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L’AZIENDA
NOZIONE
L’art. 2555 cc stabilisce che “l’azienda è il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per
l’esercizio dell’impresa”. L’attività dell’imprenditore si realizza mediante la combinazione dei
beni in funzione di uno scopo produttivo, e , come l’elemento teleologico assume una decisiva
rilevanza per la nozione giuridica di impresa, l’elemento funzionale l’assume per quella di
azienda.
La legge stessa pone l’azienda nell’ambito delle cose complesse o meglio nell’ambito delle
combinazioni di cose, considera, cio’, l’azienda un aggregato di beni i quali conservano la loro
individualità, ma che, sotto certi aspetti, subiscono una unificazione in conseguenza
dell’unitarietà della loro destinazione economica.
La nozione giuridica di azienda è una nozione derivata: essa presuppone quella di impresa,
della quale costituisce lo stumento. Se non vi è impresa, non vi è azienda in senso tecnico e
non si applica i particolari principi che per essa sono posti.
La destinazione ad una funzione unitaria dei diversi beni è opera dell’imprenditore; da ciò
dipende il collegamento economico dei vari beni e su ciò in definitiva si basano gli effetti
economici che al collegamento sono connessi. L’azienda rientra pertanto nella categoria delle
universitates facti non in quella delle universitates iurium, e si differenzia dall’universalità di
mobili per l’eterogeneità degli elementi da cui risulta.
Il collegamento dei beni in vista di uno scopo produttivo ha un valore economico in se e per se,
indipendentemente dal valore dei singoli beni su cui si attua.: valore economico che si designa
come avviamento dell’azienda e che trova espresso riconoscimento nella legge,
preoccupandosi questa di dettare addirittura i criteri per la sua valutazione in bilancio.
L’avviamento non è dunque un nuovo bene, ma il valore economico del collegamento.
Esso ha un fondamento soggettivo, in quanto è inerente alla capacità dell’imprenditore, e un
fondamento oggettivo, in quanto è inerente agli elementi dell’azienda. Manca, infatti, nel
nostro ordinamento una tutela immediata e diretta dell’avviamento. Si ha solo il
riconoscimento di un limitato diritto a compenso per quell’aumento di valore che è apportato ai
locali in conseguenza dell’esplicarsi in essi dell’attività imprenditrice.
I SINGOLI BENI
L’azienda risulta da una pluralità di beni eterogenei, mobili o immobili, materiali o immateriali.
Non è necessario che questi beni siano tutti di proprietà dell’imprenditore; è sufficiente che egli
ne abbia il godimento.
Tutti questi beni sono destinati a uno scopo produttivo unitario, e trovano in questo il loro
collegamento economico.soltanto con riferimento alla destinazione economica è possibile fare,
nell’ambito delle singole azienda, una graduazione di importanza dei singoli beni e distinguere
beni principali e beni accessori.
La posizione del singolo bene non va, infatti, determinata con riferimento alla natura del bene,
ma con riferimento al rilievo che essi assumono per l’attuazione dello scopo produttivo al quale
il complesso è destinato.
È pertanto possibile che beni immobili assumano una posizione di accessorietà rispetto a beni
mobili o immateriali.
Una destinzione particolarmente rilevante nell’ambito del complesso aziendale è quella tra
capitale fisso e capitale variabile. Il primo è costituito da quel complesso di beni che avendo
carattere strumentale rispetto al processo produttivo, trovano una destinazione duratura
nell’ambito del complesso aziendale; il secondo è costituito invece dal complesso di beni che si
consumano nel processo produttivo o nelle singole operazioni commerciali, e sono destinati a
rinnovarsi continuamente.
ATTI DI DISPOSIZIONE DELL’AZIENDA
L’azienda come tale può formare oggetto di disposizione, così come possono formare oggetto
di disposizione i singoli beni di cui essa si compone. Lo stabilire quando ci si trovi di fronte a un
atto di disposizione dell’azienda e quando invece di fronte alla disposizione dei singoli elementi
non è in pratica sempre agevole. Spesso ciò risulta dalla stessa terminologia usata, ma in
generale deve ritenersi che di disposizione dell’azienda si può parlare soltanto quando si
dispone del complesso dei beni aziendali per la continuazione dell’attività imprenditrice da
parte di un altro soggetto.
Gli atti di disposizione dell’azienda come tali hanno una disciplina giuridica propria. Essi
possono inoltre assumere rilievo quando l’acquisto avviene ad opera di altre imprese, per il loro
significato di concentrazione, e come tale ricadono sotto la normativa antitrust posta dalla
legge 187/1990 e dai corrispettivi regolamenti comunitari.
Principi particolari sono posti in ordine alla prova e alla pubblicità.
Gli atti di trasferimento dell’azienda devono essere, infatti, provati per iscritto e debbono
essere iscritti nel registro delle imprese a cura del notaio rogante.
Gli atti di trasferimento dell’azienda producono, inoltre, due ulteriori effetti naturali:
- obbligo dell’alienante di astenersi da una attività imprenditrice idonea a sviare la
clientela dell’azienda ceduta;
- la successione da parte dell’acquirente nei contratti in corso di esecuzione relativi
all’azienda.
