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Parlamento; si dà vita a un governo monocratico del duce. Si arriva poi
all’Assemblea Costituente, dove le forze di sinistra erano favorevoli a una
valorizzazione del principio collegiale, del consiglio dei ministri come organo
detentore del potere di indirizzo politico, mentre la democrazia cristiana
sarebbe più propensa a una guida del presidente del Consiglio come mediatore;
c’è un timore derivato dall’esperienza fascista, pertanto l’art. 92 che si viene
ad approvare è di compromesso: il governo della Repubblica è composto dal
presidente del Consiglio e dai ministri che costituiscono insieme il
Consiglio dei ministri: è un organo formato da più organi.
L’art. 95 ci dice le competenze degli organi che formano il governo: il
presidente del Consiglio dirige la politica generale del governo e ne è
responsabile, mantiene l’unità di indirizzo politico e amministrativo
promuovendo e coordinando l’attività dei ministri; i ministri sono responsabili
collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, quindi c’è un principio di
collegialità per quanto riguarda le decisioni prese, e individualmente degli atti
dei loro dicasteri. Nella storia della Repubblica questi tre principi si sono
alternati a seconda dei momenti, spesso verificando del ministerialismo, tanto
che si era parlato dei governi italiani come governi a direzione multipla
dissociata (neofeudalesimo ministeriale); questo è cambiato con leggi degli
anni ’80 ’90, mentre ore vige la legge Mattarella, che ha rafforzato la figura del
presidente del consiglio. Con una legge dell’88 si è tentato anche attraverso
uno strumento normativo di rafforzare la figura del presidente del consiglio
rispetto alla velleità ministeriale.
L’art 92.2 dice che il presidente del Repubblica nomina il presidente del
Consiglio e, su suo suggerimento, i ministri. In realtà, il procedimento è
molto più complesso, perché si sono venute a creare consuetudini costituzionali
per cui i presidenti della Repubblica si sono attenuti a determinati
comportamenti per giungere a questo atto di nomina: devono esserci le
dimissioni del precedente, accettate per prassi con riserva, quindi inizia la fase
delle consultazioni in cui il presidente della Repubblica consulta gli ex
presidenti della Repubblica, i presidenti delle camere e gli esponenti dei gruppi
parlamentari; inoltre può consultare qualunque personalità che ritenga utile per
illuminare la sua scelta. Questa fase può essere semplice o complessa, dipende
dalle situazioni, e alle volte sono così complesse che il presidente della
Repubblica ha attuato un mandato esplorativo, ritenendo opportuno che
anche il presidente della Camera o del Senato facessero consultazioni a loro
volta; dopo di che l’incarico viene conferito, in modo orale, a una persona che
crede sia in grado di portare avanti un governo. A questo punto il presidente
2 Chiara
Marziantonio ©
del Consiglio incaricato inizierà a fare consultazioni a sua volta. Inizialmente si
pensava che l’indicazione del candidato alla presidenza del Consiglio spettasse
al partito di maggioranza,inizia a cambiare qualcosa negli anni ’80 fino alla
nuova legge elettorale del ’93, che prevede che i partiti si presentino
all’elettorato indicando un candidato leader che poi si candiderà alla
presidenza del Consiglio. I compiti di un presidente del Consiglio sono la
formazione di un programma di governo, di solito quello con cui ci si è
presentati alle elezioni, e la scelta dei ministri. Una volta che egli ha fatto
proprio il programma elettorale o concordato un nuovo programma di solito con
le segreterie dei partiti partecipanti al governo, ha scelto i ministri, torna dal
presidente della Repubblica, scioglie la riserva e lo nomina insieme ai ministri;
è per prassi controfirmato dal presidente entrante, anche a evitare che il
presidente uscente potesse intralciare questo fatto. Dopo il decreto di
nomina c’è il giuramento, atto col quale entra in carica: entro 10 giorni deve
recarsi alle camere singolarmente, esporre il proprio programma di governo e
ottenere la fiducia, tempo molto breve ma fondamentale in una forma
parlamentare; in questi 10 giorni si prevedono atti di ordinaria
amministrazione. La fiducia che viene data al momento della formazione del
governo rappresenta un rapporto continuo tra Parlamento e governo,
attraverso il quale si svolge la funzione di indirizzo politico delle camere sul
governo, tanto che all’art. 64 si dice che i membri del governo possono
sempre assistere alle sedute delle camere anche se non sono parlamentari e
devono poter essere sempre sentiti; questa relazione continua, e il governo non
si deve dimettere se ottiene un voto contrario da parte delle Camere su una
proposta di legge, art 94.4. L’atto uguale e contrario alla mozione di fiducia è
quella di sfiducia all’art. 94, atto esplicito attraverso il quale il Parlamento
può far crollare il governo, che deve essere firmato da almeno un decimo dei
componenti della camera e non può essere messa in discussione prima di tre
giorni della presentazione; in realtà nessun governo è caduto sulla sfiducia, ma
le crisi sono state extraparlamentari, ossia il presidente del Consiglio da le
