Diritto dell'Unione Europea - concetti principali
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Cinquantaquattresima Lezione
di adottare le misure indispensabili per assicurare un esercizio efficace ed appropriato
di tale competenza, senza la necessità di ricorrere all’art. 308 del Trattato CE.
Occorre precisare che sia l’art. 308 del Trattato CE che il principio dei poteri
impliciti possono operare soltanto nell’ambito comunitario e non trovano
applicazione nel ambito del secondo e terzo pilastro dato che la cooperazione
intergovernativa, che caratterizza l’attività di questi due pilastri, non si presta ad
estensioni che non risultino da espliciti accordi tra Stati membri.
Per quanto concerne il principio di sussidiarietà è bene sottolineare nuovamente
la sua importanza nel campo dell’attribuzione delle competenze.
Il principio di sussidiarietà è espressamente previsto nel secondo comma
dell’art.5 del Trattato di Maastricht.
Dalla lettura della norma si rileva come l’introduzione del principio di
sussidiarietà sia il frutto di una strumentalizzazione del principio stesso da parte di
alcuni Stati, i quali preoccupati di mantenere le proprie prerogative ritenevano che
fosse necessario limitare i poteri della Comunità europea stabilendo che essa deve
intervenire soltanto quando possa conseguire determinati obiettivi meglio di quanto
non possano fare gli Stati singolarmente.
Il principio di sussidiarietà si applica soltanto nei casi in cui la Comunità esercita
competenze in via concorrente con gli Stati membri.
Il secondo comma dell’art. 5 del Trattato di Maastricht stabilisce che quando la
Comunità interviene, in base al principio di sussidiarietà, in quei settori che non sono
di sua esclusiva competenza essa deve rispettare il c.d. principio di proporzionalità,
ossia non deve andare oltre quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi
fissati.
Principio del mutuo riconoscimento, specificazioni sul sistema doganale,
Unione economica e monetaria.
Ai sensi dell’art. 2 del Trattato U.e. l’Unione europea realizza i suoi obiettivi
attraverso l’attuazione di una politica estera e di sicurezza comune, l’istituzione di
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una cittadinanza dell’Unione e l’attuazione di una cooperazione di polizia e
giudiziaria in materia penale. Nell’ambito dell’Unione europea la Comunità europea
realizza i suoi obiettivi, sempre ai sensi dell’art. 2 ma del Trattato CE, attraverso
l’instaurazione di un mercato comune, l’instaurazione di una unione economica e
monetaria e l’adozione di politiche ed azioni comuni.
Il compito che sin dall’inizio si è posto la Comunità europea è quello di instaurare
un mercato comune tra i Paesi membri, i cui elementi costitutivi sono l’unione
doganale e la libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali al suo interno.
Per unione doganale si intende l’abolizione dei dazi doganali tra gli Stati membri
e quindi la creazione di una tariffa doganale esterna comune.
L’impostazione neo liberista del Trattato comunitario è stata completata dalle
regole di libera concorrenza, ossia da quelle regole dirette ad assicurare che la
circolazione dei prodotti e dei servizi all’interno del mercato comune si svolga in
libera concorrenza e quindi non falsate da intese restrittive della concorrenza stessa,
né da abusi di posizione dominante sul mercato, oppure da concentrazioni tra imprese
che siano di eventuale ostacolo alla concorrenza.
Secondo parte della dottrina è necessario distinguere il mercato interno dal
mercato comune. La nozione di mercato interno, infatti, sarebbe più ampia di quella
di mercato comune in quanto comprenderebbe accanto alla completa realizzazione
delle libertà fondamentali di circolazione di beni, persone, servizi e capitali, anche
l’attuazione di nuove politiche comuni e la coesione economica.
A tal fine il mercato interno, a differenza del mercato comune riconosce il c.d.
principio del mutuo riconoscimento.
Il principio di mutuo riconoscimento stabilisce che le norme nazionali possono
essere riconosciute equivalenti a quelle di un altro Paese membro grazie ad una
procedura di approvazione da parte della Commissione.
Per quanto concerne l’unione economica e monetaria fin ora è stata realizzata
soltanto da 12 Stati membri. L’unione economica e monetaria realizza un caso di
cooperazione rafforzata sia pur di natura particolare in quanto si attua in una materia
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di competenza esclusiva della Comunità al contrario di quanto invece il Trattato
prevede per la cooperazione rafforzata in generale.
Bisogna aggiungere al riguardo alcuni chiarimenti su i c.d. criteri di convergenza
i quali riguardano: il tasso di inflazione che non deve superare di oltre 1,5 % la media
dei tassi dei tre Stati membri che abbiano ottenuto i risultati migliori; il disavanzo del
bilancio pubblico che non deve essere eccessivo. Tale criterio si intende rispettato
quando si sia in presenza di un disavanzo inferiore al 3% del PIL e di un debito
pubblico inferiore al 60 % del PIL; ancora il tasso di interesse a lungo termine che
non deve superare di oltre il 2% quello dei tre Stati membri con i migliori risultati in
termini di inflazione; il rispetto dei limiti di fluttuazione previsti dal meccanismo di
cambio del sistema monetario europeo per almeno 2 anni.
Questi obblighi degli Stati che hanno adottato la moneta unica sono rafforzati dal
c.d. patto di stabilità. Il patto di stabilità sancisce l’impegno degli Stati membri a
rispettare l’obiettivo di un saldo di bilancio a medio termine prossimo al pareggio e si
invita il Consiglio ad essere rigoroso nell’applicazione delle sanzioni nel caso di
mancato ottemperanza all’impegno assunto.
La politica monetaria è strettamente collegata ad una politica economica, quindi
ad una politica di bilancio comprensiva di una politica fiscale e di una spesa pubblica
di cui la moneta è l’espressione. Va altresì precisato che tanto più è sana la politica
economica tanto più forte è la moneta.
Con l’unione economica e monetaria si è sottratta la moneta alla competenza
degli Stati e la moneta è gestita a livello comunitario. D’altro canto, però, non si è
ancora realizzata una politica economica comune, ma si sono previsti solo degli
accordi tra gli Stati come il patto di stabilità di cui si è appena accennato. Il fatto che
la politica economica sia regolata mediante accordi tra gli Stati determina una scarsa
flessibilità della politica economica ad adeguarsi alle realtà economiche che di volta
in volta si concretizzano.
Il sistema della politica economica unica, inoltre, stenta a decollare in quanto le
sanzioni previste per il mancato rispetto degli impegni presi dagli Stati non sono di
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facile applicazione e perché tali sanzioni, che sono per lo più di natura economica,
finirebbero per peggiorare la condizione di difficoltà economica dello Stato che non
ha rispettato gli impegni.
Politica Estera e di Sicurezza Comune
La politica estera e di sicurezza comune, come recita il primo paragrafo dell’art.
11 TUE, è oggi stabilita ed attuata dall’Unione Europea. La PESC rimane pur sempre
un pilastro estraneo ai metodi comunitari ma, mentre in passato si presentava quale
cooperazione essenzialmente intergovernativa, oggi è il ruolo dell’Unione che viene
sottolineato. A termini del par. 2 il ruolo e l’impegno degli Stati è quello di sostenere
“attivamente e senza riserve la politica estera e di sicurezza comune dell’Unione in
uno spirito di libertà e solidarietà reciproca”. Si tratta della così detta “clausola di
solidarietà politica” che impegna gli Stati membri ad agire congiuntamente per
rafforzare la reciproca solidarietà politica, ma al tempo stesso di astenersi dal
compiere azioni contrarie agli interessi dell’Unione.
Esaminando gli obiettivi di politica estera e di sicurezza comune quali figurano
all’art. 11, è agevole riscontrare come si tratti di obiettivi consueti estesi alla
sicurezza in tutte le sue forme, questi comprendono: la salvaguardia dei valori
comuni, degli interessi fondamentali, dell’indipendenza e dell’integrità dell’Unione,
il rafforzamento della sicurezza dell’Unione e dei suoi Stati membri, il mantenimento
della pace ed il rafforzamento della sicurezza internazionale conformemente allo
Statuto delle N.U., la promozione della cooperazione internazionale, lo sviluppo e la
democrazia dello Stato di diritto, nonché il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali.
Gli Organi della PESC Cinquantaquattresima Lezione
Gli organi della PESC sono:
1. il Consiglio europeo, che definisce i principi e gli orientamenti generali,
comprese le questioni che hanno implicazioni in materia di difesa, e adotta le
strategie comuni;
2. il Consiglio dell’Unione, che, sulla base degli orientamenti forniti dal
Consiglio europeo, prende le decisioni necessarie per la definizione e la messa in
opera della PESC; al Consiglio spetta, inoltre, di dare attuazione alle strategie comuni
attraverso l’adozione di azioni comuni e posizioni comuni. Il Consiglio svolge anche
una funzione di rappresentanza esterna dell’Unione, in particolare attraverso l’attività
svolta dalla Presidenza e dagli organismi previsti dal Trattato.
Anche se non possono essere qualificati come organi della PESC un ruolo, seppur
marginale, è attribuito anche alla Commissione e al Parlamento
Un ruolo di particolare importanza nella gestione e nella attuazione del 2° pilastro
è attribuito agli Stati membri dell’Unione europea, sottolineato dall’obbligo di
collaborazione, in uno spirito di lealtà e solidarietà, previsto dall’art. 11 TUE. La
cooperazione tra gli Stati membri in materia di PESC avviene soprattutto in sede di
Consiglio dell’Unione (art. 3 del TUE).
Attualmente il compito di rappresentare l’Unione nelle sedi istituzionali è
attribuito alla Presidenza del Consiglio dell’Unione europea. Essa è responsabile
delle decisioni adottate nel settore della PESC e, a tale titolo, esprime la posizione
dell’Unione nelle organizzazioni internazionali; esercita inoltre compiti di
rappresentanza dell’Unione, anche durante eventuali negoziati internazionali. Nello
svolgimento della sua attività la Presidenza è assistita dal Comitato politico e di
sicurezza (CPS).
Il Consiglio, inoltre, può nominare Rappresentanti speciali dell’Unione, si tratta
di inviati ai quali è attribuito il compito di occuparsi di problemi politici specifici.
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Infine il Trattato di Amsterdam ha previsto, allo scopo di dare maggiore visibilità
e continuità all’azione dell’Unione nel settore della politica estera, la nomina
dell’Alto rappresentante per la PESC, ruolo ricoperto dal Segretario generale dei
Consiglio.
L’Alto rappresentante è assistito da una Cellula di programmazione politica e di
tempestivo allarme.
Gli strumenti della PESC
Gli strumenti attraverso cui l’Unione persegue gli obiettivi per la politica estera e
di sicurezza comune sono previsti dall’art. 12 all’art. 16 e dall’art. 24 del Trattato
sull’Unione europea
Gli strumenti sono: i principi e gli orientamenti generali; le strategie comuni; le
azioni comuni; le posizioni comuni; la cooperazione sistematica e gli accordi
internazionali
1. I principi e gli orientamenti generali sono indicazioni di natura politica e
riguardano la politica estera e la sicurezza comune.
2. Le strategie comuni contengono indicazioni dettagliate nelle quali sono
precisati gli obiettivi, la durata e i mezzi che l’Unione e gli Stati membri devono
mettere a disposizione. Spetta al Consiglio europeo dare concreta attuazione alle
strategie comuni attraverso l’adozione di azioni comuni e posizioni comuni
3. Nei settori nei quali esistono importanti interessi in comune e nei quali si
ritiene necessario un intervento operativo dell’Unione, sono previste le azioni comuni
da realizzare progressivamente; in tal caso il Consiglio, sulla base degli orientamenti
generali espressi dal Consiglio europeo, stabilisce le questioni che possono formare
oggetto di azioni comuni, ne definisce gli obiettivi, la portata ed i mezzi di cui
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l’Unione deve disporre, le condizioni di attuazione e, se necessario, la durata. Una
volta adottate le azioni comuni rimangono in vigore fin tanto che il Consiglio, nel
caso di un mutamento delle circostanze che abbiano una netta ripercussione sulle
stesse azioni, non adotti le misure necessarie. Caratteristica delle azioni comuni è la
loro obbligatorietà per gli Stati membri. Si tratta di un preciso impegno politico,
espresso in maniera estremamente chiara, anche se non sottoposto a controllo
giurisdizionale, giacché, la Corte di giustizia non è competente per giudicare le
disposizioni sulla politica estera.
Di fronte alla delicatezza della materia si imponeva per gli Stati una clausola di
sicurezza e infatti il Trattato prevede che, in caso di necessità imperiose connesse
all’evoluzione della situazione ed in mancanza di una decisione del Consiglio, gli
Stati membri possano adottare le misure urgenti che ritengono necessarie, sia pure in
vista degli obiettivi generali dell’azione comune (art. 14, par. 6). Lo Stato che
dovesse assumere tali misure in deroga, ne informa immediatamente il Consiglio che
decide del seguito dell’azione.
4. Il Consiglio adotta anche le posizioni comuni che definiscono l’approccio
dell’Unione su particolari problemi o su determinate aree geografiche. Gli Stati
membri provvedono affinché le loro politiche nazionali siano conformi alle posizioni
comuni.
5. La cooperazione sistematica consolida un antica prassi, in base alla quale gli
Stati membri si consultavano e si informavano reciprocamente su questioni di
interesse generale, al fine di portare avanti azioni, se non comuni, almeno
convergenti.
6. Gli accordi internazionali sono stati aggiunti dal Trattato di Amsterdam. L’art.
24 TUE fornisce ora una precisa base giuridica per la stipulazione di tali accordi.
L’art 24 stabilisce che: “quando, ai fini, dell’attuazione del presente titolo, occorre
concludere un accordo con uno o più Stati od organizzazioni internazionali, il
Consiglio, deliberando all’unanimità, può autorizzare la Presidenza, assistita se del
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caso dalla Commissione, ad avviare i negoziati a tal fine necessari. Tali accordi sono
conclusi dal Consiglio, su raccomandazione della Presidenza”.
Il processo decisionale della PESC
Il principio generale in materia di adozione degli atti relativi alla PESC è
quello stabilito dall’articolo 23 TUE, che impone l’unanimità in seno al Consiglio
dell’Unione.
Con il Trattato di Amsterdam è stato introdotto un elemento di flessibilità
nell’ambito della rigida regola dell’unanimità, attraverso la c.d. astensione
costruttiva. In pratica uno Stato dissenziente può, con dichiarazione formale, decidere
di astenersi invece di votare contro, al fine di consentire comunque l’adozione
dell’atto. Tale astensione comporta che lo Stato dissenziente non è obbligato ad
applicare la decisione e si impegna a non avviare azioni che possono ostacolare il
perseguimento della decisione dell’Unione.
Tuttavia se i membri del Consiglio che motivano la loro astensione rappresentano
più di 1/3 dei voti, secondo la ponderazione prevista dal Trattato CE, la decisione non
è adottata.
Il Trattato sull’Unione europea prevede delle deroghe al principio di unanimità
delle votazione. È, infatti, prevista la maggioranza qualificata nel caso in cui:
1. si adottino azioni comuni, posizioni comuni o altre decisioni di esecuzione di
una strategia comune stabilita dal Consiglio europeo;
2. si adottino decisioni relative all’attuazione di un’azione comune o di una
posizione comune;
3. si proceda alla nomina di un rappresentante speciale dell’Unione europea.
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Se un membro del Consiglio dichiara che, per specifici e importanti motivi di
politica nazionale, intende opporsi all’adozione di una decisione che richiede la
maggioranza qualificata, non si procede alla votazione. Il Consiglio deliberando a
maggioranza qualificata può chiedere che della questione sia investito il Consiglio
europeo, affinché si pronunci all’unanimità.
