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Andrea d'Isernia e i diritti nel Regno
Andrea d'Isernia, nel suo trattato "Singulis", arrivato al punto famoso dei diritti che i Baroni applicheranno giudicando i loro pari, dice: "Item nota, qualiter et per quae iura iudicatur in Regno: nam primo sevrantur constitutiones, postea consuetudinem, quibus deficientibus ius longobardorum, et demum Romanum: dic ut glossa, infra, dee officio magistri Capit. l. puritatem".
Quest'altro giureconsulto, che fu tra le figure maggiormente rappresentative della scienza giuridica meridionale, sembra effettivamente oscillare tra un generico atteggiamento in favore del diritto longobardo e la riaffermazione tradizionale della superiorità del diritto romano come diritto comune: ma sul primo puto a qualche pentimento, e sul secondo non è propriamente esplicito.
Una sola volta Andrea d'Isernia racchiude nell'espressione "iura communia" i 2 diritti romano e longobardo, ed è appunto quando riporta, parafrasando semplicemente, il contenuto della cost. puritatem: al
giurista serviva dimostrare, che le leggi longobarde, alle quali il Liber feudorum simostra “satis coniuctus”, erano osservate nel Regno, e cadeva quindi adatta la citazione dell’unicotesto in cui il diritto longobardo è posto accanto al diritto per eccellenza in perfetta parità, mentreegli sa bene che altrove il diritto longobardo “vix servatur”. Egli è costretto, poco più in giù, arilevare che in “aliqua parte regni non servantur iura longobarda, immo in terra sunt multi, ut estSalerni, viventes iure longobardo et multi iure Romano et consuetudine”: e osserva ancora che “inmaleficiis non servant regnicolae ikus illud quam plurimum rationae carens”. Andrea d’Isernia riteneva il diritto longobardo vigente, in forza dell’uso, in alcune Regioni delRegno e per alcune materie. Perciò il giurista non poteva riconoscergli la qualifica di diritto77comune. Al contrario tutte le volte cheEgli allude al diritto romano, quale che fosse l'effettiva validità di quest'ultimo nella vita del Regno, parla di diritto comune. In alcuni passi del Liber Augustalis, egli contrappone recisamente il diritto longobardo al diritto comune. Accanto a questi passi, noi troviamo qualche altra affermazione che lascia perplessi: così, a proposito del rilievo che Andrea d'Isernia faceva della strana situazione di Salerno, dove alcuni vivono a diritto longobardo ed altri a diritto romano "ex consuetudine", scusandosi cioè con la forza della tradizione, egli non esita a dimostrare che questo era semplicemente un abuso in contrasto con il disposto delle Cost., che, in materia di fonti, avevano senz'altro abolito le consuetudini ad esse contrarie, e la const. "puritatem" aveva dato la precedenza al diritto longobardo sul romano. Nella stessa definizione sei rapporti tra diritto longobardo e diritto romano, Andrea si esprime in modo equivoco.
In più luogo, infatti, egli dice: "Ius Longobardorum praefetur (o praeponitur) iuri Romano in Regno". Come bisogna interpretare concretamente questa prevalenza del diritto longobardo sul romano? Se Andrea d'Isernia aderisse alla tradizione scientifica meridionale, bisognerebbe interpretare l'affermazione in questo senso: che cioè in quelle terre e per quei rapporti in cui erano ancora in vita costumanze giuridiche longobarde, queste, per forza di tradizione, venivano osservate a preferenza del diritto romano; perciò, in queste terre stesse di tradizione longobarda, se un rapporto o negozio giuridico non era regolato dalle costituzioni del Regno, né da consuetudini locali, né previsto dal diritto longobardo, necessariamente cadeva sotto il regolamento del diritto romano. Ma su questa interpretazione può restare qualche dubbio legittimo, anche se non appaia giustificato del tutto il giudizio assoluto di contraddittorietà che.è stato dato sul pensiero di A. d’Isernia. Per Calasso un giurist dell’altezza d’ingegno di A. d’Isernia, abbia avuto delle incertezze, non difronte a situazioni secondarie e opinabili, ma proprio sul problema fondamentale del sistema delle fonti giuridiche vigenti nel Regno, può, con altrettanta legittimità, non apparire verosimile.
Se questa incertezza effettivamente c’è stata, dobbiamo semplicemente contentarci di rilevarla, passandovi oltre in fretta, dopo aver tracciato d’incongruenza il pensiero del giurista? O non citroviamo forse di fronte a un indizio importante, che dovrebbe, invece, fermare la nostra attenzione, ponendoci un quesito, che aspetta la sua risposta?
Alla risposta si può arrivare, ricercando positivamente nelle condizioni giuridiche del Regno, quale fosse, in pieno aec. XIII, la vitalità del diritto longobardo e la sua posizione di fronte al diritto romano.
