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SCIOPERO E SERRATA

Dal codice penale sardo al testo costituzionale

Il codice penale sardo (1859), esteso poi a tutto il Regno d'Italia, considerava lo sciopero un reato se non giustificato da una ragionevole causa. Il codice Zanardelli del 1889 non punisce più lo sciopero, ma solo l'eventuale comportamento violento o minaccioso diretto verso un lavoratore, per costringerlo ad astenersi dal lavoro, ma comunque lo sciopero era sanzionabile sul piano disciplinare.

Nel periodo Giolittiano, per un verso, si perfeziona una legislazione escludente la libertà di sciopero per gli impiegati pubblici e per gli addetti ai servizi pubblici essenziali, per l'altro, si consolida una giurisprudenza mortificante quella libertà anche per i dipendenti privati, cui si accompagna una prassi poliziesca più o meno selettiva, a seconda della congiuntura politica e della natura delle lotte.

Con l'avvento del fascismo viene esclusa la libertà di associazione, ma

si introduce contestualmente il sindacato pubblico, unico per ogni categoria amministrativamente determinata, i cui contratti collettivi avranno efficacia erga omnes. Il codice penale del 1930 punisce lo sciopero e la serrata per fini contrattuali e non contrattuali, l'abbandono collettivo del lavoro da parte degli impiegati pubblici e degli addetti ai servizi pubblici, il boicottaggio e l'occupazione d'azienda. Con la soppressione dell'ordinamento corporativo viene reintrodotta la libertà di sciopero. La Costituzione riconosce, all'art. 40, il diritto di sciopero nell'ambito delle leggi che lo regolano. Per ora esiste solo una legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali. La Carta dei diritti fondamentali dell'UE riconosce (art. 28) in capo ai lavoratori, ai datori e alle rispettive organizzazioni il diritto di ricorrere in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei propri interessi, compreso lo sciopero.protagonisti nell'evoluzione della disciplina dello sciopero: il Parlamento L'assenza di una legge sullo sciopero, è stata colmata dalla dottrina, dalla magistratura, dalla Corte costituzionale e dalle relazioni collettive. Lo Statuto dei lavoratori non dà una diretta regolamentazione dello sciopero, ma indirettamente ne rafforza la tutela. La legge quadro sul pubblico impiego 93/1983 sostiene l'autoregolamentazione. Ne segue l'emanazione di una legge "concertata" 146/1990 in materia di sciopero nei servizi pubblici essenziali che, visti i limiti giuridici dei codici di autoregolamentazione sindacale, attribuisce un rilievo prioritario agli accordi (nel settore pubblico) e ai contratti collettivi (nel settore privato) come fonte regolativa del conflitto; istituisce una Commissione di garanzia con competenza paragiurisdizionale sull'attuazione della legge, sopprime le sanzioni penali sostituendole con sanzioni civili e amministrative a carico.di lavoratori, datori e sindacati; riforma la precettazione. La legge viene riformata con la l. 83/2000. La dottrina e la giurisprudenza Secondo una prima distinzione, il diritto di sciopero sarebbe soggetto a limiti circa il titolare, il perché connaturati al concetto di comportamento attuativo, il fine perseguito: limiti coessenziali, sciopero assunto a referente del riconoscimento ed al rilievo del riconoscimento medesimo all'interno del testo costituzionale e dell'intero ordinamento. Sarebbe, in futuro, assoggettabile ad eventuali altri limiti circa un previo intervento sindacale, un preavviso, un tentativo di conciliazione, un referendum: limiti d'esercizio. Poi vi è un'altra distinzione: limiti "interni" desumibili dal concetto di sciopero recepito nell'art. 40 e limiti "esterni" desumibili dal contemperamento fra diritto di sciopero e altro diritto costituzionalmente tutelato a livello identico o superiore. La supplenzaÈ stata rilevante e consapevole, ma né la dottrina né la giurisprudenza sono fonti del diritto oggettivo, e col passare del tempo le linee interpretative o dominanti hanno registrato una progressiva evoluzione sulla via di una graduale liberalizzazione della disciplina extralegislativa dello sciopero. Di questa evoluzione si può cercare di offrire una sintetica ed approssimativa panoramica: a) Cambia il ruolo prevalente riconosciuto allo sciopero: da fatto quasi straordinario, ultimo ed estremo per strappare un dato trattamento economico e normativo, a fenomeno normale, strumento di garanzia sociale per l'ordinamento intersindacale, infine a strumento di influenza e partecipazione nella determinazione della politica nazionale ed aziendale; b) Cambierà la stessa attitudine verso l'attività interpretativa svolta: la crescente consapevolezza della sua natura di supplenza alimenterà una sempre maggiore autolimitazione, con una conseguente.

restrizione dei limiti coessenziali;

c) Cambierà la tecnica della fattispecie "sciopero-fatto" (l'ambito dello sciopero come fenomeno sociale) e della fattispecie "sciopero-diritto" (l'ambito dello sciopero come diritto). L'iniziale definizione a priori costruita sulla base di una precisa pregiudiziale anti-sciopero e sostenuta con un'argomentazione tratta dal codice penale, perderà lentamente la sua credibilità e cederà la via ad una definizione a posteriori, elaborata sulla base di un'attenta ricognizione della tipologia offerta dalla realtà e sorretta da un'argomentazione dedotta da un testo costituzionale riscoperto e rivalutato, con una conseguente restrizione dei limiti interni, con una parziale conversione in limiti esterni.

