l'attività casalinga come una forma di contribuzione, nonostante non produca reddito. Le sostanze comprendono non solo i redditi percepiti, ma anche i beni patrimoniali di ciascun coniuge, che devono essere messi a disposizione della famiglia. Gli articoli 146 e 316-bis regolano il contributo economico dei coniugi alle esigenze familiari, senza pregiudicare l'entità complessiva dei mezzi che devono essere messi a disposizione. Sono state formulate due tesi in merito: la prima sostiene che i bisogni possono essere calcolati a priori dai coniugi secondo l'art.143 c.c. e le eccedenze devono essere conservate esclusivamente dai coniugi; la seconda tesi non prevede la conservazione esclusiva delle eccedenze.La famiglia è composta da tutti coloro che i redditi e i beni della coppia possono soddisfare e devono essere messi tutti a sostegno della famiglia, concordando tra i coniugi.