GAI, cooperazioni rafforzate.
Il terzo pilastro dell’Unione riguardava, nell’originaria formulazione del Trattato
di Maastricht, la cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni. Dopo il
Trattato di Amsterdam rientrano nell’ambito del terzo pilastro la cooperazione di
polizia e giudiziaria in materia penale.
Come affermato dall’art. 29 TUE “l’obiettivo che l’Unione si prefigge è fornire ai
cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia,
sviluppando un’azione in comune nel settore della cooperazione di polizia e
giudiziaria in materia penale e prevedendo e reprimendo il razzismo e la xenofobia”
Al fine di garantire tale obiettivo è stata rafforzata la prevenzione e la repressione
delle attività illecite commesse da associazioni criminali, organizzate e non,
individuate nel secondo comma dell’art. 29 TUE (terrorismo, tratta degli esseri
umani, reati contro i minori, traffico di droga e armi, corruzione e frode). Per
raggiungere tale obiettivo l’Unione deve procedere:
1. ad una maggiore cooperazione tra le forze di polizia;
2. ad una più stretta cooperazione tra le autorità giudiziarie in materia penale
volta a rendere più semplice il riconoscimento delle sentenze adottate nei diversi Stati
membri, a facilitare il processo di estradizione, ad assicurare la compatibilità tra le
legislazioni dei diversi Stati e a prevenire i possibili conflitti giurisdizionali;
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3. ad un riavvicinamento delle normative nazionali in materia penale volto, in
particolare, alla progressiva adozione di misure per la fissazione di norme minime
relative agli elementi costitutivi dei reati e delle sanzioni, per quanto concerne la
criminalità organizzata, il terrorismo e il traffico di stupefacenti.
Gli organismi di cooperazione
a) Europol
L’ufficio europeo di polizia è stato istituito a l’Aja, a seguito della Convenzione
firmata a Cannes il 25 luglio 1995, successivamente modificata con atto del Consiglio
del 30 novembre 2000 e completata dal Protocollo adottato con atto del Consiglio
del 28 novembre 2002.
L’Europol si occupa della prevenzione e della lotta contro il traffico illecito di
stupefacenti, di materiale nucleare, di organizzazioni clandestine di immigrazione, di
traffico di autoveicoli rubati, di tratta di esseri umani, del terrorismo e della
contraffazione di monete.
Organi dell’Europol sono: il Consiglio di amministrazione; il Direttore, nominato
dal Consiglio; il Controllore finanziario ed il Comitato finanziario, composto da un
rappresentante per ogni Stato membro. Ciascun Stato membro invia almeno un
Ufficiale di collegamento per agevolare ed intensificare la cooperazione tra l’Ufficio
europeo e le autorità nazionali di polizia.
b) Eurojust Cinquantaquattresima Lezione
Istituito nel 2002, l’Eurojust è un organismo di cooperazione giudiziaria, dotato
di personalità giuridica, composto attualmente da 25 membri nazionali scelti tra
coloro che, nei rispettivi ordinamenti, esercitano le funzioni di Pubblico Ministero.
Gli scopi che persegue si possono riassumere in: stimolare e migliorare il
coordinamento delle indagini e delle azioni penali tra le autorità degli Stati membri
competenti in materia; migliorare la cooperazione giudiziaria tra le autorità nazionali,
in particolare agevolando la prestazione dell’assistenza giudiziaria e l’esecuzione
delle domande di estradizione; fornire assistenza alle autorità competenti degli Stati
membri per migliorare l’efficacia delle indagine e delle azioni penali.
Con riferimento ai rapporti tra Eurojust e le autorità nazionali, l’organismo
europeo può avanzare richiesta alle competenti autorità nazionali di valutare se
avviare un’indagine a carattere penale e procedere alla necessaria attività di
coordinamento, può istituire una squadra investigativa comune, e comunicare le
informazioni necessarie a garantirne lo svolgimento delle funzioni.
L’Eurojust è ripreso nel testo di Costituzione europea all’art. 273, con il compito
di sostenere e potenziare il coordinamento e la cooperazione fra le autorità nazionali
responsabili dell’azione penale contro la criminalità che interessa più Stati e che
richiede un’azione penale comune.
Sempre allo scopo di combattere la criminalità organizzata che presenta un rilievo
transnazionale, ovvero anche per i reati che ledono gli interessi dell’Unione, è
prevista l’istituzione di una Procura europea competente ad individuare, perseguire e
trarre in giudizio gli autori dei reati gravi con ripercussioni in più Stati membri. Per
tali reati sarà la Procura europea ad esercitare l’azione penale dinanzi agli organi
giurisdizionali competenti dei singoli Stati membri. La norma riprende la proposta
già avanzata nel libro verde del 2000, di istituire un Pubblico Ministero europeo.
Con la decisione quadro del Consiglio del 13 giugno 2002 l’Unione si è attribuita
la possibilità di istituire squadre investigative comuni. In base alla decisione le
autorità competenti di uno o più Stati possono costituire, di comune accordo, una
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squadra investigativa comune per un periodo limitato e con uno scopo prefissato,
prorogabile previo accordo di tutte le parti, al fine di svolgere indagini in uno degli
Stati membri che aderiscono all’accordo.
I presupposti per la costituzione di una squadra sono rappresentati dall’esigenza
di indagini condotte in uno Stato membro relative a reati che implicano inchieste
complesse, di notevole portata e aventi un legame con altri Stati membri.
La decisione quadro del Consiglio del 13 giugno 2002 relativa al mandato di
arresto europeo ed alle procedure di consegna tra Stati membri, a partire dal 1°
gennaio 2004 ha sostituito le norme di origine pattizia, attualmente applicabili
all’estradizione nei rapporti tra Stati membri dell’U.E., con una procedura
semplificata di consegna di una persona accusata di un reato o condannata per averlo
commesso.
La procedura prevista elimina di fatti il principio della doppia incriminazione, in
materia di estradizione. È previsto, infatti, che una persona destinataria di un
provvedimento restrittivo della libertà personale, per uno dei 32 reati stabiliti
nell’elenco contenuto nella decisione quadro, indipendentemente dalla doppia
incriminazione del fatto, dovrà essere consegnata entro 60 giorni, in casi particolari
90 oppure 15, se sussiste il consenso dell’accusato, allo Stato che ha emesso il
provvedimento.
A differenza dell’estradizione tradizionale, ogni valutazione in ordine al
provvedimento di consegna è demandata esclusivamente alle competenze
dell’Autorità giudiziaria, non essendo previsto alcun ruolo per l’autorità politica,
quale ad esempio, per il nostro ordinamento, il Ministro della Giustizia.
Gli atti della CGAI Cinquantaquattresima Lezione
In relazione a quanto osservato per la PESC, appare modificata anche la tipologia
degli atti.
1. Le posizioni comuni. Sono atti con cui il Consiglio definisce l’orientamento
dell’Unione in merito a una determinata questione. Spariscono, invece, le azioni
comuni del precedente art. 31.
2. Le decisioni quadro. Richiamano assai da vicino le direttive in quanto, come
queste ultime, vincolano gli Stati membri per gli obiettivi da raggiungere, pur
lasciandoli liberi nella scelta dei mezzi. In ogni caso non possono avere effetti diretti;
3. Le decisioni. Pur essendo obbligatorie, non hanno effetti diretti, in armonia con
il settore di cooperazione intergovernativa nel cui contesto sono previste. Possono
essere integrate da ulteriori misure necessarie per la loro applicazione.
4. Le convenzioni. Strumento classico della cooperazione intergovernativa, in
genere adottato in sede di Consiglio dell’Unione europea e successivamente
sottoposto a ratifica da parte di tutti gli Stati membri. Utilizzate già nel Trattato di
Maastricht, avevano evidenziato due problemi di fondo, connessi all’unanimità
necessaria per la loro adozione e alla successiva ratifica da parte di tutti gli Stati
membri; situazioni che avevano finito per paralizzare qualsiasi iniziativa che aveva
utilizzato lo strumento convenzionale.
Per superare tali difficoltà, l’art. 34, par. 2, lett. D) prevede che le convenzioni
possono entrare in vigore al momento in cui sono state adottate da almeno la metà
degli Stati membri. Nella prospettiva di accelerare i tempi, la norma prevede che il
Consiglio, nell’invitare gli Stati ad adottare le convenzioni, conformemente alle
rispettive regole costituzionali, indica agli Stati il termine entro il quale debbono
essere avviate le procedure interne. Il Consiglio, deliberando a maggioranza
qualificata, può altresì adottare misure necessarie per un agevole applicazione delle
convenzioni. Secondo tale procedura le convenzioni possono costituire una forma
indiretta di cooperazione rafforzata fra un gruppo di Stati.
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La cooperazione rafforzata
Il Trattato di Amsterdam nel 1999 sanciva, per la prima volta, ufficialmente il
diritto per gli Stati che intendono perseguire determinate politiche comuni a
procedere anche in assenza di una volontà comune di tutti i membri.
Successivamente il Trattato di Nizza ha riorganizzato le disposizioni che
disciplinano la materia nell’ambito dei vari pilastri dell’Unione europea,
distinguendo:
1. una disciplina generale, applicabile a tutte le cooperazioni avviate nei diversi
settori (artt. 43-45 TUE);
2. una disciplina applicabile alla cooperazioni rafforzate del 1° pilastro (artt. 11 e
11A TCE);
3. una disciplina applicabile alla cooperazioni rafforzate del 2° pilastro (artt. 27-
27E TUE);
4. una disciplina applicabile alla cooperazioni rafforzate del 3° pilastro (art. 40-
40B TCE)
1. la disciplina generale
L’attuale . 43 T dispone che “gli Stati membri che intendono instaurare tra
ART UE
loro una cooperazione rafforzata possono far ricorso alle istituzioni, alle procedure e
ai meccanismi previsti dal presente trattato e dal trattato che istituisce la Comunità
europea”. Cinquantaquattresima Lezione
Per l’attuazione delle cooperazione rafforzata è necessario che la cooperazione
rafforzata:
a) sia diretta a promuovere la realizzazione degli obiettivi dell’Unione e della
Comunità
b) rispetti i suddetti trattati, nonché il quadro istituzionale dell’Unione;
c) rispetti l’acquis comunitario
d) rimanga nei limiti delle competenze dell’Unione o della Comunità e non
riguardi i settori che rientrano nell’ambito della competenza esclusiva della
Comunità;
e) non rechi pregiudizio al mercato interno né alla coesione economica e sociale;
f) non costituisca ostacolo né discriminazione per gli scambi tra gli Stati membri;
g) riunisca almeno 8 Stati membri;
h) rispetti le competenze, i diritti e gli obblighi degli Stati membri che non vi
partecipino;
i) lasci impregiudicate le disposizioni del protocollo sull’integrazione
dell’acquis di Schengen nell’ambito dell’Unione europea;
j) sia aperta a tutti gli Stati membri.
Risulta sussistere sempre e comunque la possibilità per un gruppo di Stati membri
di instaurare nuovi vincoli tra loro, anche al di fuori dell’Unione, senza quindi
utilizzare le istituzioni e produrre norme comunitarie, come è già avvenuto con gli
accordi di Schengen in materia di circolazione delle persone.
Bisogna inoltre precisare che l’art. 43A TUE stabilisce che le cooperazioni
rafforzate possono essere avviate soltanto in ultima istanza, ossia solo nell’ipotesi in
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cui il Consiglio dell’Unione europea abbia stabilito che gli obiettivi della
cooperazione rafforzata non possono essere raggiunti applicando le pertinenti
disposizioni dei trattati
2. la cooperazione rafforzata nel 1° pilastro
La procedura di autorizzazione e quella di adesione degli Stati membri è regolata
dagli artt. 11 e 11A TCE.
La richiesta di autorizzazione deve essere presentata dagli Stati membri
interessati alla Commissione che elabora una proposta da inoltrare al Consiglio.
L’autorizzazione è concessa dal Consiglio, che delibera a maggioranza
qualificata, previa consultazione del Parlamento europeo. Se la cooperazione
rafforzata riguarda un settore che rientra nell’ambito della procedura di codecisione è
richiesto il parere conforme del Parlamento. Se un membro del Consiglio non è
d’accordo a concedere l’autorizzazione ad avviare la cooperazione rafforzata egli può
chiedere che la questione sia sottoposta al Consiglio europeo, ma la decisione finale
spetta sempre al Consiglio.
Per quanto concerne la procedura di adesione lo Stato membro, che desidera
partecipare a una cooperazione rafforzata, deve notificare tale intenzione al Consiglio
e alla Commissione; quest’ultima entro il termine di 3 mesi fornisce un parere al
Consiglio e entro quattro mesi decide sulla richiesta.
3. la cooperazione rafforzata nel 2° pilastro Cinquantaquattresima Lezione
La cooperazione rafforzata nell’ambito del 2° pilastro è stata introdotta con il
Trattato di Nizza.
La procedura di attuazione è regolata dagli artt. 27 A - 27E TUE.
Secondo il TUE la cooperazione rafforzata nell’ambito della PESC deve in ogni
caso rispettare i criteri stabiliti in via generale, inoltre la cooperazione rafforzata può
riguardare soltanto l’attuazione di un’azione comune o di una posizione comune,
mentre sono esplicitamente escluse tutte le questioni aventi implicazioni militari o nel
settore della difesa.
La richiesta di autorizzazione deve essere presentata al Consiglio che delibera,
previo parere della Commissione. Il Consiglio delibera normalmente a maggioranza
qualificata, ma uno Stato può bloccare tale votazione se vi sono importanti motivi di
politica nazionale (diritto di veto).
All’alto rappresentante della PESC è attribuito il compito di tenere informati il
Parlamento e gli Stati membri sugli sviluppi delle cooperazioni avviate in questo
settore.
La richiesta di adesione di nuovi Stati è decisa dal Consiglio che, previo parere
della Commissione, adotta una decisione entro 4 mesi. Il Consiglio può anche
stabilire un termine superiore precisandone però i motivi.
4. la cooperazione rafforzata nel 3° pilastro
Le modifiche introdotte nel Trattato di Nizza hanno semplificato la procedura per
avviare la cooperazione rafforzata nel 3° pilastro di fatto uniformandosi quasi
completamente alla disciplina applicata al 1° pilastro. Cinquantaquattresima Lezione
L’Autorizzazione: la nuova procedura prevede la richiesta alla Commissione e la
successiva proposta di questa al Consiglio. A differenza del pilastro comunitario,
però, gli Stati che intendono procedere alla cooperazione rafforzata possono,
comunque, agire di propria iniziativa richiedendo direttamente l’autorizzazione al
Consiglio. L’autorizzazione è concessa dal Consiglio, che delibera a maggioranza
qualificata previa consultazione del Parlamento europeo. La questione può essere
sottoposta al Consiglio europeo da un membro del Consiglio dissenziente, tuttavia in
tale sede le deliberazioni sono adottate a maggioranza qualificata onde evitare che il
potere di veto determini l’obbligo di una votazione unanime del Consiglio europeo.
La procedura di adesione, nella fase iniziale, è regolata come quella del primo
pilastro. Nelle fasi successive, invece, la procedura è portata avanti dal Consiglio e
non più dalla Commissione. Spetta alla prima decidere, entro 4 mesi dalla data di
ricezione della notifica, sulla richiesta. La decisione si intende adottata a meno che il
Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, non stabilisca la sospensione
fissando un termine per il riesame e motivandone i motivi.
Cenni sul Trattato costituzionale, metodo convenzionale, considerazioni
sull’uso del termine “costituzione”.
