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Corte ha detto che si possono individuare ulteriori limiti impliciti oltre

quelli previsti, che derivano dalle caratteristiche stesse dell’istituto

referendario: leggi costituzionali (di modifica della Costituzione); a

contenuto costituzionalmente vincolato (unica e necessaria attuazione di

disposizioni costituzionali); necessità di quesiti eterogenei (il quesito

deve essere univoco, omogeneo e chiaro); ammissibilità referendum

creativi (si eliminano parti di testi per cambiare il significato di specifiche

2 Chiara

Marziantonio ©

disposizioni di legge); non ammissibilità dei referendum manipolativi (che

diventano una sorta di proposte di nuove leggi); ammissibilità

referendum in materia elettorale, purché l’abrogazione non abbia effetti

paralizzanti sulla funzionalità dell’organo. L’altro tipo di referendum è

quello costituzionale, previsto dall’art. 138, referendum eventuale che

si immette all’interno della procedura di revisione costituzionale: è

preventivo e si è per ora verificato due volte (2001, favorevoli alla

proposta di modifica e 2006, non favorevoli). Ci sono poi degli articoli, in

particolare gli artt. 132-133 che prevedono altre forme referendarie,

connesse alla modifica delle circoscrizioni degli enti territoriali: si può

disporre la fusione di più regioni o di nuove regioni e la proposta sia

approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse,

così come per nuovi comuni.

istituti di democrazia diretta a livello locale, disciplinati dai singoli

• statuti delle regioni: l’art. 8 del Testo Unico degli Enti locali dice che nello

Statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione,

e possono essere previsti referendum anche su richiesta di un adeguato

numero di cittadini.

Altra modalità attraverso cui si esplica la sovranità popolare è il principio

politico-rappresentativo: scegliamo i nostri rappresentanti attraverso un

sistema elettorale, un insieme di regole e procedure che traducono i voti in

seggi, solitamente non costituzionalizzato.

Le tipologie di sistemi elettorali sono varie e vengono così distinte:

- Se si vota per un organo monocratico (sindaco), si può avere un sistema a

maggioranza relativa, dove il candidato che ottiene più voti si aggiudica la

carica, o assoluta, dove per poter vincere subito bisogna ottenere la metà+1

dei consensi; se i candidati sono tanti, non è detto che si riesca subito ad

arrivare a un vincitore, quindi si ricorre a un secondo turno di ballottaggio,

dove partecipano solo coloro che hanno raggiunto il primo e il secondo

risultato.

- Se si vota per un organo collegiale, in linea generale possiamo immaginare

due grandi filoni: un sistema a formula maggioritaria e un sistema a

formula proporzionale. Nel primo caso possiamo avere o un sistema a

maggioranza relativa (o secco, a turno unico, come in UK), dove ottiene il

seggio quel candidato che ottiene più voti; oppure assoluta (o doppio turno,

come in Francia), dove per essere eletto un candidato deve ottenere la metà+1

dei voti validamente espressi: se nessuno riesce si avrà un ballottaggio tra i

candidati che avranno ottenuto più voti. Nel caso di formula proporzionale,

3 Chiara

Marziantonio ©

invece, i seggi sono distribuiti tra i partiti in base alla percentuale dei voti

ottenuti: ci sono quindi circoscrizioni plurinominali.

Questi due tipi teorici, sono in realtà spesso combinati nella realtà pratica.

I sistemi elettorali incidono alla lunga sui sistemi politici; infatti, un sistema

proporzionale tende ad avere un consistente numero di partiti molto

distinti tra loro, mentre le formule maggioritarie a turno unico conducono

a un sistema bipartitico: si esaltano i partiti radicati ed è difficile l’ingresso di

nuovi. Il sistema maggioritario è ovviamente molto più stabile, e semplifica

il sistema politico partitico. Il sistema maggioritario a doppio turno, invece,

prevede una pluralità di partiti, che al secondo turno tenderanno ad

aggregarsi; così non troveranno sicuramente espressione i piccoli partiti. E’ per

questo spesso discussa la democraticità di tali sistemi; i fautori della formula

maggioritaria, mettono invece l’accento sulla stabilità che ne deriva e sulla

semplificazione della politica.

Un sistema elettorale si può anche guardare sotto gli occhi della sensibilità di

spostamento dell’opinione del corpo elettorale: per quanto riguarda il

sistema maggioritario a turno unico, la sensibilità dello spostamento di

opinione dell’elettorato porta al passaggio dal prevalere di un partito all’altro;

in un sistema proporzionale, invece, piccoli spostamenti non comporteranno

grandi cambiamenti a livello partitico. La rappresentatività garantita è diversa,

come gli effetti di stabilità e governabilità che producono.

