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NON SI POSSONO UTILIZZARE I DUE ISTITUTI PER PIU’ DI 36 MESI NELL’ARCO
TEMPORALE DI 5 ANNI.
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Mobilità e disoccupazione
In caso di estinzione del rapporto di lavoro intervengono l’indennità di mobilità e la disoccupazione.
Il lavoratore in mobilità è stato licenziato a seguito di licenziamento collettivo dopo che l’azienda ha fatto
ricorso alla CIG straordinaria, con prestazione pagata dall’INPS. Il trattamento di mobilità è in corso di
eliminazione: la l. Fornero ha previsto l’abrogazione dell’indennità di mobilità (dal 1 gennaio 2017 non
esisterà più). La mobilità è di importo superiore rispetto all’indennità di disoccupazione ordinaria ed è
corrisposta per periodi più lunghi di tempo.
Fino al 2012 esisteva l’indennità di disoccupazione ordinaria: trattamento economico di carattere generale
ed universale, dal 2013 sostituito dall’ASPI.
Dal 2017 tutti i lavoratori riceveranno l’ASPI.
Il licenziamento collettivo
La fonte normativa di riferimento è la legge 223/1991. La legge recepisce una direttiva comunitaria degli
anni ’70, abrogata in seguito da una successiva direttiva. Fino al 1991 il licenziamento collettivo era regolato
dai contratti collettivi e dall’elaborazione giurisprudenziale. La direttiva europea introduce un principio a
tutela dei lavoratori che subiscono un licenziamento collettivo, coinvolgendo nella procedura il sindacato e
garantendo un trattamento di sostegno (mobilità) migliore rispetto ad altri.
La legge 223 introduce due ipotesi di trattamento di eccedenze definitive di personale:
• Licenziamento collettivo per riduzione di personale: licenziamento collettivo in senso stretto che
ritrova la definizione in art. 24 della legge 223/1991.
Tutti i datori di lavoro, imprenditori o meno, che occupino più di 15 di dipendenti, possono
o ricorrere a questo tipo di licenziamento. Si applica anche alle imprese che non possono
ricorrere alla CIG.
Il licenziamento è collettivo se, ai sensi dell’art. 24 l. 223/1991: qualora i datori di lavoro
o vogliano effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni, che devono essere posti in
essere nella stessa unità produttiva o in diverse unità produttive della stessa provincia; il
licenziamento deve essere conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di
lavoro.
Si distingue dal licenziamento per giustificato motivo oggettivo non per via della causa del
o licenziamento (che è di tipo economico in entrambi i casi), ma per la soglia quantitativa.
Procedura: per licenziare un gruppo di lavoratori il datore deve obbligatoriamente rispettare
o la procedura.
La prima fase, “sindacale”, vede la comunicazione scritta alle RSU e ai sindacati
territoriali di categoria l’intenzione di licenziare dei lavoratori, comunicazione che
deve contenere: i motivi che hanno portato all’eccedenza di personale, i motivi che
comportano la decisione non poter attivare alternative al licenziamento collettivo o il
collocamento in mobilità, il numero di lavoratori da licenziare e i loro profili
professionali… Il sindacato chiede l’esame congiunto per poter verificare soluzioni
alternative ai licenziamenti. In caso di accordo, si può prevedere che il lavoratore
venga adibito a mansioni diverse (anche quindi inferiori); si può prevedere il contratto
di solidarietà difensivo, diminuendo le ore di lavoro dei lavoratori per evitare il
licenziamento ma con previsione di integrazione salariale (percentuale) vista la
diminuzione della retribuzione (usato anche per favorire nuove assunzioni e in questo
caso è espansivo); prevedere forme di lavoro flessibili; nell’accordo vengono inoltre
stabili i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare.
Se non viene raggiunto l’accordo dopo l’esame congiunto, si deve inviare una
comunicazione alla Direzione Territoriale del Lavoro, e si apre seconda fase
“amministrativa”. La DTL convoca di nuovo le parti che cerca di mediare e in caso di
mancato accordo si procede al licenziamento collettivo.
I criteri di scelta dei lavoratori da licenziare vengono fissati dai contratti collettivi (o
dall’accordo in prima fase), o in mancanza, dalla legge all’art. 5. Per l’art. 5 i criteri
sono: carichi di famiglia, anzianità di servizio ed esigenze tecnico-produttive ed
organizzative.
Il datore di lavoro trasmette alla Direzione regionale del Lavoro l’elenco dei
16 lavoratori licenziati indicando come sono stati applicati i criteri di scelta.
Il licenziamento collettivo deve essere intimato in forma scritta, nel rispetto nei
termini di preavviso fissati dai CCNL.
La riforma Fornero, visto il nuovo art. 18, muta l’apparato sanzionatorio: se il
licenziamento è intimato in forma orale il licenziamento è nullo (reintegrazione
piena); se vengono violati i criteri di scelta reintegrazione attenuata; se viene violata
la procedura risarcimento del danno in misura piena.
• Collocamento in mobilità: è una forma di licenziamento utilizzabile dalle aziende che possono
utilizzare la CIG straordinaria. E’ definito dagli art. 6-9 l.223/1991, ma abrogati dal 2017.
Scatta quando il datore di lavoro, al termine della CIG straordinaria, si rende conto di non
o poter riassorbire i lavoratori sospesi: nessun requisito numerico o temporale.