Il dibattito sul futuro dell’Europa si pose all’attenzione dei giuristi e dei politici
già nell’anno 2000 quando il Ministro degli esteri tedesco Fischer, in occasione di un
suo discorso tenuto nel 50° anniversario della Dichiarazione Schumann, aveva
indicato come auspicabile tema centrale della successiva conferenza intergovernativa,
che si sarebbe successivamente tenuta pochi mesi dopo, l’elaborazione di un nuovo
Trattato europeo che avrebbe dovuto condurre a una radicale ristrutturazione
dell’Unione in senso più propriamente federale. Cinquantaquattresima Lezione
Il vero e proprio progetto di Costituzione europea ha, però, la sua origine formale
durante il Consiglio europeo di Nizza (2000). La Conferenza intergovernativa aveva
lo scopo di modificare i trattati istitutivi della Comunità europea e dell’Unione
europea, nonché di modificare il funzionamento delle istituzioni dell’Unione europea
per consentirle di accogliere nuovi Stati membri.
Tuttavia il negoziato conclusosi a Nizza non aveva consentito di accogliere
numerose questioni relative alla futura architettura costituzionale dell’Unione
europea. Per questo motivo, su impulso dei Governi italiano e tedesco, la conferenza
dei rappresentanti dei governi degli Stati membri, riunita a Bruxelles il 14 febbraio
2001, nella Dichiarazione n. 23 sul futuro dell’Unione, in seguito allegata al Trattato
di Nizza, ha posto in evidenza i problemi sui quali non era stato possibile raggiungere
un consenso unanime sollecitando una riforma delle istituzioni europee in vista
dell’allargamento dell’Unione a dieci nuovi paesi.
La Dichiarazione n. 23 relativa al futuro dell’Unione contiene un invito rivolto
alle istituzioni europee e agli Stati membri ad un maggiore impegno affinché sul
dibattito riguardo il futuro europeo siano coinvolte tutte le parti interessate, in
particolare gli ambienti politici ed economici, le istituzioni e non ultimi i c.d.
rappresentanti della società civile. Si intendeva far partecipare ai lavori relativi alle
modifiche del Trattato non soltanto i componenti dei Governi degli Stati membri, ma
anche altre componenti che fossero più vicine ai cittadini europei.
Il Consiglio europeo di Laeken (2001) istituì una Convenzione composta da
rappresentanti del Parlamento europeo, della Commissione, dei Governi e dei
Parlamenti degli Stati membri – alla cui guida vennero chiamati Valéry Giscard
d’Estaing (presidente), Giuliano Amato e Jean-Luc Dehaene (vicepresidenti) –
affidandole il compito di elaborare il progetto della Costituzione europea. Nel giugno
del 2003 la Convenzione presentò formalmente al Consiglio europeo di Salonicco la
bozza di Costituzione. Cinquantaquattresima Lezione
Va detto che la novità del metodo convenzionale consiste nel fatto che alla
Convenzione hanno partecipato non soltanto i rappresentanti dei Governi degli Stati
membri, ma anche i rappresentanti di Parlamenti europei e nazionali, della
Commissione e dei Paesi allora candidati ad aderire all’Unione. Il testo adottato in
sede di Convenzione non è stato vincolante per la Conferenza intergovernativa,
tuttavia la decisione di formulare il progetto della Costituzione europea attraverso
l’uso del metodo Convenzionale è un forte segnale di una volontà diretta ad
abbandonare il metodo intergovernativo per passare ad un metodo maggiormente
rappresentativo e perciò più democratico.
A ottobre il testo venne trasmesso all’esame della Conferenza intergovernativa
(CIG), al quale presero pienamente parte anche i rappresentanti dei dieci paesi la cui
entrata nell’UE era imminente (maggio 2004). La CIG concluse i suoi lavori, con un
faticoso compromesso sul testo, nel giugno 2004. Il testo definitivo della Costituzione
europea venne firmato a Roma.
Il Trattato non è mai entrato in vigore perché al fine della sua attuazione è
necessario che questo sia ratificato da tutti gli Stati membri.
Per quanto riguarda la natura giuridica del Trattato costituzionale bisogna dire
che esso è un accordo internazionale e non una Costituzione nel senso classico del
termine, ossia di una carta fondamentale di uno Stato unitario e sovrano.
La natura di accordo internazionale risulta evidente anche sulla base della
previsione al suo interno di procedure e meccanismi tipici del diritto internazionale.
Tali disposizioni di diritto internazionale risultano essere difficilmente compatibili
con una vera costituzione. Al riguardo si pensi ad es. alle disposizioni che
stabiliscono i suoi limiti di applicazione, alla necessaria ratifica da parte di tutti gli
Stati membri, al procedimento di revisione che richiede l’unanimità dei consensi, alla
facoltà di recesso.. Cinquantaquattresima Lezione
Inoltre, se si parte dal concetto che la Costituzione è espressione della sovranità
popolare, ci si accorge che attualmente non si può parlare di una Costituzione
europea perché il Trattato non è l’espressione di una comunità politica, economica e
sociale unitaria.
Il Trattato costituzionale, sovranazionalità e difetto di personalità
giuridica
Il Trattato costituzionale è composto da 448 articoli e già questo solo elemento
contrasta con la definizione di Costituzione che per sua natura è lo strumento
legislativo che contiene le norme fondamentali, e solo queste, che caratterizzano un
sistema giuridico. Al testo sono allegati, inoltre ben 40 protocolli e 50 Dichiarazioni.
Il Trattato costituzionale sul piano sostanziale elimina i tre pilastri introdotti con
il Trattato di Maastricht e da questo punto di vista si evince la finalità del testo di
unificare i vari trattati istitutivi in un unico testo semplificando la loro corretta
applicazione. Tuttavia l’impianto del Trattato costituzionale rimane caratterizzato
dalla persistenza dei due metodi decisionali, cioè il metodo comunitario proprio del
primo pilastro e il metodo intergovernativo applicabile alle materie appartenenti al
secondo e terzo pilastro.
Sicuramente è un merito che almeno formalmente il Trattato costitutivo elimini il
dualismo tra Comunità e Unione europea in quanto la nuova Unione europea subentra
ad entrambe le due organizzazioni internazionali ed ad essa viene formalmente
riconosciuta la personalità giuridica. L’art. 7 del Trattato costituzionale, infatti,
stabilisce che l’Unione ha personalità giuridica.
Rispetto al riconoscimento della personalità giuridica bisogna fare una
considerazione in senso critico sull’’uso di tale termine, infatti, l’Unione europea non
può essere dotata di una personalità giuridica di diritto internazionale.
Prima di addentrarci nella critica riguardo al riconoscimento della personalità
giuridica dell’Unione europea occorre stabilire sul piano giuridico che cosa sia
Cinquantaquattresima Lezione
l’Unione europea e se quindi esista un’autonoma capacità decisionale dell’Unione
europea. In altri termini occorre chiarire il problema relativo all’esercizio della
sovranità politica e alla possibilità che tale esercizio di sovranità sia ravvisabile o
meno in capo all’Unione europea.
La possibilità dell’Unione europea di esercitare una sovranità politica è
inesistente in quanto gli unici detentori della sovranità politica sono esclusivamente
gli Stati membri, mentre l’Unione europea è solamente titolare di competenze,
benché in alcuni casi in via esclusiva, che ad essa vengono delegate o attribuite dai
Governi e dai Parlamenti degli Stati membri.
Conseguentemente appare evidente che il termine sovranazionale riferito
all’Unione europea è una formula che in realtà non ha alcun significato, infatti,
l’Unione europea da un punto di vista giuridico è un’organizzazione internazionale
del tutto priva di personalità giuridica. È un’organizzazione che indubbiamente
presenta dei caratteri di originalità che la distinguono dalle altre organizzazioni
internazionali, ma non per questo le si può riconoscere una personalità giuridica.
La questione relativa al preteso esercizio di sovranità da parte dell’Unione
europea potrebbe essere risolto sulla base dell’art. 11 del Trattato costituzionale che
sulla base del principio di attribuzione stabilisce che l’Unione non è titolare di
competenze proprie, ma proprio in ragione della sua natura di organizzazione
internazionale è titolare soltanto di competenze di derivazione statale che le vengono
attribuite dagli Stati membri.
L’art. 11 del Trattato costituzionale stabilisce, infatti, che la delimitazione delle
competenze dell’Unione si fonda sul principio di attribuzione e l’esercizio delle
competenze dell’Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità.
Ancora, al comma 2, l’art. 11 stabilisce che in virtù del principio di attribuzione
l’Unione agisce nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri
nella costituzione per realizzare gli obiettivi da questa stabilita, qualsiasi competenza
non attribuita all’Unione dalla Costituzione appartiene agli Stati membri.
Cinquantaquattresima Lezione
Appare del tutto evidente che l’Unione non può agire al di là di quanto contenuto
nelle norme dei trattati che la autorizzano ad agire nei limiti delle competenze che le
sono attribuite dagli Stati.
In questa attribuzione di competenze non si può ravvisare alcuna rinuncia della
sovranità da parte degli Stati, ma una semplice delega ad esercitare talune
competenze.
Anche nell’art.1 del Trattato costituzionale è possibile ravvisare un doppio
riferimento all’attribuzione da parte degli Stati di competenza all’Unione nei limiti di
quanto ad essa conferito. L’art.1, infatti, prevede espressamente che: “la presente
Costituzione istituisce l’Unione europea alla quale gli Stati membri attribuiscono
competenze per conseguire i loro obiettivi comuni”.
Non si possono trarre ragioni a sostegno di un presunto esercizio di sovranità da
parte dell’Unione europea dal fatto che il diritto comunitario prevale sul diritto
interno degli Stati in quanto tale prevalenza dipende pur sempre da un atto politico
degli Stati che hanno riconosciuto al diritto comunitario la prevalenza sul diritto
interno.
Il Trattato costituzionale, Pesc, ministro degli esteri e terzo pilastro
Il Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, pur abolendo la struttura a
pilastri, conferma la politica estera e di sicurezza comune fra le competenze condivise
dell’Unione e degli Stati membri.
Il Consiglio europeo svolge la funzione di identificare gli interessi strategici
dell’Unione e fissa gli obiettivi della politica estera e di sicurezza comune; il
Consiglio dei Ministri elaboratale politica ed infine il Ministro degli esteri
dell’Unione, unitamente agli Stati membri, attuano la politica estera e di sicurezza
comune utilizzando allo scopo gli strumenti nazionali e quelli dell’Unione.
Cinquantaquattresima Lezione
L’azione dell’Unione è estesa a tutti i settori della politica estera e di sicurezza
comune e gli Stati sono tenuti a sostenere attivamente senza riserve la politica estera
e di sicurezza comune, in uno spirito di lealtà e di solidarietà reciproca.
Le misure attualmente previste, azioni comuni e posizioni comuni, sono
confermate, quale contenuto, tuttavia, di decisioni europee.
La novità di maggior rilievo è costituita dalla istituzione del M
INISTRO DEGLI ESTERI
’U che sostituirà l’attuale “signor PESC” ed è nominato dal Consiglio
DELL NIONE
europeo a maggioranza qualificata con l’accordo del Presidente della Commissione.
Il Ministro degli esteri conduce la politica estera e di sicurezza comune
dell’Unione, contribuisce alla elaborazione della medesima attraverso le sue proposte,
ed esegue le misure decise dal Consiglio dei ministri in tale settore, è incaricato delle
relazione esterne dell’Unione e del coordinamento di ogni altro aspetto rilevante in
materia. Per lo svolgimento delle sue funzioni il Ministro degli esteri si avvale di un
servizio europeo per le relazioni esterne. Esso consulta il Parlamento europeo sui
principali aspetti e sulle scelte fondamentali. Il Parlamento europeo, a sua volta, può
svolgere interrogazioni e formulare raccomandazioni al Consiglio dei ministri ed al
Ministro degli esteri.
Il Consiglio dei ministri, infine, su iniziativa del Ministro degli esteri, può
nominare un rappresentante speciale al quale conferire un mandato per una questione
politica specifica.
Parlamento europeo, organizzazione e poteri.
Ciascuno dei trattati istitutivi delle Comunità europee (CEE CECA e Euratom)
prevedeva l’istituzione di un’Assemblea composta dai rappresentanti degli Stati
membri.
Con la firma dei Trattati di Roma (1957) si istituì un Assemblea unica per le tre
Comunità, che riuniva le tre diverse assemblee ed esercitava le sue funzioni in base
Cinquantaquattresima Lezione
alle competenze riconosciute da ciascuno dei tre trattati. L’attuale denominazione di
Parlamento europeo fu legittimata formalmente dall’art. 3 dell’Atto Unico.
Prima del 1979 i membri del Parlamento europeo erano designati dai singoli
Parlamenti nazionali tra coloro che erano già parlamentari nazionali.
A partire dal giugno 1979 i membri del Parlamento europeo sono eletti in ogni
Stato membro tramite suffragio universale diretto, per un periodo di cinque anni.
Nel Settembre 2002 sono state introdotte 2 innovazioni di fondamentale
importanza:
1. Obbligo di adozione del sistema elettorale proporzionale
2. Incompatibilità tra la carica di parlamentare europeo con quella di parlamentare
nazionale
Il Parlamento europeo ha un proprio regolamento interno. Il testo è formato da
204 articoli e 16 allegati che disciplinano tutti gli aspetti dell’attività dell’istituzione.
Le deliberazioni del Parlamento europeo sono adottate a maggioranza assoluta dei
suffragi espressi (art.198); le astensioni quindi non entrano nel computo dei voti. Per
la validità delle sedute è sufficiente la presenza di un terzo dei membri del
Parlamento, ma la validità di una votazione non può essere contestata se il quorum
non è raggiunto e se non è stata richiesta, prima che il voto venisse espresso, la
verifica del numero legale.
Il Parlamento europeo non è mai stato titolare esclusivo dei poteri deliberativi,
al contrario la sua partecipazione al procedimento di formazione della legge è stata
ampliata solo nel corso del tempo cercando di ridurre il c.d. problema del deficit
democratico
Nel 1958 (istituzione delle Comunità) il Parlamento disponeva di meri poteri
consultivi. Essi si traducevano nell’emanazione di un parere, che oltre a non essere
Cinquantaquattresima Lezione
obbligatorio, non era mai vincolante per le altre istituzioni che raramente vi si
conformavano.
Nel 1987 (Atto Unico europeo) si è cominciato a provvedere al problema del c.d.
deficit democratico introducendo la procedura di cooperazione e la procedura di
parere conforme. La prima procedura prevede una sorta di consultazione tra la
Commissione, il Consiglio e il Parlamento; la seconda procedura preclude al
Consiglio la possibilità di deliberare se questo non si adegua al parere del
Parlamento.
Con il Trattato di Maastricht e con i successivi accordi di Nizza e Amsterdam il
Parlamento ha assunto un ruolo maggiore nel procedimento di formazione degli atti
comunitari, senza, però, attribuirgli la titolarità esclusiva del potere normativo. È stata
prevista la procedura di codecisione e la c.d. iniziativa dell’iniziativa. In particolare
mediante l’ultima procedura il Parlamento può, a maggioranza dei suoi membri,
chiedere alla Commissione di esercitare il proprio potere di proposta su questioni di
interesse comunitario che richiedono l’adozione di specifici atti. Tale potere del
Parlamento è reso effettivo dalla mozione di censura che questo può emanare nei
confronti della Commissione e dall’influenza che esso esercita sull’elezione della
stessa.
La procedura di codecisione, invece, pone il Parlamento europeo e il Consiglio
sullo stesso piano. La procedura di codecisione si divide in due fasi.
Nella 1° fase la Commissione presenta una proposta al Consiglio e al Parlamento,
il quale formula una sua proposta nella quale può prevedere o meno degli
emendamenti. Se il Consiglio accetta gli emendamenti, oppure non vi sono
emendamenti, può adottare l’atto. In caso contrario il Consiglio delibera a
maggioranza qualificata una posizione comune che sarà sottoposta in seconda lettura
al Parlamento.