d) Cambierà la ricostruzione dogmatica del diritto di sciopero: da diritto potestativo, diventa diritto della persona o diritto di libertà o diritto

politico.e) Cambierà, conseguentemente, la disciplina della titolarità e dell'esercizio del diritto di sciopero. La Corte costituzionaleLa Corte non ha mancato di rimproverare il Parlamento per la mancanza delle leggi di attuazione degli artt. 39 e 40 Cost. ma da subito ha assunto in prima persona una specie di "alta supplenza": di guida rispetto alla magistratura, di sollecitazione rispetto alla classe politica, di chiarificazione rispetto all'organizzazione sindacale, di influenza rispetto all'opinione pubblica.La Corte rilancia la distinzione, sia pure aggiornandola, così da parlare di limiti desumibili dallo stesso interprete, cioè dal concetto stesso di sciopero (interni) oppure dalla necessità di contemperare le esigenze di autotutela di categoria con altre discendenti da interessi generali i quali trovano protezione in principi consacrati dalla Costituzione (esterni), e di limiti ulteriori introducibili solo dal

legislatore. Sarà la stessa magistratura penale a fornirne l'occasione, col trasmettere questioni di legittimità costituzionale relative agli articoli del codice penale dedicati allo sciopero. La Corte scarterà subito la via radicale di una soppressione aselettiva e totale della disciplina penale, sceglierà, invece, la via gradualistica di una soppressione selettiva e parziale, considerando tale disciplina solo in parte incostituzionale.

Volendo dare una rappresentazione sommaria della parte giocata dalla Corte, c'è da fare una distinzione in ragione dell'area investita: relativa ai soggetti ed ai fini, e relativa ai modi dello sciopero. La prima area si è sviluppata su q.l.c. sollevate con riguardo all'art.

a) I soggetti fini dello sciopero: 330 c.p. (abbandono collettivo di pubblici uffici, impieghi, servizi e lavori) e dell'art. 503 (serrata e sciopero per fini non contrattuali). In entrambi i casi, la Corte isola un

divieto penale costituzionalmente legittimo all'interno di un articolo dall'ambito alquanto più vasto, e fa questo utilizzando una sentenza interpretativa di rigetto, poi più tardi con una sentenza di accoglimento parziale manipolativa.

Nel primo caso la Corte porrà un limite riguardante i soggetti, enucleato dall'art. 330, tale da escludere la titolarità del diritto di sciopero a capo degli addetti a funzioni o servizi pubblici essenziali. Secondo un'interpretazione, nell'altro caso porrà un limite attinente ai fini dello sciopero, tale da escludere lo sciopero politico.

La Corte dichiara subito incostituzionale l'art. 502 che prevedeva come b) I modi dello sciopero: reato lo sciopero per fini contrattuali, effettuato come abbandono collettivo o prestazione irregolare.

Ma forse, consapevole di essere andata oltre la sua stessa intenzione, conferma che il riconoscimento costituzionale del diritto di sciopero copre solo

l'abbandono collettivo tradizionalmente inteso, cioè "totale" o comunque tale da arrecare un pregiudizio non diverso o maggiore di quello necessariamente inerente alla pura e semplice sospensione dell'attività lavorativa. All'indomani della l. 146/1990, la Corte si vede privata di una grossa porzione della vecchia disciplina penale (artt. 330 e 333), sulla quale aveva ritagliato le regole in tema di soggetti e fini del diritto di sciopero nei servizi pubblici, però viene offerto al suo vaglio un nuovo e articolato testo rispetto al quale, da un lato respinge le censure di legittimità circa il sistema ivi delineato di regolazione dello sciopero, dall'altro risulta sensibile agli aggiustamenti evidenziati dall'esperienza applicativa sì da influenzare la novella del 2000. Il Governo e la P.A. Protagonista importante è stato il Governo, nell'influire sul regolamento e soprattutto sull'esercizio effettivo.del diritto di sciopero. E ciò nel molteplice ruolo di: promotore dell'iniziativa legislativa, condizionatore dell'attività giurisprudenziale, responsabile della politica dell'ordine pubblico, gestore della conciliazione e della mediazione pubblica nei conflitti, datore di lavoro pubblico. L'atteggiamento del Governo è venuto progressivamente mutando, da apertamente repressivo, a neutrale, a promozionale. Cresce però, il ricorso del Governo, tramite i Prefetti, all'istituto dellaprecettazione, che autorizza gli stessi prefetti ad emettere ordinanze urgenti a tutela della sanità e sicurezza pubblica, sanzionate penalmente. Di grande interesse è il progressivo mutamento nel ruolo di mediazione e conciliazione del Governo, divenuto col tempo sempre più intenso e aperto rispetto al movimento sindacale. Le organizzazioni sindacali. Significativa è risultata e risulta la stessa autoregolamentazione, nella duplicel'organizzazione sindacale e il datore di lavoro, e multilaterale oregolamentazione collettiva, stabilita attraverso la contrattazione collettiva tra più organizzazioni sindacali e datori di lavoro.
Dettagli
Publisher
A.A. 2011-2012
10 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/07 Diritto del lavoro

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Exxodus di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto del lavoro e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Salerno o del prof Quaranta Mario.