A proposito della const. “puritatem”,
Bisogna ricordare il giudizio di Pertile, che cioè "l'interpolazione è pienamente conforme a quel che esisteva in fatto, e serve egualmente di prova": ma di questa situazione di fatto il Pertile parlò solo genericamente, come di una persistenza del diritto longobardo nell'Italia meridionale più lunga e più piena che in altre parti d'Italia, né ha fatto di più chi ne ha ripetuto l'osservazione: mentre il problema posto dalle parole inserite nella cost.citata, è assai più complesso. Che il diritto longobardo abbia la sua parte nel codice federiciano, malgrado la netta tendenza di questo in favore del diritto romano, e che ad esso il legislatore si riferisca con espressioni le quali non lasciano dubbi sulla sua importanza nella vita giuridica del Regno, è fuori discussione. Ciò non giustifica l'affermazione dello Schupfer, che esso sia stato accolto in complexu, come
Il diritto romano, per il fatto che il legislatore vi si riferisca una volta con l'espressione "ut est iuris". La maniera di esprimersi del Liber Augustalis nei riguardi del diritto longobardo è prova evidente dell'importanza pratica che questo diritto conservava ancora in pieno sec. XIII nell'Italia meridionale.
Qual'è dunque questa situazione di fatto, alla quale la legislazione ha dovuto necessariamente riferirsi e da cui la stessa scienza civilistica non ha potuto prescindere?
Es. Consideriamo una piccola città (X - XIII sec.) come Conversano: una vita che si raccoglie tutta attorno alla badia benedettina, punto di riferimento, di raccoglimento, di difesa costante tra le fortunate vicende della città, ripetutamente turbata dalle avventure dei saraceni, tedeschi e normanni: città bizantina che cade in mano degli avventurieri normanni solo quando il baluardo più forte della regione, Bari, è crollato (1071).
Ma la sua vita sociale ha ceduto al costume longobardo fin dal sec. VIII: la buona memoria che nella tradizione popolare accompagnerà il nome del principe illuminato di quel sec., Liutprando, "dulcis ac bone memorie rex", "vir gloriosissimus", "pleclarus", excellentissimus. L'impronta longobarda dei documenti è spiccatissima nei sec. X e XI: nei negozi più ricorrenti i testi delle leggi longobarde sono citati estesamente: così nelle frequenti permute o concessioni enfiteutiche fatte dal monastero si riporta il cap. 16 di Astolfo: nel disporre dei beni di alcuni taliche si erano assentati da Conversano e da più di 3 anni non davano notizie di sé, il comes della città riferisce a sostegno il cap. 18 di Liutprando; un padre, donando al figlio la 4a parte di una sua casa, si dice sicuro di far cosa conforme alla "legis ratio quae a gloriosissimo Liutprando rex statuta est in capitulo centesimo.
ubi dicit etc…; e un minorenne, che vende, costretto dal bisogno, un po’ diterreno, riporta il capitolo 149 di Liutuprando.Ma anche quando la citazione non è fatta per esteso, la legge longobarda è ricordata con delleespressioni che non lasciano dubbi sul fatto che venisse considerata come la legge del luogo: perlegem, secundum legem o statua legis, sicut lex nostra continet. Queste espressioni ellitticheritornano negli atti più frequenti ed usuali: o per dire che la donna dal suo mundualdo, o che ilgiudice l’ha diligenter inquisita; nelle donazioni, al momento dello scambio del launegild… 79Per questo motivo si spiega, come esse persistano molto a lungo e si ripetano ancora nel sec. XII;ma in questo sec. si nota qualche sfumatura nuova, che ha la sua importanza: il riferimento chericorre in questi atti medesimi più di frequente non è più alla lex, ma al mos o all’usus gentis nostrelongobardorum.Le citazioni peresteso di leggi longobarde finiscono col sec. XI: l'ultimo documento di Conversano appartiene al 1902. Questo ingresso della lex romanorum non modifica gran che il linguaggio del documento, poiché l'abate compie ora, come i suoi predecessori di qualche sec. innanzi, la vicariatio per fustem. Tuttavia, il fatto è importante, tanto più quando si tenga presente il momento storico in cui si manifesta; nelle coscienze, la lex romanorum si dispone accanto al mos longobardorum, che è il costume invecchiato dominante nella vita del luogo, e lentamente, come è destino, lo scalza. Un altro segno di questa nuova maturità è offerto ancora da un fatto non meno importante: la comparsa, nei documenti del sec. XIII, della consuetudo civitatis, secondo la quale i negozi si compiono, o alla quale le parti, col loro ampio potere dispositivo, rinunziano. Le carte conversanesi presentano un altro particolare molto significativo: il loro linguaggio, romanizzandosi.Si tecnicizza. La sostanza dei negozi, nella maggior parte dei casi, resta prettamente longobarda: tra le formule romanizzanti, serpeggiare qualche accenno generico al mos longobardorum. È notevole che a Bari, metropoli della regione, popolosa e fiorente, vediamo ripetersi il fenomeno riscontrato per un piccolo centro come Conversano. Il diritto longobardo ne ha fortemente impregnata la vita: ma nella seconda metà del sec. XII, costumanze che nei documenti più antichi venivano riportate sinceramente alla lex longobardorum vengono invece fondate sulla consuetudo civitatis. Ciò che importa rilevare è l'attaccamento del cittadino a questo diritto locale, espresso talvolta in forma ingenua come in un documento del 1154, in cui un tale, di origine barese ma dimorante a Palermo si obbliga con un altro barese a far venire da Bari a Palermo la propria figlia e a darle in sposa "secundum ius et consuetudinem... civitatis Bari sine contrarietate."
"predictorum nostrorumregnum!”.Questo attaccamento geloso porta al fenomeno inverso delle rinunzie in pieno sec. XIII: frugandotra di esse, il ricer