Nella 2° fase il Parlamento europeo, entro 3 mesi, può:
Cinquantaquattresima Lezione
• approvare la posizione comune o non pronunciarsi
• emendare l’atto, a maggioranza assoluta
• respingere l’atto, a maggioranza assoluta dei suoi membri.
Nel primo caso il Consiglio adotterà l’atto in conformità della posizione comune.
Nel secondo caso il Consiglio, entro il termine di 3 mesi, può approvare gli
emendamenti ed adottare il testo emendato, oppure avviare una procedura di
conciliazione.
Nel terzo caso si procede alla procedura di conciliazione.
La procedura di conciliazione consiste nella istituzione di un Comitato composto dai
membri del Consiglio e da rappresentanti del Parlamento. Il comitato ha il compito di
predisporre un testo di conciliazione che può essere adottato dal Consiglio, a
maggioranza qualificata, e dal Parlamento, a maggioranza assoluta nel termine di 6
settimane.
Se non si raggiunge questo compromessi il testo viene abbandonato.
Il Parlamento europeo dispone per lo più di strumenti di controllo politico i quali
di fatto non hanno efficacia giuridica vincolante e perciò spesso rischiano di essere
disattesi.
Il Parlamento svolge funzioni di controllo sugli atti delle istituzioni, sul
comportamento delle istituzioni, sul bilancio e sull’apparato amministrativo
comunitario.
In particolare il Parlamento esercita il potere di controllo su gli atti del Consiglio
(in particolare sul bilancio il quale, anche se formalmente redatto dalla Commissione,
viene approvato sostanzialmente dal Consiglio); sugli atti della Commissione (in
particolare sulla relazione generale che tale organo è tenuto a presentare annualmente
al Parlamento). Cinquantaquattresima Lezione
Per quanto concerne il controllo sul comportamento delle istituzioni, il
Parlamento dispone, nei confronti della Commissione, di un effettivo strumento di
controllo giuridico, ossia la mozione di censura. Tale meccanismo riecheggia la
mozione di sfiducia al governo adottata negli ordinamenti nazionali, in quanto, una
volta approvata dai parlamentari, obbliga i membri della Commissione a dimettersi
collettivamente dalle proprie funzioni.
Il Parlamento ha inoltre il potere di approvare la designazione del Presidente della
Commissione.
Un ulteriore strumento del controllo politico è dato al Parlamento dalle
interrogazioni che ciascun parlamentare può porre alla Commissione.
Per quanto concerne il Consiglio nessuno dei trattati prevede uno strumento di
controllo giuridico del Parlamento europeo sul tale istituzione. Ciò si spiega in
quanto, essendo il Consiglio espressione degli esecutivi degli Stati membri, un
controllo sugli stessi comporterebbe un controllo sui governi degli Stati membri,
spettante invece, conformemente alle rispettive carte costituzionali, ai parlamenti
nazionali.
Infine il Parlamento svolge un potere di controllo sul bilancio comunitario ed
attraverso l’approvazione di questo, esercita una delle sue attribuzioni più incisive.
Deficit democratico, il Parlamento europeo nel Trattato costituzionale.
La questione del deficit democratico è dovuta alla mancanza di poteri legislativi
e decisionali in capo al Parlamento europeo. Soltanto un evoluzione in senso federale
potrebbe condurre ad una risoluzione del problema del deficit democratico attraverso
un trasferimento di competenze da parte degli Stati ad un ente terzo rispetto agli Stati
i quali in conseguenza del trasferimento diventerebbero Stati federati del tutto privi
della possibilità di riassumere esercizio delle competenze trasferite. Occorrerebbe un
trasferimento di competenze diverso da quello attuale, ossia un trasferimento che non
Cinquantaquattresima Lezione
sia considerato una semplice delega di competenza che si limita esclusivamente a
comprimere la sovranità degli Stati limitatamente alle competenze delegate o
attribuite secondo il principio di attribuzione alla Comunità europea.
Il deficit della rappresentanza dei cittadini europei è causa di enorme difficoltà
per il prosieguo del processo di integrazione europea. In particolare basta ricordare la
mancata ratifica del Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa in seguito
all’esito negativo del referendum francese ed olandese che ha determinato un rinvio
sine die delle ratifiche in molti altri Stati dell’Unione.
La soluzione del deficit democratico va individuata in un differente assetto
istituzionale che conferisca ad organi democraticamente eletti il potere decisionale.
Nello specifico è necessario un trasferimento del potere legislativo al Parlamento
europeo.
Attualmente il potere decisionale è gestito dai governi degli Stati membri che lo
esercitano per il tramite del Consiglio dei Ministri quindi da un organo che non è
eletto dai cittadini dell’Unione.
Un trasferimento vero e proprio del potere legislativo al Parlamento andrebbe a
colmare il deficit democratico che attualmente caratterizza la Comunità europea. Tale
soluzione andrebbe però a incidere notevolmente sulla sovranità degli Stati membri i
quali si sono dimostrati restii alla realizzazione di tale trasferimento del potere
decisionale in capo al Parlamento europeo.
Il Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa costituisce una presa
d’atto della necessità di dotare l’Unione europea di una maggior legittimità
democratica, tuttavia il sostanziale immobilismo istituzionale dimostra che le
conclusioni a cui si è giunti in sede di conferenza intergovernativa sono ben lontane
dalle aspettative prospettate dal consiglio europeo di Laeken.
Cinquantaquattresima Lezione
Gli ininfluenti cambiamenti che sono stati apportati dal Trattato costituzionale
al Parlamento europeo rendono questo organo del tutto inadeguato a contribuire
autonomamente al processo di democratizzazione dell’Unione europea.
Il senso della riforma della “governance” che si voleva attuare attraverso il
Trattato costituzionale era quello di avvicinare i cittadini europei alle istituzioni
dell’Unione europea, al fine di consentire una ricollocazione politica e giuridica
dell’Unione sia a livello internazione che a livello interno, ossia rispetto a ciascuno
degli Stati membri. Va ribadito che gli interessi dell’Unione non sono antitetici agli
interessi nazionali dei singoli Stati membri, ma quest’ultimi devono prendere atto che
per il raggiungimento degli scopi comuni è necessario che rinuncino ai propri
egoistici interessi nazionali.
Il Trattato costituzionale non è riuscito a dare il suo contributo in questa
direzione, si è limitato ad una mera riorganizzazione delle diverse disposizioni
contenute nei precedenti Trattati istitutivi senza però apportare quelle sostanziali
modifiche che risultano essere indispensabili per un evoluzione del processo di
integrazione dell’Unione europea.
Il Trattato costituzionale ha certamente aumentato i poteri del Parlamento
europeo, ma ciò nonostante rimane limitata la partecipazione all’esercizio delle
competenze di tale istituzione che, essendo eletta direttamente dai cittadini europei,
meglio rappresenta la volontà popolare.
Il Trattato costituzionale all’art. 20, a differenza di quanto disposto dai Trattati
vigenti, dispone espressamente che il Parlamento europeo esercita, congiuntamente
al Consiglio, la funzione legislativa e la funzione di bilancio; esercita funzioni di
controllo politico e consultive alle condizioni stabilite dalla costituzione, elegge il
Presidente della Commissione. Sicuramente l’art. 20 prevede per il Parlamento una
funzione maggiore rispetto a quella stabilita dall’ art. 214 del Trattato CE in base al
quale il Parlamento approva il Presidente della Commissione. Tuttavia la portata
innovativa della previsione normativa è puramente di carattere formale, infatti se da
Cinquantaquattresima Lezione
una parte è vero che il Parlamento europeo è chiamato a eleggere il Presidente della
Commissione è altresì vero che il Parlamento viene ad esprimere un voto su un
candidato che comunque è designato dal Consiglio europeo. Quindi in ogni caso la
discrezionalità della scelta del candidato spetta solo ed unicamente al Consiglio.
Si conferma ancora una volta il maggior ruolo del Consiglio, organo che
rappresenta i governi degli Stati membri, rispetto al Parlamento che è l’organo che
rappresenta i cittadini europei in quanto eletto da questi ultimi.
Mediatore europeo, poteri del Parlamento in materia di accordi
internazionali, possibilità del Parlamento di attivare procedure
giurisdizionali.
Al fine di garantire l’effettiva e corretta applicazione del diritto comunitario nei
confronti dei suoi destinatari al Parlamento è data il potere di controllo sul complesso
dell’apparato amministrativo comunitario. Esso ha, infatti, il potere di costituire una
commissione di inchiesta, di nominare un mediatore e di ricevere petizioni su materie
di interesse comunitario.
Nello specifico il Parlamento europeo, su richiesta di ¼ dei suoi membri, può
costituire una commissione temporanea di inchiesta incaricata di esaminare le
denuncie di infrazione o di cattiva amministrazione nell’applicazione del diritto
comunitario. Scopo della commissione di inchiesta è la redazione di una relazione sui
fatti oggetto di indagine. I poteri della commissione non inficiano le competenze
della Commissione comunitaria e della Corte di giustizia.
Ancora Il Parlamento europeo, così come gli Stati membri, il Consiglio, la
Commissione, le Persone fisiche e giuridiche, è legittimato a proporre ricorso alla
Corte affinché questa eserciti il controllo di legittimità sugli atti adottati dalle
Istituzioni europee Cinquantaquattresima Lezione
Il Mediatore, invece, è l’organo abilitato a ricevere le denuncie, di qualsiasi
cittadino europeo, riguardanti i casi di cattiva amministrazione da parte degli organi
comunitari. Il Mediatore europeo viene scelto tra personalità che siano cittadini
dell’unione in possesso dei diritti civili e politici e viene nominato dopo ogni elezione
del Parlamento. Il suo mandato dura 5 anni ed è rinnovabile. Tale organo è
indipendente tanto è vero che il Mediatore può essere rimosso dalla sua carica solo
dalla Corte di Giustizia, su richiesta del Parlamento, nel caso in cui non risponda più
ai requisiti di indipendenza prescritti.
Di propria iniziativa o sulla base di una denuncia presentatagli direttamente o
tramite un membro del parlamento, il Mediatore compie le indagini necessarie e,
qualora constati un caso di cattiva amministrazione, egli ne investe l’autorità
interessata che, entro 3 mesi, dovrà pronunciarsi con un parere.
Infine, il Parlamento svolge la funzione di ricevere le richieste di petizione
esperite da coloro che sono cittadini europei. Una volta ricevuta la petizione, il
Parlamento la trasmette ad una Commissione specializzata (commissione per le
petizioni) che ha il compito di valutare la pertinenza della richiesta. In caso positivo
si passa all’esame del merito, dopodiché la Commissione decide le misure da
adottare.
La Commissione europea, cenni sulle competenze, composizione e
nomina. La Commissione nel Trattato costituzionale
La Commissione è un organo esecutivo, in quanto il suo compito principale è
quello di far applicare i trattati e gli atti comunitari; è un organo indipendente, in
quanto i suoi membri sono nominati a titolo individuale e non rappresentano gli stati
da cui provengono; è organo collegiale.
La Commissione è nominata attraverso una procedura che si articola in varie
fasi. Nella prima fase il Consiglio, riunito a livello di capi di Stato o di governo e
Cinquantaquattresima Lezione
deliberando a maggioranza qualificata, designa la persona che intende nominare
Presidente della commissione e tale designazione deve poi essere approvata dal
Parlamento europeo
Successivamente il Consiglio, sempre deliberando a maggioranza qualificata e
di comune accordo con il Presidente designato, adotta l’elenco delle altre persone che
intende nominare membri della Commissione. Tale elenco deve essere approvato dal
Parlamento e successivamente a ciò avrà luogo la nomina della Commissione nel suo
complesso da parte del Consiglio.
A decorrere dal 1 novembre 2004 la Commissione è formata da un cittadino di
ciascuno Stato membro. Dal 1 gennaio 2006 con l’entrata nell’Unione della Bulgaria
e della Romania, il numero dei membri della Commissione è divenuto inferiore al
numero degli Stati membri e di conseguenza i commissari vengono scelti in base a
una rotazione paritaria secondo le modalità stabilite dal Consiglio, deliberando
all’unanimità. Il mandato dei commissari dura 5 anni ed è rinnovabile.
I membri della Commissione sono nominati a titolo individuale e devono
esercitare le loro funzioni in piena indipendenza. Pertanto la Commissione è un
formato da individui e non da rappresentanti degli Stati, ed agisce nell’esclusivo
interesse della Comunità. Tale indipendenza della Commissione è confermata dal
fatto che i suoi membri non possono essere rimossi dai governi nazionali, né dal
Consiglio. Un tale provvedimento può essere preso solo dal Parlamento attraverso la
mozione di censura. Tale atto deve essere approvato dalla maggioranza (2/3 dei voti
espressi) dei parlamentari. In conseguenza dell’adozione dl provvedimento, i membri
della Commissione saranno tenuti a dimettersi. I membri della Commissione
nominati in sostituzione dei dimissionari non durano in carica per 5 anni ma fino al
termine del mandato dei commissari dimissionari.
Riguardo a quanto stabilito dal Trattato costituzionale, che ancora una volta non
apporta modifiche sostanziali bisogna dire che la Commissione continua ad avere il
monopolio dell’iniziativa legislativa. Cinquantaquattresima Lezione
Garantisce inoltre la rappresentanza esterna dell’Unione fatta eccezione per la
PESC.
Il presidente della Commissione europea è eletto dal Parlamento il quale decide
sul candidato propostogli dal Consiglio.
La Commissione Europea: poteri e competenze
Per quanto concerne i poteri della Commissione bisogna dire che principalmente
essa non dispone di un vero e proprio potere decisionale autonomo, se non nelle
poche ipotesi in cui il trattato glielo attribuisce direttamente.
La Commissione dispone, invece, del potere di proposta che le spetta in via
esclusiva e che rappresenta la condizione affinché il Consiglio possa emanare atti
vincolanti.
La Commissione esercita anche una funzione di vigilanza dei Trattati. Essa in
particolare esercita tale potere di controllo attraverso:
il diritto di iniziare una procedura giudiziaria contro uno Stato ritenuto colpevole
di violazione del Trattato;
Il diritto di ottenere dagli Stati tutte le informazioni necessarie per procedere
alle verifiche
Il diritto di adottare ammende e penalità in caso di violazione del Trattato.
Nella sua funzione esecutiva la Commissione emana atti di esecuzione (sia nel
senso di fissare le modalità di esecuzione di un regolamento, sia nel senso di emanare
veri e propri regolamenti necessari per l’esecuzione di altri regolamenti) e di
vigilanza sull’osservanza del Trattato.
La Commissione ha il potere di gestire gli stanziamenti destinati agli interventi
pubblici delle Comunità, nonché i grandi fondi comunitari quali il Fondo sociale
Cinquantaquattresima Lezione
europeo, Il Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia, il Fondo europeo di
sviluppo, ecc.
La Commissione detiene un potere quasi esclusivo di rappresentanza della
Comunità per tutti gli atti compiuti nell’ambito del diritto interno. Infine, la
Commissione rappresenta anche all’estero la Comunità, infatti, spetta ad essa tutta la
fase di negoziazione degli accordi, sebbene la conclusione degli stessi spetti al
Consiglio, ed è sempre alla Commissione che spetta esercitare le relazioni
internazionali e i rapporti con le organizzazioni internazionali.
Il Consiglio, compiti e procedure di voto: maggioranza semplice,
unanimità e ponderazione del voto.
Il Consiglio è l’organo decisionale della comunità, pur condividendo gran parte
dei poteri normativi con il Parlamento europeo Esso provvede al coordinamento delle
politiche economiche generali degli Stati membri e dispone di un potere di decisione.