dimissioni al presidente della Repubblica; sono caduti i due governi Prodi ma
sulla questione della fiducia. Il presidente della Repubblica ha cercato di
parlamentarizzare le crisi, ossia di far spiegare al presidente del Consiglio
perché si sta dimettendo al Parlamento. La mozione di sfiducia riguarda il
governo nel suo complesso, ma nella prassi fatta propria dal regolamento della
camera è prevista la possibilità di sfiducia nei confronti di un singolo
ministro, come si è verificato nel caso del ministro Mancuso nell’ambito del
governo Dini; si propongono mozioni solo nel caso in cui si pensa che il ministro
esca fuori dalla maggioranza. Formalmente non si prevede la revoca dei
ministri e ciò non è mai accaduto, per questo esiste la mozione di sfiducia;
anch’esse si votano con appello nominale e la Corte Costituzionale disse che la
responsabilità ministeriale poteva essere posta dal Parlamento. Si parla poi di
rimpasto ministeriale quando diversi ministri si dimettono, vengono sostituiti
3 Chiara
Marziantonio ©
ma non si apre una crisi di governo; la legge prevede che il presidente del
Consiglio ne dia informazione alle camere ma non si ritiene che si debba
passare da un nuovo voto di fiducia parlamentare. Il rapporto governo-
presidente della Repubblica entra in gioco anche al momento delle dimissioni
dovute a motivi personali o alla cognizione che non ci siano più le condizioni
per governare, che possono essere accettate o respinte, invitando a vedere se
ha ancora il gradimento del Parlamento. Inoltre si pone un problema di
responsabilità del governo di fronte al presidente della Repubblica, che varia
molto a seconda della situazione politica.
Mentre l’art. 92 dice solo com’è composto il governo, l’art. 95 indica le
responsabilità senza però dire in concreto le funzioni esercitate dai singoli
organi, quindi c’è stato un tentativo di rafforzare il principio collegiale a scapito
dei poteri dei singoli ministri. Con la legge 400/1988, che è stata la prima
della Repubblica, si è cercato di delineare competenze e funzioni del governo,
dei singoli ministri e del presidente del Consiglio: alle volte addirittura si
discuteva se in alcune parti si poteva fare riferimento al decreto Zanardelli; nei
suoi primi articoli questa legge determina le competenze degli organi che
formano il governo. All’art. 2 si dice che l’organo Consiglio dei ministri
determina gli indirizzi generali della politica amministrativa del governo; inoltre
si specifica una serie di competenze, fra cui l’assenso a porre la questione di
fiducia, tutti gli atti di carattere programmatico, gli atti normativi propri del
governo, gli atti coi quali il governo adisce alla Corte Costituzionale (per i
ricorsi, per i conflitti di attribuzione), le linee di indirizzo in materia della politica
internazionale, gli atti concernenti le intese con le confessioni religiose e la
richiesta di scioglimento di un consiglio regionale. Al presidente del
Consiglio sono attribuiti tutti i poteri di esternazione, ma non è un “primus
inter pares”; l’art. 5 gli attribuisce la nuova composizione dei ministri da
comunicare alle camere, il presentarsi al Parlamento per ottenere la fiducia,
sottoporre al presidente della Repubblica le leggi per l’autorizzazione,
presentare i disegni di legge al presidente della Repubblica che poi li
trasmetterà alle camere, controfirmare gli atti di promulgazione delle leggi e gli
atti aventi forza di legge, poteri che riguardano la comunicazione alle camere
dell’attività del governo, indirizzare ai ministri le normative, coordinare le
attività dei ministri, può sospendere l’adozione da parte dei ministri competenti
di provvedimenti che ritiene da sottoporre all’intero Consiglio, coordinare e
promuovere l’azione di governo relativa alle politiche comunitarie e ai rapporti
con le regioni. I ministeri sono generalmente una ventina e sono divisi tra
ministri con portafoglio, ossia a capo di un dicastero, e senza portafoglio,
che fanno parte del Consiglio dei ministri ma sono a capo di un dipartimento e
svolgono funzioni che li sono delegate dal presidente del Consiglio. Ci può
essere l’istituto dell’interim, che si verifica nel momento in cui un ministro
non può esercitare le proprie competenze, si dimette, e per un certo periodo il
4 Chiara
Marziantonio ©
dicastero viene retto ad interim da un membro scelto dal presidente del
Consiglio. Altra figura è il vicepresidente del Consiglio dei ministri,
disciplinato dall’art. 8, figura che nasce per motivi politici, con la volontà di
creare un ministro che avesse più forza, che può sostituire temporaneamente il
presidente del Consiglio per le funzioni di ordinaria amministrazione. Altra
figura è quella dei sottosegretari di Stato, introdotti in Italia ai tempi di
Crispi che coadiuvano il ministro e lo sostituiscono in alcuni impegni,
disciplinati dall’art. 10: sono nominati con DPR su proposta del Consiglio di
ministri in accordo col ministro a cui questo sottosegretario farà capo e il loro
compito è di esercitare i poteri che li sono stati delegati; sono revocabili. Una
modifica alla legge 400/98 degli ultimi anni ha previsto la possibilità che sia
attribuito a qualche sottosegretario il titolo di viceministro, creata in relazione a
un forte ridimensionamento del numero