In Italia nell’800 i sistemi erano censitari di carattere maggioritario, ma nel

1919 si diede vita a una formula proporzionale con scrutinio di lista; nel

1924 con la legge Acerbo si previde un premio di maggioranza di circa il

40% dei seggi, ma comunque le vicende del fascismo portarono all’abolizione

della Camera dei deputati. Si arriva al secondo dopoguerra, quando nel 1946

viene promulgata una legge elettorale di tipo proporzionale per la Camera,

dove i partiti si presentavano con le loro liste, all’interno delle quali vi era un

elenco di candidati che potevano essere oggetto di preferenze; il voto della

lista determinava il numero dei seggi che sarebbero spettati ad essa, mentre le

preferenze servivano per distribuire i seggi ottenuti da quella lista tra i

candidati presenti al suo interno (max 4 preferenze). Al Senato, invece, il

sistema era un “finto maggioritario”: le circoscrizioni erano uninominali,

non plurinominali, e se un candidato otteneva il 65% dei consensi allora

otteneva il collegio; questo era tuttavia praticamente impossibile, e quindi i

voti venivano distribuiti proporzionalmente. Fino al 1993 il sistema previsto

è stato sempre questo e la soglia di sbarramento era bassa, quindi tutti

potevano essere rappresentati; a partire dagli anni ’80 viene però messo in

discussione, perché ritenuto favorire la frammentazione dei partiti. Negli

anni ’90 inizia l’importante stagione dei referendum sulle leggi elettorali, e un

comitato guidato dall’onorevole Senni cominciò a raccogliere firme per

abrogare alcune parti della legge elettorale: nel 1991 la Corte Costituzionale

4 Chiara

Marziantonio ©

permise un referendum, col quale si poteva ridurre il numero delle preferenze

che un elettore poteva esprimere; tale possibilità fu eliminata, e si permise la

scelta di un’unica preferenza. Si votò nel giugno del ’91, quando erano

ancora presenti i partiti storici del Novecento: parteciparono molti elettori e si

ebbe la netta maggioranza dei sì al referendum, segnale della volontà di

cambiamento. Si votò poi ad aprile del ’92 con la legge della Camera dei

deputati modificata: si presentarono sempre i medesimi partiti, ma sono i mesi

di tangentopoli, quindi inizia un periodo complicato di breve legislatura tra il

’92 e il ‘94, che vede sgretolarsi tali partiti. Dopo l’esito referendario del ’91,

riprendono vita i comitati dei referendum per le leggi elettorali: se ne

chiede uno per la legge del Senato e uno che mirava a modificare la legge per

l’elezione dei consigli comunali e provinciali; per quanto riguarda

quest’ultima, prima che si tenesse il referendum il Parlamento approvò una

nuova legge nel ’93, pertanto non si tenne. Sul sistema elettorale nazionale,

si era chiesto di modificare la legge elettorale del Senato: abrogando qualche

parola si trasformava in maggioritario semplice; ad aprile ’93 si tenne il

referendum e ci fu una netta vittoria dei sì, così il Parlamento sentì la

necessità di rivedere tutto il sistema elettorale proporzionale, che non

garantiva stabilità: ecco la legge Mattarella, che durerà fino al ‘95 e adotta

un sistema misto, prevalentemente maggioritario ma anche proporzionale. I

3/4 dei seggi erano distribuiti secondo un sistema maggioritario, il

restante secondo criteri proporzionali. Per il Senato, ogni regione era

divisa in collegi, e per 3/4 vigeva un sistema maggioritario a turno unico,

mentre 1/4 veniva distribuito con un canale di tipo proporzionale, per coloro

che avevano ottenuto molti voti ma non avevano vinto. Alla Camera i

meccanismi erano gli stessi, ma l’elettore aveva a disposizione due schede,

una per il canale maggioritario, una per scegliere il restante quarto dei

deputati con sistema proporzionale; il sistema maggioritario comportava

un’aggregazione, quindi si tendeva ad avere due grandi schieramenti per

rafforzare i propri candidati, ossia una situazione di bipolarismo

frammentato. Ci furono poi due referendum elettorali, nel ’99 e nel 2000,

che miravano a trasformare il sistema da

misto a maggioritario; la prima volta il quorum non fu raggiunto, motivo per

cui fu re indetto: ecco che il quorum fu mancato di molto. Nacque la prassi

politica che i due schieramenti che si fronteggiavano indicassero in anticipo il

leader dello schieramento in caso di vittoria. Dal ’96 al 2001 abbiamo

avuto una maggioranza di centro-sinistra, successivamente di

centro-destra: fu deciso di modificare il sistema elettorale con una legge

approvata in tempi brevissimi nel 2005. Nel 2006 si è votato per la prima volta

con questa legge che prevede che i partiti che si presentano alla competizione

elettorale con una lista, indichino anche il leader della coalizione e

depositino un programma elettorale; il sistema è proporzionale con

premio di maggioranza, e le soglie di sbarramento sono abbastanza

5 Chiara

Marziantonio ©

elevate: accedono alla ripartizione le coalizioni con almeno il 10% dei consensi

o i partiti con il 4%. Una volta che l’ufficio elettorale ha verificato il

superamento di tale soglie, alla lista o alla coalizione di liste con il maggior

numero dei voti viene attribuito un premio di maggioranza che gli fa

raggiungere la quota di 340 seggi (circa il 55%) alla Camera; i restanti seggi

sono ripartiti proporzionalmente tra liste o coalizioni non risultate vincitrici. Il

premio di maggioranza scatta indipendentemente dal superamento di soglie

minime (basta quella di sbarramento) e può essere molto elevato, a differenza

di quando si scontravano due grandi coalizioni; questo problema è stato

sottolineato più volte, in particolar modo per non aver posto soglie minime per

far scattare tale premio. Il sistema del Senato prevede una soglia di

sbarrament

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
8 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/09 Istituzioni di diritto pubblico

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher -KiaH- di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Istituzioni di diritto pubblico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Firenze o del prof Corsi Cecilia.