Il Consiglio è un istituzione composta da Stati, titolare del seggio è infatti lo
Stato membro della comunità, che designa il proprio rappresentante scegliendolo tra
coloro che compongono il governo nazionale (ministri e sottosegretari).
I rappresentanti degli Stati in seno al Consiglio non devono necessariamente
rivestire la qualifica di ministri, ma è essenziale che facciano parte della compagine
governativa (es. sottosegretari) e che siano abilitati ad impegnare il proprio governo.
Il consiglio è presieduto a turno, per 6 mesi, da ciascuno dei paesi membri
seguendo l’ordine stabilito dal Consiglio stesso con votazione che richiede
l’unanimità dei suoi componenti.
Il paese che a turno presiede il Consiglio dell’Unione: rappresenta il Consiglio;
convoca il consiglio di propria iniziativa o su formale richiesta da parte di un altro
Cinquantaquattresima Lezione
Stato membro o della Commissione; risponde alle interrogazioni del Parlamento; cura
le relazioni internazionali della Comunità.
In base ai Trattati e alle loro successive modifiche ed integrazioni il Consiglio
prende le proprie decisioni mediante tre sistemi di votazioni.
1. Il Consiglio vota all’unanimità solo quando decide su alcune materie quali
l’armonizzazione fiscale e il riavvicinamento delle legislazioni nazionali. La regola
dell’unanimità si estende anche alla politica estera a di sicurezza comune, alla
cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.
Le astensioni dei membri presenti non ostano all’adozione delle deliberazioni per
le quali è richiesta l’unanimità per cui “unanimità” significa assenza di voti negativi e
non convergenza di voti tutti positivi.
2. Il Consiglio vota a maggioranza semplice se non è altrimenti indicato dal
TCE, ma in realtà le materie in cui il Consiglio può votare a maggioranza semplice
sono estremamente limitate in quanto il trattato prevede quasi sempre procedure
diverse e in particolare quella a maggioranza qualificata.
3. La votazione a maggioranza qualificata si caratterizza dalla necessità del
raggiungimento di un certo numero di voti per l’adozione di un atto. I voti di
ciascuno Stato membro non hanno uguale peso perché le votazioni avvengono col
sistema del voto ponderato, che attribuisce un valore diverso a ciascuno Stato a
seconda della sua importanza demografica e politica all’interno della Comunità.
Tale sistema di voto ponderato ha generato diversi contrasti ai quali ha, almeno in
parte, posto rimedio il Trattato di Nizza introducendo dei meccanismi specifici (le reti
di sicurezza)
La prima rete di sicurezza è data dalla necessita di ottenere comunque il voto
favorevole della maggioranza degli Stati membri, è infatti previsto che le
deliberazioni per le quali è necessaria la proposta della Commissione sono valide solo
se hanno ottenuto almeno 255 voti che esprimano il voto favorevole della
Cinquantaquattresima Lezione
maggioranza dei membri; negli altri casi le deliberazioni sono valide se hanno
ottenuto almeno 255 voti che esprimano il voto favorevole di almeno 2/3 dei membri.
La seconda rete di sicurezza e la c.d. verifica demografica la quale impone al
Consiglio di adottare un atto soltanto se vi è il sostegno di un numero di Stati che
rappresenti almeno il 62% della popolazione totale dell’Unione.
Al Consiglio è attribuito un potere decisionale vero e proprio in quanto esso
costituisce la manifestazione definitiva dell’attività normativa della Comunità
Il potere decisionale del Consiglio è subordinato alle condizioni poste dai
trattati: ciò significa che il Consiglio può adottare quei provvedimenti (regolamenti,
direttive e decisioni) che sono, materia per materia, previsti dal trattato.
Oltre che nell’emanazione degli atti normativi, il potere decisionale del
Consiglio si manifesta nella formazione e approvazione dei bilanci.
Altra importante funzione del Consiglio è quella di concludere, per conto della
comunità, accordi con Stati terzi dopo la chiusura dei negoziati condotti dalla
Commissione.
Infine, al Consiglio spetta una competenza generale a promuovere ricorsi
davanti alla Corte di giustizia della Comunità.
Coreper, Corte dei conti, Comitato economico e sociale
Il COREPER
L’enorme mole di lavoro comunitario e l’esigenza di un costante rapporto tra il
Consiglio e la Commissione ha determinato l’istituzione dei Comitato dei
rappresentanti permanenti degli Stati membri (COREPER), costituito dalle
rappresentanze diplomatiche presso le Comunità. Il COREPER e responsabile della
preparazione del lavoro del Consiglio e dell’esecuzione dei compiti che il consiglio
Cinquantaquattresima Lezione
gli assegna. Il COREPER è solitamente la sede in cui si svolgono i negoziati tra gli
Stati membri e dove spesso vengono raggiunte soluzioni di compromesso tra i
diversi interessi nazionali che agevolano l’opera del Consiglio.
La Corte dei conti
Il primo paragrafo dell’art. 269 TCE stabilisce che “il bilancio delle Comunità
è finanziato integralmente tramite risorse proprie”. Vige perciò il principio di
autonomia finanziaria il quale presenta due aspetti principali: 1° il diritto delle
Comunità di disporre di risorse proprie (principio di autonomia di finanziamento), 2°
il diritto delle stesse di regolarne il gettito per finanziare integralmente il loro bilancio
(principio di autonomia di bilancio).
Il Trattato di Bruxelles nel 1975 ha istituito un organo di controllo sulla
gestione finanziaria della Comunità, la Corte dei conti.
L’art. 7 del Trattato di Maastricht ha, in seguito, elevato la Corte al rango di
istituzione comunitaria.
La Corte dei conti è composta da un cittadino per ciascuno Stato membro,
scelti tra personalità che fanno parte o che hanno fatto parte, nei rispettivi Paesi, delle
istituzioni di controllo esterno o che posseggono una qualifica specifica per tale
funzione. Essi devono inoltre offrire tutte le garanzie di indipendenza. Sono nominati
per 6 anni dal Consiglio, con deliberazione a maggioranza previa consultazione del
Parlamento, conformemente alle proposte di ciascuno Stato. Il loro mandato è
rinnovabile.
Il Presidente viene designato tra i membri della Corte e resta in carica per tre
anni. Il suo mandato è rinnovabile. Il regolamento interno fissa le funzioni del
Presidente che sono quelle di convocare e presiedere le riunioni collegiali e assicurare
il regolare svolgimento di dibattiti; svolgere l’esecuzione delle decisioni della Corte e
sovrintendere alla buona gestione della attività della Corte e dei suoi servizi;
Cinquantaquattresima Lezione
rappresentare la Corte nelle relazioni con l’estero; designare l’agente incaricato di
rappresentare la Corte in tutte le procedure contenziose in cui la Corte sia implicata.
La Corte è investita di una competenza di controllo esterno del bilancio
generale della Comunità. A tale fine esamina i conti di tutte le entrate e le spese della
Comunità a meno che l’Atto costitutivo non escluda espressamente tale esame. Il
controllo verte sulla legittimità, sulla regolarità delle entrate e delle spese oltre che
sulla corretta gestione finanziaria.
Una volta effettuato il controllo, la Corte è tenuta a redigere una relazione
annuale che viene inoltrata alle Istituzioni comunitarie e pubblicata nella gazzetta
ufficiale dell’Unione Europea.
La Corte ha inoltre una competenza consultiva. Essa può presentare in qualsiasi
momento le proprie osservazioni su problemi particolari ed esprimere pareri su
richiesta di una delle Istituzioni della Comunità. Una consultazione obbligatoria è
prevista dall’art. 279 CE in base al quale il consiglio deve richiedere il parere della
Corte dei conti prima di deliberare in merito ad una proposta della Commissione che
riguardi: l’adozione di regolamenti finanziari che specificano le modalità relative
all’elaborazione ed esecuzione del bilancio, alla rendicontazione ed alla verifica dei
conti; la determinazione e l’organizzazione del controllo della responsabilità degli
ordinamenti e dei contabili.
Il Comitato economico e sociale
Il Comitato economico e sociale è un organismo consultivo previsto dai
Trattati CE e Euratom. il Comitato è composto di “rappresentanti delle varie
componenti di carattere economico e sociale della società civile organizzata, in
particolare dei produttori, agricoltori, vettori, lavoratori, commercianti e artigiani,
nonché delle libere professioni, dei consumatori e dell’interesse generale” (art. 257
par. 2, TCE). Cinquantaquattresima Lezione
A termini di Regolamento interno i rappresentanti delle varie categorie della
vita economica e sociale, che costituiscono il Comitato, sono suddivisi in tre gruppi e
sei sezioni. Il primo gruppo comprende i datori di lavoro provenienti dal settore
pubblico e da quello privato, il secondo gruppo comprende i lavoratori e gran parte
dei membri provengono dalle organizzazioni sindacali, un terzo gruppo, infine,
comprende i rappresentanti di tutte le altre realtà sociali, economiche, professionali e
culturali.
Le sei sezioni coprono i principali settori contemplati dal Trattato CE: 1 unione
economica e monetaria; 2 mercato unico, produzione e consumo; 3 trasporti, energie,
infrastrutture, società dell’informazione; 4 occupazione, affari sociali, cittadinanza; 5
agricoltura, sviluppo rurale, ambiente; 6 relazioni esterne.
La struttura istituzionale del Comitato comprende inoltre un Presidente ed un
Ufficio di presidenza. Il Presidente è scelto a turno in seno ai tre gruppi. Il mandato
del Presidente e dei due vicepresidenti dura due anni e non è immediatamente
rinnovabile.
Il Comitato svolge essenziali funzioni consultive, che si concretizzano con
l’emanazione di un parere. Questo può essere facoltativo, quando il Comitato agisce
di propria iniziativa (art. 262 TCE), oppure, può essere obbligatorio se richiesto dal
Consiglio, dalla Commissione o dal Parlamento. In nessun caso il parere della CES è
vincolante, ma risulta essere invece tecnico e più specifico rispetto a quelli del
Parlamento europeo che hanno carattere essenzialmente politico.
Comitato delle Regioni nel Trattato CE e nel Trattato costituzionale
Il Comitato delle regioni è stato istituito dal Trattato sull’Unione Europea
analogamente al Comitato Economico e Sociale, di cui ricalca la composizione; esso
si compone attualmente di 317 membri rappresentanti le collettività regionali e locali
Cinquantaquattresima Lezione
con la stessa ripartizione fra gli Stati membri di quella prevista per il Comitato
Economico e Sociale.
I membri del Comitato, nonché i loro supplenti, sono nominati su proposta dei
rispettivi Stati membri, per quattro anni, dal Consiglio che delibera a maggioranza
qualificata. Il loro mandato è rinnovabile; essi esercitano le loro funzioni
nell’interesse generale della Comunità.
Con le modifiche introdotte a Nizza, i membri del Comitato debbono essere
titolari di un mandato elettivo nell’ambito di una collettività regionale o locale oppure
essere politicamente responsabili di fronte ad una assemblea elettiva.
Correlativamente, se viene meno tale requisito, cessa la validità della nomina e lo
Stato deve provvedere alla soluzione per il completamento del mandato. La modifica
tende a sottolineare il carattere rappresentativo del Comitato.
I lavori del Comitato si articolano in commissioni competenti per materia che
vengono istituite all’inizio di ciascun mandato quadriennale. La composizione delle
commissioni riflette la ripartizione nazionale esistente nell’ambito del Comitato.
Il Comitato delle regioni è consultato in tutti i casi nei quali è specificamente
previsto dal Trattato, esso può emettere pareri di propria iniziativa nel caso lo ritenga
utile o per le materie per le quali viene consultato il Comitato Economico e Sociale
ma nelle quali il Comitato delle regioni ritiene che siano in gioco interessi regionali.
Il Trattato prevede la consultazione obbligatoria del Comitato delle regioni per
quanto attiene alle azioni relative all’educazione, la cultura, la salute pubblica e i
progetti transeuropei. Cinquantaquattresima Lezione
Gli organi giurisdizionali, la funzione giurisdizionale. Considerazioni
generali sulle competenze della Corte di Giustizia e del Tribunale di
Primo grado
La Corte di giustizia europea è posta al vertice del sistema giurisdizionale
europeo, essa è stata istituita con il Trattato CECA nel 1952 ed è diventata unica per
le tre comunità nel 1957 con la Convenzione di Roma
Nel corso degli anni l’attività della Corte è aumentata in maniera considerevole
tanto da richiedere la creazione, nel 1988 del Tribunale di primo grado. Quest’ultimo
è un organismo giurisdizionale competente ad esaminare alcune categorie di ricorsi
proposte da persone fisiche e giuridiche, con riserva di impugnazione innanzi alla
Corte di giustizia per motivi di diritto.
Il Trattato di Nizza ha notevolmente valorizzato il ruolo del Tribunale, che non è
più semplicemente affiancato alla Corte, ma condivide con essa la funzione di
assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del trattato,
seppur nell’ambito delle rispettive competenze.
La Corte di giustizia: composizione, nomina dei membri, organizzazione
e procedura
La funzione principale della Corte di Giustizia è quella di assicurare il rispetto del
diritto comunitario attraverso il controllo giurisdizionale degli atti e dei
comportamenti delle istituzioni nonché attraverso l’interpretazioni del diritto
comunitario. Essa ha sede a Lussemburgo.
La Corte di Giustizia si differenzia notevolmente dagli altri organi giurisdizionali
perché: Cinquantaquattresima Lezione
1. può essere adita non solo dagli Stati membri ma anche dalle istituzioni
comunitarie e dalle persone fisiche e giuridiche a determinate condizioni;
2. tutte le controversie nascono e sono risolte nell’ambito dl diritto comunitario;
3. la giurisdizione della Corte è obbligatoria.
La Corte è composta da un giudice per Stato membro e 8 avvocati generali. Il
numero di questi ultimi può essere elevato, se richiesto dalla Corte di Giustizia, con
delibera del Consiglio.
Sia i giudici che gli avvocati sono nominati di comune accordo dai governi degli
Stati membri.
L’avvocato generale ha il ruolo di presentare pubblicamente, con assoluta
imparzialità ad in piena indipendenza, conclusioni motivate sulle cause che
conformemente allo statuto della Corte di Giustizia, richiedono il suo intervento. Tale
figura, in particolare nelle cause di maggiore complessità, sintetizza la discussione
scritta e orale, indirizzando la Corte verso quelle soluzioni più consone alla tutela
degli interessi delle parti del processo. Le conclusioni dell’avvocato generale non
sono vincolanti per la Corte né quest’ultima deve motivare un’eventuale decisione
che se ne discosti.
I giudici e gli avvocati generali restano in carica 6 anni, il mandato è
rinnovabile.
La Corte nomina ogni 3 anni il Presidente, che dirige i lavori e le udienze. Di
regola la Corte si riunisce in sezioni (composte da 3 o da 5 giudici) o in una grande
sezione (composta da 13 giudici), qualora lo richieda uno Stato membro o una
istituzione comunitaria che è parte in causa. La ripartizione delle cause tra sezioni è
decisa dal Presidente sulla base di criteri di massima stabiliti dalla Corte.
Le principali attribuzioni della Corte riguardano l’esame dei ricorsi in tema di
inadempimento degli Stati, il controllo sulla legittimità degli atti comunitari, il
Cinquantaquattresima Lezione
controllo sul comportamento omissivo delle istituzioni, la competenza a pronunciarsi
in via pregiudiziale sull’interpretazione dei trattati e sulla validità e
sull’interpretazione degli atti delle istituzioni, l’esame dei ricorsi per il risarcimento
dei danni derivanti da responsabilità extracontrattuale delle Comunità.