Si tratta di effetti naturali, come tali eliminabili mediante espressa pattuizione.
OBBLIGO DI NON CONCORRENZA art 2557 cc
Il divieto di concorrenza incombe per legge all’alienante nei confronti dell’acquirente, nonché al
titolare dell’azienda nei confronti dell’usufruttuario o dell’affittuario.
Pur essendo un effetto naturale del trasferimento, esso, in quanto importa una limitazione
dell’iniziativa economica, è regolato in conformitàai principi fissati dall’art 2596 cc in ordine ai
patti di concorrenza.
La limitazione della libertà individuale dell’obbligato deve essere necessariamente contenuta
entro determinati limiti di tempo e di spazio. Rispetto al tempo il limite massimo per il caso di
alienazione è di 5 anni, per il caso di usufrutto o affitto la durata dell’uno o dell’altro. Rispetto
allo spazio, il divieto normalmente si estende all’ambito territoriale entro il quale è possibile
un’effettiva concorrenza. Tuttavia pattiziamente i limiti spaziali possono essere ampliati purchè
non sia impedita ogni attività professionale dell’alienante.
Trattandosi di effetto naturale esso sussiste tanto nel caso di vendita volontaria, quanto in caso
di vendita forzata o fallimentare.
Il divieto importa che non possa esercitarsi un’impresa idonea a determinare lo sviamento della
clientela dell’azienda ceduta. Quando questa idoneità sussista, deve ritenersi vietato anche
l’esercizio di impresa a mezzo di prestanome o per conto altrui.
La violazione del divieto importa le normali conseguenza proprie di ogni inadempimento
contrattuale: risarcimento del danno ed eventuale risoluzione del contratto.
SUCCESSIONE NEI CONTRATTI
La successione ipso iure nei rapporti contrattuali, prevista dall’art 2558 cc, riguarda i contratti
stipulati per l’esercizio dell’impresa che non abbiano carattere strettamente personale e si
attua indipendentemente dal consenso o dall’autorizzazione del contraente ceduto.
Si deve trattare di contratti in corso di esecuzione, che siano inerenti all’esercizio dell’impresa.
Sono esclusi quei contratti che per loro natura o in virtù di particolari clausole debbono
considerarsi intuitu personae.
La deroga all’art 1406 cc, che regola la cessione dei contratti, non è tuttavia portata alla
conseguenza estrema di imporre all’altro contraente la sostituzione di una persona ad un’altra
nel rapporto contrattuale.
Il terzo contraente ha, infatti, la facoltà di recedere dal contratto, quando ricorra una giusta
causa, entro 3 mesi dalla notizia dell’alienazione.
Quindi, in sostanza, la successione dell’acquirente nel rapporto contrattuale si verifica
automaticamente, ma il terzo ha il potere di eliminarne gli effetti attraverso il recesso dal
contratto.
Una giusta causa di recesso si determina ogni volta che per effetto della sostituzione
dell’acquirente all’alienante, si verifica un mutamento della situazione obbiettiva tale che il
terzo non avrebbe stipulato il contratto o lo avrebbe stipulato a condizioni diverse.
Ovviamente il diritto di recesso non può essere esercitato non caso in cui il terzo contraente
abbia espressamente o tacitamente consentito alla sostituzione.
Per quanto concerne il consorzio, invece, il trasferimento dell’azienda importa, salvo patto
contrario, il subentro dell’acquirente nel contratto di consorzio: tuttavia i consorziati, in caso di
trasferimento per atto tra vivi, e se sussiste una giusta causa, possono deliberare, entro 1
mese dal trasferimento, l’esclusione dell’acquirente dal consorzio.
CREDITI E DEBITI
Al trasferimento d’azienda possono riconnettersi la cessione dei crediti o l’accollo dei debiti
inerenti all’azienda stessa. Tuttavia cessione e accollo non sono effetti legali del trasferimento
dell’azienda, ma sono conseguenza di particolari pattuizioni in tal senso stipulate in occasione
del trasferimento.
La deroga introdotta per i crediti aziendali è limitata.
La notifica al debitore ceduto o l’accettazione da parte di questi, richiesta dalla disciplina di
diritto comune, è sostituita dall’iscrizione del trasferimento dell’azienda nel registro delle
imprese.
Da tale momento la cessione dei crediti relativi all’azienda ceduta ha effetto nei confronti dei
terzi, anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione.
Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante.
Relativamente all’accollo dei debiti l’art 2560 cc si limita a ribadire che in ogni caso, quindi
anche quando non sia convenuto tra le parti un accollo, l’alienante non è liberato, sicchè tale
eventuale accollo assume in principio carattere cumulativo e non privativo. La norma pone,
inoltre, a carico dell’acquirente una responsabilità solidale con l’alienante per i debiti risultanti
dai libri contabili obbligatori.
La norma si disinteressa cioè di regolare i rapporti tra le parti per preoccuparsi unicamente
della posizione dei terzi. Perciò, in casi particolari, quando cioè non vengono in rilievo problemi
di tutela dei terzi, ma quello di garantire una parità di trattamento tra