Comporta conseguenze particolare in capo al lavoratore, che non si ritrovano nel
o licenziamento collettivo per riduzione di personale. Il lavoratore viene iscritto nelle liste di
mobilità, che servono per agevolare l’assunzione dei lavoratori licenziati, in quanto
incentivato dallo Stato (sgravi contributivi per aziende che li assumono). Il lavoratore nel
periodo in cui resta iscritto nelle liste di mobilità riceve l’indennità di mobilità, un
trattamento previdenziale di disoccupazione per un periodo di tempo fino ad un massimo di 4
anni (la durata varia in base all’età anagrafica del disoccupato e al luogo geografico
dell’azienda).
La legge Fornero elimina, a regime dal 2017, l’istituto della mobilità. Si parla oggi quindi di
o licenziamento collettivo connesso con la CIG straordinaria.
In questi anni di applicazione transitoria questo trattamento si abbassa progressivamente. Dal
o 2017 ci sarà piena coincidenza con l’ASPI, che verrà riconosciuto per un massimo di 12 mesi
per i lavoratori sotto i 55 anni, fino a 18 per i lavoratori sopra i 55 anni.
La procedura, obbligatoria, è la stessa del licenziamento collettivo per riduzione di personale.
o
Il lavoro pubblico
Il rapporto di pubblico impiego è un rapporto di lavoro speciale, in quanto presenta caratteristiche tali da
richiedere adattamento delle normali regole che disciplinano gli altri rapporti di lavoro alle specificità dei
contesti nei quali si svolge questa prestazione. E’ speciale perché il dipendente pubblico rende prestazione
nell’ambito dell’organizzazione deputata a soddisfare interessi ed esigenze di natura pubblica e collettiva.
Resta comunque, fondato sullo schema di scambio tipico del contratto. Fino al 1992-93 il rapporto di
pubblico impiego era disciplinato dal diritto pubblico (diritto amministrativo): diritti ed obblighi delle parti
erano ricondotti a categorie del diritto pubblico. L’organizzazione della P.A. non segue i principi dell’art. 41
(iniziativa economica privata libera) della Costituzione, ma risponde all’art. 97 della Costituzione, che
traccia i vincoli dell’organizzazione e amministrazione stessa: imparzialità e buon andamento (efficienza nel
settore pubblico…). La conseguenza di questa commistione di anime porta a taluni aspetti che non
seguono le regole generali tipiche del rapporto privato: si pensi all’accesso impiego pubblico (tramite
concorso); si pensi alla disciplina delle mansioni (non si applica ad esempio l’art. 2103 c.c., ma si ritrova
nell’art. 52 del d.lgs. 165/2001, da qualcuno definito il Testo Unico del pubblico impiego).
Quali sono le caratteristiche speciali della disciplina delle mansioni?
• E’ escluso che lo svolgimento di fatto delle mansioni di una qualifica diversa da quella personale
possano far acquistare quella qualifica professionale. Il passaggio da una qualifica inferiore ad una
superiore è considerato un nuovo accesso ad un nuovo posto di lavoro (quindi segue l’accesso
concorsuale). Dal 2009 sono vietati i concorsi riservati solo ai dipendenti interni. Questo per
proteggere l’imparzialità e il buon andamento della P.A., interessi superiori rispetto alla tutela della
professionalità.
• Principio di equivalenza: il dipendente può essere adibito a tutte le mansioni che sono equivalenti
nella sua area di inquadramento. Lo IUS VARIANDI è collegato all’inquadramento formale che
quelle mansioni hanno all’interno della classificazione del personale, e non dalle qualità soggettive
e personali del lavoratore. Tutte le mansioni, varie, che rientrano nell’area sono equivalenti.
• La disciplina delle mansioni superiori: in linea di principio non si può essere adibiti per un periodo
superiore all’anno.
Riguardo il potere disciplinare, dal 2009 (riforma Brunetta) lo Statuto disciplinare del dipendente pubblico
segue regole speciali e specifiche. Si sostiene che del 2009 il potere disciplinare debba essere attivato
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obbligatoriamente. Una delle specialità del rapporto di lavoro di pubblico impiego è la connessione stretta
tra l’azione penale e quella disciplinare: la condanna per taluni reati (delitti contro la P.A.: concussione,
corruzione, peculato) è causa di estinzione del rapporto di lavoro. Ciò viene giustificato perché il
dipendente pubblico utilizza un bene pubblico, e quindi non disponibile per il datore di lavoro.
Altra figura speciale è quella del dirigente pubblico: rispetto al dirigente del settore privato, il dirigente
pubblico secondo la Corte Costituzionale, gode di una serie di garanzie particolari che sarebbero
inconcepibili se non fossero riconosciute. Nel settore pubblico il dirigente, diversamente del settore privato
nel quale il dirigente, designato dal datore di lavoro, è il datore di lavoro per tutti i lavoratori dell’impresa, è
inteso come datore di lavoro privato (art. 5 d.lgs. 165/2001) che deve garantire l’imparzialità, visto che il
datore di lavoro è la maggioranza politica, che potrebbe “sbarazzarsi” del dirigente pubblico, con la
disciplina riservata al dirigente del settore pubblico.
Lavoro autonomo
La finalizzazione al risultato dell’opera finita è il connotato tipico che contraddistingue la categoria dei
contratti di lavoro autonomo, nella misura