Le attribuzioni della Corte sono tassative, ossia al di fuori dei casi espressamente
previsti dai trattati, la competenza spetta ai giudici nazionali secondo le norme degli
ordinamenti ai quali appartengono e anche qualora le Comunità siano parte in causa.
La procedura davanti alla Corte, applicabile anche al Tribunale di primo grado,
comprende una fase scritta con scambio di memorie, difese, osservazioni fra le parti,
ed una fase orale introdotta dalla relazione del giudice relatore e con l’audizione, da
parte della Corte, degli agenti, consulenti e avvocati e delle conclusioni dell’avvocato
generale nonché, ove occorra, l’audizione di testimoni e di periti.
Le udienze sono pubbliche salvo decisione contraria presa dalla Corte, d’ufficio o
su richiesta delle parti, per gravi motivi. Le deliberazioni sono invece segrete.
Le sentenze, firmate dal Presidente e dal Cancelliere, debbono essere motivate e
lette in pubblica udienza. Esse sono definitive e possono essere soggette a revisione
solo in seguito alla scoperta di un fatto di natura tale da avere un’influenza decisiva e
che, prima della sentenza, era ignoto alla Corte e alla parte che ha richiesto la
revisione.
Le sentenze hanno efficacia vincolante per le parti in causa e hanno forza
esecutiva per le decisioni comportanti obblighi pecuniari a carico dei privati, cioè
mediante apposizione della formula esecutiva dell’autorità nazionale competente e
con la sola verifica dell’autenticità del titolo.
La principale disposizione che innova sulle attribuzioni della Corte di giustizia
è quella inserita nell’art. 228, par. 2 che prevede la possibilità per la Corte di
comminare sanzioni nei confronti degli Stati membri. Cinquantaquattresima Lezione
Nonostante il Trattato di Roma prevedesse già nella sua prima formulazione che
le sentenze della Corte fossero vincolanti e che gli Stati avessero l’obbligo di
adeguarsi alle stesse, frequentemente gli Stati non hanno dato alcun seguito concreto
alle sentenze ed è stato necessario riaprire nuovamente il caso di fronte alla Corte per
violazione, questa volta, dell’obbligo imposto agli Stati di dare attuazione alle
sentenze della Corte.
Nella situazione precedente il Trattato di Maastricht, una volta pronunciata la
seconda sentenza di condanna nei confronti dello Stato, la Corte non aveva alcuna
possibilità di intervento. Per porre termine a questa situazione, la modifica introdotte
dall’art. 228 prevede che la Commissione svolga, anzitutto, un tentativo di
composizione amichevole dando allo Stato la possibilità di presentare le proprie
osservazioni sulla mancata esecuzione della sentenza. Se il tentativo non risolve il
problema, la Commissione emette parere motivato nel quale precisa i punti sui quali
lo Stato membro non si è conformato e indica l’obbiettivo e il risultato che deve
essere conseguito mediante i provvedimenti che lo Stato è obbligato ad adottare e
fissa un termine. Se lo Stato non rispetta tale indicazione entro il termine, la stessa
Commissione può adire la Corte di giustizia indicando alla Corte l’importo della
somma forfetaria e della penalità di mora che, ad avviso della Commissione, lo Stato
deve pagare per la violazione compiuta
Oltre alle competenze di natura prevalentemente contenziosa, il Trattato
attribuisce alla Corte una competenza consultiva. L’art. 300 del Trattato CE, par. 6,
secondo comma stabilisce che: “Il Consiglio o uno Stato membro possono domandare
il parere della Corte di giustizia circa la compatibilità dell’accordo previsto con le
disposizioni del Trattato”. Quando la Corte esprime parere negativo, l’accordo non
può entrare in vigore perché, essendo stato dichiarato in contrasto con il Trattato, si
considera che esso determini la modifica del Trattato stesso e, di conseguenza, per la
sua eventuale entrata in vigore, si fa rinvio alla procedura per la modifica dei Trattati
prevista dall’art. 48 del Trattato sull’Unione europea. Cinquantaquattresima Lezione
Il Tribunale di primo grado
Il tribunale di primo grado è stato istituito con l’Atto Unico, su richiesta della
Corte, per venire incontro alle esigenze di risoluzione del gran numero di ricorsi
presentati di anno in anno.
Il 24 ottobre 1988 il Consiglio ha formalmente istituito il Tribunale di primo
grado, con sede presso la Corte di Giustizia. Con il Trattato di Nizza il Tribunale di
primo grado è posto sullo stesso piano della Corte di giustizia e nell’ambito delle
rispettive competenze ambedue assicurano il rispetto del diritto nell’interpretazione e
nell’applicazione del Trattato
I giudici del Tribunale sono scelti tra persone che offrono garanzie di
indipendenza e possiedono le capacità per esercitare le funzioni giurisdizionali. Essi
sono nominati di comune accordo dai Governi degli Stati membri per sei anni. Il
mandato è rinnovabile e ogni tre anni si provvede ad un rinnovo parziale.
La composizione del Tribunale è allineata a quella della Corte ed infatti è
nominato un giudice per ciascun Stato membro, mentre gli avvocati generali possono
essere previsti nello Statuto. Anche il Tribunale si riunisce in sezioni composte da tre
o cinque giudici. Il regolamento di procedura può prevedere la costituzione di una
grande sezione, la riunione in seduta plenaria ed eventualmente anche statuizioni
nella persona di giudice unico. Il regolamento di procedura limita i casi che possono
essere sottoposti al giudice unico indicando tra questi: i ricorsi promossi da
funzionari della Comunità, quelli proposti da persone fisiche o giuridiche, quelli
contro le decisioni del Parlamento, Commissione e Consiglio ed i ricorsi originati da
una clausola arbitrale inserita in un contratto per conto della Comunità.
Altra novità introdotta dal Trattato di Nizza è la possibilità di istituire Camere
incaricate di conoscere in primo grado, talune categorie di ricorsi in materie
Cinquantaquattresima Lezione
specifiche. Tali nuove strutture potranno essere istituite dal Consiglio che delibera
all’unanimità su proposta della Corte o della Commissione e previa consultazione del
Parlamento europeo. Con l’istituzione delle Camere, il Consiglio ne stabilisce la
competenza. Le decisioni delle Camere possono essere impugnate per i soli motivi di
diritto e, se la decisione del Consiglio lo prevede, anche per motivi di fatto, di fronte
al Tribunale di primo grado.
Il Tribunale è competente per esaminare i ricorsi in materia di legittimità degli
atti comunitari, per omissioni delle Istituzioni, risarcimento di danni derivanti da
responsabilità extracontrattuale, pubblico impiego, i ricorsi determinati da una
clausola compromissoria inserita in un contratto, ed in via eccezionale la cognizione
su questioni pregiudiziali in materie specifiche, determinate dallo Statuto. La
generale competenza delle questioni pregiudiziali è infatti riservata alla Corte per
garantire l’unicità di interpretazione del diritto comunitario.
Le entrate della Comunità, le risorse proprie, la procedura di
approvazione del bilancio delle comunità europee
Come ogni bilancio contabile anche il bilancio delle Comunità europee è
costituito da entrate ed uscite: le entrate derivano dal sistema di finanziamento delle
Comunità, mentre le spese sono costituite dalle spese e l’esercizio delle attività delle
Comunità. Secondo il principio della buona gestione finanziaria cui le Comunità si
devono ispirare per espressa previsione dell’art. 274 n° 1 del Trattato CE le entrate e
le spese devono risultare in pareggio.
Per quanto concerne le entrate bisogna fare alcune considerazioni sul
finanziamento delle organizzazioni internazionali. È evidente, infatti, che il grado di
indipendenza delle organizzazioni internazionali dai singoli Stati membri e quindi la
capacità di queste di sottrarsi agli interessi nazionali deriva dalla capacità che le
organizzazioni internazionali hanno di autofinanziarsi. Cinquantaquattresima Lezione
La possibilità per le organizzazioni di reperire in modo autonomo le risorse
economiche è sintomo di un maggior livello di integrazione tra gli Stati membri
come è il caso della Comunità europea.
La redazione originaria del Trattato sulle Comunità europee prevedeva contributi
finanziari a carico degli Stati membri secondo percentuali che rispecchiavano il peso
della loro partecipazione alla vita comunitaria.
Attualmente l’art. 269 del Trattato CE prevede che il bilancio, fatte salve le
entrate, è finanziato integralmente tramite risorse proprie.
Il Consiglio deliberando ad unanimità, su proposta della Commissione e previa
consultazione del Parlamento europeo, stabilisce le disposizioni relative al sistema
delle risorse proprie della Comunità di cui raccomanda l’adozione da parte degli Stati
membri in conformità delle rispettive norme costituzionali.
Dalla lettura dell’art. 269 del Trattato CE si evince come i contributi da parte
degli Stati membri sono stati sostituiti dalle c.d. risorse proprie. Le risorse proprie,
però, non possono essere deliberate dalla Comunità nemmeno attraverso il Consiglio,
infatti, il Consiglio può soltanto raccomandare agli Stati membri l’adozione di risorse
proprie attraverso decisioni che dovranno essere successivamente ratificate dagli Stati
membri secondo le procedure stabilite dalle proprie norme costituzionali.
Attualmente il sistema delle risorse proprie delle Comunità è stabilito dalla
decisione del Consiglio del settembre 2000 ed in base alle previsioni di questa
decisione le risorse della Comunità sono: i prelievi, i premi, gli importi supplementari
o, ancora, i dazi fissati da parte delle istituzioni della Comunità sugli scambi con Stati
non membri nell’ambito della politica agricola comune.
Altra fonte di risorse proprie della Comunità sono i dazi riscossi secondo la tariffa
doganale esterna comune che è stata istituita nel quadro dell’unione doganale
istaurata all’interno del mercato comune. Cinquantaquattresima Lezione
Fanno, inoltre, parte delle risorse proprie della Comunità la percentuale
aggiuntiva sull’imponibile dell’iva degli Stati membri, percentuale che è determinata
in modo uniforme secondo regole comunitarie. Va precisato che il gettito di
quest’ultima risorsa rappresenta più della metà delle entrate comunitarie.
Ulteriore elemento che costituisce le risorse proprie è determinato dall’aliquota,
stabilita annualmente, sull’importo nazionale lordo di ciascuno Stato membro.
Tutte queste risorse propri vengono riscosse dagli Stati membri e versate alla
Commissione. Gli organi degli Stati membri sui prelievi agricoli e sui dazi doganali
trattengono il 25% degli importi a titolo di rimborso delle spese di riscossione.
Per quanto riguarda le uscite della Comunità esse sono rappresentate dalle spese
previste per il proprio funzionamento come i compensi ai funzionari ed inoltre le
spese necessarie all’esplicazione delle proprie funzioni. Le uscite comunitarie
possono consistere in spese obbligatorie e non obbligatorie che sono le uniche sulle
quali può incidere il Parlamento. Le spese obbligatorie, tra cui rientrano quelle per la
politica agricola comunitaria, derivano obbligatoriamente dai trattati o dagli atti delle
istituzioni, le spese non obbligatorie sono quelle effettuate secondo criteri di
discrezionalità come per esempio le spese relative all’erogazione dei fondi strutturali
per i programmi intergrati mediterranei e via dicendo.
Le procedure interistituzionali: procedura di consultazione, procedura
di cooperazione, procedura di codecisione, parere conforme.
La partecipazione del Parlamento europeo alla emanazione degli atti comunitari è
prevista in quattro procedure cui il Trattato costituzionale fa espressamente
riferimento. Tali procedure si distinguono in: procedura di consultazione, procedura
di cooperazione, procedura di codecisione e parere conforme.
Cinquantaquattresima Lezione
La procedura di consultazione è stata originariamente prevista dal Trattato
comunitario, la procedura di cooperazione e di codecisione sono state introdotte
dall’Atto Unico europeo, mentre la procedura di parere conforme è stata introdotta
dal Trattato di Maastricht e successivamente semplificata dal Trattato di Amsterdam.
Tutte queste procedure comportano una maggior partecipazione del Parlamento
europeo del processo legislativo comunitario nel tentativo di colmare il più possibile
il deficit democratico da cui è affetta la Comunità europea.
Quanto alla procedura di consultazione del Parlamento da parte del Consiglio
questa è prevista per un notevole numero di provvedimenti quali ad esempio i
provvedimenti nei campi della cittadinanza, della politica agricola comune, della
libera circolazione dei servizi, delle regole di concorrenza, della politica sociale, degli
accordi con Stati terzi, ecc.
In tutti questi casi il parere del Parlamento europeo è un atto formale a carattere
obbligatorio nel senso che la mancanza del parere del Parlamento renderebbe l’atto
del Consiglio illegittimo per violazione di forme sostanziali, e quindi atto passibile di
dichiarazione di nullità da parte della Corte di giustizia. Di conseguenza se il parere
del Parlamento non è formalmente vincolante per il Consiglio, tuttavia è necessario
che il Parlamento formuli il suo parere.
Potrebbe accadere, ad esempio, che il Parlamento, nel tentativo di ritardare un
atto del Consiglio, eviti di formulare il proprio parere. Tale eventualità è scongiurata
sulla base di due elementi: in primo luogo il Parlamento è obbligato a esprimere il
proprio parere in base al c.d. principio di leale collaborazione per cui in presenza di
un irragionevole ritardo il Parlamento non può invocare l’illegittimità dell’atto del
Consiglio emanato senza il parere del Parlamento. D’altra parte in caso di eccessivo e
ingiustificato ritardo del Parlamento nel formulare il parere il Consiglio può adire la
Corte di giustizia in carenza contro il Parlamento europeo.
Cinquantaquattresima Lezione
Non è necessario che il Parlamento esprima il suo parere sul testo definitivo del
provvedimento purché il testo definitivo non si discosti sostanzialmente da quello
sottoposto al Parlamento. Se invece successivamente al parere del Parlamento la
proposta viene sostanzialmente modificata, il Parlamento europeo dovrà essere
nuovamente consultato.
Va inoltre ricordata la facoltà del Parlamento di indirizzare al Consiglio pareri
facoltativi in tutti i casi in cui i trattati non prevedono espressamente l’obbligo in
capo al Consiglio di consultare il Parlamento.
La Procedura di cooperazione, introdotta dall’Atto Unico europeo, rappresenta un
primo tentativo di rafforzare i poteri del Parlamento nel processo normativo.
La procedura di cooperazione può applicarsi soltanto nei casi in cui le norme
comunitarie rinviano all’’art. 252 TCE il quale prevede, appunto, la procedura di
cooperazione.
La procedura di cooperazione prevede una doppia lettura del Parlamento in
merito agli atti che il Consiglio deve emanare. Durante la prima lettura il Parlamento
esamina la proposta della commissione ed esprime un parere, accompagnato da
eventuali proposte di modifica. La Commissione valuta tali modifiche e trasmette la
proposta al Consiglio che, deliberando a maggioranza qualificata adotta una
posizione comune. Tale delibera viene comunicata al Parlamento assieme alle
motivazioni. Il Parlamento in questa fase ha tre possibilità: approvare la posizione
comune o non pronunciarsi, rigettare il testo a maggioranza assoluta, apportare
emendamenti a maggioranza assoluta.
Nel primo caso il Consiglio adotta l’atto a maggioranza qualificata, nel secondo
caso il Consiglio potrà adottare l’originaria posizione comune entro tre mesi ma solo
votando all’unanimità, nel terzo ed ultimo caso la Commissione riesamina entro un
mese la posizione comune e la ritrasmette al Consiglio con le modifiche che ha
ritenuto di accogliere e avendo motivato il rifiuto degli altri emendamenti. Ricevuta
Cinquantaquattresima Lezione
la proposta il Consiglio, entro tre mesi, può adottare la proposta a maggioranza
qualificata; adottare all’unanimità gli emendamenti Parlamentari non recepiti dalla
Commissione; non agire facendo decadere la proposta della Commissione; oppure
modificare all’unanimità la proposta e adottarla. La Commissione conserva sempre il
potere di ritirare la proposta.
Nella procedura di cooperazione la commissione svolge un compito importante,
quello di mediare i contrasti tra il Consiglio e il Parlamento
La Procedura di codecisione è stata tra le maggiori novità contenute nel Trattato
di Maastricht. Tale procedura è prevista dall’art. 251 del Trattato CE ed è stata
notevolmente rafforzata dal Trattato di Amsterdam, che ha trasferito nell’ambito di
questa procedura quasi tutte le materie che ricadevano sotto la procedura di
cooperazione.
Con la procedura di codecisione il Parlamento europeo e il Consiglio europeo
sono posti sullo stesso piano, anche se va precisato che il ruolo del Parlamento è più
un ruolo negativo, ossia di bloccare l’adozione dell’atto normativo, piuttosto che
propositivo.
Anche questa procedura si articola in più fasi: nella prima fase la Commissione
presenta la proposta contemporaneamente al Parlamento e al Consiglio, il Consiglio
può sia adottare l’atto proposto, se il Parlamento non ha proposto emendamenti, sia
approvare gli emendamenti contenuti nel parere del Parlamento e quindi adottare
l’atto modificato. Se la proposta con gli emendamenti del Parlamento non viene
adottata il Consiglio adotta una posizione comune motivata e la comunica al
Parlamento. Se nel termine di tre mesi, prorogabili di un mese su iniziativa del
Parlamento o del Consiglio, il Parlamento approva la posizione comune, oppure non
si pronuncia, il Consiglio adotta l’atto secondo la posizione comune. Se, invece, il
Parlamento a maggioranza assoluta dei suoi membri respinge la posizione comune,
l’atto proposto non viene adottato. Infine il Parlamento, sempre nel termine dei tre
mesi, può apportare emendamenti alla posizione comune; allora il testo emendato
Cinquantaquattresima Lezione
viene comunicato al Consiglio e alla Commissione e in questo caso il Consiglio può:
approvare a maggioranza qualificata tutti gli emendamenti ed adottare l’atto nella
forma della posizione comune, però il Consiglio deve deliberare all’unanimità sugli
emendamenti rispetto ai quali la Commissione ha espresso parere negativo; oppure il
Consiglio può non approvare gli emendamenti e allora il Presidente del Consiglio
d’intesa con il presidente del Parlamento convoca un Comitato di Conciliazione. Il
Comitato di conciliazione ha lo scopo di trovare un accordo su un progetto comune
pronunciandosi a maggioranza dei rappresentanti del Consiglio e a maggioranza dei
rappresentanti del Parlamento. La Commissione partecipa attivamente ai lavori del
Comitato di conciliazione per favorire un riavvicinamento delle posizioni del
Consiglio e del Parlamento e il Comitato di conciliazione ha 6 settimane di tempo per
pronunciarsi. Se il Comitato di conciliazione concorda un progetto comune,
Consiglio e Parlamento hanno 6 settimane di tempo per adottare il progetto
altrimenti questo non viene adottato.
La procedura del parere conforme consente al Parlamento europeo di esprimere il
proprio accordo o disaccordo in merito all’approvazione di determinati atti proposti
dal Consiglio.
La procedura di parere conforme si configura in sostanza in un diritto di veto da
parte del Parlamento europeo.
La procedura di parere conforme è prevista in tema di accordi di associazione, di
accordi su fondi strutturali, in tema di ammissione di nuovi Stati, di procedure
uniforme per l’elezione del Parlamento europeo, di politica monetaria, di violazione
dei diritti umani.
Relazioni esterne, principio del parallelismo, accordi misti, accordi
commerciali. Cinquantaquattresima Lezione
La Comunità europea è in grado di concludere accordi internazionali, a tal fine il
Trattato CE stabilisce norme che prevedono competenze rispetto ad accordi specifici
e norme che regolano le procedure di conclusione degli accordi internazionali della
Comunità europea. È necessario sottolineare che le competenze della Comunità
europea nel campo degli accordi internazionali sono state anche definite, in via
generale, da alcune sentenze della Corte di giustizia.
La competenza alla conclusione di accordi internazionali da parte dell’Unione
europea ha alla base sempre il principio di attribuzione delle competenze che è
stabilito dall’art. 5 del Trattato CE. Si ricorda che il principio di attribuzione
stabilisce che la Comunità agisce soltanto nei limiti delle competenze che le sono
conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dalle norme del Trattato stesso.
Nel campo della conclusioni degli accordi internazionali il Trattato CE prevede
espressamente soltanto gli accordi in materia di regime valutario e monetario, gli
accordi tariffari e commerciali nell’ambito della politica commerciale comune
compresi quelli in materia di servizi e proprietà intellettuale, gli accordi nel quadro
della ricerca e sviluppo tecnologico, in materia di ambiente, gli accordi di
associazione e gli accordi con altre organizzazioni internazionali.
In alcuni casi la competenza comunitaria è esclusiva (politica commerciale
comune), mentre in altri casi la competenza è concorrente con quella degli Stati
membri.
Sulla base del c.d. principio del potere implicito la Corte di giustizia ha affermato
che la Comunità ha il potere di esercitare all’esterno le competenze di cui essa gode
sul piano interno. La Corte, affermando l’esclusività della competenza comunitaria
nelle materie nelle quali il trattato lo prevede ha risolto il problema dei rapporti tra la
competenza comunitaria e la competenza degli Stati membri nella conclusione di
accordi. Cinquantaquattresima Lezione
Nella sentenza AETS del 1970 la Corte ha inoltre affermato che tutte le volte la
Comunità ha adottato delle disposizioni contenenti norme comuni, gli Stati membri
non hanno il potere di contrarre con gli Stati terzi obbligazioni che incidano su dette
norme. In questo modo si è affermato il principio del parallelismo.
Infine con una sentenza del 1976 la Corte di giustizia non soltanto ribadì il
principio del parallelismo, ma precisò che la Comunità, anche in assenza di una
specifica attribuzione del potere di concludere accordi con terzi, può tuttavia
concludere un accordo in una materia che rientra nell’ambito degli obiettivi
comunitari.
Il Principio del Parallelismo tra competenze interne e competenze esterne
stabilisce una competenza generale della Comunità in materia di accordi
internazionali a prescindere dalle disposizioni contenute nei trattati e nello stesso
tempo esclude la competenza degli Stati a concludere autonomamente accordi con
Stati terzi in tutti i casi che riguardano materie di competenza esclusiva della
Comunità. Se la Comunità non ha ancora esercitato le proprie competenze esclusive
gli Stati membri possono concludere accordi internazionali, ma in via transitoria e in
concorrenza con la Comunità.
Abbastanza diffusa è comunque la prassi di concludere accordi misti, ossia
accordi firmati sia dalla Comunità che dagli Stati membri. Tale prassi può derivare
dal fatto che le materie oggetto di tali accordi ricadono sia nell’ambito delle
competenze comunitarie, che nell’ambito delle competenze statali, oppure quando
non sia facile determinare l’ambito delle competenze. Gli accordi misti prevedono
spesso anche obblighi a carico degli Stati membri e non soltanto a carico delle
comunità europee come ad esempio nel caso degli accordi di associazione.
La firma degli accordi misti implica il consenso degli Stati membri e semplifica
la procedura di negoziato, di conclusione e di ratifica, che in caso contrario dovrebbe
svolgersi su due livelli: a livello di comunità e Stato terzo e a livello di Stato membro
e Stato terzo. Cinquantaquattresima Lezione
Negli accordi misti non sempre gli obblighi della Comunità e degli Stati membri
sono distinti sul piano del diritto internazionale, in via generale esiste quasi sempre
un collegamento dal punto di vista del diritto internazionale generale tra la posizione
della Comunità e quella degli Stati membri, inoltre occorre ricordare che spesso gli
Stati membri firmano l’accordo in rappresentanza dell’interesse comunitario e non
sono portatori di un interesse proprio. Per quanto concerne, invece, l’esecuzione
dell’accordo misto questo va eseguito sia dalla Comunità che dagli Stati membri
nell’ambito delle rispettive competenze. Nel caso di competenza concorrente o nei
casi in cui la specificazione della competenza è incerta si provvede alla conclusione
di un accordo interno tra la Comunità e gli Stati membri.
Spesso accade che gli accordi misti non siano firmati da tutti gli Stati membri, ma
ciò non comporta uno svincolo dagli obblighi per gli Stati che non hanno firmato
l’accordo.
Sempre in ambito di competenza esterna della Comunità europea in base
all’art.307 del Trattato CE, gli accordi conclusi dagli Sati membri con Stati terzi,
prima del 1 gennai 1958, o prima della loro adesione alla Comunità rimangono
comunque validi. Tuttavia se questi accordi prevedono obblighi per lo Stato membro
in contrasto con gli obblighi verso la Comunità europea gli Stati mezzi devono
eliminare tale situazione di contrasto.
La conclusione di accordi tariffari e commerciali da parte della Comunità europea
è prevista dall’art 133 del Trattato CE nel quadro della politica commerciale comune.
Si tratta di una competenza esclusiva della Comunità e pertanto gli Stati membri non
possono concludere accordi commerciali e tariffari con Stati terzi.
Il Trattato di Nizza ha inoltre esteso la nozione di accordi commerciali agli
accordi in materia di servizi e della proprietà intellettuale e i relativi accordi sono
conclusi dal Consiglio con votazione a maggioranza qualificata o, in alcuni casi
specifici, mediante delibera all’unanimità. Cinquantaquattresima Lezione
Accordi di associazione e cooperazione. La procedura di conclusione
degli accordi internazionali.
La base giuridica per gli accordi di cooperazione economica, finanziaria e tecnica
con Paesi terzi è fornita dall’art. 181 A del Trattato CE il quale prevede: “la
Comunità conduce, nel quadro delle sue competenze, azioni di cooperazione
economica, finanziaria e tecnica con Paesi terzi tali azioni sono complementari a
quelle condotte dagli Stati terzi e coerenti con la politica di sviluppo della Comunità.
La politica della Comunità in questo settore contribuisce all’obiettivo generale di
sviluppo e consolidamento della democrazia e dello Stato di diritto, nonché al rispetto
dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.”
Per dare attuazione a questa disposizione il Consiglio può adottare accordi con
votazione a maggioranza qualificata e previa consultazione del Parlamento.
Gli accordi di associazione sono, invece, previsti dall’art 310 del Trattato CE che
attribuisce alla Comunità la competenza a concludere con Stati terzi o con
organizzazioni internazionali accordi che istituiscano un’associazione caratterizzata
da diritti e obblighi reciproci, da azioni in comune e da procedure particolari.
Poiché i diritti e gli obblighi reciproci sono propri di ogni accordo internazionale,
gli accordi di associazione sono caratterizzati dalle azioni in comune e dalle
procedure particolari.
Perché si possa parlare di un accordo di associazione è necessario che rapporto di
collaborazione tra la Comunità e lo Stato associato sia istituzionalizzato. Di
conseguenza gli accordi di associazione prevedono degli organi propri
dell’associazione. Questi organi includono un Consiglio di associazione formato dai
Cinquantaquattresima Lezione
rappresentanti della Comunità europea e dai rappresentanti dello Stato associato. Il
Consiglio provvede a determinare gli indirizzi di politica generale dell’associazione
attraverso decisioni vincolanti che vengono assunte all’unanimità. Vi è inoltre un
Comitato di associazione, o Comitato degli ambasciatori costituito da rappresentanti
di entrambe le parti contraenti e che svolge funzioni esecutive. Infine è prevista
l’istituzione di una Conferenza parlamentare dell’associazione composta dai
rappresentanti del Parlamento europeo e dai rappresentanti del Parlamento dello Stato
associato. Tale organo svolge una funzione di controllo sull’attività del Consiglio di
associazione.
Alla formula dell’accordo di associazione la Comunità è ricorsa spesso per
acquisire nuovi mercati ed espandere la propria area commerciale senza implicare
necessariamente l’ingresso degli Stati associati nella Comunità.
Il processo per la conclusione degli accordi internazionali è disciplinato in via
generale dall’art. 300 del Trattato CE.
I negoziati vengono condotti dalla Commissione che deve, però farsi autorizzare
preventivamente dal Consiglio. Nella conduzione dei negoziati la Commissione è
assistita dai Comitati speciali composti da rappresentanti degli Stati membri e inoltre
la Commissione deve agire nell’ambito delle direttive impartitegli dal Consiglio.
Per espressa previsione del 2 comma dell’art 300 del Trattato CE il potere di
apporre la firma e procedere alla conclusione dell’accordo spetta al Consiglio che
delibera: a maggioranza qualificata se la firma è accompagnata da una decisone che
riguarda la provvisoria applicazione dell’accordo prima dell’entrata in vigore,
all’unanimità se la materia oggetto dell’accordo richiede tale tipo di maggioranza, nel
caso degli accordi di associazione e degli accordi commerciali e tariffari.
Il Parlamento europeo interviene nell’ambito della procedura di conclusione di
accordi internazionali con il proprio parere conforme nel caso degli accordi di
associazione e di quegli accordi che si ripercuotono sul bilancio comunitario;
Cinquantaquattresima Lezione
interviene, invece, semplicemente a titolo consultivo quando l’accordo riguarda
settori che richiedono la procedura di codecisione o di cooperazione, se l’accordo
riguarda il sistema dei tassi di cambio dell’euro e quando l’accordo riguarda la
materia di ricerca e sviluppo tecnologico. Il Parlamento, infine, non è consultato nel
caso della conclusione di accordi commerciali.
Sempre l’art. 300 del Trattato CE prevede che sia il Parlamento, sia il Consiglio,
sia la Commissione, o uno Stato membro possono domandare il parere della Corte di
giustizia circa la compatibilità di un accordo previsto con le disposizioni del Trattato
CE.
Infine l’ultimo paragrafo dell’art. 300 del Trattato CE afferma che: “gli accordi
conclusi sulla base di tale articolo sono vincolanti sia per le istituzioni comunitarie
che per gli Stati membri” ciò comporta che gli Stati membri e la Comunità sono
tenuti a rispettare la compatibilità dei loro atti con le disposizioni dell’accordo
internazionale.
Atti normativi, fonti primarie, atti normativi derivati, effetti diretti delle
norme comunitarie, caratteri generali delle norme comunitarie.
Il sistema normativo comunitario è costituito dall’insieme di norme che regolano
l’organizzazione delle Comunità europee e i rapporti tra queste e gli Stati membri.
Esso si distingue in fonti primarie e fonti secondarie.
Al vertice dell’ordinamento giuridico comunitario si pongono le norme dei trattati
istitutivi con le diverse integrazioni e modifiche susseguitesi nel corso del tempo, si
fa riferimento all’adozione di ulteriori trattati convenzionali come gli atti di adesione
di nuovi Stati, all’Atto Unico europeo, al Trattato sull’Unione europea. Soltanto con
Cinquantaquattresima Lezione
il Trattato che istituisce una costituzione per l’Europa si dovrebbe giungere, qualora
venisse applicato, ad una revisione dell’intero sistema attraverso una risistemazione e
ad un riordino del sistema normativo comunitario.
Il primato dei Trattati comunitari deriva dalla loro stessa natura di accordi
internazionali e sono sottoposti alle regole del diritto internazionale generale.
L’ordinamento giuridico comunitario è autonomo rispetto agli Stati membri. Tale
principio di autonomia dell’ordinamento comunitario è stato elaborato da diverse
sentenze della Corte di giustizia la quale già in una sentenza del 1963 affermava che
“La Comunità economica europea costituisce un ordinamento giuridico di nuovo
genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati membri hanno
rinunciato, seppure in settori limitati, ai loro poteri sovrani ed al quale sono soggetti
non soltanto gli Stati membri, ma pure i loro cittadini”
I Trattati istitutivi e modificativi formano il c.d. diritto originario e prevalgono
sulle norme derivate, perciò i Trattati non possono subire modifiche da parte del
diritto derivato, ossia dagli atti delle istituzioni comunitarie.
I Trattati possono essere modificati solo attraverso la specifica procedura prevista
dall’art. 48 del Trattato U.e. Tale articolo prevede che l’iniziativa può provenire da
ogni Governo degli Stati membri oppure dalla Commissione. Il progetto di revisione
del Trattato deve essere sottoposto al Consiglio il quale, previa consultazione del
Parlamento europeo ed eventualmente della Commissione, se il progetto è stato
proposto dal Governo di uno Stato membro, delibera a maggioranza semplice e in
caso di pronuncia favorevole si convoca una conferenza intergovernativa che ha lo
scopo di stabilire quali modifiche apportare al Trattato. Quando le modifiche vertono
nel campo monetario è richiesta anche il parere della Banca centrale europea.
La Conferenza intergovernativa conclude i propri lavori con l’adozione di un atto
che contiene il testo di un nuovo Trattato e il nuovo testo entra in vigore dopo essere
stato ratificato da ogni Stato membro secondo le proprie norme costituzionali.
Cinquantaquattresima Lezione
Anche se non previsto formalmente dalle norme comunitarie la procedura di
modifica dei Trattati è stata, in alcuni casi, attivata con decisione unanime del
Consiglio europeo che poi ha raccomandato agli Stati membri di approvare tale
decisione di modifica secondo le rispettive procedure nazionali.
In altri casi si parla di revisione interna del Trattato istitutivo in quanto alcune
disposizioni del Trattato prevedono la possibilità di una loro modifica da parte delle
istituzioni, in seguito ad una decisione del Consiglio che viene adottata o su proposta
della Commissione e previo parere del Parlamento, o su espressa richiesta della Corte
di giustizia, oppure su richiesta della Banca centrale europea.
Le norme comunitarie che normalmente sono dirette agli Stati possono anche
produrre effetti diretti all’interno degli ordinamenti Statali quando siano
sufficientemente chiare, precise e incondizionate, ossia non siano subordinate
all’emanazione di atti di diritto interno. Tali norme possono determinare delle
posizioni giuridiche soggettive che sono direttamente tutelabili dinanzi ai giudici
nazionali e tale effetto è stato riconosciuto dalla Corte di giustizia per esempio a
quelle norme del trattato che impongono un obbligo di non fare, si pensi al divieto di
apportare restrizioni quantitative all’importazione. Tali effetti diretti delle norme
comunitarie non riguarda solo i giudici nazionali, ma anche tutti gli organi
dell’amministrazione statale, di conseguenza gli Stati membri sono obbligati a
risarcire i danni che possono essere stati causati ai singoli da violazioni del diritto
comunitario imputabili agli organi dell’amministrazione.
La Corte di giustizia ha specificato che il risarcimento del danno deve essere
adeguato al danno subito e può riguardare anche danni che si siano verificati prima
che una sentenza della Corte di giustizia abbia accertato l’inadempimento dell’
organo statale.
L’efficacia diretta delle norme è prevista non soltanto rispetto agli organi statali
(efficacia diretta verticale), ma anche nei confronti dei soggetti privati, si parla in
questo caso di efficacia diretta orizzontale. Cinquantaquattresima Lezione
L’ordinamento giuridico comunitario prevede anche norme di carattere derivato,
in quanto la produzione normativa comunitaria si esplica anche attraverso
l’emanazione di atti normativi da parte delle istituzioni comunitarie nei limiti delle
competenze attribuiti e secondo i procedimenti stabiliti dai Trattati. Gli atti normativi
derivati sono previsti dall’art. 249 del Trattato CE e sono: le direttive, le decisioni, i
regolamenti, le raccomandazioni e i pareri.
Per quanto concerne, infine, i principi generali di diritto comunitario essi sono
stati individuati dalla Corte di giustizia che, nello svolgimento della sua funzione
volta ad assicurare il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’attuazione dei
trattati, ha colmato alcune lacune normative dei trattati stessi andando a formare il
c.d. diritto comunitario non scritto.
I regolamenti e le decisioni
L’art. 249 del Trattato CE indica espressamente i tipi di atti normativi che
possono essere emanati dalle istituzioni comunitari. In base a tale articolo per
l’assolvimento dei loro compiti e alle condizioni dettate dal presente trattato il
Parlamento europeo congiuntamente con il Consigli, il Consiglio e la Commissione
adottano regolamenti e direttive, prendono decisioni e formulano raccomandazioni e
pareri. Cinquantaquattresima Lezione
Il regolamento ha portata generale, esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e
direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.
La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato
da raggiungere salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla
formazione e ai mezzi.
La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa
designati.
Le raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti.
I regolamenti costituiscono l’espressione tipica dell’esercizio del potere
normativo della Comunità.
I regolamenti sono atti a portata generale con valore erga omnes, ossia si
rivolgono a categorie di soggetti determinate in astratto nel loro insieme. Tale
carattere del regolamento distingue i regolamenti dagli altri atti comunitari e in
particolar modo dalle decisioni che invece hanno la caratteristica di rivolgersi a
destinatari determinati e determinabili.
I regolamenti sono obbligatori in tutti i suoi elementi. Ciò non vuol dire che i
regolamenti siano necessariamente completi, anzi spesso devono essere integrati con
provvedimenti di attuazione che possono essere adottate dalla stessa istituzione che
ha emanato il regolamento, da un'altra istituzione comunitaria e dalle autorità
nazionali.
Tale caratteristica distingue il regolamento dalla direttiva che è obbligatoria solo
per quanto riguarda il fine perseguito.
Il regolamento è direttamente applicabile negli Stati membri, ciò comporta che il
regolamento acquista efficacia negli Stati membri senza la necessità di un atto di
ricezione o di adattamento da parte dei singoli ordinamenti statali (c.d. norme self-
executing). Il regolamento ha, quindi, validità automatica negli Stati membri e
Cinquantaquattresima Lezione
attribuisce diritti e obblighi in capo agli Stati membri, ai loro organi e ai privati.
Conseguentemente il regolamento attribuisce ai cittadini comunitari diritti che i
giudici nazionali hanno il dovere di tutelare.
I regolamenti sono emanati dal Consiglio su proposta della Commissione. Al
processo di formazione partecipa anche il Parlamento europeo attraverso una delle
procedure previste dal trattato (consultazione, cooperazione, codecisione). Se previsto
devono essere richiesti anche i pareri del Consiglio economico e sociale o del
Comitato delle Regioni. I regolamenti devono essere motivati e pubblicati sulla
Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea ed entrano in vigore dopo 20 giorni dalla
pubblicazione sempre che no sia prevista esplicitamente dal regolamento la data di
entrata in vigore.
Altro strumento normativo della Comunità sono le decisioni. Anche la decisone,
come il regolamento, è obbligatoria in tutti i suoi elementi, ma al contrario del
regolamento, tale obbligatorietà vige solo nei confronti dei destinatari da essa
designati. Caratteristica principale della decisione è quindi la sua portata individuale.
Le decisioni sono normalmente emanate dalla Commissione, mentre il Consiglio
di regola emana le decisioni indirizzate agli Stati membri.
Le decisioni che comportano un obbligo pecuniario costituiscono titolo esecutivo,
ma questo non vale per le decisioni rivolte agli Stati membri.
Le decisioni, così come le direttive, acquistano efficacia dalla data della loro
notifica ai destinatari, o da altra data espressamente indicata dalla decisione.
Le direttive, le direttive dettagliate, effetti diretti delle direttive
Cinquantaquattresima Lezione
La caratteristica delle direttive è quella di vincolare gli Stati membri cui sono
dirette per quanto riguarda il risultato da raggiungere lasciando, tuttavia, gli Stati
liberi sulla scelta della forma e dei mezzi necessari per il conseguimento del risultato
stabilito.
Le direttive, a differenza dei regolamenti non hanno portata generale, ma possono
comunque rivolgersi a tutti gli Stati membri e si limitano ad imporre degli obblighi di
risultato nei confronti degli Stati membri che ne sono gli unici destinatari. A questo
proposito si è soliti distinguere tra direttive generali che sono indirizzate a tutti gli
Stati membri, e direttive particolari, indirizzate ad uno Stato membro o ad alcuno di
essi.
Le direttive lasciano gli Stati titolari del potere normativo, diversamente da
quanto stabilito per i regolamenti, e la Comunità esercita una competenza diretta
esclusivamente alla armonizzazione delle discipline nazionali in determinati settori.
Dato il carattere non generale delle direttive esse non sono direttamente
applicabili, ma devono essere oggetto di provvedimenti nazionali di provvedimento.
In casi sempre più frequenti le direttive sono in grado di produrre effetti diretti.
Ciò si verifica nel caso delle c.d. direttive dettagliate o particolareggiate. Le direttive
dettagliate indicano con precisione le norme interne che gli Stati sono tenuti ad
adottare, in tal modo la discrezionalità dello Stato si riduce alla sola scelta della
forma giuridica interna da dare alla norma già fissata sul piano comunitario.
Si ci è posto il problema se le direttive dettagliate siano ammissibili e non
contrastino con lo spirito dell’art. 249 del Trattato CE. La Corte di giustizia al
riguardo si è espressa secondo il principio per cui la sostanza prevale sulla forma
degli atti, di conseguenza una direttiva dettagliata che si indirizzi a tutti gli Stati
membri e ponga norme di carattere generale è, nella sostanza, un regolamento; così
come anche una direttiva dettagliata che si indirizzi ad un singolo Stato membro è,
sostanzialmente una decisione. L’ostacolo delle diverse forme di pubblicità previste
Cinquantaquattresima Lezione
per i regolamenti, le direttive e le decisioni nella sostanza è superato dalla prassi di
far seguire alla notifica delle direttive anche la pubblicazione sulla Gazzetta
dell’Unione europea.
Per quanto concerne la legittimità delle direttive dettagliate la dottrina prevalente
distingue due casi: la direttiva dettagliata è legittima se ha ad oggetto una materia
disciplinabile indifferentemente con regolamenti, direttive o decisioni; la direttiva
dettagliata è, invece, illegittima se ha ad oggetto materie per le quali il Trattato
prevede l’uso del regolamento.
La prassi comunitaria è orientata a non accogliere tale distinzione dottrinaria e a
ritenere sempre legittime le direttive dettagliate a prescindere dalla materia oggetto di
tali atti.
L’emanazione delle direttive segue lo stesso iter procedurale previsto per i
regolamenti, di conseguenza anche i requisiti formali, quali la motivazione e il
riferimento alle proposte e ai pareri obbligatori, sono gli stessi previsti per i
regolamenti.
Il carattere individuale delle direttive, diversamente dai regolamenti, prevede la
loro notificazione ai destinatari e acquistano efficacia dalla data della notifica o da
una data successiva se espressamente indicata. Come già detto, oltre alla notifica
prevista espressamente dal Trattato, vige la prassi di pubblicare le direttive sulla
Gazzetta Ufficiale.
Infine le direttive fissano un termine massimo per la loro attuazione. Se gli Stati
non adottano le misure interne di esecuzione entro detto termine commettono
violazione del trattato e possono essere sanzionati attraverso la procedura prevista
dall’art. 226 del Trattato CE.
Pareri e raccomandazioni, atti atipici, atti non previsti dal Trattato CE,
gli atti normativi del Trattato costituzionale.
Cinquantaquattresima Lezione
I pareri sono diretti ad invitare il destinatario a tenere un certo comportamento
che l’istituzione ritiene auspicabile. I pareri possono essere rivolti ad altre istituzioni,
o a Stati membri o anche ai privati, al fine di consigliare o orientare il loro
comportamento.
Le raccomandazioni hanno un carattere più incisivo e sono rivolti da una
Istituzione di solito ad uno Stato membro ed esprimono un invito, un esortazione a
tenere un certo comportamento che quindi viene suggerito dall’Istituzione senza che
tuttavia vi sia un obbligo di risultato. Le raccomandazioni possono essere rivolte
anche ai privati, si pensi per esempio alle raccomandazioni che la Commissione
emana nei confronti delle imprese in materia di concorrenza nel caso di infrazione
degli art. 81 e 82 del Trattato CE.
La emanazione sia di pareri che di raccomandazioni rientra nelle prerogative
tipiche delle istituzioni comunitarie e in particolar modo della Commissione la quale
può emanare raccomandazioni e pareri qualora lo ritenga necessario
Sebbene le raccomandazioni e i pareri non abbiano efficacia vincolante La Corte
di giustizia ha affermato che i giudici interni devono tener conte di tali atti per la
soluzioni delle controversie loro sottoposte specialmente quando tali atti possono
contribuire a chiarire l’interpretazione di talune disposizioni comunitarie.
Allo stesso modo nonostante la mancanza di efficacia vincolante delle
raccomandazioni e dei pareri la loro emanazione nei confronti degli Stati membri fa
sorgere in capo alle istituzioni emananti un’ aspettativa affinché gli Stati facciano il
possibile per adeguarsi alla raccomandazione o al parere sempre in base al principio
del dovere di leale operazione che incombe sugli Stati al fine degli scopi comunitari.
Pareri e raccomandazioni vengono pubblicati nella Gazzetta ufficiale dell’Unione
europea. Cinquantaquattresima Lezione
Esistono anche i c.d. atti atipici. Atti non vincolanti, emanati dalle Istituzioni
comunitarie, che non rientrano in quelli elencati nell’art. 249 del Trattato CE.
Rientrano in questa categoria i regolamenti interni di cui si dota ciascuna
istituzione nell’esercizio della propria iniziativa organizzativa al fine di disciplinare il
proprio funzionamento e lo statuto dei propri funzionari. I regolamenti interni
contengono norme efficaci solo nell’ambito dell’istituzione che li emana.
Altri atti atipici sono le direttive, i pareri e le raccomandazioni che un’Istituzione
rivolge ad un'altra Istituzione nell’ambito del procedimento decisionale che
ovviamente non hanno effetti giuridici al di là dei rapporti che intercorrono tra le
istituzioni comunitarie. Si pensi ad esempio ai pareri del Parlamento o degli altri
organi consultivi.
Ancora sono atti atipici le decisioni e le risoluzioni adottate dal Consiglio europeo
che vengono considerate come accordi internazionali in forma semplificata,
approvate dagli Stati membri, con le quali sono apportate alcune modifiche
istituzionali ai trattati.
Nella prassi comunitaria si assiste anche all’emanazione di una pluralità di atti
non previsti dall’art. 249 del Trattato CE e che non sono neanche contemplati da altri
trattati. Si pensi ad esempio alle comunicazioni cui frequentemente fa ricorso la
Commissione come i libri verdi o i libri bianchi. Nel primo caso si tratta di documenti
pubblicati allo scopo di avviare il processo di consultazione su specifici argomenti
nell’ambito comunitario. Alla pubblicazione del libro verde segue spesso quella di un
libro bianco in cui le consultazioni effettuate si traducono in concrete proposte di
azione.
Uno degli scopi che si volevano raggiungere con il Trattato costituzionale era
quello di semplificare e ridurre il numero degli strumenti normativi adottati
dall’Unione europea.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher nadia_87 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di DIRITTO DELL'UNIONE EUROPEA e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università La Sapienza - Uniroma1 o del prof Tosato Gianluigi.
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